Capitolo 21: una famiglia allargata
Mi sveglio e il panico prende subito la meglio. Scatto in piedi e guardo bene, dove mi trovo: un uomo dai capelli bianchi e le rughe molto accentuate (molto probabilmente dalla stanchezza) e Jeremy Ruterful mi stanno guardando con gli occhi spalancati; mi trovo in una piccola stanza e sono su un letto.
– Che cosa ci faccio qua? – ringhio io. Aggrotto la fronte sentendo qualcosa pizzicarmi la pancia. Poso le mani su di essa e cerco di capire cosa sia. Rimango senza fiato sentendo una cicatrice. – Che cosa avete fatto? – mormoro io iniziando a piangere. – Il mio bambino! – urlo cadendo a terra. Entrambi cercano di avvicinarsi a me e così gattonando mi allontano. – Non toccatemi! – urlo io in preda al panico. – Dov'è il mio bambino? Dov'è?!
Il dolore al petto che provo in questo momento è così forte che a malapena riesco a capire le parole dell'uomo dai capelli bianchi. – Era morto, Cassie. Noi l'abbiamo semplicemente rimosso dal tuo utero. Ora l'importante è che tu ti rimetta e che riesca a...
–No! No! Dov'è il mio bambino? Voglio vederlo! Non può essere morto... No, lui era... Dov'è Cole? Ho bisogno di lui. Ho bisogno delle mie medicine. Ho bisogno del mio fidanzato – mormoro io mettendo indietro i capelli. Guardo questi ultimi con gli occhi spalancati: sono striati di bianco.
– Lo so, Cassie. Stiamo cercando di capire cosa ti sta uccidendo, ma non è molto facile e i nostri maghi sono abbastanza stanchi per tutto il potere, che già stanno usando per proteggerci da eventuali pericoli esterni – cerca di tranquillizzarmi l'uomo.
– Sto morendo, non c'è niente che voi possiate fare – sussurro io guardando l'uomo. – Me l'aveva detto anche Cole. Purtroppo il bambino era troppo forte per me e... e adesso è tutto inutile. È stato tutto inutile. La sofferenza, la tristezza... Devo tornare a casa.
– Non hai più una casa, Cassie! – inizia ad urlare Jeremy avanzando verso di me. – Cole Ruterful non ti è venuto a prendere e c'è un perché: sa che non hai più il bambino. – Fa un sospiro guardandomi con odio. – Cos'è che non capisci? Per lui non sei niente oltre ad una cassa per bambini-demoni.
– Jeremy Ruterful! – tuona l'uomo dai capelli bianchi guardandomi con tristezza. – Ti prego di scusarlo, Cassie. A volte non sa proprio cosa sia "avere un po' di tatto". Anzi – ribatte guardando male Jeremy, – ormai ho paura che non sia proprio presente nel suo vocabolario.
Ruterful alza gli occhi al cielo scuotendo la testa. – Qualcuno deve pur essere diretto. Sapete... a volte la gente non riesce a capire bene. Anzi, in pratica sempre, in verità. Comunque, se sei diretto, sei sicuro che l'uomo o la donna ti abbia capito. È abbastanza triste come cosa, lo so; ma non è difficile essere diretti se sai che il tuo scopo è per il bene di quella persona.
Gli lancio un'occhiataccia. – Ha ragione. – Guardo l'uomo e ripeto il concetto: – Ha ragione. È abbastanza facile dire le cose dirette, proprio come sono. – Fulmino Jeremy Ruterful. – Se solo queste cose fossero vere!
Alza un'altra volta gli occhi al cielo. – Esattamente. – Guarda l'uomo che sembra molto confuso. – Ha ragione. – Guarda me. – È proprio perché sono "cose" vere che sono facili da dire.
– Non sono vere. Non sai niente di Cole Ruterful. Ora lasciatemi andare – ringhio io.
– Bene. Allora fammi essere un po' più diretto – borbotta Ruterful avvicinandosi ancora di più a me. L'uomo lo ferma quando scatto in piedi per attaccarli. – Tieni. Guarda tu stessa – borbotta il ragazzo porgendomi una lettera.
– Tirala – ringhio io guardandolo dritto negli occhi. – Non ho intenzione di avvicinarmi a te, mostro.
– Mostro è Cole Ruterful. Mostro era tuo figlio – ringhia Jeremy.
Cerco di controllarmi il più possibile. Guardo bene il ragazzo, dalla testa ai piedi per vedere se ha qualche arma con sé e noto un coltellino nella cintura. La mia attenzione quindi fa finta di passare ai suoi occhi celesti con sfumature blu e poi alle sue labbra carnose, che in questo momento stanno sorridendo facendo vedere dei denti dritti e bianchi. Tutto questo è solo l'inizio, perché il suo bellissimo sorriso svanisce quando gli salto addosso nel modo meno romantico possibile. Prendo il coltellino in un secondo, ma riesco a fargli solo un miserabile taglio sul petto prima che l'uomo mi prenda entrambe le braccia e mi allontani da lui.
– Prova a ripetere quello che hai detto, adesso – ringhio io guardando Jeremy dritto negli occhi.
– Se vuoi lo ripeto, non c'è problema, pazza che non sei altro – ribatte Jeremy avvicinandosi a me. Cerco di farlo allontanare, tuttavia l'uomo mi tiene ancora ferma. – Quel mostro che avevi dentro la pancia aveva il sangue nero. Nero. Ti ricorda qualcosa? – Si pulisce la ferita con un dito e mi mostra il sangue che ha sul dito. – Guarda un po'! Sangue rosso! Come gli esseri umani.
Lancio un urlo nello stesso momento in cui do una capocciata all'uomo. Egli mi lascia subito e corro da Jeremy, lo spingo così forte che cade a terra trascinandomi con sé. Una volta a terra, non perdo tempo: salgo su di lui e inizio a tirargli cazzotti sullo zigomo senza preoccuparmi di sembrare pazza. Sposto i pugni in basso e continuo sulle sue labbra.
Mi viene in mente di colpire anche i suoi occhi spalancati, ma l'uomo mi prende un'altra volta nonostante io continui a dibattermi e urlare. Solo in questo momento riesco a vedere la stanza in fiamme. Ruterful si alza e avanza verso di me, l'uomo mi lascia e cerca di far ragionare il ragazzo. – Jeremy, Jeremy, basta così. Ti ha fatto del male, è vero, ma ricordati chi è veramente Cassie Moonic. Lei è ancora là. Lei è ancora nel tuo cuore.
– Lasciami stare! – tuona Jeremy spingendo l'uomo, il quale però, a quanto pare, è più forte di quello che da vedere. Il ragazzo è messo piuttosto male, entrambi gli zigomi hanno dei tagli e sono rossi, le labbra spaccate, dove esce molto sangue, i denti sporchi di quel sangue e gli occhi iniettati di rosso per la rabbia che sta provando.
– Jeremy, basta – continua l'uomo lasciando però Jeremy Ruterful. Sono stanca e la ferita continua a farmi abbastanza male, queste sono le motivazioni che uso nella mia mente quando indietreggio da lui fino a diventare una parte della parete. Gli occhi fiammeggianti di Jeremy si spengono all'istante, il suo respiro diventa più regolare, le fiamme si spengono e si ferma a guardarmi senza fare nient'altro. – La vedi, Jeremy? Riesci a vedere la tua anima gemella?
Tutto d'un tratto quello che riesco a vedere tramite gli occhi del ragazzo è solo ostilità. Si mette bene la maglietta, si asciuga il sangue che gli cola e sospira. – È ok. Non m'importa. Lei non è più niente per me.
Vorrei ribattere, ma proprio non ci riesco, sono spaventata da lui come dalla prima volta che l'ho visto dopo tutto quello che mi aveva fatto, un paio di giorni fa. Lui era capace di fare qualsiasi cosa, non aveva sentimenti, eppure dentro di lui scorre sangue rosso, sangue umano. Mio figlio aveva sangue nero, Cole aveva sangue nero, io ho sangue nero.
– La lettera – mormoro io. – Datemi la lettera.
Jeremy mi lancia un'ultima occhiataccia, prende un foglio da terra e lo tira. – L'ho portata qua. Ora se mi volete scusare, ho altro da fare e sono nei guai. Sicuramente avranno già capito chi è stato a rapire la Whitesun.
– Rapire? Jeremy Ruterful, sei tu il capo. Perché avresti dovuto rapirmi? – chiedo io.
– Forse perché io non sono il capo – risponde Jeremy con un tono di superiorità.
– Non è possibile. Sei tu il capo.
– Fai come ti pare – borbotta Jeremy andandosene dalla stanza.
Prendo la lettera con un gesto fulmineo continuando a guardare scettica l'uomo, che continua a sorridermi. Mi chiedo che problemi abbia ma ora questo non m'importa. Apro la lettera e capisco subito che è stata scritta veramente da Cole Ruterful. La calligrafia è la sua, per non parlare della sua firma.
"Caro fratello,
Ho letto la lettera che mi hai inviato. Purtroppo ero già a conoscenza della disgrazia: siete riusciti a rapire la mia povera fidanzata. C'era un motivo se non ero là ed era perché sapevo che ormai era questione di poco tempo e mi avreste trovato; o meglio, avreste trovato la mia casa. Avrei tanto voluto portarmi anche la mia fidanzata ma – per quanto tutto questo mi rattrista – ormai era destinata a morire ed era troppo debole perché rimanga al mio fianco, quindi troppo lenta.
Riguardo al fatto del bambino era ormai ovvio. Senza le pozioni e riposo non poteva che morire, quel povero bambino. Mi dispiace, sarebbe stato un ottimo erede nel caso io non ce l'avessi fatta.
Sono sicuro che Cassie sarà la prossima a morire, ed è per questo che non la verrò a riprendere, né la cercherò. Potete farne quello che volete. Se volete ucciderla, potete farlo, tanto è solo questione di tempo prima che muoia.
Cole Ruterful "
C'è un silenzio imbarazzante nella stanza, soprattutto perché nella stanza c'è una ragazza che piange e un uomo che non sa se avvicinarsi a lei per confortarla o rimanere dov'è.
Non posso credere che il mio fidanzato mi abbia appena lasciato morire, nemmeno vicino a lui, ma li abbia anche autorizzati ad uccidermi, se lo vogliono. Aveva ragione Jeremy Ruterful, Cole è un mostro e molto probabilmente lo era anche mio figlio.
E ora che devo fare? Rimanere qua e morire da traditrice? Rimanere qua, senza più nessuno scopo? Senza il mio bambino che a quanto pare era veramente un demone? Più cerco di meditare e meno ci riesco. Che cosa sono? Perché non riesco a capire tutto come una volta riuscivo a fare? Non è perché sono distrutta dall'abbandono del mio fidanzato. No, c'è qualcos'altro. Ma cosa?
– Cassie, immagino il dolore che tu possa provare – mormora l'uomo. – Lo immagino e non vorrei mai essere al tuo posto ma, ora come ora, dovresti solo pensare a te stessa. Qua puoi stare molto bene. Ok, forse non è un hotel a cinque stelle, tuttavia la gente si vuole bene, in un modo che molto probabilmente ancora non riesci a capire. Perché Cole non ti ha dato amore, Cole ti ha solo dato ordini, è per questo che ora ti senti così confusa e persa. Posso giurarti su qualsiasi cosa che ti conoscevo, Cassie; conoscevo una ragazza che aveva perso madre e padre, e che nonostante tutto sia sempre riuscita a guardare la gente negli occhi e a non fargli vedere quanto avesse paura, a volte mi chiedevo veramente se ne avesse.
– Come fa a conoscermi? – mormoro io continuando a guardare il pavimento, vuota.
– Perché una volta eri una ragazza senza genitori che era stata portata in un Istituto, dove io ero il preside. Eri una ragazza determinata, che non si vergognava e che, mi scuso per il linguaggio, aveva più palle di Jeremy Ruterful.
– Jeremy Ruterful è il capo delle persone che mi hanno rapito. Ne sono sicura. E questo mi fa pensare che quindi anche voi siate contro Cole – ammetto io.
– Noi siamo contro Cole Ruterful, proprio come siamo contro gli altri, tra cui il Primo Anziano. Forse è vero, Jeremy sta collaborando col Primo Anziano e gli altri, ma sono sicuro che lo stia facendo per una buona ragione. Per quanto Jeremy continui a farci credere di essere un cattivo ragazzo, non lo è, anzi non credo di aver mai conosciuto ragazzo più sensibile di lui.
– Sensibile? – gli faccio eco io con una smorfia disgustata. – Cos'è questo, uno scherzo? Non fai ridere per niente. Jeremy Ruterful è tutto tranne che sensibile.
– Questo è quello che Cole ti ha fatto credere fino ad adesso. Non fartene una colpa, tu credevi in lui e non pensavi lucidamente. Noi crediamo di poterti aiutare, Cassie. Abbiamo dei bravi maghi, tra cui un tuo amico. Crediamo di riuscire a farti tornare la memoria, a farti tornare. Devi solo darci il consenso, da là procederemo come noi crediamo.
– Come faccio a sapere che non mi ucciderete? – chiedo io con una voce strozzata. Ero stanca di tutto questo combattere per un corpo che molto probabilmente tra un po' mi avrebbe abbandonato.
– Ti dovrai fidare di me – risponde semplicemente l'uomo.
– Perché dovrei fidarmi di voi, che state con Jeremy Ruterful? – chiedo io, ancora più scettica.
– Perché una volta amavi Jeremy, e perché lui una volta ti amava. Perché ha spento le emozioni per non provare più il dolore che sentiva da quando te ne sei andata, da quando ha visto che dentro di te scorreva sangue nero. Perché una volta per Jeremy eri la sua famiglia.
– Non mi ricordo niente di tutto questo – ringhio io.
– Allora ti dovrai semplicemente fidare di me. Devi pensare che lo sto facendo per te, poi sta a te decidere se farlo o no.
Sono sicura al che l'uomo sappia che, dopo aver detto una cosa del genere, qualsiasi persona si lascerebbe fare tutto quello che egli ritiene giusto. Mi posso fidare di lui? Non so veramente cosa fare. Poi però ci penso con la mia testa: cosa ho da perdere? – Va bene – rispondo quindi.
Dopo poco, entra un uomo dai capelli pieni di gel castani chiari e con degli occhi scuri. Non so perché, mi da l'idea di un uomo del secolo scorso. – Ciao, dolcezza.
Gli lancio un'occhiataccia. Già non mi piace, e mi dovrebbe anche curare da qualsiasi cosa abbia che non va. – Chiamami un'altra volta "dolcezza" e vedrò come farti diventare un uomo con una voce bianca e pura.
L'uomo, invece di fare una faccia scandalizzata, si mette a ridere e si gira verso l'amico. – Il caratterino è sempre quello. – Si gira verso di me. – Bene, dolcezza, iniziamo?
Cerco di alzarmi per fare come gli ho promesso, ma sento come se un enorme mano mi stia tenendo ferma. Quindi è un mago, o meglio stregone. – Lasciami andare, strega. –Però mi sento spingere fino a farmi sdraiare a sul letto.
– Sei fortunata, Cassie Moonic – ringhia lo stregone. – Ora capisco perché Jeremy ce l'ha tanto con te. Sei ancora più stronza, sai?
– Chissà perché, il fatto che tu conosca così bene Jeremy Ruterful non mi stupisce per niente – ribatto io.
– Va bene, basta così – s'intromette l'uomo di nome Louis. – Andrew, inizia per favore.
Appena se ne va dalla stanza mi rannicchio sul letto, sotto le coperte, al caldo. È estate ormai, ma continuo a sentire freddo. So benissimo che non è una bella notizia, che è la conferma di quanto io stia male, ma che ci posso fare? E, oltretutto, Andrew mi ha già accennato al fatto che mi sarei sentita molto spaesata e debole dopo tutti gli incantesimi che mi ha fatto insieme ad una ragazza di nome Caroline, che dice di conoscermi, anzi mi ha detto che è stata lei e uno stronzo di nome Derek (parole sue, non mie) a potarmi all'Istituto, e Louis le ha dato ragione, quindi credo proprio dicesse la verità.
I pensieri e i ricordi sono ancora abbastanza confusi, sento ancora molti buchi nella mia testa, ma almeno adesso so che era colpa di Cole. Ora riesco veramente a pensare lucidamente, ora riesco veramente a capire cosa mi ha fatto passare Cole.
Eppure ancora ci sto male. Ancora lo voglio indietro.
Di pomeriggio, una ragazza dai capelli rossi e Caroline fanno capolino alla mia porta. – Abbiamo pensato che... sì, insomma... – inizia la ragazza dai capelli rossi. Fa un sospiro, imbarazzata e nervosa. – Non so nemmeno se ti ricordi di me, molto probabilmente no. Ti ricordi di me?
La guardo attentamente. Lentiggini sparse su tutto il viso, capelli rossi lisci come spaghetti, occhi verdi come Louis Dempson, gambe e labbra tremanti. Ma certo che mi ricordo di lei. – Sì – rispondo io abbassando lo sguardo. – Ti chiami Ivy Dempson e sei la figlia di Louis, il capo dell'Istituto, dove vivevo. Eravamo migliori amiche, se non mi sbaglio.
– No, non ti sbagli – dice lei con voce tremante. – Sei qui per restare?
Faccio spallucce. – Dove altro potrei andare?
– Va bene, basta con queste parole melodrammatiche. Cassie, siamo qui per renderti almeno decente – s'intromette Caroline. La guardo dalla testa ai piedi, a volte riesco a ricordarmi qualche aneddoto, dove era presente anche lei, ma sono comunque pochi. Nelle poche immagini che trovo pescando a casaccio nella mia mente, lei ha dei capelli molto lunghi, mentre adesso non superano le spalle, e neri, che s'intonano molto bene alla sua carnagione scura e ai suoi occhi, altrettanto scuri.
– Mi vado bene così, grazie – ringhio io guardando la tinta che ha in mano Caroline.
– Davvero? Fidati, cara, quando ti ho incontrato, eri una bella ragazza. Adesso sembri più uno zombie.
Alzo gli occhi al cielo. – Mi vado bene così.
– No, non lo accetto, mi dispiace – borbotta Caroline avvicinandosi a me.
– Non ti avvicinare – ringhio io. – Non con quella cosa in mano – aggiungo puntando con il dito la tinta. Sono quasi sicura al cento per cento che se tingerò i miei capelli, cadranno a terra prima che riesca a vedere come un colore così chiaro mi possa stare.
– Oh, e dai! Non fai sul serio – ribatte Caroline ridendo. – Non ti uccide. Ok, forse ucciderà i tuoi capelli, ma almeno non sembrerai più una vecchia decrepita!
– Preferisco avere i miei capelli bianchi che non averli affatto.
– Non hai voglia di cambiare? Voglio dire, dopo tutto quello che ti è successo credo che cambiare sia proprio una bella cosa. Dovresti fare cose normali, come per esempio tingersi i capelli.
– Tingersi i capelli a diciassette anni però non è proprio normale – borbotta Ivy.
Caroline fa spallucce. – Invece molti adolescenti si tingono i capelli – risponde. – Oh, e dai! Dovremmo cercare di allentare la presa ogni tanto, non credete? Dopo tutto quello che sta succedendo ci meritiamo anche noi almeno mezzo pomeriggio da umane!
– Ma quanti anni hai? – chiedo io.
– Ehi! Ho solo vent'anni – risponde Caroline, realmente dispiaciuta. Purtroppo devo ammettere che se li porta proprio male. – Comunque – borbotta, – iniziamo.
Dopo essere state chiamate circa cinque volte, Caroline e Ivy si fermano e mi girano per farmi vedere i capelli. Mi sento cadere. È orribile; presentabile, ma orribile. Devo ammettere che il colore è bello, ma non mi sta bene! Non quando è platino. Non quando i miei capelli sono così corti!
– Allora? – chiede Caroline, elettrizzata.
Poiché non aggiungo niente, è Ivy a dire qualcosa. – È tutta questione di abitudine, Cassie. Il colore ti sta bene, è uguale a quello che avevi da piccola, quindi non può starti male. Il taglio... bé, è fatto bene e secondo me ti fa sembrare più...
– Piccola – finisco io. – Il taglio mi fa sembrare più piccola.
– Veramente stavo per dire dolce – borbotta Ivy, triste.
– Oh, zitte tutte e due! Questo taglio ti fa cazzuta, Cassie – esclama Caroline.
– Cazzuta? – le faccio eco io. – Sì, quanto un barboncino!
Ivy trattiene una risata cercando di coprire il suo viso rosso con i capelli, senza riuscirci però, poiché le sto davanti. Per fortuna, Caroline le sta accanto. – Bé, cazzuta o no, ormai questi sono i tuoi capelli. E ora andiamo a mangiare. Sto morendo di fame.
Arrivata nel salone - dove a quanto pare loro mangiano - mi viene quasi un colpo. A quanto pare, Louis aveva ragione: qui la gente si vuole veramente bene. Tutti si sorridono mentre si passano il cibo, i bambini danno giocano insieme ad altri condividendo i propri giochi, gli adulti parlano di tutto con tutti. Ma non è questo che mi fa capire quanto si vogliano bene, è il loro sguardo quando incontrano quello di un'altra persona. Si guardano con rispetto, come se ognuno sia esattamente uguale a loro; ma soprattutto condividono la tristezza e la affrontano insieme. In più sorridono pure.
Però, appena un ragazzo dai capelli rossi alza lo sguardo verso di me, tutti fanno lo stesso e rimangono in silenzio per troppo tempo, facendomi capire quanto loro non siano la mia famiglia, facendomi capire quanto io non c'entri niente con loro.
Il ragazzo dai capelli rossi si alza e viene verso di me sorridendomi. – Ciao – mi saluta. – Io sono un tuo vecchio amico, Scott.
Abbasso lo sguardo cercando di ricordarmi. – Scott – ripeto io guardandolo con gli occhi. – Sì, ma certo. Mi ricordo di te.
– Davvero? – chiede lui sorridendomi. – Comunque, adesso non ha importanza. L'importante è che tu ti unisca a noi, poi si vedrà. – Mi prende per mano e, d'istinto, mi allontano subito. Lui, invece di reagire male, mi sorride ancora di più e mi fa segno di sedermi accanto a lui. Riluttante, mi siedo accanto a Scott, che sembra il ragazzo, anzi l'essere umano, più normale in questa casa.
Tutti si rimettono a mangiare e a parlare contemporaneamente. Li guardo un po' contrariata, perché a tavola quando c'era Cole Ruterful, non potevamo parlare. È per questo che, quando Scott cerca di attaccare bottone con me, me ne sto zitta e continuo a mangiare. Sembra prendersela un po', ma fa finta di niente e ricomincia a mangiare.
Mi accorgo che proprio accanto al posto di Louis, c'è Jeremy Ruterful, e mi sta fissando contrariato. Cerco di guardarlo a mia volta ma continua a spaventarmi questo ragazzo. Non mi fido di lui, c'è qualcosa di oscuro e d'ora in poi voglio solo stare lontano dall'oscurità il più possibile. Quindi abbasso lo sguardo verso il cibo che ormai è diventato freddo e cerco di mangiarlo comunque.
Non so perché ma non riesco a ricordare niente di Jeremy Ruterful, e questo non fa altro che alimentare i miei dubbi. Non capisco perché la vecchia me avrebbe dovuto stare con un ragazzo come lui, così freddo e cattivo. Le uniche cose che mi ricordo sono che – per qualche motivo – quel ragazzo mi ha picchiato. Ma le immagini ormai sono così confuse che non riesco nemmeno a capire se sia accaduto realmente o no.
Continuo a sentire lo sguardo freddo di Jeremy addosso. Sembra non importargli niente della cena, ha occhi solo per me, e purtroppo non in senso positivo. Non che io voglia che lui provi qualcosa per me, però sembra mi voglia uccidere da un momento all'altro, e questo riesce a farmi togliere del tutto l'appetito. Quindi sposto il piatto, mi alzo. – Con permesso – mormoro alzandomi. Tutti mi guardano, il silenzio regna un'altra volta, mentre alzo lo sguardo per capire cosa abbia fatto di male. Jeremy continua a guardarmi freddamente, Scott invece mi sorride e annuisce. Scuoto la testa, non capendo nessuna di quelle persone e me ne vado in camera mia.
Quando apro gli occhi, mi trovo esattamente al centro del mio vecchio salone, Cole è seduto sulla poltrona e continua a guardare il camino spento, passando il mignolo sulle sue labbra. Nella casa regna il silenzio assoluto, perché Cole Ruterful è arrabbiato e quando è così di brutto umore, è meglio rimanere in silenzio e non guardarlo nemmeno.
Ed è quello che faccio anch'io quindi: rimango in silenzio, ma non posso fare a meno di guardarlo. Sono così arrabbiata con lui.
– Mio signore, per caso vuole... – inizia un suo servitore.
– Silenzio! La vostra voce m'innervosisce ancora di più – lo interrompe però Cole alzando la mano verso il servitore. Lo guarda con odio e così l'altro cerca di farsi piccolo piccolo. – Abbiamo ricevuto delle lettere da parte di Jeremy Ruterful, mio caro?
– Non ancora, mio signore – balbetta il servitore-mostro.
Cole fa una smorfia. – Questo non fa altro che innervosirmi ancora di più. – Riporta il suo sguardo verso il camino con gli occhi socchiusi. – Mi stai disturbando. Vattene. Abbiamo visite.
Il mio cuore fa un balzo, mi guardo intorno ma non vedo nessuno.
– Ma signore...
– Vattene – ringhia Cole Ruterful accendendo una fiamma sul suo palmo. Il mostro fa un inchino e se ne va praticamente correndo. Il silenzio non fa altro che mettermi ancora più ansia, so che lui sa che sono qua. Eppure non dice niente. – Allora, Cassie, che ci fai qua?
Sussulto ma vado subito al dunque. – Perché mi hai fatto questo? Pensavo che fossimo una squadra.
– Io non faccio squadra con nessuno, piccola. Sono solo io. – Sospira. – Mi dispiace per averti lasciato sola tutto questo tempo, ma come ti ho appena detto, lavoro da solo e questo significa che mi preoccupo solo di me stesso. Immagino che già ti abbiano fatto il lavaggio del cervello, perché sennò non saresti nemmeno riuscita a parlarmi, quindi non riesco proprio a capire il perché tu continui a volermi nella tua vita.
– Cosa? Cole, tu sei il mio fidanzato. Il padre di...
– Di un bambino che non esiste più. Per colpa tua, inoltre. Ti ho fatto addestrare, ma sei riuscita a farti rapire anche così. Sei riuscita ad uccidere nostro figlio – ringhia Cole.
– Sai benissimo che la cosa mi uccide, Cole – balbetto io con voce tremante. – Era anche figlio mio.
Scuote la testa. – Vattene.
– Cole... – inizio io, ma lui si alza e va verso il caminetto. Aggrotto la fronte, non capendo cosa stia facendo. Poi però, quando prende l'attizzatoio, sussulto. Scuoto la testa, Cole non mi farebbe mai una cosa del genere, vuole sicuramente fare qualcos'altro. Alza la mano e una scia di fuoco mi viene incontro fino a scottarmi la caviglia. Un urlo esce dalla mia bocca e sono quasi sicura al cento per cento di aver urlato veramente. – Sei impazzito? – urlo io piangendo. Alza l'attizzatoio e si accende una fiamma proprio sulla punta. – Cole? – mormoro io iniziando ad indietreggiare per cercare di uscire dal sogno.
Tira l'attizzatoio infuocato con tutta la forza che ha e mi prende in pieno. Sento il fuoco bruciarmi e la punta dell'attrezzo entrare nella mia pelle.
Mi sveglio urlando. Qualcuno mi stringe a sé cullandomi un po', mentre continuo a muovermi per scostarlo e vedere se ho veramente la ferita. Tasto il mio petto cercando la ferita, ma non la trovo, sto tremando. Alzo lo sguardo e vedo un ragazzo dai capelli ricci. Rimaniamo in silenzio mentre cerco di ricordarmi di lui.
– Isaac? – mormoro io.
– Sì – risponde lui accarezzandomi il braccio. – Stai tremando. Che cos'hai? Non ti senti bene?
Abbasso lo sguardo un'altra volta per cercare la ferita. Sento ancora il fuoco bruciarmi e il dolore di avere un attrezzo infilzato. – Sto... bene. Ho fatto un sogno e...
– Hai sognato Cole Ruterful? – chiede lui. – Cosa ti ha fatto?
Lo guardo dritto negli occhi. Posso pure ricordarmi quello che è successo veramente, ma la verità è che non provo più niente per nessuno di loro. Non gli voglio più bene. Ormai sono una ragazza completamente diversa. Prima o poi sarei dovuta crescere. Tutti paghiamo i nostri sbagli ed io li sto pagando uno ad uno, con la mia imminente morte.
– Niente. Non mi ha fatto niente – mormoro io distogliendo lo sguardo. – Ho sonno.
– Va bene. Vuoi che rimanga qui con te? – chiede Isaac continuandomi ad accarezzare.
Mi allontano da lui. – No, grazie. – Ci metterò ancora un po' ad abituarmi. Forse posso crescere ancora un po'.
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