1.3 Colorblind

Il soffitto era solcato da grosse travi. Le venature attraversavano il legno robusto disegnando linee scure e profonde che si intrecciavano, si allontanavano, si fondevano di nuovo.

Eagle le inseguiva con i suoi occhi dorati. Stava cercando di imprimerle nella sua memoria. Era una stanza in più, una fotografia in più da impilare assieme alle altre che conservava in testa. Quante erano state in tutti quegli anni? Quanti soffitti? Moderni, stuccati, di mattoni grezzi, talvolta perfino di semplice stoffa che ondeggiava al vento del deserto. Quando non erano direttamente intrecci di fronde di palma e cieli stellati.

Per un istante si domandò se non ci fosse stato un che di folle, di profondamente sbagliato, in quel loro vagabondare. Se ci sarebbe mai stato qualcosa che avrebbe dato un senso a tutto quell'andare. Qualcosa in grado di tenere insieme i pezzi di quella storia che giorno dopo giorno aveva iniziato a sgretolarsi, perdendo il suo smalto.

Si girò piano a guardare Swan che dormiva ancora al suo fianco. Lei, sempre lei. Era quella la sola risposta che era capace di trovare. Lei, il comune denominatore, il filo rosso. Lei che lo lasciava libero per trattenerlo. Lei che sembrava obbedire solo per imporre la propria volontà. Lei che si allontanava per poi ritornare, ogni volta, da lui.

Eagle si passò un dito sulle labbra. Non riusciva a distogliere lo sguardo dal quel viso che conosceva a memoria, dalle palpebre abbassate, dalle ciglia chiare, dalle labbra socchiuse come un bocciolo, dal suo respiro. Non riusciva a staccarsene. Era la sua passione e la sua prigione, e di certo era stato parecchio insensato da parte sua fuggire da una gabbia per rinchiudersi in un'altra.

Swan... 

Il suo nome gli ondeggiava in testa come una piuma prima di posarsi a terra, bianca e leggera, sfuggente come lei.

Si fece violenza e scivolò silenziosamente fuori dal letto. Oltre i vetri della finestra il cielo era ancora indeciso. Una bruma grigiastra si insinuava nel blu spento della notte che finiva. Qualche lieve rumore cominciava ad animare la casa, al piano inferiore. Si passò una mano a scompigliare i capelli, infilò i jeans e una maglietta, e uscì chiudendosi la porta alle spalle senza produrre alcun suono.

Si sorprese quando trovò il padrone di casa già in cucina, ad armeggiare con tazze e posate. Nei mesi in cui avevano vissuto insieme non ricordava l'irlandese come un tipo particolarmente mattiniero. Sicuramente diventare padre doveva aver cambiato parecchie abitudini, ed era evidente da tanti segnali quanto lui e Ailleann fossero complici nel dividersi i compiti in casa e con il piccolo Charles. Fu obbligato a ricordare a se stesso che erano già trascorsi sei anni, che non erano più i ragazzi di un tempo, che la vita era passata loro attraverso. Quel pensiero, senza un vero perché, gli trasmise un brivido di tristezza.

Salutò Phoenix, che si girò a guardarlo con un'espressione allegra e una tazza fumante tra le dita.

"Caffè?".

Eagle annuì e tese la mano ad afferrare la superficie rovente.

"Sì, grazie", rispose senza alzare lo sguardo dal nero che ondeggiava nel mug. "Ormai mi sono adattato a bere qualsiasi bevanda calda si trovi a tiro, ma ogni tanto è bello tornare alle vecchie consuetudini".

Phoenix lo studiò per qualche istante, attendendo in silenzio che mandasse giù il primo sorso.

"Che c'è?", domandò infine.

Eagle sollevò finalmente le ciglia dall'orlo della tazza, disorientato.

"Non sforzarti di trovare una scusa, non sei mai stato bravo a recitare", proseguì l'altro, senza lasciargli il tempo di elaborare una replica.

"Non ho mai recitato con te. Non ne avevo bisogno".

L'irlandese aggirò la penisola che li separava, posò la propria tazza sul ripiano lucido e piegò appena il capo, come a cercare la giusta prospettiva per mettere a fuoco la scena.

Attorno a loro c'era silenzio. La luce del primo mattino cominciava a tingere la stanza. La calma del giorno non ancora iniziato sembrava voler abbracciare le due figure che si fronteggiavano in quello spazio intimo, ancora incorrotto dai pensieri quotidiani.

"Cos'è cambiato, allora?".

L'altro si strinse nelle spalle, con quel gesto incontrollato che faceva sempre quando era in imbarazzo o si sentiva sulle spine. Fissò il fondo della tazza come se avesse potuto trovare lì una qualsiasi risposta utile a toglierlo da quell'impiccio e sorrise amaramente.

"Non lo so. La vita, credo", rispose calmo. "Tutte le nostre vite sono molto cambiate, e in un modo che un tempo non immaginavamo possibile".

"Stronzate!", masticò l'irlandese tra i denti con un'espressione che rivelava tutta la sua contrarietà.

Gli occhi dorati di Eagle si sollevarono di scatto e si puntarono su di lui sbalorditi. Le labbra gli si schiusero in un'esclamazione di sorpresa, ma Phoenix lo anticipò, risparmiandogli un'inutile difesa.

"Oh, adesso basta!", sbottò. "Non ne posso più di continuare questa farsa, l'abbiamo già fatta durare abbastanza!".

Si girò verso la vetrata che portava all'esterno, la spalancò e si fermò sulla soglia, come se avesse avuto bisogno di respirare. Il giardino stava riprendendo lentamente colore dopo il grigio della notte e i pettirossi cominciavano a cinguettare garruli tra gli alberi. Eagle, però, non vi prestò attenzione, perché era intento a studiare l'amico con curiosità.

Come spesso accadeva durante le loro discussioni, Phoenix sembrava quello immerso nei guai fino al collo, mentre lui si trincerava dietro un'assurda tranquillità, persino quando la reale situazione delle due parti era totalmente ribaltata. Si chiese se non ci fosse qualcosa di sbagliato anche in quel suo modo pacato di reagire di fronte agli eventi. Si riscosse dalla sua immobilità, raggiunse Phoenix e si fermò al suo fianco, ma quello non lo guardò nemmeno.

"Sono tutte stronzate, queste", continuò a borbottare il padrone di casa, ignorando il suo silenzio. "E lo sai anche tu"

Quindi si staccò dal vano della finestra e percorse un paio di metri sull'erba umida, a testa bassa. Si arrestò al centro della scena e si girò con un gesto repentino che tradiva un sottile nervosismo.

"La vita, dici? Che vita? Non c'è nessuna vita, Eagle, perché voi tre non ne avete una. Avete solo un gigantesco problema".

"Noi... tre?".

"Sì. Tu. Swan. E Raven", ribadì l'irlandese con aria grave. "Perché dopo che abbiamo risolto quella... questione... insomma, dopo non avete fatto altro che ubriacarvi, tutti e tre!".

"Ubriacarci?".

Phoenix percorse a ritroso i passi che lo avevano allontanato da Eagle e si fermò proprio di fronte ai suoi occhi che lo fissavano pieni di stupore e, insieme, di timore.

"Di nuove esperienze, di viaggi. Di donne e alcol, nel caso di Raven. Di libertà, come dei ragazzini irresponsabili. E non vi siete curati affatto di pensare a cosa farne davvero di voi, delle vostre esistenze".

Eagle, istintivamente, sfuggì il suo sguardo. Dentro di sé non trovava alcuna replica valida a quello che suonava a tutti gli effetti come un rimprovero.

"Fulham vi ha fatto veramente male", concluse Phoenix con voce triste, come se stesse facendo quella considerazione tra sé. "Vi ha incasinato il cervello di brutto".

Con un movimento bizzarramente delicato, in brutale contrasto con le parole appena pronunciate, Phoenix sfilò la tazza ormai vuota dalla mano immobile dell'amico, che glielo lasciò fare senza reagire. Gli passò accanto e rientrò in cucina, lasciandolo appoggiato contro lo stipite della vetrata.

"Allora?", gli lanciò dall'interno della stanza. "Non hai ancora niente da dirmi?".

Eagle si lasciò attraversare da quelle domande senza un moto. Cercare una risposta, una bugia o una qualsiasi giustificazione gli parve una fatica che andava ben oltre le sue capacità.

"Cosa vuoi sentirti dire? In qualche modo faremo", mormorò piano, ripetendo meccanicamente il familiare intercalare di Raven. "In qualche modo abbiamo sempre fatto".

Phoenix si concesse di osservarlo con una punta di sana preoccupazione, dal momento che l'altro continuava a dargli le spalle. Il suo cuore non riusciva mai a sottrarsi all'onda d'urto generata dalle emozioni di Eagle. Le percepiva sempre come se gli appartenessero ma, a differenza dell'amico, non aveva la capacità di distillarle, di attribuire loro un contorno chiaro con le sue sole forze. Sentiva soltanto che qualcosa non andava nel verso giusto e avrebbe voluto da lui una risposta diretta, invece di assistere a quell'inutile tentativo di aggirare la discussione. Pensò che fosse solo una questione di tempo perché si decidesse a parlare, e sperò di averne a sufficienza. Pregò di riuscire ad arginare la tempesta prima del suo arrivo perché, pure nella serenità apparente di quel mattino, avvertiva con chiarezza che l'aria aveva già cominciato ad agitarsi.

"Menomale che ogni tanto Pigeon dice qualcosa di sensato", commentò a mo' di congedo.

Eagle non si mosse. Sentì di essere rimasto solo nella stanza, ma si ostinò a fissare l'erba che si agitava ai suoi piedi. Si sforzò di catturare una boccata di aria fresca, poi sollevò le ciglia a cercare il primo sole di quella giornata algida e triste.

Swan comparve stiracchiandosi sulla porta della cucina e solo allora lui si girò. Aveva indosso una delle sue magliette che la copriva fino ai fianchi e lasciava sbucare fuori un paio di calzoncini. Le ciocche argentate, disordinate dal cuscino, andavano un po' dove volevano, ma lei sembrava non darsene pena. Eagle, che credeva fermamente alle leggende metropolitane sulle donne e il loro rapporto con i propri capelli, aveva mostrato tutto il suo disappunto quando, qualche mese prima, lei aveva deciso di tagliare la sua lunghissima chioma in un caschetto corto.

La ragazza entrò senza una parola e si lasciò cadere su uno degli sgabelli che troneggiavano accanto alla penisola. Lui la studiò per qualche istante e trovò che, anche in quel modo, assonnata e disordinata, era sempre bellissima. Lo era ancora più di quando aveva vent'anni. C'era, nel suo fascino distratto da bambina, una nota di femminilità che era cresciuta negli anni e che era venuta fuori con prepotenza.

Le riempì una tazza di caffè e la spinse davanti a lei fino a sfiorarle il braccio.

"Sei da solo?".

Eagle annuì. Swan sollevò su di lui uno sguardo accigliato, mentre seguiva i suoi movimenti nella cucina con l'espressione di un cecchino.

"Hai finito di vuotare il sacco con Phoenix?", lo apostrofò quando fu stanca del suo silenzio e della sua insopportabile gentilezza.

Eagle sobbalzò, sentendosi colto in flagranza.

"Swan, piantala".

"Piantala? Avevamo preso una decisione. L'avevamo presa insieme".

"Non ho detto niente a Phoenix", puntualizzò lui con voce cupa, senza guardarla.

"Immagino", fu l'acido commento. "Tu non puoi fare a meno di vomitare ogni cosa appena il tuo amico del cuore apre bocca".

"Non dire così...".

"Non sai mai mantenere un segreto. E nemmeno una promessa".

Lui non si scompose. Si mosse piano e le si fermò di fianco. Swan aveva affondato la guancia su una mano e lo fissava adirata, con il gomito puntellato sulla superficie fredda della penisola. Aveva seguito impassibile il suo spostamento. Eagle lasciò pazientemente che lo studiasse, si chinò e iniziò a sistemarle i capelli disordinati, ravviandoglieli dietro un orecchio con delicatezza. Lei accettò quel gesto senza protestare. Socchiuse gli occhi come un gatto che si fa accarezzare e, per un istante, le sembrò di poter dimenticare ogni cosa attorno a loro.

"Lo sai che di promesse ne ho mantenute tante", mormorò lui con voce tenera, vicinissimo al suo viso.

Come sarebbe stato facile, per lei, girarsi e sfiorargli le labbra. Come sarebbe stato facile abbandonarsi a quella dolcezza. L'aveva già fatto mille e mille volte, nelle infinite mattine della loro vita insieme. Infinite e felici. Sì, lo erano state. Era quello il motivo per cui trovava tanto difficile restargli accanto. Volerlo e non volerlo allo stesso tempo. Desiderarlo per abitudine e rifiutarlo per scelta. E fingere. Fingere sempre che tutto andasse per il meglio.

"Le smancerie sono proibite prima del caffè".

La voce bassa e scurita dal sonno di Raven li fece sobbalzare, strappandoli a quell'istante. Eagle si sollevò di scatto e le sue dita smarrirono il contatto con i capelli setosi di Swan.

"Ah, Raven...", biascicò, come se non si fosse ancora abituato alla sua presenza.

"Già: Ah, Raven! Senza zucchero e con una goccia di latte, per favore".

"Intrattabile come sempre, Vostra Maestà?", lo canzonò Swan, osservando divertita i suoi occhi ancora semichiusi e la mano tesa a reclamare la sua bevanda.

Non era cambiato per nulla da quando erano ragazzini. L'espressione e la posa erano sempre le stesse. Era solo più alto e più vecchio. Eagle doveva aver pensato qualcosa di simile e rivisto la medesima immagine, perché sbuffò, riempì la tazza e la poggiò con malagrazia di fronte a lui, facendo risuonare il metallo.

Si girò appena all'indirizzo di Swan.

"Vado a fare una doccia", disse ombroso, prima di schivare Raven e sparire su per le scale.

__________________

SOUNDTRACK:

Colorblind è stata una scelta particolare, per me. È una canzone che amo molto, il cui significato però viene spesso frainteso.

L'essere colorblind, incapace di vedere i colori, in questo caso è uno stato dell'anima. È il non essere presenti alla propria esistenza, non riuscire a vedere le sfumature della vita, solo un triste e piatto bianco e nero. Covered in skin si riferisce alle difese che solleviamo per impedire agli altri di vedere il nostro dolore (no one gets to come in). La sofferenza sta nello stridente contrasto tra l'essere tongue tied, ovvero incapace di parlare, e il desiderare che qualcuno ci raggiunga, ci capisca e ci tiri fuori (pull me out from inside), perché ci sentiamo pronti a essere di nuovo felici, ma non sappiamo come raggiungere questa meta.

Mi ha fatto pensare a Eagle in questo capitolo ❤️

"I am colorblind
Coffee black and egg white
Pull me out from inside
I am ready, I am ready, I am ready
I am taffy stuck and tongue tied
Stutter shook and uptight
Pull me out from inside
I am ready, I am ready, I am ready
I am fine

I am covered in skin
No one gets to come in
Pull me out from inside
I am folded and unfolded and unfolding
I am colorblind
Coffee black and egg white
Pull me out from inside
I am ready, I am ready, I am ready
I am fine".

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top