1.6 Love is Colder than Death
Il rumore ritmico del coltello sul tagliere di legno, il tintinnare delle stoviglie e, dall'esterno, i gridolini allegri di Charles, la voce divertita di Eagle, la risata bassa di Phoenix.
Ascoltando quei suoni, Swan si chiese se ci si potesse mai abituare a quella dimensione. Era distante da tutto ciò che aveva conosciuto nella sua vita. Era calma, lenta, ordinaria, eppure l'attirava senza un vero motivo.
Gli anni di Fulham erano stati un lungo e quieto bisbigliare nei corridoi, interrotto a sprazzi dai suoni assordanti dei locali notturni in cui li trascinava Raven di nascosto. Gli anni con Eagle, invece, una giostra di motori, di sferragliare di treni, di grida di mercati alternate al silenzio delle notti stellate nel deserto o delle altezze vertiginose.
Cosa c'era, a casa di Phoenix, che potesse reggere il confronto con quelle emozioni? Non se lo sapeva spiegare, eppure qualcosa le stava macerando il cuore da quando aveva rimesso piede al cottage.
Sollevò le ciglia a studiare Ailleann, che si muoveva in cucina con la disinvoltura che solo la padrona di quella casa poteva possedere. Provò a paragonarsi a lei, alla sua sicurezza, alla sua serenità, e si sentì molto infelice. Cercò una qualsiasi scusa per distrarsi.
"Vado a portare qualche birra fredda ai ragazzi", dichiarò, alzandosi di scatto dallo sgabello.
Ailleann sorrise lievemente senza smettere di sminuzzare le verdure.
"Ottima idea. Farai felice Phoenix".
Swan recuperò un paio di bottigliette dal frigo e spalancò la vetrata. La prima immagine che le balzò agli occhi appena si adattò alla luce del sole fu Eagle che giocava con Charles sull'erba verde del giardino.
Senza un apparente motivo, una rabbia sorda le afferrò il cuore, le salì alla testa e le invase i pensieri. Istintivamente strinse il collo delle bottiglie e serrò le braccia contro i fianchi. Il viso le si contrasse in una smorfia, il freddo dell'Acqua iniziò a serpeggiarle tra le dita e attorno ai polsi. Si sforzò di contenerlo, ma capì di non poterci riuscire, così lasciò che l'onda del suo mare in burrasca le si riversasse addosso. Non aveva la forza di combatterla. Non ne aveva più alcuna voglia.
Attraversò il prato, lasciò cadere le birre a pochi passi dai due lottatori impegnati in una finta guerra e prese il bambino tra le braccia, strappandolo da quelle di Eagle. Charles cacciò fuori un gridolino di protesta mentre il ragazzo la fissava sorpreso da quel gesto repentino e dall'espressione terribile che le vide disegnata sul volto.
"Basta giocare, Eagle!", esclamò acida, cercando di moderare il tono per non spaventare Charles. "Trovati qualcosa di utile da fare".
Lui si sollevò dall'erba passandosi una mano tra i capelli. La scrutò interdetto, alla silenziosa ricerca di una spiegazione. Charles approfittò di quel minuto di sospensione per sottrarsi alla stretta di Swan e correre verso suo padre, lasciandosi dietro la scia di una risatina. Lei lo seguì con lo sguardo fino a quando non lo vide aggrapparsi alle gambe di Phoenix. Si chinò, afferrò le bottiglie abbandonate e le consegnò a Eagle spingendogliele contro il petto. Senza degnarlo di una parola, gli voltò le spalle e si diresse nuovamente in cucina.
Per una frazione di secondo, lui pensò che avrebbe dovuto correrle dietro, fermarla, chiederle se stesse bene. Un tempo l'avrebbe fatto. Un tempo si interrogava su Swan. Da quanto aveva smesso di farlo?
Si limitò a scuotere il capo e raggiunse l'amico che, a pochi metri da lui, stava preparando la griglia per il barbecue. Quello, di fronte alla sua espressione confusa, si sforzò di ridere.
"Ti conviene obbedire, Eaglet. Renditi utile".
"Non mi sembra di avere molta scelta", borbottò il ragazzo, impegnandosi a quel punto ad aprire le bottiglie.
"Probabilmente non ne hai mai avuta una, con Swan", ghignò l'irlandese, schiacciando un occhio. "Vedrai che più tardi le passerà, come sempre".
֍
Swan rientrò in casa. Aveva il fiatone come dopo una corsa, le guance accese e le mani che tremavano. Si trascinò fino allo sgabello, piantò i gomiti sul ripiano della penisola e affondò le dita tra i capelli, tormentandoli. Ailleann la studiò cauta e indecisa. Per un istante aveva pensato che stesse piangendo, ma poi aveva realizzato che era solo terribilmente concentrata.
Mise da parte coltello e tagliere, e le si fece da presso. Le sfiorò il braccio nudo con le dita, ma subito le ritrasse: la sua pelle era lucida e fredda, come se fosse appena riemersa dall'acqua.
Quel contatto ebbe comunque il potere di riscuotere Swan. Sobbalzò, lasciò andare le ciocche serrate e passò rapidamente una mano sul braccio, quasi a voler cancellare qualcosa. Quando realizzò di essere sola con Ailleann, si interruppe di colpo e lo sfregamento si mutò in una carezza a se stessa.
"Senti, Swan", iniziò l'altra con tono pacato, mentre le si sistemava di fronte, "in tutti questi anni non mi sono mai intromessa nelle vostre questioni. Sono rimasta ad ascoltare quando avevate voglia di confidarvi e non ho fatto domande quando preferivate tacere. Siete l'unica famiglia che è rimasta a Phoenix. Siete i suoi fratelli e probabilmente i soli zii che Charles conoscerà mai, e io vi voglio bene, bene davvero. Permettimi, per una volta, di preoccuparmi per te, perché è evidente che non stai bene".
Swan sollevò le ciglia di scatto e le piantò gli occhi addosso, mostrandole senza remore la ferita che traspariva dal suo sguardo. Ailleann pensò che fosse una reazione incoraggiante ma, al contempo, si chiese se avesse fatto la scelta giusta, parlando d'istinto senza essere stata davvero interpellata. Nelle sporadiche occasioni in cui Swan e Eagle erano stati con loro, aveva avuto il tempo di raccogliere solo qualche segnale di quel malessere. Non aveva mai avuto la possibilità di stabilire con lei un rapporto tanto intimo quanto quello che suo marito aveva con Eagle. In più, pur essendo quasi coetanee, erano profondamente diverse per personalità, condizioni ed esperienze di vita.
Ciononostante, Swan le era piaciuta fin dal primo momento. Sembrava sempre ansiosa di poter proiettare su di lei tutte le domande rimaste senza confronto all'interno di quell'universo maschile in cui era cresciuta. Così quella mattina, pur senza sapere di preciso cosa stesse accadendo, Ailleann ebbe la certezza che Swan le stava chiedendo aiuto.
"Non stai bene per nulla", proseguì. "E già da un po'. So quello che i ragazzi dicono di te: grandi entusiasmi e profondi avvilimenti sono sempre stati nella tua natura, ma stavolta credo che sia diverso...".
"E cos'altro ti hanno raccontato?", la interruppe bruscamente la ragazza. "A parte il fatto che a Fulham mi hanno costruita male, è ovvio. Sai della mia infanzia? Sai che la mia testa ha deciso di cancellare tutta una parte della mia vita senza un apparente motivo?".
Ailleann chinò il capo con un movimento gentile, che voleva essere insieme un assenso e una carezza.
"Non posso nemmeno immaginare come sia stato, crescere nel modo e nel posto che ti sono toccati. Sicuramente è terribile, quello che ti è stato fatto, ma hai la fortuna di essere ancora molto giovane. Hai tutta una vita davanti a te, da vivere come vuoi".
Swan si lasciò sfuggire una smorfia ironica e amara.
"Già. Se solo sapessi da che parte cominciare. Ma sono passati sei anni, e io sono ancora piena di domande e troppo a corto di risposte".
Non rideva di Ailleann, ma di se stessa. L'altra lo comprese dalla luce triste che si scorgeva nei suoi occhi azzurri e che cozzava con lo sforzo di apparire superiore. Talvolta Swan le sembrava solo una pessima imitazione di Raven e quel paragone le trasmise una strana angoscia.
"Non sei da sola in questa battaglia", suggerì.
Swan distolse lo sguardo e aggrottò le sopracciglia come se avesse dovuto sorreggere il peso di un pensiero troppo ingombrante.
"Non riesco a parlarne con Eagle", disse tutto d'un fiato.
Ailleann soppesò le possibili evoluzioni di quella conversazione: minimizzare sull'argomento o addolcire la pillola le parvero due soluzioni ugualmente sbagliate. Essere schietta e diretta era l'unica opzione valida, a suo parere. Le avrebbe fatto del male, ma era un rischio che valeva la pena correre.
"E a chi pensi di rivolgerle, allora, tutte queste domande che ti assillano?", chiese. "A Raven?".
"No. Raven non c'entra nulla con questa faccenda", si schermì subito Swan, sorpresa da quell'osservazione.
"Forse sì, invece. Magari solo in piccola parte, ma sì. Perché sembra che tutto l'impegno di Eagle non basti a trattenerti, mentre uno schiocco di dita di Raven è sufficiente a farti tornare a Londra. Non pensi sia il momento di fare un po' di chiarezza? Sarebbe un buon modo per iniziare. Perché fa male vedervi in questa situazione. Fa male davvero".
Swan incassò senza protestare, del tutto impreparata di fronte a quella rivelazione. Quindi era questo che lei vedeva? Che anche Phoenix vedeva? E chissà quante volte ne avevano parlato insieme!
In qualsiasi altra circostanza, quel pensiero l'avrebbe fatta infuriare. Tuttavia non c'era rimprovero nella voce di Ailleann. Non la stava giudicando, si stava sforzando di aiutarla. Qualcosa a cui Swan non era più abituata. Qualcosa che fece crollare le difese del suo cuore.
"Credevo di sapere che aspetto avesse l'amore vero", confessò con voce strozzata. "Credevo di aver capito come comportarmi, ma adesso non sono più sicura. Comincio a pensare di aver sbagliato, o forse sono solo io a essere sbagliata. Forse non so come si fa, a vivere".
"L'amore vero?", commentò Ailleann dolcemente ironica. "Pensi ci sia una formula universale? Forse, per una persona abituata a comandare l'acqua con due parole, è ragionevole crederlo".
"E forse, per una persona felicemente sposata da anni, è ragionevole credere che esista per tutti, da qualche parte. Ma che avresti fatto, ad esempio, se Phoenix non fosse tornato? Se tu avessi continuato a pensare che fosse morto? Se lui è il tuo vero amore, ogni possibilità di essere felice sarebbe svanita per sempre".
Ailleann si strinse lievemente nelle spalle e le rivolse un sorriso tranquillo.
"Non credo proprio. Sarei andata avanti con la mia vita, avrei incontrato qualcun altro, mi sarei sposata e avrei avuto dei figli, esattamente come adesso. Avrei sorriso ancora e probabilmente sarei stata felice in un modo diverso".
"Se è così che va, allora mi dici che cosa c'è di tanto speciale, nell'amore? Perché lottare per trovare la persona giusta e faticare giorno dopo giorno per tenercela accanto?".
"Perché senza Phoenix avrei avuto sempre freddo", sentenziò la ragazza senza un tremito, con una sicurezza che fece sobbalzare Swan. "Lui sarebbe stato la costante nostalgia di qualcosa di cui non ricordavo più il nome soltanto perché quel nome non poteva, non doveva essere più pronunciato. Perché quando incontri quella persona che ti completa, quando perfino tutti i suoi difetti e le sue imperfezioni combaciano con i tuoi, la sua assenza lascerà un vuoto perenne al tuo fianco, qualsiasi cosa tu faccia".
Swan cercò di mascherare il turbamento provocato da quell'ultima frase. Chinò il capo, si concentrò sulle mani che si stava tormentando e non rispose.
"Sai cosa penso?", proseguì Ailleann imperterrita. "Che in tutti questi anni tu abbia sempre considerato Eagle l'unico in grado di restituirti quello che avevi perso. Forse è solo questo che hai amato in lui, e ora non riesci a perdonargli di non esserci riuscito".
"Non è andata così!", protestò la ragazza, agitata dalla direzione che aveva preso quella discussione. "Io... io mi sono impegnata in questa relazione, solo che adesso sembra che non stia andando più da nessuna parte".
"Be', tu da che parte pensavi di voler andare? Perché la direzione del vento non può dipendere solo da lui. Nessuno può restituirti quello che hai perso, Swan, e nessuno può regalarti quello che devi costruire da sola. Né Eagle, né... nessun altro, insomma".
"Suona così facile da dire, non è vero? Recuperare quello che si è perso", cantilenò Swan aspra. "Ma non lo è".
Ailleann, come se avesse improvvisamente deciso di cambiare discorso, si spostò di lato e riprese a tagliare le verdure, ignorando l'espressione infelice dell'altra ragazza.
"Prima mi hai chiesto cosa avrei fatto della mia vita se Phoenix fosse morto", disse d'un tratto. "Hai mai perso qualcuno che amavi? Intendo perso per sempre, in maniera irragionevole e irreversibile".
Quella domanda inattesa attraversò la mente di Swan e scacciò ogni altro ragionamento che l'affollava in quel momento, ponendosi al centro dei suoi pensieri.
Se aveva perso qualcuno che amava? La prima immagine che vide fu quella del vecchio Phoenix. Pensò al dolore provato per quell'uomo che era stato un padre per lei, alla spada che le era calata nel cuore quella mattina, alla rabbia furiosa che l'aveva spinta a rifiutare l'amore di Eagle, alla disperazione che l'aveva fatta cedere di fronte all'inflessibilità di Raven.
Stava per pronunciare quel nome, ma si rese conto che non era quella la vera risposta. Phoenix, in fondo, lo aveva vissuto fino all'ultimo dei suoi giorni. Non aveva rimpianti.
Irragionevole e irreversibile...
Era più indietro che doveva cercare, sforzandosi di andare oltre quei frammenti sconnessi che il suo cervello le aveva lasciato, oltre il buco nero della sua memoria inattendibile e danneggiata.
Irragionevole...
Come il peso che schivava accuratamente ogni giorno da più di vent'anni ormai. Suo padre, sua madre, suo fratello. Ciò che erano o, piuttosto, ciò che non erano mai stati. La lucida coscienza che una parte di lei era stata tagliata, strappata, uccisa.
Irreversibile...
Swan sgranò gli occhi azzurri e cercò quelli di Ailleann con quieta disperazione.
"Sì", rispose infine. "Io".
Ailleann annuì piano.
"Allora è da questo lutto che dovresti ricominciare".
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