Capitolo 3 "Lago tinto di rosso"
"State tranquilli, tra letterati e poeti non c'è da temere. Ho due notizie per voi, una buona e una cattiva. La cattiva è che la Banca di Spagna è sotto attacco, e quella buona... be, è che gli assalitori siamo noi ragazzi!" concluse Palermo con un sorriso, svelando la tuta rossa e la maschera di Dalì; ciò causò un panico generale tra gli ostaggi della banca.
Entrare non era stato difficile: dopo essere arrivati ed essersi presentati alle vere guardie di sicurezza, erano semplicemente entrati e chiusi dentro; di conseguenza tutte le persone all'interno erano diventati ostaggi.
Tokyo e Nairobi erano andate a recuperare il Governatore, ovvero l'ostaggio principale della rapina; solo lui poteva aprire la camera blindata contenente l'oro. Firenze, Denver, Bogotà e Palermo invece avevano il compito di occuparsi degli ostaggi.
"Bene signori, ora resterete..." iniziò Palermo, quando Stoccolma irruppe nella stanza, "Palermo!... abbiamo un problema", a quelle parole, tutti i membri della banda si guardarono, "Denver rimani qui con gli ostaggi, io e Palermo veniamo a vedere che succede" era stata Firenze a parlare, e mentre seguivano Stoccolma, la ragazza poté sentire lo sguardo colmo di rancore proveniente da Palermo; aveva osato surclassarlo davanti agli ostaggi e al resto dei rapinatori... Adesso si, che l'Argentino era parecchio sul nervoso.
Arrivati in un luogo appartato, "Il Professore ha visto dalle telecamere di sicurezza, che Nairobi e Tokyo non hanno il Governatore, e che si stanno dirigendo verso l'entrata della banca... La squadra di sicurezza sta prendendo strade secondarie... Le accerchieranno, sarà una carneficina, loro sono in sei!", urlò quasi Stoccolma, in preda al panico.
Ci pensò Palermo a tirare fuori una soluzione, "Stoccolma tu torna dagli ostaggi, Firenze tu vieni con me". Dopo che la donna se ne fu andata, i due italiani si avviarono verso il luogo da lei indicato; nessuno dei due parlò, ognuno immerso nei propri pensieri. Quante volte avevano percorsero insieme i corridoi del monastero, uno affianco all'altro... e quante passeggiate insieme in giardino, avevano riempito i loro pomeriggi liberi.
*Alcuni ricordi non si dimenticano nemmeno volendo...*, pensò Firenze.
Erano arrivati al secondo piano della banca: da delle balconate in ferro battuto, si poteva intravedere il piano inferiore. Tokyo e Nairobi si trovano al centro del corridoio, con le pistole puntate in attesa delle guardie. Firenze tirò leggermente Palermo per una manica, il quale si girò con aria a dir poco esasperata, "Che vuoi?!?", la ragazza lo fissò intensamente negli occhi; quei due laghi d'acqua azzurra in cui si era spesso specchiata. Con tono serio, disse "Sta attento" "Stupida ragazzina sentimentale, reprimi gli ormoni e vai a fare il tuo lavoro". Seppur titubante, la ragazza non obbiettò e andò alla balconata opposta a quella di Palermo.
Al segnale di quest'ultimo, i due uscirono dai loro nascondigli, puntando le pistole contro la squadra di sicurezza, che in tanto aveva accerchiato Nairobi e Tokyo.
"Giù le armi, topi di fogna! Signori, mi presento, mi chiamo Palermo e sono a capo di questa rapina, perciò puntate tutti su di me, sono il pezzo più importante" mentre l'Argentino continuava il monologo, esprimendo tutta la sua teatralità, Firenze si perse un attimo nei propri pensieri: che nessuno provasse a sparargli a quell'idiota, solo lei poteva.
Il tempo sembrò fermarsi in quel lasso di tempo... Addirittura si potevano sentire i battiti dei vari presenti.
Gandia, il capo della squadra di sicurezza, se ne stava lì, fermo, immobile, come se pensasse davvero all'eventualità di arrendersi.
Ma poi tutto accadde in un secondo: Gandia si girò e sparò verso Palermo; Tokyo, Nairobi e Firenze sparano e, grazie anche all'arrivo di Helsinki, i rapinatori bloccarono tutta la sicurezza; le tre ragazze lasciarono il Serbo con i nuovi ostaggi, e corsero a tutta velocità alla postazione di Palermo. Tutte avevano visto Gandia sparare verso l'Argentino, e che dopo lui non si era più affacciato.
Mentre correvano, un urlo d'aiuto da parte di Stoccolma fece gelare il sangue nelle vene a Firenze, che per un attimo temé il peggio. Infatti, per un istante fu felice quando vide che Palermo si muoveva, ma appunto un istante, perché "Ha gli occhi pieni di schegge di vetro!!!" gridò Stoccolma.
Mentre le ragazze cercavano una barella per portare via Palermo, Firenze si avvicinò a lui, che intanto aveva iniziato a contorcersi per il dolore, trattenendo dei lamenti.
La ragazza non sapeva bene come aiutarlo, non avendo niente a disposizione in quel momento... Così segui l'istinto e fece la cosa che le parve più giusta: appoggiò la propria mano su quella del compagno, sussurrandogli piano, "Calmati, cerca di rilassarti e di stare fermo, vedrai che andrà tutto bene... ", le parole sembraromo uscire da sole, e furono così basse che Firenze ebbe anche il dubbio che l'amico non le avesse sentite.
Ma Palermo sentí, e così cercò di fare come gli era stato detto; smise un poco di agitarsi e fece una cosa che, a dire il vero, sorprese molto Firenze: gli strinse la mano.
La ragazza non sapeva se fosse una reazione istintiva al dolore, o semplice paura, o un'altra motivazione ancora... Sapeva solo che in quel momento la sua mano era ben salda in quella del compagno, quasi fosse stata un'ancora di salvezza.
Come un fulmine a ciel sereno, "Apri un attimo gli occhi, solo un attimo" gli disse lei; Palermo aspettò qualche secondo, li aprì per un istante e poi li richiuse, ma a Firenze fu sufficiente. Avrebbe saputo cosa dire alle ragazze quando sarebbero tornate.
Mentre cercava di calmare Palermo come possibile, Firenze pensava ai suoi occhi: quei meravigliosi laghi cristallini, più azzurri del cielo, che ora invece erano tinti di rosso scarlatto. La ragazza ripensò anche alla prima volta che li aveva osservati bene...
Firenze, 5 mesi prima
Era notte fonda al monastero, il silenzio era rotto solo dai suoni dei grilli, che in quella calda notte d'estate, avevano deciso di divertirsi un po'.
Firenze era sdraiata a letto e non riusciva a dormire: gli era stata data una stanza singola in quanto, non era ancora in confidenza con nessuno, ma in fondo la cosa non gli dispiaceva. Aveva un letto matrimoniale solo per sé, un bagno privato, con vasca e tutto, un armadio abbastanza grande e una scrivania in legno scuro. Era più bella di tante stanze che aveva avuto in passato.
A quanto sapeva, gli unici altri che avevano la stanza singola erano Tokyo e Palermo, ma Tokyo non voleva nessuno all'infuori di Rìo, *E mi rompo una gamba, piuttosto che andare a dormire con Palermo*, pensò la ragazza girandosi di lato.
Palermo era un pensiero che la irritava parecchio: da quando era arrivata nella banda, l'unico scopo dell'uomo era renderle la vita un vero inferno; non che con gli altri fosse un angelo, ma con lei in modo particolare. Qualsiasi cosa lei dicesse o facesse, l'Argentino aveva sempre da commentare.
Mentre malediceva in ogni lingua conosciuta, il suo compagno di banda,Firenze sentì delle grida provenire dal corridoio. Inizialmente cercò solo di ignorarle, in fondo chi si fa i fatti suoi campa cent'anni, ma una voce inconfondibile gridò: "Che cazzo fate?!? Sono le tre di notte... andate a lavare i piatti!!!". Come aveva già intuito, non appena uscì dalla stanza, la ragazza si ritrovò davanti un Palermo in vestaglia, che sbraitava contro Nairobi, mentre il resto della banda cercava invano di calmare gli animi.
Stava per intervenire anche lei, quando il Professore batté un paio di volte le mani, facendo zittire all'istante tutti: "Sapete che ora è?" chiese con la voce che era poco più di sussurro, "Sono le tre notte, e all'alba ci dobbiamo esercitare con le lance termiche a tremilacinquecento gradi centigradi, io credo... che dovreste arrivarci riposati" concluse il Professore aspettandosi una qualche reazione dalla banda. Ma tutti si limitarono a fissarlo, così esasperato disse, sempre però con tono fermo, "A dormire"; a quel punto ognuno tornò nella sua stanza, a parte Palermo, che mentre stava superando la stanza di Firenze, venne trattenuto da quest'ultima.
La ragazza prima aspettò che tutti se ne fossero andati dal corridoio, poi si rivolse all'Argentino, "Palermo ti devo dire una cosa in confidenza, per favore avvicinati" gli disse con un sorriso accennato; Palermo, che dal canto suo era molto sorpreso, si aggiustò la vestaglia in segno di disagio, e si avvicinò "Dimmi...". La ragazza si avvicinò lentamente, e quando si trovò a pochi centimetri dal suo viso, lo guardò negli occhi e gli disse, "Se ti rivolgi ancora così a Nairobi o a qualsiasi altra donna qui dentro, ti metto un lassativo nel caffè, il giorno in cui devo spiegare il piano" detto questo, gli sbatté letteralmente la porta in faccia.
Palermo rimase in un primo momento sgomento, poi stranito ritornò in camera sua. Quella sera l'Argentino non riuscì a dormire, troppi pensieri occupavano la sua mente: era la prima volta che stava così vicino ad una donna, complice anche il fatto che a lui piacessero gli uomini.
Firenze invece, dal canto suo, si rimise a letto, ma non riusciva a prendere sonno, perché un paio di occhi azzurri, non volevano proprio sparirle dalla mente.
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