Capitolo 4

Quella sera era stata molto diversa dal solito.

Tornati alla locanda, mi ero rifugiata nella mia camera, assicurandomi di chiudere la porta con almeno 2 giri di chiave.

Poi mi ero seduta sul pavimento, di fronte alla finestra, incantandomi alla vista del bellissimo panorama.

Per la prima volta mi ero sentita libera, libera da ogni pensiero, libera da ogni preoccupazione.

E adesso non riesco più a fare a meno di chiedermi quale sia il motivo.

Erano ormai ore che continuavo a rigirarmi la ghirlanda colorata tra le mani, perdendomi ogni volta in nuove sfumature. Era così bella... tutto qui era così bello.

Tutto emanava calore, una gioia, uno spirito di famiglia che non mi era mai appartenuto, che mi faceva inspiegabilmente innamorare sempre di più di questo villaggio, che mi faceva venire voglia di correre e saltare libera tra la gente.

Non ho mai compreso a pieno il significato di casa.

Molti dicono sia il luogo dove nasci, altri che sia ovunque si trovino le persone a cui vuoi bene, altri ancora che sia un posto che ti rende felice.

Fino ad ora avevo sempre pensato al mio villaggio come la mia casa, perché era l'unico luogo che mi faceva sentire al sicuro, l'unico dove nessuno avrebbe potuto farmi male.

Eppure... forse avevo sempre sbagliato a chiamarlo "casa"...
Solo ora inizio a rendermi conto di come in realtà non abbia mai conosciuto un posto che potessi realmente definire la mia dimora.

Di come in realtà mi fossi solo adattata per non sentirmi troppo fuori posto, e di come mi fossi comunque sentita sempre "di troppo".

Ripensandoci, il paese dove ero cresciuta poteva essere paragonato ad una gabbia, più che ad un rifugio accogliente.

Era semplicemente una gabbia, una gabbia confortevole, tranquilla, sicura... ma una gabbia rimane pur sempre una prigione, anche se le sbarre sono laccate d'oro.

Ed io ero un uccellino, un uccellino rinchiuso dietro delle sbarre che lo proteggevano, certo, ma che allo stesso tempo lo separavano dal mondo esterno, dalla libertà, dalla vita.

Non avevo mai vissuto.

Quella che avevo definito "libertà" era sempre stata parziale.

Come un uccellino in trappola potevo andare da una parte all'altra della gabbia, fingere di poter decidere da che parte girarmi, eppure non ero mai realmente libera di spiccare il volo.

Lascio che il pollice accarezzi delicato un petalo, che appare vellutato al mio tatto.

Se non avevo ancora trovato il mio luogo sicuro... dove potevo cercarlo..? Come avrei fatto a capire di averlo trovato?

Questa consapevolezza mi fa stringere il cuore, sarei stata realmente capace di abbandonare la mia vecchia vita per dispiegare finalmente le mie ali e prendere il volo, al momento giusto?

La notte trascorre lenta, sotto un cielo nero coperto dalle stelle, la mia mente vaga senza meta nelle parti nascoste del mio cuore, nelle parti in cui nessuno prima d'ora aveva mai messo piede.

Quando le luci rosate dell'alba fanno capolino tra le tenebre, uno sbadiglio abbandona il mio corpo, colto da un un'improvvisa sonnolenza.

Mi obbligo ad alzarmi dalle assi di legno che erano state il mio letto per quella notte e mi trascino in bagno per darmi una sciacquata.

Ho un aspetto terribile.

Due occhiaie nere-bluastre contornano i miei occhi stanchi, mentre un segno rosso risalta sull'insolito pallore del mio viso.

Un capogiro mi coglie impreparata, perdo l'equilibrio e mi accascio sul lavello, sbattendo il braccio contro lo spigolo in pietra.

Mi sfugge un gemito che camuffo subito in un colpo di tosse quando sento qualcuno bussare alla mia porta.

Raggiungo l'altra parte della stanza a fatica, strisciando contro la parete, per far entrare il ragazzo già pronto per il nuovo giorno.

-Hey Amber, buongior- il suo sguardo si posa sul punto del mio braccio dove ho colpito il lavandino -Amber... sei ferita!-

Lo guardo, confusa, per poi accorgermi che, dove credevo ci fosse un livido, c'è un taglio ricoperto di sangue scarlatto.

-Tranquillo è solo un gra-

Erin mi afferra per il polso, obbligandomi a seguirlo in bagno.

Qui mi fa segno di sedermi e si precipita a recuperare alcune garze e uno straccio imbevuto di vino.

-Questo brucerà- mi avvisa.
Scuoto la testa, incurante -è solo un graffio, davvero. Non c'è bisogno di questo- indico con un cenno il pezzo di stoffa nella sua mano.

-Stai ferma e lascia fare a me- mi rimprovera, stringendo piano la presa per evitare che mi muova.

Sbuffo, impotente, al tocco attento del ragazzo che mi sta medicando con cura.

Ripulita la ferita e assicurata una benda intorno al braccio, finalmente si accomoda accanto a me per guardarmi meglio negli occhi.

-Come te la sei fatta?- il suo sguardo brucia più del taglio stesso, mi costringo a distogliere la mia attenzione da quelle iridi gelide, concentrandomi sul lembo della maglia che indosso.

-Un giramento di testa- mi affretto a spiegare -ho perso l'equilibrio e, cadendo, sono andata a sbattere contro lo spigolo. Non pensavo di essermi fatta così male-

Scuote la testa -Devi fare attenzione, Amber-

I nostri sguardi si incrociano involontariamente e riesco inspiegabilmente a leggere disappunto e preoccupazione nei suoi occhi.

Perché si preoccupa così tanto per me?

"Perché se ti fai male lo rallenti nel suo viaggio"

Una vocina irrompe con prepotenza nei miei pensieri, fuggendo dall'angolino in cui l'avevo segregata nella speranza di non doverla affrontare più.

Rabbrividisco, forse ha ragione... per quale altro motivo altrimenti? Devo stare attenta, non voglio che si penta di avermi portata con sé nella sua avventura. Non voglio rallentarlo o essere un peso per lui.

-Farò attenzione- rispondo con voce flebile, stando attenta a non guardarlo.

"Non meriti di avere accanto qualcuno come lui"

Di nuovo la voce, mi sforzo di ignorarla, cerco in ogni modo di rinchiuderla, invano.

Prendo a giocherellare con una ciocca di capelli, sempre più nervosa.

Sento il panico che sale insieme al goppo che mi si sta formando in gola e mi impedisce di respirare come si deve.

"Gli fai pena"

Il colpo di grazia, la goccia che fa traboccare il vaso.

Goccia come quella che sta spingendo per uscire dai miei occhi, come quella che sta scorrendo sulla mia guancia ancor prima che me ne renda conto e riesca a bloccarla.

Abbasso la testa, nel disperato tentativo di nasconderla, nel disperato tentativo di non mostrargli ancora una volta quanto in realtà sia debole.

Di non dargli un'altra ragione per pentirsi della sua scelta.

"Sempre che non se ne sia già pentito"

Le gambe reagiscono in automatico, non ho nemmeno il tempo di realizzare cosa sta succedendo, che mi ritrovo per le scale.

Mi fiondo al piano di sotto ed esco il più in fretta possibile dalla locanda, che tutto ad un tratto mi sta stretta.

Passo dopo passo mi allontano sempre di più, la mia mente non riesce a controllare il mio corpo.

Non mi resta altro che aspettare passivamente che questa fuga sfrenata si interrompa.

Sento i muscoli bruciare per la fatica, saranno ormai più di 10 minuti che corro senza permettermi di fermarmi a riprendere fiato. I polmoni mi fanno male e supplicano per un po' di ossigeno, mentre un fastidioso pulsare in corrispondenza della ferita mi suggerisce che questo sforzo mi costerà non pochi problemi nel rimarginare il taglio sul braccio.

Ad un tratto le ginocchia cedono e, purtroppo o per fortuna, rotolo senza forze nell'erba bassa.

Mi concedo una rapida occhiata intorno.

Di fronte a me il niente assoluto, solo una distesa infinita di verde puntigliato da piccoli fiori bianchi.

Il cielo sembra ridere della mia stupidità quando mi prendo la testa tra le mani, realizzando finalmente in che situazione mi sia cacciata.

Sono appena scappata via in un paese straniero, senza sapere dove andare e come tornare indietro. Mi sono ufficialmente persa in una terra sconosciuta. Sono un genio.

Adesso come faccio a trovare la locanda? Nel panico non avevo realmente prestato attenzione a dove stavo andando...

"Sei così stupida... farebbe bene ad abbandonarti qui, nessuno vuole portarsi dietro qualcuno così"

Una risata amara scappa dalle mie labbra, gli occhi lucidi.

Una lacrima si fa strada sulla guancia, seguita subito da un'altra e un'altra ancora.
Così fino a quando la maglia che indosso non si riempie di macchie scure.

Sento il cuore che si stringe, come se qualcuno lo stesse legando e prendendo a pugni, e mi risulta difficile anche solo respirare o rimanere seduta.

Mi raggomitolo avvicinandomi le ginocchia al petto e nascondendoci la faccia, nel vano tentativo di calmare i singhiozzi che mi scuotono senza sosta.

-Amber eccoti finalmente! Ti ho cercata ovunq... AMBER..?- riesco a percepire la sua presenza alle mie spalle, ma non ho il coraggio di alzare la testa verso di lui, così rimango immobile, rannicchiata su me stessa, scossa dalla tosse per la mancanza d'aria.

-Hey Amber, stai calma, respira con me-
Il ragazzo si inginocchia di fronte a me, una mano sulla spalla e l'altra che mi spinge ad alzare il capo verso di lui e guardarlo.

Senza aggiungere altro incomincia a prendere dei respiri profondi per poi rilasciare lentamente l'aria raccolta, facendomi segno di seguire il suo esempio.

I nostri respiri si sincronizzano e, poco per volta, riesco a smettere di annaspare, tranquillizzandomi.

-grazie- sussurro, stringendomi le braccia intorno alle gambe.

-E di che- sorride incerto -ti va di spiegarmi cosa è successo? -

Sbianco, boccheggiando.

La verità è che non so bene neanch'io cosa sia successo, è successo e basta. In più, nonostante mi sia apparentemente calmata, dentro di me si sta ancora scatenando l'inferno.

La mia mente continua a ripetermi che sono un peso e che mi tiene con sé per pietà, e questo non posso sicuramente confessarglielo.

-se non vuoi dirmelo fa niente, l'importante è che ti senta meglio ora- allontana la mano dalla mia spalla -se mai avessi voglia di raccontarmelo, io ci sono-

-grazie- soffio con lo sguardo fisso su un filo d'erba ai miei piedi.

-E smettila di ringraziarmi, non serve- sbuffa, portandomi a sussurrare qualcosa come "scusa".

Mi zittisco di fronte alla sua espressione estenuata e all'occhiataccia che mi riserva.

"Visto, gli dai solo fastidio"

Non di nuovo, per favore...

Il battito accelera all'istante e così anche il respiro diventa irregolare.

"Sei debole, sta solo cercando un modo per liberarsi di te"

Inizio ad iperventilare.

"Con i tuoi stupidi attacchi di panico lo stai solo rallentando, non ti meriti qualcuno come lui"

Troppo tardi.

Un singhiozzo, seguito subito da molti altri, in pochi secondi perdo il conto.
Così come perdo il conto delle lacrime che scorrono copiose sul mio volto già gonfio di pianto.

Quasi riesco a vedere il ragazzo alzare gli occhi al cielo, nonostante mi sia già preoccupata di nascondere nuovamente il viso.

Lo sento annullare la distanza tra i nostri corpi e in un batter d'occhio un paio di braccia forti mi circondano, tirandomi verso il suo petto.

Stringe la presa, limitando ogni mio movimento, poi mi obbliga delicatamente a poggiarmi a lui.

In questa posizione riesco ad ascoltare il suo battito cardiaco, regolare e tranquillo.

Il mio petto di alza e si abbassa a ritmo del suo, mentre incastra i suoi occhi chiari nei miei ambrati.
La mia testa è come chiusa in una bolla che mi fa sentire tutti i suoni lontani, ovattati.

Erin mi sussurra qualcosa che non capisco, accarezzandomi le mani tremanti, come fossero di cristallo.

I brividi percorrono tutto il mio corpo dalla testa ai piedi non passano sicuramente inosservati sotto lo sguardo attento del ragazzo, che senza fiatare mi stringe in un abbraccio.

Potrei spingerlo via, dirgli di stare lontano, dirgli che non merito di essere consolata perché è colpa mia se penso certe cose. Eppure rimango qui, sprofondando ancora di più in quella stretta così delicata da farmi sentire quasi al sicuro, beandomi del tepore che emana il suo corpo contro il mio.

Poco per volta il panico svanisce, o meglio, la stanchezza prende il sopravvento e i miei occhi non riescono più a produrre lacrime.

Qualche tremore ancora mi scuote, ma so che il peggio è passato.

Fino a quando non è sicuro che stia meglio, Erin continua ad accarezzarmi piano le mani, stando attento a non compiere movimenti bruschi che potrebbero far scattare un'altra crisi.

-Amber...- mi guarda apprensivo.

-S...sto meglio, davvero- taglio corto, sapendo dove vuole andare a parare.

-Sei sicura..? Ti prego parlami, è brutto vederti in queste condizioni- la sua voce è bassa, sembra quasi supplicarmi -Dimmi come posso aiutarti... dimmi almeno se ho fatto qualcosa di sbagliato-

-Non hai fatto nulla tu- inspiro -è tutta colpa mia... non so controllarlo- espiro.

-Sfogati con me, parlare ti può solo fare bene...- nei suoi occhi vedo compassione, tutto intorno a me crolla.

"Gli fai pena"

No no no ti prego...

"Gli fai pena"

Basta...

"Gli fai pena"

-No ti prego smettila- circondo il capo con le braccia, coprendomi le orecchie e chiudendo gli occhi.

-Ti prego basta...- mi colpisco la testa, sperando così di far tacere la vocina che tanto mi manda in confusione.

"Gli fai pena"

-Ferma Amber, ti stai facendo male- il tono del ragazzo cambia, diventando più duro, mentre incastra le sue dita nelle mie per fermare la mia mano.

-falla smettere ti prego- singhiozzo in preda al panico.

-Amber guardami, cosa succede??- mi solleva il mento quanto basta per far incontrare i nostri occhi.

-non sta zitta...continua a parlare e a dire cose... non riesco a calmarmi, non riesco a farla stare zitta... non ries-

-Shh... guardami, non ascoltarla, ascolta me.- accenna un sorriso preoccupato che non fa altro che farmi agitare ancora di più di quanto già lo sia.

-non devi ascoltare quello che dice, se ti fa stare male. Lasciala parlare, concentrati su quello che hai intorno. Guarda lì, la vedi quella nuvola bianca?- alza lo sguardo al cielo azzurro, invitandomi a fare lo stesso -ora concentrati su quella nuvola, non pensare ad altro, solo alla nuvola-

-non la smette... non ci riesco- sono mortificata.

-Va bene, allora dimmi, cosa ti dice?- le sue iridi chiare sembrano scavare nella mia anima.

-Io...non posso...- come faccio a spiegarglielo?
Come faccio a dirgli che non mi sento alla sua altezza?
Che ho paura che mi abbandoni? Come posso confessare tutto questo a lui, che è la causa delle mie paranoie?
La sua espressione è indecifrabile.

-Perchè sei ancora qui?- mi arrendo alle mie paure, decidendo di chiedergli direttamente la risposta.

-Dove altro dovrei essere?- domanda confuso.

-Stai perdendo il tuo tempo perché sono scappata. Perché sei ancora qui?-

Ancora sembra non capire.

-Perchè non mi hai lasciata qui? Ti rallento soltanto- sbotto, lo sguardo scatta a terra.

Mi guarda sbigottito -non ti lascerei da sola! È questo quello che pensi!? Che io possa abbandonarti da un momento all'altro!?-

-N...non gridare ti prego, scusami- sussurro spaventata.

-Amber... scusami tu, non volevo alzare la voce... è solo che, veramente hai paura che ti possa abbandonare?- il suo tono si addolcisce all'istante.

Annuisco debolmente.

-se non avessi voluto che venissi con me non te l'avrei nemmeno chiesto... non potrei mai andarmene senza di te. Non importa se siamo più lenti, non importa se ci mettiamo più tempo... Siamo una squadra, aspetterei anche mesi se tu dovessi averne bisogno.-

In questo momento capisco di essere stata veramente stupida.

-Scusami... non volevo scappare prima...- sollevo lo sguardo verso i suoi occhi, già fissi su di me.

-è successo... l'importante è che ora ti senta bene e che la smetti di preoccuparti per questa cosa, perché non ti abbandonerei mai.- mi porge una mano per aiutarmi a rialzarmi, che afferro in un attimo -Ti va se andiamo a mangiare qualcosa..?-

Mi mordo il labbro inferiore come faccio quando sono nervosa, un brutto vizio che ho fin da quando ho memoria, e faccio di sì con la testa.

Sorride, tirandomi a sé.

-Prima facciamo a gara a chi arriva prima alla fine del campo?- ride, facendo ridere anche me.

-Perchè no, al mio tre-

-1...-

-2...-

-...3!-

Scattiamo in avanti nello stesso momento, partendo a tutta velocità.

Il vento si scontra con il mio viso, infilandosi tra i capelli sciolti, è una sensazione stupenda... mi sento quasi libera, come se stessi volando.

Corro più forte che posso, i polmoni bruciano ma l'adrenalina in circolo è troppa e non mi fa sentire il dolore.
Mi da la carica necessaria per compiere un ultimo sforzo e superare il ragazzo, per poi lasciarmi cadere al suolo al traguardo.

Erin si accascia accanto a me, ho vinto per pochi attimi di differenza, il sorriso sul mio volto descrive a pieno la soddisfazione che provo.

-La solita fortuna del principiante- scherza lui, dandomi un colpetto alla spalla, facendomi ridere.

-invidioso- gli faccio una linguaccia, stendendomi nell'erba per riprendere fiato.

Il suono della sua risata melodiosa riempie il silenzio intorno a noi, scaldandomi il cuore e facendomi sentire, anche se per poco, meno sola.

💫Angolo autrice💫
Ho aspettato praticamente 2 settimane prima di pubblicare questo capitolo perché pensavo di doverlo continuare.💀💀💀

Rileggendolo, però, mi sono resa conto che è già bello pesante così, quindi meglio non dilungarsi rischiando di far perdere il focus. 💫

Detto questo, veniamo finalmente a conoscenza dei demoni che tormentano la nostra cara protagonista e la spingono a comportarsi in modi a cui fino a qualche capitolo fa non avremmo nemmeno potuto dare un perché.

Erin ci prova a rassicurarla, ma  basta veramente così poco per zittire le paranoie?

Spero che questo capitolo, come anche gli altri, vi sia piaciuto, e spero anche che non vi sentiate troppo vicini ad Amber. In quel caso vi sono vicina, non siete soli. <3

Se volete fatemi sapere cosa ne pensate, ve ne sarei molto grata ❤
Vi voglio bene, la vostra
💫Rob💫

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