Capitolo 38: Cerchiamo di non ucciderci
Non so nemmeno per quale motivo, ma mi ritrovo sdraiata su un letto che non sembra quello della mia camera. Apro gli occhi... e di certo questa non è la mia camera.
Accanto a me, una persona si muove. Giro il viso e sussulto notando la figura di un ragazzo. Con un gemito, il ragazzo si gira completamente verso di me. Sgrano gli occhi, riconoscendo Jeremy, con quei suoi capelli scuri e leggermente mossi, il naso elegante e le labbra piene leggermente socchiuse.
Sta dormendo.
Stavo dormendo anche io, poco fa? Come diavolo ci sono arrivata qua?
Eppure mi sembra un qualcosa di reale, non un sogno. Per avere la conferma, con delicatezza gli tolgo da davanti il viso alcune ciocche di capelli. Trattengo il respiro, sentendo il contatto con i suoi capelli morbidi, il modo in cui mi sfuggono dalla mano.
Capisco quindi che è un sogno.
Jeremy apre lentamente gli occhi, assonnato, e aggrotta la fronte notandomi. - Cassie? - mormora, la voce ridotta ad un bisbiglio roco. - Che ci fai qua?
- Non lo so, in realtà - ammetto. - Ma... mi senti?
Quando gli poso la mano sulla guancia leggermente ispida, anche lui trattiene il respiro. Sgrana leggermente gli occhi, ora assolutamente sveglio. - Com'è possibile? - chiede irrigidendosi. - Non- Non potremmo sentirci.
- Non lo so davvero - sussurro, accarezzandogli dolcemente la guancia. - Ma è bello, non trovi?
- Non pensavo potesse essere possibile - dice a bassa voce. Mi guarda con occhi diffidenti, nonostante la vicinanza. - Deve essere un sogno.
- Lo è sicuramente - bofonchio, sovrappensiero. Le dita sembrano tracciare di loro spontanea volontà la mascella. Sento i muscoli della mascella guizzare e Jeremy chiude per alcuni secondi gli occhi. Trovo assurdo come ci si possa dimenticare così facilmente della sensazione di un contatto del genere.
Le mie dita passano a malapena sulla sua pelle, lungo il collo. Rabbrividisce e socchiude le labbra. Finisco per premere il palmo sul suo petto, proprio dove batte il suo cuore. Lo sento battere veloce, quasi quanto il mio, e mi sembra veramente di poter vivere un sogno.
Non mi ero resa conto di quanto bramassi il contatto con lui, fino a questo momento.
Torno sulla sua clavicola, coperta dalla maglietta nera, fino ad arrivare alla spalla, al bicipite scoperto... traccio la linea della vena che gli corre lungo l'interno dell'avambraccio, fino a sparire. La mano stesa sul suo fianco è chiusa a pungo.
- Cassie - mi chiama Jeremy, con la voce bassa. Mi sta guardando dritta negli occhi, ma leggo un bisogno dentro di essi che mi fanno rabbrividire. - Non capisco... è un sogno? Sto sognando?
- Non lo so - ripeto.
- Tu sei qua?
- E tu? Sei veramente... tu?
Aggrotta la fronte, confuso tanto quanto me. - Sono io. - Scuote la testa, con il corpo rigido. - Che cosa dovrei fare, adesso? Svegliarmi?
- Che cosa vorresti fare? - gli chiedo io.
Noto immediatamente il suo braccio avvinghiarmi, per stringermi a lui. Il cuore fa un sussulto, per poi riprendere a battere velocemente e maledettamente forte nel mio petto. Lo guardo, con il respiro corto, ad una distanza così ravvicinata...
- Cassie... - mi chiama Jeremy, con voce roca, mentre la sua mano inizia a scendere dal mio fianco al fondoschiena. Sento una scintilla dentro di me, così veloce dentro il mio corpo da farmi tremare ed inarcare verso di lui.
Deve aver inteso il mio gesto come un invito, perché le sue labbra premono bramosamente sul mio collo, baciando affondo la pelle delicata. Gemo lievemente, stringendo il suo bicipite e ritrovandomi a posare una gamba su di lui.
- Oh... - mormora Jeremy, senza staccare la bocca dalla mia pelle, mentre la sua mano mi incita ad inarcarmi ancora per lui. E lo ascolto, con il respiro forse corto quanto il suo. Forse è per il sogno, o forse è per una sensazione che non provavo da tempo... ma mi sembra di avere il fuoco nel corpo.
Mi ritrovo ad avvicinarmi ulteriormente a lui, fino a posare il petto contro il suo. In questo momento, Jeremy spinge i fianchi contro di me, facendo un attrito che mi spinge a mormorare il suo nome.
Questo sembra farlo perdere di lucidità, perché d'un tratto mi ritrovo schiacciata sul letto, con lui sopra di me. - Rifallo - ringhia.
- Cosa? - chiedo, confusa.
Non mi risponde. Si limita a spingere un ginocchio tra le mie gambe, affinché io possa aprirle per accoglierlo, e muovere i fianchi verso di me.
Sussulto, afferrando le lenzuola. - Jeremy... - lo chiamo tremando.
Sembra riuscire a malapena a trattenere un ringhio. Mi guarda attentamente, come a volersi imprimere l'immagine del mio viso. Mi mordicchia la mascella, mentre le sue mani iniziano a percorrere il mio corpo, quindi dai fianchi, fino alle costole... e poi su, fino ai seni. Inarco la schiena, invitandolo a continuare.
Chiude le dita sul capezzolo, stringendolo con forza. Sussulto e mi ritrovo a dondolare i fianchi. Jeremy risponde con lo stesso bisogno, spingendosi contro di me. - Sì... - mormora lui, gli occhi ormai accecati dalla lussuria. - Continua, Cassie.
Mi muovo ancora contro di lui, con il respiro corto e il cuore che sembra urlare di necessità. Dei brividi mi attraversano il corpo, facendomi rabbrividire.
Finalmente, posa le labbra sulle mie, dandomi all'inizio un bacio leggero, come a chiedere il permesso, per poi spingermi ad aprire le labbra con la lingua. La sensazione della sua lingua che passa sul mio labbro inferiore, quasi a volersi ricordare il mio sapore, mi fa tremare il cuore.
D'un tratto, quando mi ritrovo a baciarlo con disperazione, decido di portare le gambe attorno ai suoi fianchi, spingendolo contro di me.
Mugola dentro la mia bocca, muovendosi contro di me con più necessità.
- Oh, per favore... - mormoro io, mentre un brivido di calore dentro di me sembra mandarmi totalmente in fiamme. Addirittura i polmoni sembrano soffrire.
Jeremy ringhia, con ancora le labbra sulle mie, stringendo il mio seno tra la mano e portando con l'altra mano i miei fianchi a muoversi contro di lui con lo stesso ritmo del suo corpo.
Il modo in cui si spinge contro di me mi lascia senza fiato. Mi sento sull'orlo del precipizio, completamente in balìa delle sensazioni che mi sta dando il suo corpo contro il mio... Il groviglio all'interno del mio corpo esplode, facendomi sussultare e muovere i miei fianchi senza più alcun controllo.
Jeremy spalanca gli occhi e fa per dire qualcosa, quando dalle sue labbra esce un gemito forte. La mano si toglie bruscamente dal mio seno, per reggersi sul materasso, mentre il suo respiro si ferma per qualche secondo e viene completamente attraversato da un brivido.
- Jer... - lo chiamo, osservando le sue labbra socchiudersi e gli occhi diventare...
Mi sveglio con un sussulto ed il respiro incastrato in gola.
Mi guardo attorno, leggermente in ansia ed agitata.
Era un maledetto sogno?
O un collegamento?
O forse era un sogno collegato?
Maledizione. Sono nei guai. Non solo ho sognato di fare qualcosa con Jeremy, ma... Forse lui se ne è pure accorto.
Sento il viso in fiamme. Una parte di me mi sta suggerendo di rimanere in camera, di nascondermi.
Giusto il tempo di capirci qualcosa, giusto il tempo...
Qualcuno bussa alla mia porta. Grugnisco e mi alzo dal letto per andare ad aprire.
Davanti a me, la maga in procinto di diventare psicologa. Aggrotto la fronte e cerco di nascondere il mio corpo dietro la porta. - Che vuole? - borbotto, assonnata.
- La seduta è iniziata dieci minuti fa - mi rimprovera.
Cazzo.
Poso una mano davanti il viso ringhiando. - Sono già le otto?
- Le otto e dieci minuti - ribatte seccamente lei.
- Mi può dare il tempo di prepararmi? - le chiedo gentilmente.
- No - replica. - Ci vediamo domani. Non ho tempo da perdere con chi non vuole essere aiutato.
Si gira e fa per andarsene. Sgrano gli occhi, assolutamente scioccata dalla risposta. Ha ragione, assolutamente... Ma rimandare a domani? - Ma... Le volevo chiedere una cosa! - esclamò io, cercando di afferrarle l'avambraccio per fermarla.
Delle scosse mi fanno sussultare e sono costretta a liberare subito il suo avambraccio. Mi tengo la mano attaccata al petto, spaventata ma anche incuriosita. - Come ha fatto? Non dovrei riuscire a sentire niente - mormoro.
- Ho più di cinquecento anni - mi dice. - Ti basta come risposta?
- Non proprio - ribatto. - Che cosa sei?
- Una maga - ripete seccamente.
Qualcosa mi spinge a non crederle. Scuoto la testa, devo smetterla di dubitare in questo modo delle persone. - Per favore...
- Ieri sei riuscita a parlare con Jeremy, non è così?
Sussulto, tenendomi ancora la mano. - Si.
- Avete comunicato tramite il pensiero?
Silenzio.
- Tramite i sogni?
Arrossisco, ricordando quello che ho sognato.
Annuisce sorridendomi maliziosamente. - Bene. Ci vediamo domani.
Si gira e questa volta la lascio andare, pur di non prendermi nuovamente una scossa.
Chiudo la porta, confusa.
Quindi ho ragione? Non è stato solo un sogno, bensì un sogno condiviso? Direi ottimo. Abbiamo appena complicato le cose.
Rabbrividisco, ricordando la bellissima sensazione del suo corpo sopra il mio, o della sua voce roca...
Dannazione.
Sono fregata.
Cosa dovrei fare adesso? Uscire da questa stanza come se non avessi mai avuto un orgasmo nel sogno insieme a Jeremy? Guardarlo come se niente fosse?
Chissà cosa ne pensa lui.
Mi sono appena messa in un grosso guaio. Lo userà contro di me? Inizierà a fare delle battute? Beh, vorrà dire che risponderò a tono.
Non ci voleva. Avrei dovuto immaginare che era un sogno condiviso.
No, oggi... Penso proprio che rimarrò chiusa dentro la mia camera.
🗡️🗡️🗡️
È ora di pranzo quando bussano nuovamente alla mia porta. Davanti a me, il padre di Austin
.
- Stai male? Perché non esci?
- Posso prendermi un giorno di ferie - borbotto. - Che succede?
- Mia moglie - risponde immediatamente. - Si trova in infermeria. Non me la fanno vedere. Voglio sapere perché.
- Che cosa ti fa pensare che io sappia qualcosa? - gli chiedo, utilizzando lo stesso tono scorbutico dell'uomo. Non ho mai avuto rapporti con lui. Siamo sempre stati a conoscenza della presenza l'uno dell'altra, ma le poche volte in cui si trovava a casa era sempre stato scostante e anche antipatico.
Non so cosa abbia spinto la mamma di Austin, sempre così dolce e solare, a scegliere un uomo come lui.
Se lo chiede tutti i giorni anche il figlio.
- Ci hai portato qua - risponde, quasi sul punto di ringhiare come il lupo mannaro che è. - Quindi sicuramente sei qualcosa.
- Le stanno annullando l'incantesimo che le hanno fatto - replico freddamente. - So solo questo. Non sono mai stata la benvenuta qua.
Socchiude gli occhi, diffidente. - Non mi fido di te, demone - dice a bassa voce. - Se scopro che non sei realmente Cassie...
- Purtroppo sono io - borbotto, poco interessata alla conversazione. - Fidati, se potessi essere un'altra persona, non ci penserei due volte ad esserlo.
- Mi stai dicendo che non sai altro?
- Purtroppo no - rispondo. - Ma qua sono bravi. Si staranno occupando di tua moglie.
Mi ringhia addosso
.
- Adesso capisco da chi ha ripreso Austin la scarsa capacità di-
- Non parlare di mio figlio.
- Quando se l'è ricordato? - lo stuzzico io sorridendogli. - Che era suo figlio, intendo.
Fa per avvicinarsi a me, minaccioso, quando Scott chiede: - Che diavolo sta succedendo qua?
L'uomo si allontana con non poco sforzo. Mi lancia un'occhiata di avvertimento e poi se ne va.
- Possibile che tu sia in grado di litigare anche con le persone che conosci da una vita? - mi riprende Scott sospirando.
Non gli rispondo. Mi dispiace rivelare dettagli della vita di Austin.
- Andiamo a mangiare. Non hai fatto colazione.
Sospiro capendo di non potermi nascondere per sempre.
Seguo il mio amico per tutto il tragitto, senza alzare lo sguardo.
Mi siedo proprio accanto al mio amico e subito vengo subito investita da Ivy. - Finalmente! Mi stavo per preoccupare! - esclama lei. - Come ti senti?
- Bene.
Isaac chiama Ivy, che si alza nuovamente per tornare a sedersi vicino a lui.
Accanto ad Isaac, noto immediatamente Jeremy. I nostri sguardi si incrociano subito. Abbasso immediatamente gli occhi sul piatto, già pieno, d'un tratto rossa in viso.
Pochi secondi dopo, sommersa dalle domande, lo osservo. Continua a tenere gli occhi fissi su di me, con le mani chiuse a pugni sul tavolo e la fronte aggrottata.
Se prima potevo avere qualche dubbio sulla sua reale presenza nel sogno... purtroppo adesso sparisce ogni dubbio. Non è stato solo un sogno, non è stata solo una mia debolezza.
- Cazzo... - bofonchio, muovendomi sulla sedia, a disagio.
Jeremy sembra leggermi il labiale, perché accenna un sorrisino malizioso.
Entro immediatamente sulla difensiva. - C'è qualche problema? - gli chiedo ad alta voce quindi, attirando l'attenzione di Louis e della maga Lilith.
- Io? dovrei avere qualche problema? - chiede Jeremy, senza smettere di sorridere. - Mi sembri tu, quella che ha appena imprecato.
- Ti sbagli - rispondo io mentendo. Alzo il mento, con fare saccente. Dopotutto, potrei benissimo mentire e dirgli che è stato solo un suo sogno.
Jeremy torna a mangiare, lasciando stare le nostre discussioni e, dopo aver visto le occhiate di fuoco da Louis e Lilith, non la prende nemmeno come una cattiva idea.
Mangio velocemente, pur di togliermi da questa situazione imbarazzante.
Mormoro un saluto veloce a Scott, per poi sparire nel corridoio. Di Austin non c'è nemmeno l'ombra, quindi forse dovrei andare a cercarlo e vedere se ha bisogno di qualcosa... anche solo da mangiare.
I piedini di una sedia creano rumore, facendomi capire che qualcuno si sta alzando, e questo mi spinge ad accelerare il passo. Chissà perché, ma so già chi potrebbe essere e non ho intenzione di affrontare quel discorso con lui adesso.
O mai.
Cerco di tuffarmi letteralmente nella stanza, chiudendo la porta... ma quando essa fa resistenza, mi rendo conto di essere stata comunque troppo lenta. Alzo lo sguardo sulla figura, che ormai sta davanti a me, ed il cuore traditore sobbalza. Trattengo il respiro.
Jeremy è in piedi davanti a me, con una mano appoggiata alla porta, il braccio in tensione per non farla chiudere. Mi sta osservando attentamente, con i suoi maledettissimi occhi indagatori. - Qualcuno si è svegliato tardi - mi prende in giro, con un mezzo sorriso. - Hai fatto sogni interessanti?
Sgrano gli occhi, arrossendo. - Non direi - mento. - Piuttosto erano incubi.
Il suo mezzo sorriso si trasforma in un sorrisino malizioso. - Incubi? Perché non me ne parli?
- Non penso siano affari tuoi - bofonchio, imbarazzata.
- Non lo sono? - ripete lui, divertito. - Ti sei palesata dentro il mio letto in sogno e questi non dovrebbero essere affari miei?
Aggrotto la fronte, tentando la via più disperata. - Ma di che cosa stai parlando?
Ridacchia. - Non provarci - dice a bassa voce. - Quello non era un semplice sogno.
Guardo dietro di lui, in cerca di aiuto. - Quale sogno?
Il suo sorriso svanisce. Fa alcuni passi avanti, in fretta, quindi indietreggio. Chiude la porta con un colpo secco. E si ferma a pochi centimetri da me, il viso abbassato sul mio. - Non provare a fare finta di niente - dice, la voce ridotta ad un bisbiglio roco. - So riconoscere un sogno da un sogno controllato - aggiunge, cercando i miei occhi. Arrossisco. Mi ritrovo a deglutire come una bambina. - E quello non era semplicemente un sogno erotico.
- Hai fatto un sogno erotico su di me? - cerco di scherzare, per puntare l'attenzione su altro. - Certo che ne hai di fantasia.
- Non farlo - mi ammonisce, la voce bassa e roca. - Non sono stupido. C'eri anche tu, in quel sogno, e mi hai toccato.
- Ti ho toccato?
- Sì - ringhia.
- Non posso sentire, ricordi? - cerco di dire io.
Un fulmine di rabbia passa attraverso i suoi occhi. - Sei venuta sotto di me - ribatte, facendomi trasalire. - Dubito tu non abbia sentito niente.
Ridacchio, in difficoltà. - Penso ci sia stato un errore.
- Nessun errore - ribatte. - Vuoi veramente fare finta di niente?
Lo guardo negli occhi, in difficoltà. Che cosa dovrei fare? Forse è ora di smetterla di fingere, dopotutto lui mi ha voluto esattamente come me. - Non so dargli un significato - ammetto.
Fa un passo indietro, non più arrabbiato, ora che ho ammesso di esserci stata. - Hai detto che era bello - replica duramente. - Riuscire a sentirmi. Era bello.
- Lo era - mormoro, rossa in viso. - Ma era un sogno.
- C'eravamo entrambi! - esclama. - Lo volevamo entrambi.
Faccio un passo verso di lui. Il suo volto si rabbuia, ma non dice niente. Alzo una mano per posarla sul suo petto, proprio dove si trova il cuore... e non sento niente. - Questa è la realtà - sussurro.
- Quella era un'altra realtà - ribatte, posando una mano sulla mia, per tenermi ferma. Abbassa per un attimo lo sguardo sulle nostre mani, come ad essere sicuro di aver messo la mano su di me, e non su un muro. - Che cazzo, Cassie... Lo abbiamo voluto entrambi. Tremavi.
- Qua non sento niente - mormoro. - E tu qua non ti fidi di me.
- Lo so - borbotta. - Ma... quello che è successo...
- Lo voglio anche io - lo interrompo. - Di nuovo.
Le sue guance si fanno d'un tratto più rosee. Lo trovo maledettamente dolce, per un ragazzo non timido come lui. - Davvero?
- Davvero.
- Quindi... cosa? In questa realtà ci tolleriamo a malapena, e nell'altra ci ritroviamo a letto? - chiede, titubante.
Sorrido. - Intanto, cerchiamo di non ucciderci a vicenda in questa realtà.
🗡️🗡️🗡️
Il giorno dopo, mi presento dalla maga - psicologa alle sette e cinquanta di mattina.
Appena apre la porta, sussulta notando la mia presenza. Posa una mano sul suo petto, per cercare di tranquillizzarsi, chiudendo gli occhi per alcuni secondi. - Certo che non hai proprio vie di mezzo - borbotta.
Sorrido. - O spavento o mi nascondo? - chiedo.
- No. O ne sei ossessionata, o non ti interessa affatto.
Faccio spallucce, nonostante stia dicendo la verità. - Ha detto che è importante, quindi dovrebbe essere felice della mia ossessione - ribatto semplicemente, con un tono piatto che non rispecchia mai quelle che sono le mie vere emozioni.
Si fa da parte, facendomi entrare. Lo studio è piuttosto piccolo, con due poltrone ed una scrivania. Sembra esattamente lo studio di uno psicologo. Trattengo una risata e non commento, per non innervosire ulteriormente la strana maga di cinquecento anni.
- Che cosa vuoi sapere? - mi chiede, sedendosi su una poltrona.
Imito i suoi movimenti, sedendomi proprio davanti a lei. Le sorrido, furba. - Mi sa dire qualcosa sui draghi?
Sbatte più volte le palpebre, non aspettandosi una domanda del genere. - Sono estinti.
- Ne ha mai visto uno?
Le sue labbra si fanno fine. Socchiude gli occhi lanciandomi un'occhiata poco amichevole. - No.
- Questo è uno spazio sicuro - la prendo in giro io. - Non si dovrebbero dire le bugie.
- Non ne ho mai visto uno.
- Ho letto che sono creature molto riservate e protette - aggiungo.
- Lo erano.
- Qualche suo vecchio amico ne ha mai visto uno? - le chiedo quindi sorridendole.
- Quindi adesso hai anche un'ossessione? - cerca di cambiare discorso.
- Questo è un si?
Rimane in silenzio per alcuni secondi di troppo. - Si - replica. - Ma sono passati almeno duecento anni.
- Dove?
- Spagna.
Sbuffo roteando gli occhi. Incrocio le braccia, infastidita. - Che cosa c'è di così interessante in Spagna?
- Le fate superiori - replica lei. - Perché sei così interessata?
- Ci potrebbero aiutare. Contro Cole. Contro i demoni.
- I draghi hanno sangue demoniaco - mi ricorda.
Alzo una mano. - Per metà - la correggo. - Metà sangue demoniaco e metà sangue angelico. Non se ne parla abbastanza, non trova?
- Dovrebbero parlarne a storia.
- Qualcuno c'è mai andato? In Spagna dico. Per controllare la situazione.
- Cassie, non ci sono più.
La osservo attentamente. Non mi convince per niente. Qualcosa nel suo comportamento mi fa pensare ad altro: li sta proteggendo. - Come ha fatto a capire di essere una maga?
Sospira, spazientita. - Sono passati cinquecento anni - borbotta. - Un giorno ho dato fuoco ad una casa per sbaglio.
Ridacchio. - Dovrebbe parlarne con Jeremy allora - commento. - Ha le stesse tendenze da piromane.
Accenna un sorriso. - Di che cosa avete parlato nei sogni?
- Del tempo - mento.
- Chi ha chiamato chi?
- Che vuol dire?
- È come un filo che si tende - mi spiega lei. - Se uno tira, durante il sogno, quello risponde.
- Risponde?
- Appare.
- E come si fa a capirlo?
Ridacchia. - Spiegami la dinamica e ti saprò rispondere.
Incrocio le braccia, non contenta della risposta.
- Bene - commenta. - Ti fiderai mai di qualcuno?
- Nemmeno morta.
Aspetto che si metta a ridere.
Non lo fa.
Noiosa.
- Ti diverte la tua morte?
Alzo gli occhi al cielo. - Non ha senso dell'umorismo - borbotto. - Certo che non mi diverte.
- Parliamo un po' della tua famiglia, vuoi?
- Non particolarmente. - L'occhiata che mi lancia mi fa capire che in realtà non ho molta scelta. - Mi dica. Che cosa vuole sapere?
- Avevi un bel rapporto con suo padre?
Sbuffo. - Non esattamente, era un alcolizzato - replico. - Ma prima che morisse mia madre era un'altra persona.
- Colpevolizzava te per la sua morte?
- Certo ed aveva ragione.
- Perché?
- Perché è morta per salvarmi - rispondo con tono piatto. - Qualcuno di troppo aveva scoperto il mio segreto da Whitesun.
- Tu lo sapevi?
Scrollo le spalle. - Ovviamente no, l'ho scoperto una volta... - ripenso a Derek e un conato di disgusto minaccia di farmi fare una pessima figura. - Una volta arrivata in Istituto.
- Louis mi ha detto che non ti sei ambientata bene - se ne esce. - All'inizio.
Scrollo le spalle, noncurante. - Non mi volevo ambientare - rispondo. - Non avevo intenzione di rimanere davvero. Per me, quella non era casa. Avevo vissuto per anni una vita completamente diversa, non avevo intenzione di abituarmi ad una nuova realtà.
- Nonostante fosse effettivamente una realtà.
- Non mi piaceva.
- Ma era la realtà.
La osservo, nervosa. - Per me no.
Annuisce, studiandomi. - Adesso? Non la trovi una realtà?
Ridacchio. - Direi di aver accettato tutto, quindi sì - borbotto.
- Perché non vuoi tornare?
Scrollo le spalle. - Non ho interesse - replico. - Penso che la vita mi abbia dato tutto quello che poteva darmi.
- Hai solo diciassette anni, Cassie - mi rimprovera la maga con un sospiro. - Hai tutta la vita davanti.
- Lo vada a dire al mio sangue demoniaco - rispondo seccamente. - Capisco però che per una persona di cinquecento anni possa essere poco tempo.
Non cede alla mia provocazione. - Ti sei mai fidata di qualcuno?
- Della mia famiglia?
- E basta?
- Austin, fino ad un certo punto della mia vita - aggiungo.
- Il licantropo? - mi chiede. Annuisco, senza aggiungere altro. - Perché "fino ad un certo punto"?
Scrollo le spalle. - Prima è morta mamma, poi è morto mio padre e con lui tutto quello che sapevo della mia vita - bofonchio. - Lui è rimasto indietro.
Annuisce, comprensiva. - Louis mi ha detto che hai sempre fatto di testa tua - annuncia. - Non l'hai fatto con cattiveria. L'hai fatto perché non riuscivi a fidarti delle decisioni di Louis?
Scrollo le spalle. - Niente di personale.
- Mi vuoi dire che adesso ti fidi di tutti noi? - mi chiede, poco convinta.
- Certo che no - rido. - Non mi fido di nessuno di voi. Ma... Non voglio più trovarmi nella condizione di dover accettare per forza il male.
- Come quando sei scappata? - mi chiede. Annuisco. Un muscolo sulla mascella della maga guizza, più e più volte. - Hai paura.
- Vivo nella paura - la riprendo. - Da quando è morta mia mamma. A volte, penso che se non fossi venuta a sapere dell'esistenza di tutto questo... Avrei potuto vivere una vita normale.
- Sei una Whitesun, quelli come te non possono vivere normalmente - mormora lei, quasi con tristezza.
Già.
Grazie del promemoria.
🗡️🗡️🗡️
Individuo Scott senza troppi problemi. La sua peggior nemica mi lancia un'occhiata indagatrice, senza però alzarsi dal divano lontano da quello dove si trova Scott.
Mi siedo accanto a lui con un sorriso eccessivo.
- Che vuoi, Cassie? - borbotta Scott, senza alzare lo sguardo dal suo cellulare.
- Non vorresti fare un viaggio per i tuoi diciotto anni?
Alza un sopracciglio. - Per festeggiare un evento avvenuto un anno fa?
Scrollo le spalle. - Meglio tardi che mai.
- Che cosa vuoi, Cassie?
- Spagna.
Finalmente mi guarda in faccia, con un'espressione infastidita. - Spiega.
- Vorrei andare in Spagna per indagare sulle Fate Maggiori - spiego quindi. - E capire se stanno effettivamente facendo finta di niente, o se stanno cercando di proteggere i Draghi.
- Sono estinti.
- Vorrei avere una conferma dai Cacciatori spagnoli - aggiungo. - Ne conosci uno?
- No - borbotta.
- Ragione per cui dovremmo andare in Spagna.
- Ti sembra il momento adatto per prendere un aereo e fare un viaggio di piacere?
- Chiamiamolo viaggio di cultura - sogghigno.
- Scordatelo - risponde lui, tornando a guardare il cellulare. - Louis non ci darà mai l'ok a procedere.
- Io ci sto - annuncia Ellie, comparsa dal nulla.
- Che cosa?! - esclama Scott, spazientito. Sa bene che se lei accetta, lui dovrà andare con lei.
Ellie non gli risponde. - Posso andare a parlare con Louis oggi stesso. Mi è sempre piaciuta come meta. E qua ci si annoia ogni giorno di più.
Scott sbuffa buttando sul divano il cellulare. - Non ti sopporto più...
- Lui è più noioso di questa casa - aggiunge Ellie, facendomi ridacchiare. - E sono costretta a portarmelo dietro ogni volta.
- Io sono costretto a portarti dietro ogni volta - la corregge Scott lanciandole un'occhiata di fuoco.
- Se non fosse per me non ricorderesti nemmeno della sensazione del sole sulla tua faccia cadaverica - ringhia Ellie. - Dovresti ringraziarmi.
- Oh, taci, Ellie. Sei insopportabile.
- E tu sembri mio nonno.
- Quindi... Spagna?
Ellie annuisce, ma i miei occhi sono fissi sul mio amico. Rimane in silenzio per secondi interminabili, poi sbuffa ed alza le mani al cielo. - Madrid, è lì che si trovano le Fate Maggiori.
Batto le mani, eccitata.
- Andiamo, nonnino - lo prende in giro Ellie. - Abbiamo delle valigie da preparare.
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