Capitolo 23: ricordi

Trattengo il respiro vedendolo davanti a me, indietreggio fino a quando le gambe non cedono e cado a terra. – È da un po' che aspetto questo momento – sogghigna Derek avvicinandosi a me, indietreggio. – Vederti qua, soffrire, mi fa sentire molto meglio.

– Perché ce l'hai con me? – chiedo già con le lacrime agli occhi. Sono stremata, non ce la faccio proprio ad affrontare anche lui, continuo a tremare e ad avere la febbre.

– Perché sei una Whitesun – risponde lui continuando ad avanzare. – Siamo destinati ad odiarci. – Sorride mostrando i due canini. Urlo cercando aiuto, non ce la posso fare, devo uscire subito da qua, Jeremy aveva ragione: non ce la posso fare da sola. In pochissimi secondi sta succhiando via il mio sangue da collo come una sanguisuga, vedo sempre più sfogato ma allo stesso tempo riesco a vedere una strana luce ai bordi, cerco di prendere la spada ma sono troppo debole. Faccio per stringere la terra sotto le mie mani ma qualcosa di affilato mi graffia la mano, soffoco un urlo quando mi rendo conto che è la spada che mi è caduta. La prendo per poi infilzarla in qualsiasi parte del corpo di Derek. Un urlo esce dalla sua bocca dopo essersi distaccato da me, ora lo vedo: la spada è nella sua schiena e lui non riesce a togliersela. Rimango un momento a terra chiedendomi come abbia fatto ad infilzarla nella sua schiena, dopo vari tentativi riesco ad alzarmi e lo guardo mentre cerca di prendere la spada, invano.

Abbasso lo sguardo verso la mia cintura e sussulto vedendo la mia vera spada, questo significa... Di chi diavolo era quella spada?! Ma non ho tempo di pensare, afferro la mia vera spada, prendo la rincorsa e la spada entra nel petto di Derek. Entrambi spalanchiamo gli occhi, i respiri affannati, poi un sorriso invade la mia bocca. – Ci sei riuscita – mormora e, dopo aver tolto la spada dal suo petto cade a terra. Il secondo prima è a terra senza vita (anche se neanche prima era veramente vivo) e il secondo dopo non c'è più.

– Cassie! – urla Jeremy, la grotta echeggia la sua voce facendomi sorridere.

– Sto bene – esclamo io toccandomi la ferita del collo. Guardo lo zaino a terra, lo prendo e mi fascio la mano, ma sento il sangue continuare ad uscire dal mio collo. – No, non è vero – mormoro sentendo il sangue uscire dal mio corpo. Prendo un asciugamano dentro lo zaino e lo metto sopra la ferita spingendo un po' per fermare il più possibile il sangue. Strizzo gli occhi ma non ho tempo per pensare al dolore: devo andare avanti.

Sto sudando freddo ormai, mi sento la febbre ma non c'è nessun altro oltre a me, o almeno così mi sembra. Sento qualcosa muoversi sotto i miei piedi e così cado a terra sbattendo forte la testa. Sbatto più volte le palpebre cercando di vedere bene, soprattutto perché davanti a me c'è qualcuno. Dopo un po' riesco a vedere di chi si tratta. – Jeremy – dico a bassa voce accennando un sorriso. Magari l'hanno fatto entrare, hanno capito che non ce la posso fare da sola e... l'hanno fatto entrare.

– Ti devi alzare, Cassie – dice lui inginocchiandosi davanti a me, mi accarezza la guancia e sento un brivido passarmi per tutto il corpo. – Io ti sto aspettando. Stai tranquilla, andrà tutto bene. – Gli sorrido. – Ma ti devi alzare e devi continuare.

– Sono stanca – rispondo sentendo le sue mani calde sul mio viso freddo. – Voglio solamente tornare all'Istituto e dormire accanto a te.

Sorride così tanto che mi fa sentire meglio, mi bacia la fronte e così mi sento come autorizzata a chiudere gli occhi. – No, Cassie. – mi tira uno schiaffo. – Devi rimanere sveglia.

– Aspettami, ok? – mormoro io prima di chiedere definitivamente gli occhi.

– Cassie, svegliati – urla mia madre dal corridoio, mi metto il cuscino sopra la testa per non ascoltarla. Odio quando fa così, è sabato per l'amor del Cielo! Fammi dormire oggi che posso! Cerco di dirlo ma mi esce solo un lamento indistinto. – Su, Cassie! – esclama lei ormai in camera mia, inizia a scuotermi e questo non fa altro che intestardirmi di più.

– Ho sonno! – bofonchio io ancora sotto il cuscino, anche se so che ormai non riuscirò più a dormire, ma non voglio dargliela vinta e lei lo sa... dopotutto è mia madre.

– Peccato... perché sotto c'è Austin e chiede di te – borbotta lei facendo finta di essere delusa, ma so che in verità sta facendo un sorriso malizioso.

Mi alzo di scatto. Ok, forse per questa volta posso dargliela vinta. Oh, eccome se posso. – Per caso hai detto "Austin"? – chiedo guardandola con tutti i capelli arruffati.

Ride. – Mi sembra proprio di si – risponde continuando a ridere. – Ma non si sa mai, magari mi sto sbagliando. Forse è un fustaccio che vuole conoscerti, uno che... Bah, potrebbe quasi chiamarsi... che ne dici di Justin, o Nathaniel, o Jeremy? Ecco, magari questo ragazzo ti ha vista a scuola e ti vuole conoscere. – Fa spallucce. – Che dici, chi sceglieresti? Jeremy o Austin?

Rido alzandomi dal letto. – Austin – rispondo scuotendo la testa. – Sei pessima, mamma. Non c'è nessun Justin, o Nathaniel,o Jeremy a scuola mia, e poi lo sai che odio i ragazzi come questo Justin-Nathaniel-Jeremy che nemmeno esiste. Mi piace Austin, è il mio tipo. – Prendo dei vestiti a casaccio e inizio a vestirmi.

Mia madre si alza dal letto e mi toglie i capelli da davanti gli occhi guardandomi dallo specchio che sta proprio davanti a noi. – Non si sa mai cosa prevede il futuro per noi, piccola mia. Domani potresti svegliarti e il mondo che conosci potrebbe non essere più lo stesso.

Rido. – Così mi spaventi, mamma.

Anche lei inizia a ridere. – Quello che voglio cercare di dirti è che purtroppo le cose non vanno sempre come vogliamo noi. Alla tua età è normale lasciarsi con un ragazzo, non ti sto portando sfortuna, è solo che voglio che tu sia preparata. Hai quindici anni, è normale essere lasciati e lasciarsi, ok?

– Si, mamma, ma ci siamo messi insieme da poco! – esclamo ridendo. – Dai tempo al tempo. So che io e Austin non staremo insieme per sempre, non sono quel tipo di ragazza, ma addirittura questo ragazzo?! Non succederà mai!

– Mai dire mai – mormora lei ridendo. Mi da un bacio sulla guancia e scende. – Gli dico che sei quasi pronta.

– Grazie! – esclamo io guardandomi allo specchio. Mi tolgo una ciocca di capelli dal viso soprapensiero, poi scuoto la testa ridendo e mi annoto il fatto di ricordare a mamma di smetterla di farmi questi discorsi, perché mi mettono l'ansia per niente.

Corro giù e riesco subito a vedere Austin: capelli neri come il carbone, occhi marroni scuri, maglietta nera, jeans neri, e addirittura i calzini neri! Trattengo una risata rendendomi conto che papà ha proprio ragione: è dark fino al midollo, e mi piace proprio per questo. – Ciao – mi saluta sorridendomi.

Faccio gli ultimi gradini sorridendogli mentre il mio cuore va all'impazzata. – Ciao, Austin – lo saluto facendomi un sorriso malizioso.

Ride diventando tutto rosso, le spalle ricurve. – Credo che ormai potresti chiamarmi "amore" o cose del genere, sai... quelle parole sdolcinate che usano i comuni, stupidi mortali – annuncia mettendomi le braccia attorno ai fianchi. È sempre così: Austin vuole sempre essere differente dagli altri ragazzi, e mi piace pure per questo.

Rido. – Pensavo non ti piacessero le parole che usano i comuni mortali – scherzo stringendolo a me.

– Lo so, ma per te potrei quasi fare un'eccezione – ribatte lui accennando un sorriso con gli occhi più luminosi del solito.

Sorrido ancora di più. – Attenzione, potrei quasi abituarmi ad un Austin che fa "eccezioni".

– Cassie – mi chiama mio padre, ci distacchiamo di scatto, imbarazzati. Ha quei suoi capelli corti ma ormai grigi chiari e quegli occhi celesti che mettono in risalto i suoi capelli facendoli sembrare ancora più bianchi. Per l'ennesima volta mi chiedo perché non ho preso quei occhi stupendi, poi mi ricordo quelli marroni di mamma. – Se proprio dovete flirtare andate in camera tua, lasciando sempre la porta aperta però. – Ride per poi guardare Austin, che ormai è tutto rosso. – Ciao, ragazzo dark. – Odio quando mio padre prende in giro Austin, ma è più forte di lui, è il suo carattere e lo devo accettare una volta per tutte. Per fortuna dopo una grossa litigata gli ho fatto capire che tutto aveva dei limiti e ora si limita a chiamarlo "ragazzo dark". – Ovviamente scherzo, Austin – aggiunge sorridendogli.

– Salve, signor Moonic – lo saluta lui stringendogli la mano. – Posso portare fuori sua figlia per una passeggiata?

Rido. – Ti conosce da anni ormai. Ok, ci siamo messi insieme da poco, ma credo sia quasi ridicolo che tu gli dia ancora del lei – dico stringendo la mano ad Austin. – Giusto, papà? – chiedo guardando mio padre con fare minaccioso.

Mi sorride. – Hai ragione. Puoi chiamarmi "papà" se vuoi, Austin – scherza ancora una volta papà.

Ridiamo tutti. – Ok, grazie – risponde Austin non sapendo cos'altro dire, gli stringo ancora un po' la mano non sapendo cos'altro fare per dargli un po' di forza, mio padre la maggior parte delle volte mette a disagio le persone come Austin, è il ragazzo più timido che io conosca.

– Comunque si, potete andare ma entro le undici di sera la signorina deve stare a casa, come sempre – ribatte mio padre.

Austin annuisce. – Certamente – risponde per poi aprirmi la porta. – Arrivederci.

Alzo gli occhi al cielo sentendolo dargli ancora una volta del lei. – Ciao, papà – dico prima di uscire da casa senza sentire la risposta di mio padre che sicuramente è molto imbarazzante, come per esempio "non fate niente di sporco". Rido per poi girarmi verso Austin, che ormai ha chiuso la porta.

– Allora... – esclama, imbarazzato. – È andata bene, no?

Rido e lo abbraccio. – Andiamo? – chiedo guardandolo.

Si allontana da me per guardarmi negli occhi. – Sicura di volerlo fare? È un passo importante... – Annuisco fermandolo, una risatina isterica gli fa capire che sono un po' agitata e così sorridendo mi accarezza la guancia destra. – Va bene, allora andiamo – mormora prendendomi la mano. Andiamo verso la sua macchina, ormai ha diciassette anni e i suoi genitori gli hanno comprato una macchina usata per il suo compleanno, è ancora intatta e pulitissima e rigorosamente nera.

Una volta arrivati a casa sua butta le chiavi sul tavolino. – Sei sicuro che non ci sia nessuno? – mormoro, scettica e nervosa.

– Certo – risponde lui stringendomi la mano e fermandomi. – Sono partiti, tornano dopodomani. – Rido e lo bacio, ancora più nervosa. – Sei sicura? – chiede ancora una volta distaccandosi da me, è in ansia quanto me.

– Ti ho detto di si – rispondo io. – E tu? – Annuisce arrossendo un po'. Metto i suoi capelli un po' troppo lunghi dietro il suo orecchio e chiude gli occhi stringendomi ancora di più. Rido per poi baciarlo un'altra volta,sento lui stringere i miei fianchi e poi alzarmi da terra. Metto le mie gambe attorno alla sua vita e rido imbarazzata sentendo il freddo del tavolino sotto di me, dove lui mi ha appena appoggiata. Prende le mie mani e le stringe con le sue mentre mi bacia il collo; chiudo gli occhi sentendo il mio cuore iniziare a battere veloce. Prende il mio viso con entrambe le mani e mi bacia con un tale trasporto che mi sento sciogliere sotto le sue mani. Mi prende un'altra volta in braccio e mi mette sul suo letto matrimoniale, la luce è spenta e le serrane sono ancora abbassate. Sorrido vedendolo mettersi sopra di me. – Non... non andiamo fino in fondo, ok? Vorrei aspettare i miei sedici anni per quello.

– Certo, tranquilla – mormora lui accarezzandomi. – Faremo solo quello che ti sentirai di fare.

Sorrido e lo bacio ringraziandolo per la pazienza.

Apro gli occhi ancora più stanca di prima, ho i brividi; tossisco un'altra volta per poi toccarmi la ferita al collo e sento del sangue seccato, segno che il mio potere di Whitesun sta facendo il suo dovere. Eppure so di aver perso molto, forse troppo sangue. Urlo più forte che posso piangendo. – Fatemi uscire da qua! Per favore! – urlo. Indietreggio dopo essermi alzata ma vado subito a sbattere contro il muro. Un gemito di sofferenza esce dalla mia bocca e cado ancora una volta a terra. – Basta... vi prego. Basta – mormoro piangendo.

Non voglio ricordare.

Sto rientrando a casa con Austin, ormai è quasi un anno che stiamo insieme. Entriamo e aggrotto la fronte vedendo che hanno abbassato tutte le persiane e spento le luci. In salone c'è solo mio padre seduto sulla poltrona in un modo strano. – Ciao, papà – lo saluto un po' indecisa.

C'è silenzio per un po', poi per fortuna inizia a parlare. – Ho cercato di chiamarti – mormora lui dopo un po'.

Prendo il cellulare dalla mia tasca lasciando la mano di Austin e noto che ci sono tre chiamate perse da mio padre. – Scusami, non me ne sono accorto. – Lo guardo attentamente: è strano. – Dov'è mamma? – chiedo io.

Sta zitto per un po' e poi scoppia a piangere nascondendo il viso nelle mani. – Oh, mio Dio – mormora Austin spalancando la bocca, mi prende di scatto la mano facendomi sussultare. – Cassie...

Rido, nervosa. – Dov'è la mamma, papà? – urlo io, in preda al panico, ma lui continua a piangere, distrutto. Scoppio a piangere anch'io per poi cadere a terra, completamente distrutta. Il mio cuore non mi ha mai fatto così male. – Dimmi che è all'ospedale. Dimmi che la stanno operando. Dimmi che si riprenderà. – Ma mio padre scuote la testa facendomi capire che purtroppo non c'è nessuna possibilità che lei si riprendi. – No. Com'è success? – urlo mettendomi le mani davanti alla faccia, volendo solo staccarla dal mio viso. Austin intanto cerca di sussurrarmi parole carine, mi abbraccia.

– Dei vampiri. Volevano te – risponde mio padre continuando a piangere disperatamente.

Sono a conoscenza dei vampiri, ho appena iniziato ad esercitarmi e solo l'idea che uno di loro... Un urlo esce dalla mia bocca, urlo un qualcosa d'insensato per poi rimanere senza fiato. Il dolore che sto provando è veramente troppo forte, troppo per essere descritto da semplici parole.

– Mi dispiace così tanto – mormora Austin stringendomi a lui.

– No! – urlo io spingendolo con tale forza che cade a terra. – Non è morta – mormoro alzandomi per poi mettermi una mano sulla fronte: è caldissima. – Non può essere morta! – esclamo io cadendo ancora una volta a terra piangendo più di prima. Mi tengo la pancia, c'è qualcosa che continua a farmi male ed è nei dintorni della pancia. – Non è possibile – continuo a ripetere come una matta. Austin mi abbraccia un'altra volta e questa volta lo stringo il più possibile a me fino a quando non riesco più a respirare.

Non è morta veramente, no. Adesso io mi alzo e la trovo in camera sua e vedendomi si girerà e mi sorriderà, mi dirà qualcosa che mi farà ridere come "allora, com'è andata con Austin? Hai qualcosa da raccontarmi?" ed io mi siederò accanto a lei e le racconterò tutto quello che abbiamo fatto oggi, come tutte le volte.

Non è morta.

Non riesco più a respirare così apro gli occhi di scatto. C'è un essere orribile davanti a me, pronto a saltarmi addosso, sembra un cane ma è molto più grande e non è nemmeno un lupo mannaro. Urlo alzandomi quando la bestia fa per venirmi addosso, prendo la spada e la metto davanti a me con la punta della spada dritta verso il demone. Sento l'enorme cane guiare, indietreggia scuotendo la testa, la ferita però scompare in pochi secondi e così il demone prende la rincorsa e riesce a buttarmi a terra. La testa inizia a girarmi ma riesco ad impugnare bene la spada, gli do una ginocchiata da qualche parte giusto per infilzare la spada nel suo petto, puntando al cuore. Esso cade sopra di me facendomi tossire e poi scompare. Mi alzo cercando di rimanere in piedi, mi appoggio al muro per reggermi fino a quando non vedo una luce in fondo alla grotta. Strizzo gli occhi per vedere meglio di cosa si tratta: c'è un pugnale e una spada. Spalanco gli occhi e cerco di correre verso di essi ma qualcosa mi fa inciampare e cadere. Mi guardo intorno e... vedo uno scheletro sotto di me. Urlo dalla paura, uso tutta la mia forza per urlare, come se tutto il dolore e il freddo non contassero più nulla. Indietreggio trascinandomi, mi metto la mano fasciata davanti la bocca. Avevo promesso a Jeremy di non urlare, ma come faccio?!

Sento un ronzio, giro su me stessa e vedo uno sciame di api venire verso di me. – Oddio. No. No. No – esclamo io alzandomi, inizio a correre via, verso l'uscita. Poi qualcosa mi punge e sento un dolore assurdo, e poi qualcos'altro mi punge ancora una volta, e ancora, e ancora, e ancora. Urlo da dolore ed inciampo ancora una volta. Cerco di scacciarle ma niente. – Aiuto! – urlo io sentendo ogni puntura, ogi ago infilarsi nella mia pelle e non uscire più.

Poi dopo... silenzio assoluto. Una farfalla sopra di me vola serena mentre io sento ogni parte del mio corpo dolorante.

L'unica cosa a cui riesco a pensare è: ho sempre avuto la fobia delle api.

– Mi dispiace – continua Austin mentre io cerco di non piangere. – Ma da quando tua madre... non c'è più io non riesco più a... – si ferma con lo sguardo a terra e le guance rosse per l'imbarazzo.

– A? – chiedo io guardandolo con tutto l'odio che sto provando per lui. – A fare cosa? – tuono dandogli una spinta che però non fa nient'altro che fargli dire la verità crudele e piatta che stavo aspettando.

– A toccarti! – risponde lui come se lo stesse sputando, lo guardo scioccata. – So che quello che ti è successo è una cosa orribile, ma non esci più di casa, Cassie.

Lo guardo con ancora più odio, vorrei tanto ucciderlo ma l'amore che provo ancora per lui non me lo permette. – Cosa faresti tu, eh? – chiedo urlando. Non m'interessa se mio padre di sotto ci sta sentendo, questo ragazzo mi sta uccidendo per la seconda volta e questo non posso permetterlo, tutti devono sapere che cosa sta succedendo, perché non ce la faccio ad affrontare pure questo.

– Ormai ci vediamo solo agli allenamenti ed io non so più che cosa fare. Non riusciamo ad avere una conversazione senza che tu mi aggredisca!

Scuoto la testa guardando per terra. – Allora vattene! – urlo io spingendolo.

– Cassie...

– Vattene! – tuono spingendolo un'altra volta. – Fai schifo! Vattene! Sei una merda che cammina! Non meriti nemmeno di vivere, tu. – Scoppio a piangere ancora una volta. – Fai schifo. Fai schifo. Tu... fai schifo.

– Io ti amo, Cassie – esclama lui, il mento che inizia a tremargli per lo sforzo che sta facendo per non scoppiare a piangere tanto quanto me.

Mi alzo dal letto e vado vicino la mia finestra, guardo fuori per cercare di tranquillizzarmi, perché ora come ora potrei pure torturarlo. Poi però anche lui si alza dal letto, non mi giro verso il mio letto, sento semplicemente le molle del letto, i suoi passi... mi abbraccia da dietro. – Non toccarmi! – ringhio, furiosa, mi giro per guardarlo. – Mi stai lasciando, Austin. – Tu non puoi toccarmi, vorrei dirgli ma non ce la faccio perché so che non è così.

– Non voglio lasciarti – mormora lui accarezzandomi il braccio, chiudo gli occhi lasciando cadere le lacrime che fino ad adesso stavo cercando di trattenere. – Sei veramente importante per me, ma non credo tu sia pronta per avere una relazione in questo momento. Non voglio lasciarti, Cassie, ma devo.

– Non devi – esclamo io scuotendo la testa. – Non... Io ho bisogno di te! Non puoi lasciarmi pure tu – sbotto guardandolo negli occhi con le lacrime che sembrano non volersi fermare più.

Questo sembra far crollare tutto il controllo di Austin e così inizia a piangere anche lui. – Non ti lascerò mai, Cassie – mormora stringendomi un po' di più il braccio in un modo confortante.

Un briciolo di speranza si accende e gli salto praticamente addosso. Le nostre labbra si scontrano, denti contro denti, sussulta facendomi capire che non se lo aspettava minimamente, ma non m'interessa. Non ho ancora sedici anni ma non m'interessa: devo averlo, in qualche modo spero che così facendo lui non possa più lasciarmi per ancora un po' di tempo.

– No, Cassie... – mormora lui quando sente le mie mani slacciargli il bottone dei jeans. – Cassie – mormora lui chiudendo gli occhi. – Non... Cassie, smettila! – esclama lui allontanandosi da me in modo brusco.

Tutto il mio viso diventa rosso. – Cosa?

– Ti sto lasciando, Cassie. Non puoi credere veramente che io lasci che questo succeda proprio adesso che non stiamo più insieme – esclama lui e per la prima volta dopo la morte di mia madre sembra veramente arrabbiato. – Cosa credi? Che dopo aver fatto sesso con me cambi qualcosa? Non cambierà un bel niente, Cassie, e mi dispiace dirtelo ma questa è la realtà! Ti sto lasciando, Cassie, perché non puoi fare in modo che una cosa normale accada come tale?

– Tu non puoi lasciarmi – sussurro io iniziando a piangere. – Ti sto concedendo me stessa, cos'altro posso darti? – urlo.

– La tua amicizia! – urla lui. – Ormai non c'è più niente che possa farmi cambiare idea, e di certo non sono uno di quei ragazzi che cambia idea solo perché la ragazza glie la vuole dare. Pensavo mi reputassi un ragazzo migliore, Cassie.

Fa per andarsene e quindi prendo la sua mano. – No, no, no, ti prego, non te ne andare – lo supplico. – Va bene, va bene. Ok, lo accetto. Austin, per favore, non te ne andare. – Lo abbraccio e dopo un po' anche lui mi stringe a lui. – Io ti amo, Austin – sussurro continuando a tenere la mia testa sul suo petto, il suo cuore va veloce ma faccio finta di non accorgermene. – Mi dispiace, è solo che non voglio...

– Lo so, va bene – risponde baciandomi i capelli.

– Austin – mormoro piangendo, solo adesso capisco che ho bisogno di vederlo e non perché mi piace ma perché gli voglio bene e credo veramente che pensi che io sia morta insieme a tutti gli altri durante l'addestramento.

– Austin? – chiede Jeremy, apro di scatto gli occhi e me lo ritrovo davanti, mi guarda con la fronte aggrottata e le lacrime agli occhi. Si alza visto che fino a poco fa stava in ginocchio davanti a me.

– Jeremy? – lo chiamo, non capendo. Alzo una mano per toccarlo, ma indietreggia. Aggrotto la fronte e lo guardo dritto negli occhi, sembra arrabbiato.

– Austin? – chiede un'altra volta, ancora più arrabbiato.

Non riesco a capire... cosa c'entra adesso Austin? Come ha fatto ad entrare? Perché non si fa toccare? Come faccio a sapere se sta succedendo sul serio? – Cosa? – chiedo quindi.

– Mamma – la chiamo raggiungendola in salone, mi ha chiamato poco fa ma stavo in bagno a farmi la doccia e quindi non sono potuta scendere prima. Dalla voce sembrava abbastanza arrabbiata e la cosa m'innervosisce un po'. – Che succede? Perché mi hai chiamata?

– Ho trovato queste – annuncia mia madre alzando delle mutande. Ma non sono delle mutande qualsiasi, sono dei boxer neri. Sono le mutane di Austin. Sento il calore scomparire sul mio viso mentre cerco di capire come diavolo ha fatto Austin a scordarsi qua un indumento così importante. – Quindi ti ho chiamato, visto che molto probabilmente Austin le rivuole indietro.

Rimango in silenzio per un po', pensando sul da farsi, ma cosa si deve dire quando tua madre trova le mutande del tuo ragazzo non si sa dove. – Ah – esclamo quindi, il mio cuore che sembra voler uscire dal mio petto e andarsi a nascondere dove mia madre non riuscirebbe a vederlo.

– Mi devi dire qualcosa, signorina? – chiede per poi buttare a terra le mutande con un'espressione vagamente disgustata.

– Emh... – inizio io, rido nervosa mettendomi indietro i capelli. – Credo che ormai non ci sia più niente da dire, non credi? – provo a buttarla là accennando un sorriso innocente.

– Non fare così, Cassandra Violet Moonic – ringhia mia madre incrociando le braccia. Ok, è una cosa seria se mi chiama addirittura con il mio nome completo.

– Va bene – borbotto sedendomi sul divano, proprio accanto a lei. – Dai, chiedimi quello che vuoi.

Si gira verso di me, seria. – Da quant'è che non sei più vergine? – chiede lei, senza ritegno.

– Mamma! – esclamo io tutto d'un tratto rossa dalla vergogna. Una cosa era chiedere un qualcosa senza essere troppo... espliciti e un'altra era dirla senza filtri. E mia madre non usava quasi mai filtri, diceva le cose come stavano e chiedeva quello che voleva senza giri di parole.

– Che c'è?! Mi hai detto tu che potevo chiedere quello che volevo! – esclama lei accennando un sorriso furbo, sta per ridere ma vorrebbe rimanere seria. Peccato che mia madre raramente riesce a rimanere seria, o almeno peccato per lei.

– Ma non dicevo sul serio! – dico io, imbarazzata, iniziando a ridere.

– Bé, sono tua madre ed io sto dicendo sul serio – ribatte lei scuotendo la testa e tornando seria. – Raccontami: da quant'è che non sei più vergine? E perché non me l'hai detto?!

– Mamma... sono ancora vergine – borbotto io con il viso in fiamme, alza le sopracciglia facendomi capire che non ci crede nemmeno per un secondo e poi indica con il mento le mutande di Austin. – Ti sto dicendo la verità! Non abbiamo... fatto sesso.

– Preliminari quindi – dice lei facendo un sospiro. – Oh, bene! Ti voglio bene, amore, ma perdere la verginità a quindici anni non è molto carino secondo me. So che ormai i ragazzi di oggi fanno le cose prima del dovuto ma tu non sei gli altri ragazzi, giusto? – Annuisco. – Mi stai dicendo la verità, piccola? Perché se non lo stai facendo ti devo portare dal ginecologo e...

– Mamma, no, non sono incinta... – Scuoto la testa ancora più rossa. – Volevo dire che ti sto dicendo la verità, sono ancora vergine. – Nascondo il viso rosso dai capelli il più possibile anche se so che questo non fa altro che far insospettire mia madre, ma sto dicendo la verità e ormai non avrebbe senso mentire.

– Va bene – mormora lei. – Prendi le mutande e chiama il tuo amato. Sei stata fortunata che non le ha trovate tuo padre.

– Ma... dov'erano? – chiedo, curiosa.

– Sotto il cuscino del divano.

– Ah.

Apro gli occhi un'altra volta, le mie labbra screpolate e la gola in fiamme non fanno altro che ricordarmi che questa grotta mi sta torturando. Da quant'è che sto qua? Da quant'è che mi stanno torturando con questi maledetti ricordi?! Un lamento esce dalla mia bocca mentre cerco di alzarmi.

– Cassie – mi chiama Jeremy.

Alzo lo sguardo, Jeremy è davanti a me e mi sta guardando con la fronte aggrottata. – Jeremy – mormoro sorridendogli. – Sei qui.

– Si, sono qui – risponde lui, ma è freddo, si gira e avanza verso la grotta; lo seguo reggendomi sulla parete della grotta. – Su, dobbiamo andare avanti – aggiunge girando un po' la testa per guardarmi. – Attenta – mi avverte prima di scomparire.

Vorrei scoppiare a piangere perché pensavo fosse veramente lui questa volta. Sussulto. Davanti a me c'è un mostro enorme, sembra un Mangiatore di Cacciatori ma non lo è. Gli occhi non sono neri né rossi. Cerca di tirarmi un calcio la riesco a buttarmi a terra e il piede mi liscia di pochi millimetri. Prendo la spada da dentro il fodero ed inizio a correre dietro il mostro. Riesco a malapena a tagliargli mezza gamba, poi però fa per cadere e così riesco a tagliargliela del tutto; a quel punto fa un passo in avanti, uno indietro e infine cade a terra. Salgo su di esso per poi puntare la spada dritta al suo cuore, mentre esso continua ad urlare dal dolore. Un colpo di spada ed è già morto. Vado verso la luce praticamente correndo, nonostante senta freddo e dolore.

La luce diventa sempre più potente e così mi copro gli occhi, ma un vento fortissimo mi fa cadere a terra facendomi uscire un gemito di dolore. Apro gli occhi lentamente ma mi pento subito quando vedo un mostro orribile davanti a me. Ha la coda e praticamente metà corpo come quello di uno scorpione ma ha quattro facce, è senza bocca ed ha solo un occhio nero a testa. Trattengo il respiro, urlo quando vedo la coda venire verso di me con una brutalità che quando batte a terra mi fa cadere, rotolo verso destra per cercare di scappare, ma sta venendo verso di me, il pungiglione della coda è così vicino che una parte di me sa che è troppo tardi. Rotolo verso sinistra ma sento subito il pungiglione enorme conficcato nella mia gamba, urlo più forte che posso, dovrei prendere la spada ma fa troppo, troppo male.

Appena la vista sembra migliorare un po' prendo la spada e in qualche modo riesco a tagliargli la coda, forse perché non si è mosso e quindi il pungiglione insieme alla coda era ancora dentro la mia gamba. Esso inizia ad urlare ed è il momento perfetto, lo so, ma non ce la faccio. Riesco a sentire la mia gamba pulsare per il dolore e così abbasso lo sguardo verso di essa. Spalanco gli occhi vedendo che è diventata molto, troppo gonfia. Urlo un'altra volta con le lacrime agli occhi. Non riesco a muoverla e questo non fa altro che mandarmi ancora di più nel panico più totale.

Poi arriva quel momento in cui non senti più niente, nessun rumore, tu stai urlando ma in realtà non si sente niente e non sento nemmeno più la mia gamba. Mi alzo e mi appoggio ancora una volta al muro della caverna, il demone viene verso di me, è molto veloce ma ogni tanto si ferma per cercare di fermare il flutto di sangue che esce dal moncherino dov'era la sua coda. Prendo il pugnale e lo lancio, per fortuna le lezioni all'Istituto sono servite a qualcosa perché prende in pieno la sua testa. Urla di nuovo, ormai è vicino e posso ucciderlo, lo so. Prendo la spada, lascio la parete e faccio un passo in avanti, alzo la spada tenendola con tutte e due le mani e decapito ogni testa del demone. Le teste rotolano via e il corpo cade a terra.

Guardo davanti a me: il coltello e la spada sono ancora là. Cerco di correre verso di essi ma è difficile visto che una gamba sembra completamente fuori uso. Inciampo per la milionesima volta e mando a fanculo tutti, troppo arrabbiata per non farlo.

– Cassie. – Alzo lo sguardo, è Katherine; smetto di piangere ma continuo a stringere la mia gamba che sta ricominciando a pulsare. – Jeremy sta cercando di entrare da tempo ormai. Manca poco, ce la puoi fare. – Si ferma quando inizio ad urlare sentendo una fitta alla gamba. Mi sdraio sbattendo le mani contro il pavimento freddo della grotta per cercare di pensare ad un altro tipo di dolore. – Lo so, lo so – mormora lei venendomi vicino. – Devi tarti un taglio lungo la gamba, Cassie. – La guardo come se fosse matta, e forse lo è. Dopotutto la sua anima gemella è il Secondo Anziano. – Lo so, ma dopo andrà meglio. Te la devi fasciare e potrai benissimo camminare, il gonfiore migliorerà. Ce la puoi fare, Cassie. Una volta che avrai preso il pugnale e la spada potremo far entrare Jeremy. – E scompare, come sempre.

Cerco lo zaino ma non lo vedo... poi mi ricordo di averlo ancora dietro la schiena, così lo prendo e lo apro prendendo un pugnale e un fazzoletto. Mi metto il fazzoletto in bocca e prendo il pugnale, sperando con tutta me stessa che sia già abbastanza disinfettato. Le lacrime escono dai miei occhi senza che io me ne accorga, metto il pugnale sopra la gamba e strappo i pantaloni con esso. Sento il freddo del pugnale sopra la mia pelle nuda.

Fallo, Cassie. Fallo. Se lo fai potrai tornare all'Istituto. Ce la puoi fare...

Stringo l'impugnatura del pugnale e affondo il coltello nella mia gamba. Lancio un urlo che grazie al fazzoletto non fa tanto rumore, strizzo gli occhi continuando a tagliare fino ad arrivare all'inizio della coscia. Il taglio è esteso dal polpaccio alla coscia. Il dolore è troppo, mi sdraio a terra e perdo i sensi per un po'.

Appena mi sveglio il dolore è ancora là, così pungente che sbatto a terra le mani per cercare di distrarmi. Ma non funziona. Mi siedo un'altra volta, per poi togliermi il fazzoletto dalla bocca e prendere il disinfettante, lo verso a caso su ogni parte della gamba e questa volta l'urlo è forte e non sembra nemmeno la mia voce per quanto sto urlando. Sento il sapore del metallo in bocca: è sangue. Mi sdraio per tranquillizzarmi un po' ma come posso tranquillizzarmi? Così mi siedo per l'ennesima volta e fascio la gamba con tutto quello che trovo nello zaino.

Mi reggo al muro fino ad arrivare all'altare, dove sembrano esserci due tavoli fatti di roccia, sopra di essi è stesa della seta blu con sopra un coltello e una spada. Rimango a bocca aperta vedendoli. Luccicano o è solo la mia immaginazione?

Mi avvicino sempre di più e prendo prima il coltello e la luce diventa sempre più forte. Chiudo gli occhi e subito dopo una scossa invade tutto il mio corpo facendo cedere le mie gambe. Apro gli occhi e riesco a prendere anche la spada senza il bisogno di alzarmi, ma un'altra scossa percorre il mio corpo e questa volta mi fa cadere a terra.

Mi alzo un po' traballante capendo che questa d'ora in poi sarà la mia spada. La testa gira come una trottola ma questa volta è perché queste scosse non fanno altro che darmi energia. Troppa energia. Cado a terra respirando faticosamente.

– Cassie! – urla Jeremy, ma non vedo nessuno. – Cassie! – urla un'altra volta e ora forse riesco a vedere qualcuno, ma è molto lontano e non so nemmeno se si tratta di una delle mie mille allucinazioni. Una volta che avrai preso il pugnale e la spada potremo far entrare Jeremy aveva detto Katherine, quindi forse è vero, forse è lui. Sorrido e cerco di rialzarmi ma cado un'altra volta, il sangue esce dalla ferita della gamba ed inizio a vedere sempre più sfogato. – Cassie! – urla Jeremy ormai accanto a me, riesco a vedere i suoi occhi celesti nonostante sia tutto sfogato e scuro.

Sorrido. – Ce l'ho fatta – mormoro cercando di respirare anche se è sempre più difficile. Jeremy guarda tutto tranne i miei occhi, sembra scioccato; prende la mia spada e se la mette nella cintura dove tiene le altre spade.

– Dai – mormora prendendomi in braccio. – Torniamo a casa, ok? – Si alza e quasi non sento più il mio corpo, mi sento leggera. – Cassie, per piacere, rimani con me, ok? – Rimango in silenzio, un sorriso vagamente triste è l'unica cosa che riesco a fare, a percepire. – No, no, Cassie – esclama lui prendendo il mio viso e costringendomi a guardarlo. – Devi rimanere qua con me, ok?

– Sei bellissimo – gli sussurro, e la sua espressione si addolcisce. – Sei così bello...

– No – ribatte lui con voce tremante. – Ti prego, Cassie – inizia ad urlare ma in qualche modo si fa sempre più lontano. – Cassie, non mi lasciare. Per favore. – Ma ormai la voce si sente a malapena.

– Salutami il Secondo Anziano – mormora Katherine. – E digli che non ce l'ho con lui e che continuo ad amarlo. Per favore, è importante.

Tutto d'un tratto sono sommersa dalla luce e mi sento ancora più leggera, pulita e... bianca. È tutto bianco. Indosso un abito bianco così lungo che tocca per terra, alzo l'abito e rido vedendo i miei piedi scalzi. Giro su me stessa senza fermarmi un attimo, tutto d'un tratto sono felice e non c'è nessun altro pensiero se non quello che mi ricorda quanto sono felice. Vado a sbattere contro qualcuno così apro gli occhi e incontro quelli di Jeremy, mi sorride.

– Jeremy! – esclamo io, e il suo nome echeggia. – Jeremy, mi hai vista?

– Sei bellissima – mi sussurra stringendo i miei polsi che aveva afferrato quando ero andata a sbattere contro di lui, sembra stia per scoppiare a piangere dalla felicità. – Io ti amo.

Sorrido e abbasso lo sguardo, anche lui è vestito di bianco ma ha una camicia e dei pantaloni. – Ti amo anch'io – ribatto intrecciando le mie dita con le sue. – Niente ci separerà adesso. – Mi sorride, stringe le mie mani e si avvicina a me, le nostre labbra si sfiorano per qualche istante e la testa inizia a girare. Il soffice tocco delle sue labbra sulle mie... Sembra tutto così perfetto, tutto così tranquillo.

Poi si distacca da me e mi accarezza. – Ti aspetto giù – mormora prima di correre via.

Aggrotto la fronte. – No! – urlo. – Jeremy! – urlo con le lacrime agli occhi.

– Tiaspetto giù – ripete la sua voce, ma ormai è scomparso nella luce biWb?

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