2.3 Trouble in Paradise

Raven non dormì nel suo appartamento. Preferì lasciare Swan al suo riposo e a un risveglio sereno assieme a Charles. Per qualche motivo che preferiva non indagare, si sentiva di troppo.

Tornò a Fulham in piena notte e si concesse qualche ora di sonno. Al mattino si tuffò sotto una doccia più fredda del solito, sistemò i capelli con maniacale attenzione e si rasò con cura. Non aveva nessuna intenzione di presentarsi all'appuntamento con l'aspetto sgualcito di chi è appena rincasato da una serata di bagordi. Che fosse per l'avanzare dell'età o per la nuova carica che rivestiva, il Primo Maestro era diventato meno morbido di fronte agli eccessi.

Raven si avvicinò allo specchio e fece un paio di smorfie per controllare che tutto fosse in ordine, che il suo viso fosse ancora quella maschera di gomma che rinnovava ogni giorno.

Lo specchio e il suo riflesso. Li odiava entrambi. Erano la cifra implacabile del cambiamento all'interno di quel mondo dove il tempo non sembrava mai trascorrere, mai mutare.

Aveva scelto di condurre un'esistenza quieta e distratta all'interno di Fulham, scandita da abitudini che erano diventate infine vuote routine. A lui stava bene. La pigra indifferenza con cui riempiva le sue giornate lo faceva apparire innocuo e a Raven piaceva il pensiero di essere sottovalutato. Gli permetteva di osservare gli altri senza essere davvero guardato. Una pratica che una volta gli aveva salvato la vita, quindi perché non raffinarla fino allo stremo?

Così era riuscito a sopravvivere agli avvicendamenti che si erano susseguiti all'interno delle gerarchie. L'anziano Primo Maestro che aveva diretto Fulham al tempo dell'Opera, infatti, era morto da un paio di anni. A capo della Congrega c'era l'uomo che un tempo li aveva educati e seguiti nella loro missione. Nel suo caso continuava ancora a farlo, perché era sotto la sua egida che il ragazzo aveva intrapreso l'oscuro percorso per diventare a sua volta Maestro.

Raven guardò l'orologio e si rese conto di essere in ritardo. La cosa lo infastidì. Il Maestro aveva sempre mostrato una certa condiscendenza nei suoi confronti ma, da quando era stato iniziato, la tolleranza verso alcuni suoi atteggiamenti si era repentinamente ridotta al grado zero.

Sistemò il nodo della cravatta, lo allineò alla camicia, poi indossò la giacca e uscì, diretto allo studio in cui sapeva di essere atteso.

"Hai preso il bambino?".

Il Primo Maestro non l'aveva nemmeno salutato quando aveva fatto il suo ingresso e a stento gli aveva rivolto un'occhiata fugace. Sedeva dietro una grande scrivania ed era impegnato a firmare una sequela di documenti, operazione che non sembrava voler abbandonare solo perché lui era arrivato.

Raven si fermò a pochi passi dal tavolo e rimase in piedi, dal momento che nessuno lo aveva invitato a sedere. Cercò, in quei brevi attimi in cui l'altro non lo guardava, di modulare la voce nel suo solito tono indifferente.

"Non ancora".

Quella risposta gli guadagnò almeno l'attenzione dell'uomo, che interruppe il movimento della mano e sollevò lo sguardo per interrogarlo.

"Sono stato impegnato", tagliò corto Raven.

"I tuoi impegni possono aspettare", replicò il Maestro, tornando a disinteressarsi di lui. "Nessuna donna morirà in tua assenza".

In verità, considerò Raven tra sé, avrebbe potuto annoverarne almeno una in quel frangente: Ailleann. Lei sì, che sarebbe potuta morire in sua assenza, ma per nessuno dei motivi cui alludeva l'anziano signore.

"Ne sono consapevole, Maestro, ma anche questa faccenda del nuovo Phoenix... be', insomma, non è poi così urgente, no?".

Quella volta il suo azzardo ebbe un effetto ancor più devastante sul suo interlocutore, che lo squadrò con occhi freddi e selvaggi, senza nessuna voglia di fare ironia.

"Gradirei che tu la smettessi di discutere gli ordini che ti vengono assegnati. Ciò che non riguarda direttamente i tuoi compiti di Custode non è di tua competenza".

Il giovane non rispose. Si limitò ad abbassare lo sguardo, come aveva imparato a fare quando voleva apparire obbediente e arrendevole.

Il Maestro mise da parte l'ultimo foglio, depose ordinatamente la penna al suo lato, poi si puntellò alla scrivania con entrambe le mani e si levò in piedi. Aggirò il mobile, passò accanto a Raven e proseguì in direzione della porta, facendogli cenno di andargli dietro.

"Hai già avuto modo di esaminare il bambino più volte. Hai notato qualcosa?", domandò frettoloso mentre Raven gli teneva dietro moderando il passo, con le mani intrecciate dietro la schiena e l'espressione innocente da canaglia.

"Nulla che possa far pensare che abbia affinità con l'Elemento", rispose senza alcuna passione.

Il Maestro si fermò di colpo lungo il corridoio che stavano percorrendo e si girò a studiarlo. Raven gli finì quasi addosso e non poté far niente per sottrarsi a quell'occhiata indagatrice, sospesa a un palmo da lui.

"Nulla? Nemmeno un segno?".

Il ragazzo cercò di prendere fiato senza scomporsi.

"Nulla. Per quel che ho visto e sentito, è un bimbo normalissimo".

Nessuna replica. Nessuna risposta immediata. L'anziano signore rimase a scrutarlo impassibile per un tempo che gli parve infinito. Raven pregò perché niente - né un sussulto, né un'ombra di trasalimento - gli fosse sfuggito, che potesse instillare un qualsiasi dubbio nel suo osservatore.

"Non mi sorprende", considerò quello infine, sciogliendo la tensione che stava corrodendo le budella del Custode. "Phoenix non è stato mai formato abbastanza, e permettergli di sposare una donna che non fa parte della Congrega è stato senza dubbio un errore. In più, sono entrambi talmente testardi che non avranno fatto niente per quel bambino. Sono sicuro che si siano ostinati a crescerlo senza mai curarsi di verificare la sua natura".

L'aveva detto come se quella fosse la conclusione più ovvia, poi si era girato e aveva ripreso a camminare. Raven stimò che, se l'ansia avesse continuato a fargli perdere anni di vita con tanta facilità, sarebbe morto in brevissimo tempo.

"Dovrò convocare a Fulham la sua Casata", proseguì il Maestro con un tono che non ammetteva replica. "È da irresponsabili comportarsi così. C'è un Protocollo da seguire, per i Custodi. Suo padre dovrà intervenire in qualche modo e riportarlo sulla retta via. Non li paghiamo per nulla".

Il giovane sobbalzò, poi si concesse un lieve colpo di tosse prima di interromperlo.

"Non credo occorra una convocazione. Posso parlare io con Phoenix, so come fare", suggerì con noncuranza, come se stessero discutendo del tempo. "Piuttosto, Andrew Byrne, il suo gemello... non ha avuto un figlio da poco?".

"Una femmina. Del tutto inutile", sbottò il Maestro mentre spalancava la porta della biblioteca.

Quella stanza era territorio franco, Raven lo sapeva. Era il posto in cui gli veniva ancora concesso il lusso di discutere con il Maestro in privato, lontano da occhi o orecchie indiscreti. In cui poteva ancora permettersi, di fronte a un sigaro, la familiarità che ufficialmente non poteva mostrare. Quella volta, quindi, non attese nessun invito per lasciarsi cadere distrattamente sulla sua poltrona preferita e distendere le gambe con aria rilassata.

Il Maestro non se ne curò. Si girò verso uno degli alti scaffali di legno e si mise alla ricerca di qualche misterioso titolo.

"Eagle dov'è?", domandò d'un tratto, sfilando un volume dal ripiano.

"Mah... Città del Messico, Monterrey, Tijuana", snocciolò Raven con l'espressione svagata e il solito sorrisetto ironico. "Non ne ho idea".

"Pessimo lavoro tu e pessimo tempismo lui".

Il rimbrotto fu accompagnato dal colpo secco del libro chiuso di scatto. Raven drizzò le antenne: quella notizia sembrava aver messo il Maestro ancor più di cattivo umore.

"Swan? È con lui?", proseguì l'interrogatorio.

Se avesse potuto rispondere liberamente, Raven avrebbe replicato che stava studiando per diventare un Maestro e non un segugio da caccia, ma data la sua precaria posizione si limitò a camuffare il fastidio con un finto imbarazzo.

"Ehm... no. È a casa di Phoenix".

"Che ci fa a casa di Phoenix?".

Il ragazzo sfoderò l'espressione divertita che gli riusciva meglio.

"Piccoli litigi tra Amanti Celesti", commentò ironico.

Il Maestro brontolò qualcosa di incomprensibile mentre continuava a cercare tra i volumi accatastati sul tavolo.

"Pessimo tempismo anche lei", concluse brusco.

Raven socchiuse gli occhi con l'aria sorniona di chi non si sorprende per nulla di come va il mondo.

"Non a caso sono una coppia perfetta", ridacchiò. "Per il momento si è rifugiata da Ailleann a mangiare gelato e fare discorsi da donne ma, considerato quanto è lunatica Swan, non escludo che tra qualche giorno possa saltare su un aereo e volare dritta da Eagle".

"Faresti meglio a riportare lui da lei, e in fretta".

Quella richiesta fece risvegliare i sensi di Raven, che già stavano scivolando nell'algida finzione cui indulgeva giorno dopo giorno. Tese le orecchie a quel discorso con rinnovata preoccupazione.

"Desidero averlo qui quando andrai a recuperare Charles. La sua presenza sarebbe ideale".

Un brivido corse lungo la schiena di Raven. Se gli avesse ordinato di riportare Eagle a Fulham a qualsiasi costo, sarebbe stato difficile trovare una scusa valida per non farlo. Cominciò a calcolare freneticamente tutte le possibili soluzioni per arginare quel guaio e cercò di prendere tempo.

"E se non fosse possibile?", azzardò con una punta di timore.

Gli occhi azzurri del Maestro si posarono su di lui con lieve indifferenza, come di uno che non conosce reali ostacoli alle proprie intenzioni.

"Allora ci dovremo accontentare di te", replicò con aria scostante.

Per quell'unica occasione, Raven preferì il sollievo al risentimento che, in qualsiasi altra circostanza, lo avrebbe assalito all'udire quelle parole.

Non avrebbe trascinato Eagle in quel baratro. Questa era una delle poche certezze che aveva sempre nutrito. A dispetto di ogni apparenza e di ogni possibile scorrettezza, lo amava davvero come un fratello. Non avrebbe mai permesso che passasse ciò che era già toccato a lui affrontare.

Eagle no!

Se fosse accaduto il peggio, lo avrebbero spezzato. Spezzato per sempre.

Che si accontentino di me, allora!

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