Capitolo 10

-Amber ci sei? Sei lì dentro da un'ora-

-Si un attimo!-

Mi appoggio allo stipite della porta che separa il bagno dalla camera nella quale mi stanno aspettando, ormai da troppo tempo, Erin e Charlotte.

La verità è che non voglio uscire, non voglio passare di nuovo la notte a pochissima distanza dal rosso, non voglio.

Quindi mi sono chiusa nello stanzino poco illuminato con la scusa di dovermi fare un bagno rinfrescante.

Tampono i capelli grondanti d'acqua con un vecchio straccio pulito trovato sul fondo della valigia, per poi legarli in una treccia disordinata, mi faccio coraggio ed esco.

Non posso nascondermi per sempre, purtroppo.

Mi avvicino alla bambina che sta litigando con le ciocche arruffate che le cadono sul viso, per aiutarla a districarle con l'ausilio di una spazzola in legno.

Quando, finalmente, la frangia scura lascia il posto ad un paio di occhietti vispi color caffè, capisco di aver esaurito ogni scusa possibile.

Non so più cosa inventarmi per guadagnare tempo.

Sistemo una coperta sul corpicino raggomitolato tra il tessuto vermiglio, lasciandole un rapido bacio sulla fronte, e mi giro, pronta ad affrontare il ragazzo che mi guarda con il suo solito sguardo impertinente.

Erin siede da un lato del materasso, la testa poggiata al freddo schienale in ferro e le braccia incrociate dietro di essa.

Ha il suo quaderno abbandonato sulle gambe mentre una matita giace sola sul lenzuolo chiaro.

Do una veloce occhiata in giro, nella speranza di trovare un qualsiasi motivo capace di giustificare quella fastidiosa sensazione sul petto che mi fa mancare il fiato, ma niente sembra volermela fornire.

Deve esserci qualcuno più in alto che si diverte a vedermi in difficoltà, altrimenti non me lo spiego.

Prendo una boccata d'aria per tranquillizzarmi. Devo smetterla di comportarmi così, sembro una pazza.

Ma cosa devo fare se tutto quello che vorrei ora è scappare e nascondermi e non so nemmeno il perché?

Mi poggio sul letto, le molle ririmbalzano e cigolano sotto al mio peso, non ci faccio caso, vorrei sprofondare.

Gli do le spalle, infilando la testa sotto al cuscino, facendo finta di non sentire la presenza del ragazzo al mio fianco.

Lo ignoro, lo ignoro anche quando lo sento ridacchiare e poi scrivere qualcosa, con la mina che gratta il foglio dando vita ad una serie di segni ordinati.

Lo ignoro anche quando spegne la candela sussurrando un "buonanotte", fingo di dormire.

O almeno questo è quello che avrei voluto fare, il mio piano fin dall'inizio.

La mia risposta, il mio "anche a te" sussurrato tra me e me con il viso coperto dalla federa profumata, non era previsto.

Come non era previsto non riuscissi a chiudere occhio per via di una vocina insistente nella mia testa.

"Chissà che altro scrive in quel quaderno..."

La curiosità, una delle peggiori nemiche dell'essere umano. Così utile ma così distruttiva in base alle situazioni.

Oltre a quella poesia che mi aveva letto prima che il mondo mi cadesse addosso, non avevo avuto più modo di sentire altro, solo qualche verso provato a mezza voce credendo nessuno lo stesse ascoltando.

Non sono fatti tuoi, Amber, mi ripeto.

"Eppure vorresti sapere di più"

Non sono fatti miei, non devo mettere il naso in cose che non mi riguardano.

Ma si sa, la curiosità uccide proprio perché è imprevedibile, incontrollabile.

E si sa anche che il rischio è una di quelle altre cose di cui l'essere umano non può proprio fare a meno, non ci riesce mai.

"Lui sta dormendo... non lo scoprirà mai"

Ma se lo dovesse venire a sapere si arrabbierebbe tantissimo...

"Solo una sbirciatina"

Al diavolo tutte le buone intenzioni!

È quando la curiosità diventa troppo forte che solitamente succede il peggio, eppure stavolta l'universo sembra essere dalla mia parte e non contro di me.

Forse vuole saperne pure lui qualcosa in più, o forse aspetta solo il momento giusto per godersi il peggio.

Prima un piede e poi l'altro, il letto molleggia rumorosamente, stringo i denti e muovo un passo verso il comodino del riccio addormentato.

Ad ogni movimento sussulto preoccupata, sperando non si svegli all'improvviso cogliendomi con le mani nel sacco.

Prima di afferrare il taccuino mi assicuro nuovamente che stia veramente dormendo, il suo respiro regolare sembra confermare la mia ipotesi.

Allungo una mano tremante verso la copertina in pelle, tirandola a me e stringendomela forte al petto.

Mi trascino verso la finestra da dove sbuca un raggio di luna, non c'è molta luce ma è sufficiente per permettermi di leggere qualcosa.

Lascio scorrere le dita sulla carta graffiata, girando con estrema delicatezza le pagine ingiallite dal tempo.

Forse dovrei fermarmi, non finirebbe bene per nessuno se dovesse svegliarsi...

Ma è tutto inutile, il taccuino sembra chiamare il mio nome, ipnotizzandomi come un incantatore con i suoi serpenti.

So di star facendo qualcosa di sbagliato, il formicolio che percorre i miei arti ne è la prova.

Tutto sembra dirmi di lasciar perdere, di non correre questo rischio insensato.

Ma niente, ancora una volta l'istinto ha la meglio sulla ragione e in men che non si dica la mia ricerca si interrompe in corrispondenza di un foglietto che fa capolino tra le parole.

È tutto spiegazzato e non si riesce a capire cosa ci sia scarabocchiato sopra, mi sporgo verso la fioca luce della notte che rivela un tratto che conosco perfettamente...

Il mio.

Si tratta di uno schizzo buttato lì per esercitarmi, un bozzetto che avevo abbandonato qualche giorno prima in quanto non mi soddisfasse a pieno.

Un rumore alle mie spalle mi fa rabbrividire.

Chiudo violentemente il quadernino, la cui copertina scricchiola pericolosamente come a rimproverarmi, e sbatto gli occhi, terrorizzata all'idea di chi potrei trovarmi dietro.

-Amber che ci fai sveglia..?- impreco mentalmente, appuntandomi nella testa di non permettere mai più alla mia impulsività di prendere il controllo.

Cerco di nascondere il libro, ringraziando l'oscurità che ci avvolge, prima che possa notarlo.

-Avevo sentito un rumore- mento sperando di risultare più credibile possibile nonostante la mia voce tremante -Ora torno a dormire...-

Sebbene il buio mi impedisca di scorgere il volto del ragazzo, riesco comunque a percepire su di me il suo sguardo assonnato.

Lo sento allontanarsi piano, stando attento a non colpire niente.

Solo quando il suo respiro si regolarizza, mi permetto di tirare un sospiro di sollievo, rimettendo al suo posto il libricino e sistemandomi sul mio lato del letto.

Mi raggomitolo su un fianco, mantenendomi il più distante possibile da lui, e incomincio a fissare il vuoto fino a quando non cado addormentata.

Una luce abbagliante mi costringe ad aprire gli occhi.

Intorno a me una candida distesa infinita, vuota, troppo silenziosa per poter significare qualcosa di buono.

Mi tiro su facendomi leva sul braccio sano, il cui compagno stranamente non fa male, e alzo la testa verso il cielo nero come la grafite che tanto amo grattare sulla carta.

È tutto troppo tranquillo qui.
Una voce, forse un sussurro portato dal vento, mi solletica le orecchie facendomi accapponare la pelle.
Sembra quasi chiamarmi.

Poi un bagliore, il paesaggio cambia.

Mi trovo al centro di un campo, gli alberi che lo costeggiano a dimostrazione dell'impenetrabilità di quel posto.

Poi un urlo.

E subito lo stridore dell'argento, il viscido rumore della lama che penetra un corpo vivo, guardandolo raggiungere, inerme, il terriccio.

Urla, tante urla.

Gente che piange, ruggiti, grida di battaglia e preghiere.

Delle lacrime salate rigano le guance di un uomo che, in ginocchio, supplica pietà per le sue bambine che lo aspettano a casa.

Il suo carnefice non conosce compassione, un lampo d'ira nelle sue iridi scure, poi un sospiro spezzato e rivoli di sangue che imbrattano le foglie di un rosso scarlatto che segnerà per sempre la storia un'intera famiglia.

Cerco di muovermi, tanto terrorizzata quanto desiderosa di prestare soccorso al corpo martoriato per cui non sono più sicura di poter fare qualcosa.

Dei passi, sempre più vicini.

Una mano attraversa il mio petto come fosse aria, il suo proprietario mi guarda con occhi vitrei.

Non può vedermi.

Allungo le dita verso i suoi capelli scuri appesantiti dal sudore e, con estremo stupore, realizzo di non poter interagire, di non avere la possibilità di fare niente.

Nessuno di loro riesce a vedermi.

Perché?

Stiamo sognando, suggerisce la parte più razionale della mia mente, mentre il mio cuore insiste determinato nella sua idea.

Se veramente si tratta di un sogno, come mai la paura che mi sta divorando l'anima sembra così... vera?

Altri passi, stavolta più veloci, interrompono il flusso dei miei pensieri.

Rivolgo lo sguardo verso la nuova figura e per poco non perdo un battito.

Il ragazzo dai capelli dorati impugna un'arma che stona con il suo volto angelico, la brandisce senza timore puntando l'assassino del pover'uomo.

Rimango immobile, paralizzata, troppo spaventata per pensare a qualsiasi cosa non sia "questo non è Will".

Will è tutto ciò che di più buono mi sia mai capitato nella vita, un angelo mandato dal cielo, l'incarnazione della bontà.

Non potrebbe fare del male a nessuno, nemmeno per errore.

"-Amber vieni a vedere cosa ho trovato!- grida un bimbo dalle paffute guance rosee, da dietro ad un vaso.

-Che schifo Will!-

-Ma è un uccellino indifeso!- insiste con sguardo severo, indicando la bestiola dalla cui ala escono gocce di sangue denso.

Le mie labbra curvate in un'espressione schifata rappresentano tutto il mio dissenso.

-è disgustoso ed è pure ferito... potresti prenderti delle malattie!- ribadisco.

Will non mi da retta, accarezzando con delicatezza il capo dell'animale poco più grande del mio palmo.

-Dai torniamo a giocare- mi lamento ma ancora una volta mio cugino riesce a zittirmi solo con un'occhiata.

-Se non lo aiutiamo morirà-
Sbuffo ma non aggiungo altro, abbiamo molte cose in comune e tra queste c'è decisamente la testardaggine. Will sa essere veramente petulante quando si impunta su qualcosa.

Dalla tasca tira fuori un fazzoletto in stoffa e, facendo attenzione a non fargli male, ci avvolge l'uccellino per portarlo in casa."

Will era sempre stato così, fin troppo gentile con chiunque, fin troppo attento a qualunque cosa o persona avesse intorno.

Ricordo che, quando lo zio ci aveva spiegato come avessimo distrutto la speranza di far tornare la madre del piccolo volatile a causa del nostro odore ormai impresso sul cucciolo, Will si era sentito infinitamente in colpa.

Ricordo i pianti e come sussurrava scuse come se l'animale potesse capirlo.

Will non era capace di ferire qualcuno neanche per sbaglio senza essere logorato dal senso di colpa.

Quello non poteva essere Will.

Eppure, lo stesso bambino che anni prima aveva versato lacrime sul corpo senza vita di un gattino trovato per strada, ora portava via il soffio vitale di chi, prima di lui, si era macchiato di sangue innocente.

Quello non era mio cugino.

Will si volta verso di me, il suo sguardo mi attraversa come una freccia nel petto, mentre il terrore brilla nei suoi occhi scuri.

-AMBER!-

Delle mani calde scuotono con veemenza il mio corpo gelido, tirandomi fuori da ciò che sembrava troppo vero per essere solo un sogno.

La voce del rosso è come lontana, non riesce ad oltrepassare la barriera che mi separa dalla realtà.

Rimango lì, immobile, le mie iridi d'ambra fisse su un punto indefinito. Troppo spaventata per rispondere al ragazzo che non ha smesso un attimo di chiamare il mio nome.

-Amber ti prego- una voce più sottile mi sottrae da quello stato di trance che pareva impenetrabile.

Un cenno impercettibile del capo, questo è sufficiente per far scattare in piedi Erin, poggiato ai piedi del letto con un'espressione rassegnata.

Si lascia sfuggire un'imprecazione, seguita all'istante da un sospiro di sollievo, poi si avvicina e mi stringe le mani come se avesse paura di vedermi scivolare di nuovo in chissà quale altra dimensione.

-Come ti senti?-

Provo a parlare ma le parole rimangono incastrate in gola, scrollo le spalle impedendogli di guardarmi negli occhi.

Charlotte rivolge un'occhiata carica di consapevolezza al riccio, poi esce dalla stanza in silenzio.

-Cosa hai visto?- insiste con tono fermo.

L'assenza di una risposta non lo scompone, anzi, il suo tono si addolcisce e le sue mani accarezzano con delicatezza le mie con gesti circolari, come a volermi infondere un po' di conforto.

-l'hai visto di nuovo... sbaglio?-
Sollevo leggermente lo sguardo, dandogli conferma di aver indovinato, e il ragazzo mi avvolge in un abbraccio che profuma di casa.

-shh va tutto bene- sussurra tra i miei singhiozzi, lasciandomi nascondere il capo nel suo petto che si solleva ritmicamente.
Quanto vorrei credergli, quanto vorrei potergli dare ragione...

Il volto di Will contratto in una smorfia di pura violenza, continua a perseguitarmi fino alle prime luci dell'alba, fino a quando il ragazzo non mi libera dalla sua presa che non si è allentata nemmeno per un secondo.

Approfitto di questo momento per fuggire in bagno, nel quale mi rifugio come una codarda mentre il mondo si risveglia.

La giornata procede normalmente, ma nell'aria si respira una tensione sgradevole. Nessuno accenna alla nottata insonne trascorsa, né al brusco risveglio, né al sogno fin troppo realistico.

Non smetto un attimo di domandarmi a cosa debbano aver assistito quando ero immersa nella terra del sonno, se le urla che avevo udito fossero rimaste solo nella mia testa, ma non mi permetto di esternare i miei dubbi, troppo preoccupata di ricevere risposte scomode e di dover finire a spiegare cosa avevo visto.

Dovevo dimenticare, fingere non fosse mai successo niente.

Era stato un momento di debolezza e tale sarebbe rimasto.

Le ripetitive occhiate fugaci di Erin, però, dimostrano il contrario, promemoria di quanto, nell'ultimo periodo, di momenti di debolezza ne avevo avuti fin troppi.

Lentamente il Sole abbandona il suo trono nel cielo, cedendolo a sua sorella Luna che lo accetta di buon grado accompagnate da infinite piccole stelle luminose.

Il buio mette fine alla luce, così come la luce fa a sua volta con il buio non appena si fa giorno.

Al fioco barlume degli astri do sfogo alle mie paure tracciando disegni su disegni, schizzi su fogli limpidi come nuvole nell'azzurro del firmamento.

Pian piano da linee insensate compare un viso a malapena visibile, tracce nere di matita danno vita ad ombre scure sotto gli occhi di un uomo segnato da profonde rughe nonostante la sua giovane età.

Uno spiffero spinge lontano la pagina sulla quale si intravede un ragazzo la cui bellezza è consumata dal peso di una spada incrostata di puro sangue che grava sulle sue curve spalle larghe.

💫ANGOLO AUTRICE💫

Non vi rubo altro tempo, volevo solo informarvi che no, non mi sono dimenticata della mia piccola Amber e nemmeno di voi...

Scusatemi per essere sparita praticamente 1 mese (o forse addirittura qualcosa in più) ma la scuola è un incubo e quando mi viene l'ispirazione solitamente è ora di dormire...

Detto questo, confido nel tornare il più presto possibile, nel frattempo godetevi questo capitolo.

Vi voglio bene, sempre.

La vostra
💫Rob💫

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