osiride

Ho sfiorato il cielo con un dito
prima di ritrovarti, gelido,
inciso in oro su una lapide.
Mi chiudo nell'armadio
tranne una striscia di luce.

Hai portato via un pezzo di me,
scavando una voragine cupa.
Ti chiamo nelle notti insonni,
mentre le mie iridi si adombrano.
Un'esistenza di ferite sanguinanti,
così nel candore dei cieli ti rivedo,
indecisa tra l'essere e il non essere.

Ho paura di lasciarmi andare.
Sento i tuoi vagiti strozzati
immersi in un bianco accecante.
Non è il paradiso se tu piangi,
non lo sono le lenzuola rossastre,
non lo è il tuo cuore privo di vita.

Sussultano ancora terrorizzate
le finestre durante la tempesta,
grandine gelata e terra rossa.
Mi sento sola senza di te,
perdo il respiro al buio
e non riesco a non desiderarti.

Vorrei poterti abbracciare,
veder scorrazzare le tue gambette.
Vorrei raccontarti fiabe,
ma non c'è che solitudine in me.
Unghie invisibili mi dilaniano
le viscere, mentre sto zitta.

Non posso che dedicarti dei versi.
Maledetti errori, maledetto tu:
sei entrato nella mia mente,
hai affondato le radici nel mio petto,
ma ti sei arreso e sei stato falciato.

Ora ho solo un nodo in gola,
come il nodo del cappio mortale.
Non è semplice digerire tutto,
non accetto la tua assenza,
non accetto la paura di stare sola.

Ormai ho paura di addormentarmi:
in un mare convulso di lacrime,
corpicino avvolto in candido lino,
naufrago a bordo di una zattera,
mi lasci nella dannazione eterna
e raggiungi la terra di Osiride.

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