Capitolo 39: A fuoco

- Sveglia! – urla Ivy. Mi alzo di scatto e sono pronta a prenderla a cazzotti, ma mi rendo conto che è solo Ivy e quasi mi sono abituata alle sue alzate mattutine, quindi la guardo solo male. – Senti – inizia lei come se niente fosse, - mio padre ha detto che abbiamo una missione. In teoria dovevi farla con Jeremy, ma ovviamente non vuole. In più sta sera devi uscire con i tuoi amici, quindi ti devi preparare e, calcolando il fatto che sono le undici di mattina, siamo in ritardo.

A quanto pare mi ha organizzato tutta la giornata, fantastico. Sbuffo e mi alzo dal letto, poi scendiamo giù per fare colazione.

– Ehi! – ci saluta Harry con la mano.

Gli sorrido e lo saluto con la mano, mi ricordo che ancora non l'ho ringraziato per avermi salvato la vita e lo sto per fare ma rivolgo un'altra volta lo sguardo davanti a me e vedo Jeremy, quindi tutte le mie buone intenzioni se ne vanno e Harry scompare. La mia anima gemella a quanto pare ha una nuova conquista, che novità! – Mi dispiace – s'intromette Ivy, ormai accanto a me.

– Non esserlo – borbotto io e gli passiamo accanto senza che lui si accorga di me. Meglio, così almeno non fa le sue solite battutine.

Facciamo colazione molto lentamente, o almeno io provo a farlo e Ivy continua a ripetermi di sbrigarmi perché sennò non riusciamo a fare in tempo per l'uscita di sta sera. Quindi continuo a mangiare in macchina anche quando siamo arrivate davanti la casa delle sirene dove dobbiamo fare un'ispezione, fino a quando Ivy mi toglie il cibo dalle mani, lo butta a terra e mi trascina fuori dalla macchina borbottando qualcosa.

– Aprite! – urla Ivy bussano alla porta, sembra quasi volerla spaccare ed è assurdo come diventi una persona completamente diversa quando va a lavoro. Anche se alla fine tutti noi cambiamo, tranne Jeremy, che è stronzo anche quando non lavora.

La porta si apre subito facendoci vedere un uomo sui trentacinque anni. – Cacciatori – borbotta, irritato. – Cosa posso fare per voi? – chiede mettendo un finto sorriso, poi si fa da parte. – Vi prego, entrate. – Io e Ivy ci guardiamo per un po' e poi entriamo. Chiude la porta sorridendo. – Quindi, cos'è successo?

– Abbiamo degli ordini – risponde Ivy freddamente guardando il capo-sirena, mentre do un'occhiata alla casa molto rapidamente per cercare di non infastidire nessuno. È così che abbiamo programmato la missione: lei parla con il capo e io controllo.

– Io vado a vedere in giro – mormoro a Ivy, che annuisce, così guardo il capo che è obbligato a darmi il consenso di fare il giro delle camere fino a quando non sono sicura al cento per cento che sono puliti. Impugno la spada e maledico Louis mentalmente, perché mi ha obbligata a usare solo ed esclusivamente la spada. La spada è il simbolo dei Cacciatori, mi ha detto anche sta mattina come tutte le volte che ho una missione, se non la sai usare come se fosse un'estensione del tuo braccio allora non potrai mai e poi mai usare le altre armi.

Mi dirigo in cucina e mi guardo attorno. Aggrotto la fronte e il mio cuore salta un battito quando vedo alcune macchie rosse. Mi avvicino ancora di più per accertarmi che si tratti di sangue: l'odore è quello del sangue e la consistenza anche, ma deve essere di alcuni giorni fa. Mi schiarisco la voce e urlo: – C'è del sangue qua!

La casa è molto silenziosa, quindi appena sento un urlo sussulto e corro in salone, perché sono sicura che si tratti di Ivy. Mi fermo di scatto per non andare addosso a una donna dai capelli scuri che m'intima: – Io non mi muoverei se fossi in te. – Si mette esattamente davanti a me e sorride, mettendo in bella mostra i suoi canini da vampira.

– Ah, ecco – borbotto io impugnando bene la spada. – Allora avevamo ragione. – Non faccio in tempo ad alzare la spada che la vampira non è più davanti a me, bensì dietro.

– Ti posso rompere il collo in meno di tre secondi – ringhia lei a bassa voce. Forse pensa di farmi paura, spera che io mi metta a tremare e pregarla di non uccidermi. Ma non mi conosce e non sa niente di me. Può sperare quanto vuole, non avrà mai niente da me se non una morte lenta e dolorosa.

Scoppio a ridere. – Non sai con chi stai parlando, succhia-sangue.

Questa volta è lei a ridere, ma è così falsa che diventa ancora più ridicola. – E chi saresti? – mi chiede. – La Whitesun? – butta là scoppiando a ridere. A questo punto scoppio a ridere insieme a lei e così smette subito, s'irrigidisce. – Non ci credo – ringhia lei. Sorrido e alzo le sopracciglia, vorrei poter vedere la sua espressione in questo momento e vorrei che lei vedesse la mia. Ma non si può, perché in meno tempo possibile mi giro e la sua testa è a terra, staccata dal suo collo. Molto meglio a terra, comunque.

Il senso di benessere se ne va subito quando mi accorgo che Ivy è a terra, ricoperta di sangue. Il mio cuore fa un balzo e sembra essere rotto mentre il mio corpo è già partito verso tutti quei mostri che stanno sopra di lei. Con la spada lascio dei piccoli tagli su ogni mostro sopra di lei, essi urlano e si girano verso di me. Gli sorrido per cercare di farmi forza. Li devo uccidere, poi potrò andare da lei. Ma in pochi secondi sono a terra e non riesco a respirare, alzo la spada ma riesco solo a fare un piccolo taglio sul fianco del mostro di destra, che urla indietreggiando. In questo modo riesco ad uccidere quello che sta subito dopo di lui e a ferire gli altri, che indietreggiano.

Così riesco finalmente ad alzarmi, tutti i demoni continuano a indietreggiare con una sola sirena accanto: il capo. – Attaccate! – urla lui. Corro verso di lui ma i mostri iniziano a mordermi le gambe e così, lasciando uscire un urlo dalla mia bocca, infilzo la spada nella prima testa del mostro che vedo. Sono così arrabbiata che riesco a uccidere anche gli altri e quando mi manca solo il capo gli lancio un'occhiataccia. – Toccami e avrai vampiri su vampiri pronti a darti la caccia – mi avvisa lui.

Mi avvicino senza pensarci. – Dovresti sapere che odio i vampiri – ringhio io e lo spingo così forte che va addosso al muro. – Ma soprattutto, dovresti sapere che odio anche voi sirene. – Inizia a urlare qualche nome e così lo ferisco infilzando il coltellino che ho nella cintura nel suo addome. Egli cade a terra e sussulta per il dolore, così ne approfitto e gli tiro un calcio per poi prendere la spada e ucciderlo del tutto.

Mi giro verso Ivy, che respira a malapena. Corro verso di lei con il cuore all'impazzata, non riesco a capire! Perché non è riuscita a difendersi?! Mi accorgo di star piangendo quando sono seduta vicino a lei. Ha dei morsi di vampiro. Cerco di prenderla in braccio ma sono troppo piccola e lei è troppo grande, quindi la trascino fuori praticamente correndo, pensando che se ce l'ho fatta con Jeremy ce la posso fare anche con lei. La faccio sdraiare nei sedili posteriori della macchina e parto a razzo. Vado così veloce che in dieci minuti siamo davanti l'Istituto.

– Aiuto! – urlo io mettendole un braccio sulle mie spalle e trascinandola un'altra volta verso l'Istituto. – Aiuto! Vi prego! – Louis e dei dottori corrono verso di noi. – Ci hanno attaccate – annuncio subito dando Ivy ai dottori. – L'hanno morsa. Le ho iniettato un po' di acqua santa non sapendo.... Non so perché glie l'ho messa, dopotutto noi non possiamo diventare vampiri, ma non sapevo...

– Va bene così – mi ferma Louis con le lacrime agli occhi. – Va bene così – ripete a bassa voce prima di correre dentro l'Istituto per stare insieme a sua figlia.

Non posso entrare là dentro, mi sento troppo in colpa per tutto quello che è successo. È colpa mia, non la dovevo lasciare sola. Non pensavo... Pensavo potesse cavarsela da sola. Ed è così, lo so! Devono averla presa alla sprovvista o qualcosa... Già posso sentire le urla di Isaac mentre chiama il suo nome. Mi metto le mani davanti alla faccia pregando Dio di non farla morire, non posso farcela senza di lei.

– Cassie – mi chiama una voce che ora come ora non posso proprio ascoltare. Jeremy esce dall'Istituto con un sorriso stampato in faccia. – Che è successo?

Non gli rispondo e mi alzo per entrare dentro l'Istituto, perché preferisco stare là dentro che qua fuori con questo mostro. Una volta entrata dentro l'Istituto non posso non andare nell'area dell'Istituto riservata all'ospedale. – Come sta? – chiedo vedendo Isaac fuori dalla sala d'operazione.

– Com'è successo? – urla lui piangendo. – Come hai fatto? Dovevate stare insieme! – urla.

Indietreggio perché so quanto il dolore possa farci fare cose che non vogliamo realmente fare, e so anche che questo ragazzo può essere veramente letale come Cacciatore, quindi figuriamoci come semplice umano. – Mi dispiace. Ero andata a controllare e...

– Ecco! – tuona lui prendendomi le braccia e stringendole più del dovuto. – Non dovevi farlo! Perché siete così stupide?! Non dovevate! – Mi spinge ma per fortuna riesco a rimanere in piedi, mentre lui cade a terra piangendo. Faccio un passo verso di lui, perché il mio primo istinto è quello di consolarlo e scusarmi, ma decido di lasciarlo stare e andarmene.

Entro dentro la macchina più arrabbiata di prima e l'accendo anche se so che quello che sto per fare è una missione suicida. Parto e mi fermo solo una volta arrivata nella casa di quelle maledette sirene. Apro la porta senza chiedere il permesso. – Fatevi vedere! – tuono io, senza ricevere alcuna risposta. – Vampiri schifosi, fatevi vedere! – Avverto un movimento d'aria e così mi giro di scatto, ma non c'è nessuno. – Siete tutti uguali. Tutti con gli stessi giochi schifosi.

– Vuoi morire, per caso? – chiede qualcuno, ormai davanti a me.

Non sussulto, non gli darò mai questa soddisfazione. – Perché fate quello che fate? Dovreste essere morti da un po' ormai – ringhio io.

Ride avvicinandosi a me, tocco la mia spada cercando una qualche rassicurazione da parte di essa. – C'è qualcuno – dice il vampiro avvicinandosi ancora di più – che è molto arrabbiato con te e... sai com'è, io non avevo una famiglia e lui è venuto da me e mi ha detto quello che potevo fare. Quello che potevamo fare insieme se solo avessi deciso di non provare più niente. – Sorride. – Vuoi sapere cos'è questa cosa che dobbiamo fare? Ucciderti.

Sentendo quella risposta tolgo la mia spada dal suo fodero, ma un secondo dopo sono già a terra senza spada. Tossisco sentendo ogni singola ossa rotta. – Ciao, Whitesun – mi dice un altro. Mi alzo ma il secondo dopo il vampiro mi tira un calcio così forte da mandarmi a sbattere contro la parete, molto lontana dal punto in cui stavo. Tossisco un'altra volta, incapace di respirare regolarmente. Mi guardo intorno per cercare di capire quanto la situazione sia grave: un vampiro ha preso la mia spada, così afferro il mio coltello, ma poco dopo qualcuno me l'ha già preso. Mi alzo un'altra volta, ma ormai non c'è più nessuno.

– Ti piacerebbe – esclama qualcuno dietro di me. Mi da un calcio così forte da farmi letteralmente volare fino ad andare a sbattere contro la parete opposta. Una volta a terra urlo, sia dal dolore che a causa del vampiro che sta proprio sopra di me che sta alzando la mia stessa spada, pronto a uccidermi. Poco dopo però lo sento urlare e quando metto a fuoco mi rendo conto che sta andando a fuoco. E i suoi amici lo raggiungono poco dopo.

Alzo lo sguardo dopo aver visto la fiamma scomparire. Ora tutti i vampiri corrono per la casa mentre vanno a fuoco e c'è una persona davanti alla porta d'ingresso. Un ragazzo: Jeremy. Solo quando i vampiri scompaiono del tutto Jeremy inizia a parlare. – Non pensavo fossi così stupida – esclama avvicinandosi a me. – Venire qua da sola...– Ride. – Sei una ragazzina impulsiva. Una ragazzina stupida e impulsiva.

Sento la rabbia bollire dentro di me. – Che ci fai qua? – chiedo, perché mi da così fastidio! Se proprio avevo bisogno di essere salvata, non poteva farlo qualcun altro?!

– Louis quando non ti ha vista ha capito subito e mi ha mandato qua con la forza – risponde lui e non ne sembra molto contento, chissà perché. Annuisco passandogli accanto per uscire dalla casa. Non c'è più niente da salvare, ormai. – Un "grazie" non farebbe male, lo sai? – mi chiede ironicamente, ormai accanto a me.

– Ah, giusto – esclamo io aprendo lo sportello della macchina. Entro. – Allora quando arriverò all'Istituto andrò a ringraziare Louis. Ma grazie per avermelo ricordato. – Fa un sorriso forzato e così anch'io. Accendo la macchina e parto senza pensare nemmeno al fatto che era un po' troppo vicino alla macchina e che avrei potuto fargli male.

Ormai sono ore che sto accanto a Isaac e Louis, mentre aspettiamo che Ivy si svegli, ed è un'agonia. Ha perso molto sangue ha detto il dottore, ci metterà un bel po' a svegliarsi. Ogni secondo mi sembra un'ora e non ce la faccio più ad aspettare. Devo vederla respirare un'altra volta. – Forse dovresti andare a farti una doccia – mormora Louis, così a bassa voce che quasi non lo sento. – Non puoi presentarti così quando si sveglierà.

Lo guardo, confusa. – Perché no?

– Perché sei ricoperta del suo stesso sangue – risponde Isaac freddamente continuando a guardare davanti a lui. È ancora arrabbiato con me, mi da la colpa, e questo non fa altro che farmi stare più male. Non capisce. Non mi sono mai dovuta preoccupare per gli altri, ho sempre saputo che loro se la sarebbero cavata sicuramente meglio di me, soprattutto Jeremy. Ma Ivy non è Jeremy.

Mi alzo, pronta per andarmene, quando mi ricordo di una cosa. – Ah, Louis, Jeremy mi ha raccontato quello che hai fatto per fare in modo di salvarmi la vita. Grazie. Anche se sinceramente non so come tu sia riuscito a farlo venire da me contro la sua volontà.

Louis alza lo sguardo su di me e il mio cuore fa un balzo: è assurdo come sembri più vecchio in questo momento. – Cassie, io non ho detto niente a nessuno – mormora lui. A quel punto collega il tutto e si alza dalla sedia. – Salvarti la vita? Che hai combinato questa volta?

Aggrotto la fronte. – No. No... – mormoro io, non capendo. – Tutto questo non ha senso.

Louis si mette le mani davanti il viso e lo sfrega. – Non posso pensare a questo adesso. Non ho la forza di parlare, figuriamoci di sgridarti. – Si siede. – Vai a cambiarti, per favore.

Faccio alcuni passi indietro continuando a guardare Louis in cerca di una risposta, ma lui in realtà non sa nemmeno la domanda. Quindi guardo Isaac, che però sembra non aver ascoltato una parola della nostra conversazione. Mi vengono le lacrime agli occhi sentendo la speranza riaccendersi dentro di me, perché questo significa che Jeremy è venuto di sua spontanea volontà.

Sto leggendo su una poltrona, nel salone dell'Istituto, per cercare di tranquillizzarmi un po', anche se sembra abbastanza impossibile. Christian continua a saltare sulla poltrona accanto alla mia e a parlarmi, e questo non fa altro che distrarmi dalla mia lettura, ma non so ancora se sia una cosa negativa o meno. Non posso pensare a Ivy, non posso pensare a Jeremy, ma posso pensare a Christian e al mio libro.

– Cassie, guarda! C'è Jeremy! – esclama Christian andando incontro a Jeremy, che lo abbraccia. A quel punto Christian lo prende per mano e lo trascina verso di me. – Allora? Che facciamo?

– Che significa? – chiedo io chiudendo definitivamente il libro. – Piccolo, che significa?

– Non sono piccolo – mi rimprovera Christian distaccandosi da Jeremy e facendo il finto offeso.

Gli accarezzo la guancia sorridendo. È così carino! Da grande farà morire le ragazze d'infarto, ma per ora... – Per me sarai sempre il mio piccolino – ribatto io sorridendogli, mentre lui invece mi fa la linguaccia. Scoppio a ridere, ma dura poco, perché sento Jeremy ridere tanto quanto me e un brivido passa per tutto il corpo. Alzo lo sguardo su di lui mentre continua a ridere.

– Usciamo, Grande Uomo – risponde poi Jeremy.

– No. Jeremy, io non so se...

– Non me ne frega niente – risponde Jeremy fermandomi. Mi sorride come un innocente.

– Il bambino è anche sotto la mia protezione. Non puoi fare come ti pare! – dico io, irritata. Alza le sopracciglia come per dire "ah, davvero?" – Portalo fuori d qua e lo dirò a Louis, Jeremy. Non hai il diritto di fare tutto questo.

Jeremy ride. – Come se avessi paura di Louis – risponde.

Mi alzo, ancora più arrabbiata. – Perché cazzo t'interessa Christian? – urlo io e a questo punto tutti iniziano a fissarci, ma per la prima volta non m'interessa, perché l'incolumità di Christian è molto più importante della mia timidezza. – Sei ridicolo! Non provi più niente, eppure porti lui fuori! Ormai dovresti sapere che non hai più nessun diritto su di lui, perché sei così insignificante per quest'Istituto che non hai più la sua tutela. E sai quando te l'hanno tolta? Quando non ha più potuto dormire insieme a te, perché non riuscivi nemmeno a controllare il tuo stesso potere.

– Attenta – ringhia Jeremy avvicinandosi a me, come per spaventarmi, ma stranamente non lo sono affatto.

– Jeremy – lo chiama una ragazza. Lui alza gli occhi al cielo e si gira verso di lei, la guarda e sta cercando di farle capire che non gli interessa. – Dobbiamo parlare – ringhia lei, perché a quanto pare è stupida, ma fino a un certo punto.

– Dovreste smetterla di litigare – borbotta Christian quando la ragazza prende Jeremy e lo trascina via. – Non sono piccolo e stupido. Non capisco perché tu ce l'abbia tanto con lui, ma ci rimane male ogni volta che lo tratti male. – Mi guarda e per pochi secondi mi sembra di vederlo più grande, perché questa conversazione non è da lui ed è così strano vederlo arrabbiato. – Io vado da Jeremy.

– No, Christian... – esclamo io alzandomi dalla poltrona, cerco di prendere il suo braccio ma è più veloce di me e se ne va. Jeremy si gira verso di noi, così mi risiedo guardando negli occhi. Capisce che lo sto avvisando e mi annuisce, facendomi capire che ci pensa lui e fa segno a Christian di raggiungerlo.

Poi però un rumore assordante mi spaventa così tanto che mi butto a terra e mi copro le orecchie con le mani. Quando riprendo il controllo del mio stesso corpo, apro gli occhi e riesco a sentire la gente urlare. Christian è ancora a terra, Jeremy è ancora lontano da lui e sta coprendo la ragazza e non il bambino. Uno strano rumore di un animale rimbomba nella stanza. Alzo lo sguardo e mi ritrovo a fissare un voltatile enorme sopra di noi, ma soprattutto sopra Christian, visto che sta puntando proprio lui.

Corro da lui senza pensarci due volte. – Cassie, no! – tuona Jeremy, ma ormai sono sopra Christian, lo avvolgo come uno scudo. Poco dopo gli artigli del volatile mi penetrano nella pelle e cerco di non urlare per non far spaventare Christian, ma il dolore è troppo forte.

Ricomincio a respirare solo quando non sento più gli artigli del mostro dentro di me. Il mio corpo si rilassa, nonostante i pianti di Christian. Sono troppo scioccata e malconcia per girarmi per vedere cosa sta accadendo nell'Istituto. Strizzo gli occhi sentendo di nuovo quella sensazione orribile della mia carne che viene tirata all'infuori a causa degli artigli. Tutto d'un tratto però non mi sento più a terra.

Urlo vedendo tutto dall'alto e sentendo delle parti della mia schiena strapparsi. Guardo Jeremy, che fa altrettanto, così bianco che sembra star per svenire; infatti poco dopo si aggrappa a qualcosa dietro di lui. A quel punto il mostro mi lascia cadere a terra da una distanza spaventosa. Una volta a terra il mio urlo cessa così in fretta che tutti trattengono il respiro. Riesco a sentirli, o meglio riesco a sentire che nessuno sta respirando. Ogni singola persona è in silenzio e sta trattenendo il respiro. Ma sto così male che non posso nemmeno urlare per il dolore. Sto male. Mi sembra tutto schiacciato dentro di me e non riesco a respirare.

Mi girano per fare in modo che stia a pancia in su, ma non riesco a respirare nemmeno così. – Cassie – mi chiama Jeremy mettendosi accanto a me. – Cassie – ripete più forte prendendomi il viso. Mi lamento e inizio a toccarmi il torace e la pancia per fargli capire che non riesco a fare nient'altro oltre che a questo. – Ok, ok. Ho capito. Ho capito – ripete lui più volte. Mi guarda negli occhi e poi lo abbassa. – Ti uscirà più sangue. Io non so... Non so cosa fare.

Il volatile urla e poi c'è uno schianto, che mi fa pensare che il mostro sia caduto a terra. Jeremy continua a guardarmi le ferite scuotendo la testa. Poi mi viene in mente Christian. – Chris... – bofonchio io.

– Sta bene. Sta bene – risponde Jeremy con il petto che gli si alza e si abbassa velocemente. – Grazie a te, sta bene.

– Ragazzi! – urla qualcuno, Jeremy posa lo sguardo da un'altra parte, molto probabilmente al ragazzo che ha appena parlato. – È per tutti noi – urla. – C'è scritto "Voi uccidete noi e noi vi faremo la guerra".

Aggrotto la fronte sperando di aver capito male, ma quando qualcuno urla: – Siamo tutti fottuti! – mi accorgo che purtroppo ho sentito fin troppo bene.

– Ragazzi! – urla Jeremy. – Non entrate nel panico. Siamo Cacciatori, siamo guerrieri. Chiunque voglia mettersi contro di noi, si mette anche contro gli Anziani. Non ci dobbiamo preoccupare. Ora ci dobbiamo preoccupare delle persone ferite e di quel volatile.

– Cassie! – urla Scott, che in pochi secondi è accanto a me. – Perché non l'hai ancora portata in infermeria? – tuona guardando Jeremy. – Coglione che non sei altro – ringhia prendendomi in braccio. – Fai tanto il leader della situazione quando non salvi nemmeno la tua anima gemella.

– Stai attento, Scott! – ringhia Jeremy prima di lasciarlo per farci andare in infermeria.

– Muori, coglione – risponde Scott prima di andarsene.

Entro in camera arrabbiata, perché mi hanno un'altra volta proibito di fare qualsiasi cosa e io odio stare qua dentro a non fare niente. Se iniziassi a non fare niente, i ricordi e i pensieri inizierebbero a torturarmi, cominciando da mia madre e finendo con Jeremy. Il problema è che tra queste due persone ci sono veramente troppe altre persone in mezzo, che sono morte.

Prendo dei jeans corti e una canottiera e li butto sul letto, mi slego i capelli e inizio a torturameli per cercare di calmarmi almeno un po'. Mi tolgo la mia maglietta e prendo la canottiera quando qualcuno parla. – Non dovresti farlo davanti a me.

Mi giro di scatto, spaventata, e il mio cuore fa un balzo. – Che ci fai in camera mia?! – tuono, arrabbiata.

– Volevo prenderti un po' in giro – risponde lui facendomi un sorriso malizioso. – Ma vedo che hai da fare – aggiunge indicandomi con il mento. – Rimango in silenzio e mi metto il giacchetto che era di mio padre. – Bel giacchetto – esclama lui. – Forse è un po' troppo grande. – Rimane in silenzio per un po', veramente troppo poco per i miei gusti. – A chi è che vuoi far sapere che hai un presunto ragazzo?

– Non sono affari tuoi – ringhio io andando in bagno per truccarmi. – Dopotutto non sei più la mia anima gemella, no? Allora perché non te ne vai da qualche parte? Possibilmente da qualche parte che sia il più lontano possibile da me.

– Perché? Ti do fastidio? – chiede lui, ma mi sta solo prendendo in giro. Forse è l'unica cosa che non è cambiata in lui: gli piace ancora darmi fastidio.

– Veramente sì. E poi non sei quello che esce tutte le sere per fare sesso con una ragazza diversa? – rispondo, spero che questo lo faccia allontanare, perché è veramente difficile parlare con lui ormai.

– Vero – dice ridendo. – Ma oggi non mi va molto di uscire... Non so come tu faccia ad uscire dopo tutto quello che è successo.

Mi giro verso di lui, arrabbiata, perché oltre a darmi fastidio mi vuole pure far sentire in colpa. – Non è successo niente oggi – ribatto freddamente. Vuole farmi stare male, ma non ci riuscirà. Non adesso.

– Ah no? – chiede ironicamente. – La tua amichetta è quasi morta, i tuoi amici ce l'hanno a morte con te, la tua anima gemella non ti ama e stavi per essere uccisa da un uccello volatile. Questo ti sembra niente?

Gli lancio un'occhiataccia. – Quello che mi succede non sono affari tuoi – ringhio io spostandolo per tornare in camera mia e mettermi degli orecchini che mi aveva comprato mia madre per il mio quindicesimo compleanno. Vado dritta verso la porta, tocco la maniglia e sento essa bruciare, così indietreggio subito. – Sei stato tu, vero? – chiedo io. Fa spallucce. – Perché? Cosa vuoi da me? – urlo, arrabbiata.

– Voglio che mi guardi in faccia – risponde lui. – Sto cercando di essere carino con te.

Scoppio a ridere. – Carino? – tuono. – E come? Ricordandomi tutte le cose brutte che sono successe per farmi sentire in colpa?

– Sto cercando di capire quanto stai soffrendo! – urla lui avvicinandosi a me.

– Lasciami stare, Jeremy! – sbotto. – Lasciami andare. Mi hai fatto capire come stanno le cose, ora perché devi cercare di farmi cambiare idea un'altra volta?! Cosa c'è che non va in te? – Rimane in silenzio a guardarmi. – Lasciami stare – mormoro prima di toccare un'altra volta la maniglia, che questa volta è fredda, e andarmene.

Entro nel ristorante ancora un po' scossa per quello che è successo con Jeremy. Prima o poi dovrò mettere le cose in chiaro con lui una volta per tutte. Deve capire che non voglio più parlargli, che non ha il diritto di fare le sue solite battutine, che non posso reggere ancora per molto questa situazione. Vorrei sperare in un suo ritorno e me lo sta quasi facendo credere, ma ho paura che si tratti di un altro dei suoi giochetti e non posso permettermi di soffrire ancora di più a causa sua.

– Cassie, qua! – urla Austin alzandosi dalla sedia e un braccio per farsi notare. Ci salutiamo tutti, Abby non si sforza nemmeno di sorridermi, ma Dan invece lo fa ed è così caloroso che tutta la rabbia quasi se ne va. Sono contenta che sia qua con noi. Mi siedo accanto ad Austin, che sta davanti ad Abby. Più la guardo e meno mi convince.

– Quindi – inizia Abby spezzando il silenzio tra noi che si è creato da quando ci hanno portato da mangiare, – avete intenzione di controllarci tutta la serata?

Mi schiarisco la voce, già irritata da questa sua mania di protagonismo. – Scusami? – chiedo. – Sono qua per stare con Austin, non per controllarvi. Quello che fate non sono affari miei, soprattutto quello che fai tu.

– Ah no? – chiede Abby. – Perché sembrerebbe di sì.

Le lancio un'occhiata e non sono l'unica. – Abby – l'ammonisce Dan, già stufo della situazione.

– Che vorresti dire? – chiedo io continuando a rimanere calma, anche se la ragazza qui presente mi rende il tutto veramente difficile. Mi chiedo cosa ci trovi Austin in lei, forse il suo comportamento da ragazza persa... Ad Austin è sempre piaciuto aiutare il prossimo, ma mi chiedo se questa volta ne valga la pena o no.

– Ragazze... – inizia Austin.

– Che si vede lontano un chilometro che sei ancora interessata ad Austin – sputa Abby, rossa dalla rabbia. A quanto pare non riesce a controllarsi tanto quanto me. Forse non dovrei farlo nemmeno io allora.

– Come, scusa? – chiedo io spalancando gli occhi. – Io ed Austin siamo solo amici, non sono affatto interessata a lui in quel senso.

– Ah no? – esclama lei alzando la voce. – Ma per piacere, non sono cieca – esclama lei nello stesso momento in cui io le dico: – Datti una calmata. Stiamo in un ristorante e indovina? Non siamo animali. – Rimaniamo per pochi secondi a guardarci negli occhi. – Non sono stupida, Cassie. Vedo come lo guardi e lo fai proprio davanti a me, come se mi stessi prendendo per il culo.

Faccio una mezza risata. – Ti prego, smettila di dire ogni singola cosa che ti passa per la mente e inizia a pensare. Pensare sul serio, non come stai facendo adesso.

– Mi stai dando della stupida? – ringhia lei alzandosi dalla sedia. La seguo e così ride. – Che vuoi fare? Menarmi? Ma per piacere!

Faccio per ribattere quando Austin ci ferma. – Ok, basta così! – esclama. – La volete finire?

– Non posso credere che tu mi abbia veramente invitato a cena per stare con questa – ringhio io guardandolo male. Appena si gira verso di me cerco di ricordargli tutto quello che gli ho detto su di lei, perché ora so che avevo ragione pure prima di conoscerla.

– Questa ha un nome! – urla lei alzandosi un'altra volta dalla sedia e i secondi dopo sono i peggiori, perché non ci vedo più dalla rabbia e potrei quasi saltare sul tavolo e menarla. Ma come ho detto prima, non siamo animali, e anche questa volta riesco a resistere.

– Mettiamola così: non m'interessa – ringhio io abbassando la voce e guardandola in cagnesco.

– Ok, ok – esclama Dan alzandosi. – Perché non ci calmiamo? Non c'è bisogno di fare una scenata del genere. Abby, la stai attaccando per nulla. Sei solo paranoica. Se solo...

– Cassie, ciao! – esclama Jeremy posando le sue mani sul nostro tavolo. Sussulto e mi giro verso di lui, che mi sorride maliziosamente. Rimango in silenzio con la bocca spalancata. Mi ci manca solo lui, se inizia con le sue battutine è finita. Sto cercando di salvarti il culo, quindi rispondimi e dimmi di sedermi con voi mi dice lui nella mente.

– Ciao – dico io. – Jeremy – aggiungo. Lui alza un sopracciglio, come per incitarmi ad andare avanti, e così lo faccio. – Perché... perché non ti siedi con noi?

Jeremy sfoggia un sorriso mozzafiato, facendomi capire che è felicissimo di questa mia proposta, o almeno sta fingendo di esserlo. Non capisco perché però. – Con piacere! – esclama sedendosi vicino a me. Guarda Austin, poi Dan e infine Abby. – Piacere, Jeremy – dice porgendo la mano a tutti e tre. – Cassie mi ha parlato molto di tutti e tre.

Tutti si guardano tra di loro, confusi. – Come vi conoscete? – chiede Austin, mentre Abby continua a tenere il muso, anche se sembra essersi calmata e anzi sembra quasi pentita di aver pensato che potesse piacermi Austin, quando conosco un ragazzo come Jeremy.

– Oh – esclama Jeremy sorridendo ancora di più. – Mi ricorda qualcosa questa scena, ma l'ultima volta che ho controllato i ruoli erano inversi – mi sussurra all'orecchio Jeremy. – Come ci siamo conosciuti? Oh, facile! Durante una festa. Lei stava con dei suoi amici e io l'ho puntata sin da fuori il locale. – Il mio cuore fa un balzo e così lo guardo, mentre lui continua a sorridere ad Abby. – Ma quello è stato solo l'inizio. Giusto, Cassie? – mi chiede guardandomi.

Rimango in silenzio a guardarlo dritto negli occhi, perché semplicemente mi sta uccidendo.

– Hai visto la faccia di Abby? – chiedo io ridendo, una volta che siamo dentro la macchina da un bel po' di tempo.

– Io voglio solo vedere la faccia di Louis una volta detto che abbiamo lasciato la macchina dell'Istituto là, davanti a quel ristorante – risponde lui. Rido girandomi verso di lui per guardarlo meglio. – Comunque sì, la faccia di Abby era fantastica. – Rido un'altra volta, prima di guardare fuori dal finestrino.

Mi slaccio la cintura di sicurezza spalancando gli occhi. – Jeremy?! – lo chiamo, spaventata, sporgendomi ancora di più verso il finestrino. L'Istituto è in fiamme.

– Lo so, lo vedo – risponde lui freddamente.

Scendiamo subito dalla macchina, fuori dall'Istituto c'è un sacco di gente e questa è una buona cosa. Questo è quello che mi ripeto per non entrare nel panico, fino a quando non mi ricordo di qualcuno. – Christian! – esclamo, e lo vorrei urlare ma sono così nel panico che a malapena mi esce un sussurro. Inizio a cercarlo con lo sguardo, ma quando non lo trovo prendo di scatto la mano di Jeremy, ancora più spaventata. – Dov'è Jeremy? – gli chiedo con le lacrime agli occhi.

– Lo sto cercando anch'io – risponde lui con lo stesso tono freddo.

Gli lascio la mano e inizio a correre verso un gruppo di bambini. Li giro uno ad uno, fino all'ultimo, poi entro ancora di più nel panico e vado da Louis, che mi dice che stanno cercando altra gente dentro. Questo significa che lui ancora non è fuori. Che sta ancora là dentro. Isaac sta accanto a Louis e tiene Ivy in braccio. Entrambi sono sotto shock tanto quanto me. – No... non è possibile – mormoro io girandomi verso l'Istituto. Mi ritrovo davanti ad esso senza nemmeno averci pensato, cosa che faccio subito dopo.

Qualcuno mi prende il polso per fermarmi e mi fa male. Quando mi giro, in preda ai singhiozzi, mi rendo conto che si tratta di Jeremy. – Dove vai? Non puoi entrare – dice con lo stesso schifoso tono.

– Lasciami! – urlo io cercando di liberarmi dalla sua presa. – Christian è là dentro!

– Lo so – esclama lui continuando a non mollare la presa. – Ma se entri non uscirai nemmeno tu.

Scuoto la testa girandomi un'altra volta verso l'Istituto. Lui non capisce, non può capirmi, dopotutto non prova niente! Non posso lasciarlo là dentro, devo andarlo a cercare anche se può sembrare una missione suicida. Devo provarci, sennò vivrò per sempre con il rimorso di non averlo fatto. Avrò il sangue di Christian sulle mie mani e non posso permetterlo. – Non possiamo lasciarlo così! – tuono io guardando Jeremy negli occhi.

– Cassie, smettila! – urla lui e per la prima volta sembra arrabbiato e preoccupato. – Non possiamo fare niente!

Lo strattono per cercare ancora una volta di liberarmi. – Lasciami andare! – tuono io continuando a strattonarlo.

– Non se ne parla nemmeno – risponde lui ritornando al suo tono freddo. Così inizio a colpirlo sul petto, ma mi prende anche l'altro polso, fermandomi del tutto. Mi strattona e mi tira verso di lui per farmi ragionare. – Smettila! Non puoi entrare. Fine del discorso.

– Perché lo stai facendo? – chiedo io piangendo. – A te non interessa niente. Allora perché lo stai facendo?

Si allontana da me e mi lascia le braccia. – Smettila di fare la ragazzina e agisci come una donna per una volta – ribatte lui.

Il mio cuore si spezza ancora di più sentendo quell'affermazione. – Allora lasciami entrare – mormoro io.

– No – risponde lui incrociando le braccia al petto.

– Spostatevi! – urla qualcuno da dentro.

Jeremy mi prede per le spalle e in pochissimo tempo sto già ad un metro di distanza. Mi giro subito per guardare il pompiere che sta uscendo con in braccio una donna, poi ne escono altri e uno di loro ha in braccio un bambino. – Christian! – urlo io riconoscendo il bambino che non si muove tra le braccia del pompiere con gli artigli. Cerco di andare verso di lui ma Jeremy mi afferra. – Chris... – la mia voce si ferma e inizio a singhiozzare. Cado a terra sentendo tutto il peso di una vita persa, una vita che contava su di me. – Non ti dovevo lasciare – dico a terra con le mani davanti il viso. – Non lo dovevo lasciare.

– Alzati – ordina Jeremy come un comandante ordina al suo soldato di allenarsi. Mi fa alzare con la forza, ci guardiamo negli occhi e poi è troppo: lo abbraccio. Così, senza preavviso. So che non avrei dovuto farlo, so benissimo quello che prova per me: niente. Completamente vuoto, ecco quello che è. Ma in questo momento devo provare ad abbracciare qualcuno. Devo riuscire a dimezzare il mio dolore abbracciando una persona, come succedeva quando io e Austin litigavamo e abbracciavo mia madre. Ma vorrei tanto stare male solo per una litigata.

Come previsto infatti Jeremy non ricambia l'abbraccio. Ci sono solo io che ho le braccia attorno al suo collo, in punta di piedi. In realtà non sto abbracciando nessuno, o meglio non sto abbracciando il mio Jeremy. Questo non è Jeremy, questo è un'altra anima intrappolata nel corpo di Jeremy.

Rimaniamo in silenzio e lontani per tutta l'ora, mentre aspettiamo anche se non sappiamo bene cosa. Louis continua a ripeterci che ci dovremo trasferire in un altro Istituto per un po' e che gli Anziani ci avrebbero aiutato a farlo. Quindi andiamo da loro.

– Salve, Cacciatori – dicono tutti gli Anziani facendomi rabbrividire. – Vi manderemo in un Istituto in Canada, precisamente a Toronto. – Tutti iniziano a bisbigliare. – Silenzio, Cacciatori! – esclama l'Anziano, irritato. E così il silenzio invade un'altra volta il palazzo.

Tutti gli Anziani si alzano e chiudono gli occhi; iniziano a recitare delle frasi in greco. Jeremy mi prende per mano e non faccio in tempo a chiedergli spiegazioni che il secondo dopo mi sento catapultata prima in avanti e poi indietro; e così fino a quando non mi sembra d'impazzire. Jeremy mi stringe la mano, la stringo sentendo una pressione alla testa e dei ragazzi urlare più forte di qualsiasi altra cosa mai sentita. Sto voltando. Sto volando nel vero senso della parola, solo che non lo controllo io. Non so dove sto andando. È come stare in un vortice, ti risucchia e non sai più cosa fare, perché in verità non puoi fare niente. Poi tutto d'un tratto cado a terra, su qualcosa di veramente freddo, e subito dopo qualcun altro cade a pochi centimetri da me. Le urla cessano e iniziano i lamenti.

– Dove siamo? – chiedo a Jeremy guardandomi intorno.

– Benvenuti! – esclama una donna con le braccia aperte, come pronta ad abbracciarci tutti. La donna sta sulla quarantina, ha dei capelli biondi che le arrivano fin sopra le spalle, degli occhi verdi e grandi con un filo di trucco. Indossa un completo a righe, con dei tacchi abbastanza alti e neri che la fanno ancora più alta di quello che già è. – Benvenuti nell'Istituto di Toronto. Seguitemi, prego. – Si gira e inizia a farci vedere le camere, che sono identiche a quelle del nostro Istituto. – Quindi... io mi chiamo Josephine Blake, ma voi Cacciatori potete chiamarmi Josephine e basta. – Fa un sorriso forzato. – Questo piano e quello successivo è dedicato a voi. Per fortuna, quest'Istituto è abbastanza grande per ospitare sia voi Cacciatori di Boston, sia quelli di Toronto. – Indica le stanze. – Prego, due persone a camera. Preferibilmente due maschi o due femmine – aggiunge e il suo tono mi fa capire che non è solo preferibile, è obbligatorio.

Mi guardo in giro per cercare Ivy, ma sta già entrando in una camera con Isaac. A quanto pare lei non ha appreso il concetto. – Dai, vieni – borbotta Jeremy trascinandomi dentro una camera. Mi fermo e lo guardo, scettica. – Vuoi rimanere sola? – chiede riuscendo a convincermi ad entrare. – Io prendo il letto a destra – dice poi sdraiandosi su di esso. Lo guardo senza dire niente, perché ho così tanti pensieri che non riesco a dirne nemmeno uno. – Cosa c'è?

Distolgo subito lo sguardo. – Niente – rispondo sedendomi sul mio letto. Mi guardo le mani senza dire altro. Non so dove voglio stare, ma non qua, non insieme a lui. Voglio ritornare nel mio Istituto. Voglio ritornare a Boston. Per qualche strano motivo ho paura.

– Non sembra "niente" questo – ribatte lui cercando di parlare con me, ma faccio finta di non averlo sentito. – Allora? – chiede quindi, irritato.

– Lascia stare, Jeremy! – esclamo io, più irritata di lui. Mi infilo sotto le coperte nonostante sia ancora vestita e aspetto tutto il tempo che ci vuole per calmarmi e far passare questa rabbia improvvisa. – Secondo te chi è stato a dare fuoco all'Istituto? – cambio discorso.

– Non fare come i bambini. Che ne so io?! – risponde lui infilandosi sotto le coperte come me.

– Ho detto "secondo te" – ribatto io, irritata.

– Saranno stati quelli che hanno portato il volatile dentro il nostro Istituto – risponde quindi, ed è strano che si sia arreso così facilmente. Forse è semplicemente stanco.

– È mai successo? Qualcuno vi ha mai detto che vi vuole uccidere? – chiedo io.

Ride. – Ci succede tutti i giorni, Cassie.

Alzo gli occhi al cielo. – Intendo a tutto l'Istituto, cretino – ringhio.

Rimane in silenzio per un po' e per un momento mi sembra d'intravedere paura nei suoi occhi. – No – risponde freddamente. – No, non è mai successo. – Mi alzo dal letto. – Dove vai? – chiede lui, allarmato.

– Devo vedere se Christian sta bene – rispondo io andando verso la porta della nostra camera.

– Non puoi girovagare per l'Istituto in questo modo. Non alle due di notte – mi ferma lui. – Lo so che sei preoccupata per Christian - lo sono anch'io -, ma non possiamo fare niente per lui – continua sedendosi sul letto. – Vieni, su! – esclama andando più a sinistra.

Aggrotto la fronte, titubante. – Perché?

– Così ti calmi. Anche se molto probabilmente ti servirà più un tranquillante per cavalli – borbotta lui alzando gli occhi al cielo. Sembra serio e soprattutto... sembra Jeremy, il ché è strano e spaventoso. Non mi devo fidare di lui, vero? Forse è solo un altro di quei suoi maledetti trucchetti.

– Chi ti dice che mi fido abbastanza per dormire con te? – chiedo, perplessa. Intanto cerco di capirlo, d'interpretare ogni sua singola mossa, ma era impossibile prima quando era ancora lui, figuriamoci adesso. Potrei leggergli nella mente, dopotutto oggi lui è riuscito a parlare con me.

Ride. – Perché l'hai già fatto – risponde, come se fosse una risposta ovvia. Sembra quasi imbarazzato, anche se non è rosso, il suo comportamento è strano.

Scuoto la testa energicamente. – No, quello non eri tu – rispondo subito io freddamente.

Riesco a vedere tutti i suoi muscoli indurirsi a causa della mia affermazione. – Come vuoi – dice sdraiandosi un'altra volta.

Rimango a guardarlo per un po' e poi mi giro verso la porta. Non so cosa fare. Insomma, lui è sempre riuscito a tranquillizzarmi quando voleva. Ma posso stare con lui? Voglio dire, in qualche modo non sto tradendo il vero Jeremy? O forse è ancora lui, forse c'è ancora qualcosa del vero Jeremy dentro di lui. Forse lo posso salvare. Dopotutto perché mi vorrebbe far tranquillizzare? E perché prima mi ha fermata? Perché mi ha tenuta per mano mentre affrontavamo quel vortice? Tutto questo non ha senso. Non ha senso, perché continua a essere troppo freddo, troppo "non lui" per essere lui. Faccio un sospiro e vado verso di lui, che alza lo sguardo su di me. – Non vuoi niente in cambio? – chiedo. – Insomma... dov'è il trucco?

– Sei paranoica – borbotta chiudendo gli occhi.

– No, ti conosco – ringhio io.

Ride sedendosi. – Ne sei sicura? – chiede. – Perché a me non sembra affatto. Tu non mi conosci. Tu non mi capisci. Tu non sai niente di me. Niente. E sai da cosa lo capisco? Dal fatto che ancora non hai capito che sto iniziando a provare di nuovo a provare qualcosa per te. Dopo un po' di tempo, dopo mesi, riesco a provare qualcosa oltre alla rabbia, e quella che c'è riuscita sei tu.

Le mie mani sono chiude a pugno e le mie labbra diventano delle fessure. – Non è possibile. L'avrei capito – mormoro io, balbettando un po'.

– No, a quanto pare no – ringhia lui trafiggendomi con i suoi occhi. – Quindi no, non c'è nessun trucco e sì, voglio qualcosa in cambio: voglio che tu ti fida di me, perché ne ho bisogno. Io ho bisogno di te

– Perché l'hai fatto? – chiedo, cercando di non scoppiare a piangere. – Perché non me l'hai fatto capire prima? Pensavo di averti perso per sempre. Se solo avessi saputo che potevi provare qualcosa avrei combattuto per te!

– Combatto? Non è una guerra, Cassie! – esclama. – Non mi merito niente. Non più. Non dopo tutto quello che ho fatto. Non dopo tutto quello che ti ho fatto.

Mi siedo vicino a lui e anche se s'irrigidisce visibilmente gli accarezzo il viso. Un brivido attraversa tutto il mio corpo. – Non m'importa. Io ti amo... Jeremy – mormoro io con le lacrime agli occhi. – E giuro che non ti lascerò più andare.

Scuote la testa e mi toglie la mano dal suo viso. – No, tu non capisci. Non puoi giurarlo. Può succedere qualsiasi cosa ora come ora. – Aggrotto la fronte, confusa, e così lui risponde alla mia domanda silenziosa. – Cosa vuoi che faccia, Cassie? – chiede alzando le braccia al cielo. – Sto aspettando una risposta – aggiunge dopo un po', visto che non rispondo.

– Cosa vuoi che ti dica? – sbotto alzandomi dal letto. – Se non vuoi che stia con te allora non lo farò! – Mi sdraio sul mio letto e gli do le spalle in modo da non fargli vedere quanto ci sia rimasta male.

– Tu non capisci... – inizia lui.

– Come sempre – rispondo io, arrabbiata.

– Sei una ragazzina – ringhia, infastidito.

– Come sempre – ripeto.

– Dio, mi fai andare fuori di testa! – sbotta lui, ancora più arrabbiato. – Non ti sopporto!

– Come sempre – borbotto io, ma il sonno sta prendendo il sopravvento sul mio corpo.

– Smettila! – tuona lui. Un'enorme fiamma si innalza nella stanza, così mi alzo subito dal letto per scappare, ma essa si spegne subito. Mi accorgo solo adesso che ho il respiro accelerato, così come il cuore, mentre lo guardo con gli occhi spalancati. – Scusami – mormora.

– Cos'è che non capisco? – chiedo quindi, sto cercando di non farlo infuriare ancora di più. Dopotutto deve essere ancora molto difficile per lui mantenere il controllo sul suo potere. E per farlo devo arrivare all'argomento che vuole trattare.

– Cassie, molto probabilmente scoppierà una guerra. Il nostro Istituto è appena andato! Pensi che questo passerà inosservato? Pensi che il volatile passerà inosservato? Sta accadendo qualcosa... E quel qualcosa non vuole per niente passare inosservato. Sta andando dritto dritto dove vuole arrivare: a una guerra.

– No, non è possibile. Perché si dovrebbe arrivare a una guerra? – chiedo io, così impaurita da tremare. Spero che la stanza sia buia il più possibile, perché sarebbe veramente imbarazzante farmi vedere tremante e con gli occhi da cerbiatto da lui.

– Perché i demoni non vogliono essere comandati, soprattutto non dagli Anziani – risponde lui. Abbasso lo sguardo, in pensiero. – Io sono stanco morto – aggiunge sdraiandosi un'altra volta. – Buona notte, Cassie.

– Notte – mormoro, ancora soprappensiero.

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