28
Fu dura per Lasti separarsi dai suoi amici, ma sapeva che gli addii facevano parte della vita.
Artillas aveva terminato il suo servizio come guardia del regno, acquistato un lolip, un carro, ed era pronto a partire. Sul sedile posto sulla parte anteriore del veicolo, attendeva che Lasti lo raggiungesse.
Questi guardò per l'ultima volta la serra in cui aveva trascorso quasi la totalità delle sue giornate da quando si era stabilito arrendevolmente a Lissen. Le piante velenose alle quali si era aggrappato disperatamente, nel tentativo di ritrovare una parvenza di normalità, sarebbero rimaste lì. Con sé avrebbe portato solo la piccola pianta grassa regalatagli da Artillas, che gli era essenziale per riposare.
Vagò con lo sguardo per la stanza in cui aveva vissuto, ormai spogliata di tutti i suoi effetti personali, ed uscì. Gli amici lo aspettavano all'esterno per poterlo salutare, momento che avrebbe ritardato volentieri.
In passato aveva tentato di allontanarli per proteggere se stesso, ma loro erano rimasti comunque, e adesso era lui a doversene andare.
Li osservò uno ad uno, quasi timoroso di aprir bocca per primo.
Era cambiato tutto dai tempi della guerra, ora se ne accorgeva più che mai. I quattro Lin presenti si erano costruiti la loro nuova vita alla capitale, adattandosi ai ritmi di corte più o meno facilmente.
Crux, da negoziante appassionato di geografia che si era ritrovato a essere uno dei suoi secondi in comando, era entrato nelle guardie del regno. La vita del soldato, in una posizione di autorità per di più, aveva fatto emergere molte sue capacità nascoste, oltre ad avergli fatto maturare un interesse per quell'ambiente. Le sue competenze nel combattimento erano innegabili e, considerando anche il Mirai che potenziava la sua perspicacia, era perfetto per il compito di guardia del corpo.
Ijinia non aveva ancora accettato ciò che era destinato a diventare. Da nobile incapace di relazionarsi, ma abile nella scherma tanto da insegnarla, si era ritrovato prima in guerra e poi a essere il futuro sovrano. Stava prendendo lezioni per ovviare alle sue mancanze, ma avrebbe preferito di gran lunga tornare alla vita di prima. Semplicemente, si era dovuto adeguare. Aveva raccomandato lui stesso Crux per il lavoro di sua guardia personale. Voleva avere vicino qualcuno che gli potesse essere amico, non uno dei tanti sconosciuti che si aspettavano grandi cose da lui, cose per le quali al momento era certo di non essere all'altezza.
Guttla era rimasta principalmente per trovare un buon partito, oltre per il fatto di non volersi allontanare da Lasti. Brava in tutto ciò che faceva, si destreggiava tra un lavoretto e l'altro solamente per il piacere di poter mettere in mostra le proprie abilità.
Yenri aveva coronato il suo sogno di diventare medico di corte. Si era lamentato per qualche giorno del colore ocra della divisa, ma aveva presto lasciato perdere per concentrarsi sul mestiere che tanto amava. Era stato il più vicino a Lasti, rimanendo al suo fianco ad aiutarlo anche quando lui non lo avrebbe voluto.
Agli occhi dell'ora non più Primo Generale, tutti loro erano incredibili. Era felice di averli avuti al suo fianco fino a quel momento.
I suoi bagagli erano già stati caricati sul carro coperto, perciò non restava che salutarli e salire a bordo. Prese un respiro profondo per darsi coraggio e si avviò verso di loro, raggiungendo per primo Yenri.
"Stammi bene" gli disse il medico, chiaramente dispiaciuto per la sua partenza. "Non dimenticare di usare gli impacchi che ti ho preparato, e scrivimi per tenermi aggiornato su tutto"
"Lo farò" gli assicurò, tendendo una mano verso di lui.
Yenri la guardò per un istante strabuzzando gli occhi, poi si costrinse a stringerla. Dopotutto, si stavano dicendo addio.
Lasti fece durare poco quel contatto per non infastidirlo, accennò un sorriso per fargli capire che andava tutto bene e spostò lo sguardo su Guttla, che si era avvicinata.
"Non ci credo ancora che te ne vai" ammise lei, tenendo il viso basso.
"Starò meglio lontano da qui..." sottolineò, più per convincere se stesso di star facendo la cosa giusta. "E anche tu starai meglio. Dimenticami davvero questa volta"
"Lo farò. Vedrai, sposerò un nobile e diventerò ricca"
"Se è davvero questo che vuoi, spero che ci riuscirai"
Stava per passare oltre, ma la ragazza lo strinse in un abbraccio.
"So che... ho sbagliato tante volte. Lo so bene e La Dea mi è testimone... Però tu mi hai dato una seconda occasione, quindi posso solo augurarti il meglio"
Non ricambiò la stretta, ma fu felice di sentirla parlare in quel modo. Per una volta sembrava sincera.
Lo lasciò libero e lui si avvicinò a Crux. La sua espressione era sicura come sempre. Si capiva dal suo sguardo che era triste perché si stavano separando, ma sapeva che sarebbe stato un bene.
"Quando arrivi a Danes, scrivimi. Voglio sapere tutto di quel regno e un giorno, quando potrò, verrò a trovarti e mi porterai a fare un giro"
"Volentieri" rispose Lasti mentre gli stringeva la mano, felice di sentire quella proposta.
Ijinia, in piedi accanto a lui, fu l'ultimo da salutare. Gli sorrise e basta, non riuscendo a trovare le parole giuste. I suoi occhi sembravano più lucidi del solito.
Quando Lasti sfoderò la spada per donargliela, il ragazzo dai capelli biondi sgranò gli occhi.
Era l'arma che aveva avuto con sé nel corso della guerra, la stessa che La Dea aveva preso in prestito per decapitare Re Bià. Non voleva portarla con sé nella sua nuova vita, quindi lasciarla al futuro sovrano gli sembrò la scelta migliore.
"Fanne ciò che vuoi, è tua adesso"
Il giovane la prese con entrambe le mani, la bocca semiaperta per lo stupore. La usò per fendere l'aria un paio di volte, ancora incredulo di aver ricevuto in regalo l'arma del suo Primo Generale.
Sfoderò la propria e gliela porse in cambio, lasciandolo spiazzato.
"I-io... ti offro la mia... Non è la stessa cosa ma usala, se serve" disse, con l'emotività che gli imponeva di sforzarsi più del solito per parlare.
"Grazie!" gli rispose, sorpreso.
La spada di Ijinia era molto leggera rispetto alla sua, più adatta allo stile di scherma che il nobile praticava. Sull'elsa era inciso il sigillo reale, segno che era stata forgiata ultimamente, apposta per lui.
Averla ricevuta in dono era un grande onore per Lasti.
"Adesso credo proprio di dover andare" annunciò, riponendola nel fodero. "Sono felice di avervi conosciuti, e che siate rimasti con me malgrado tutto. Non vi dimenticherò"
"Vai e basta, o vuoi farci piangere? Che aspetti?"
"Yenri ha ragione, vai" concordò Crux.
"Vado" rispose, sorridendo in modo malinconico mentre si avviava. "Vi scriverò!" aggiunse, prima di salire sul carro.
Lo salutarono con la mano mentre Artillas faceva partire il lolip.
Lasti indugiò a guardarli per un lungo istante, dopodiché si ritirò all'interno. Sentiva il petto pesante, ma era anche entusiasta di partire verso una nuova vita.
"Tutto bene?" gli chiese il mezzo Lin, seduto all'esterno per condurre il carro.
Lui si avvicinò di più all'altro lato del mezzo, dove il drappo che faceva da copertura si apriva a spacco permettendogli di guardare davanti, proprio dove c'era Artillas.
"Sì, tutto bene" ripeté, cercando di convincersene.
Il ragazzo si voltò a sorridergli, sempre tenendo ben salde le briglie del lolip. La bestia dal pelo lucente era forte e veloce, la migliore che aveva trovato. Così avrebbero fatto presto a raggiungere la loro destinazione.
"Saremo a Nyss in due giorni al massimo" gli fece sapere, rompendo il silenzio che si era velocemente creato.
Lasti in risposta sospirò, preoccupato.
"Tu non hai nessuno da salutare prima di lasciare Visdis?" gli chiese.
"Ho qualche amico tra le guardie del regno, e mia madre vive qui a Lissen con suo marito. Già salutati tutti"
Per un attimo a Lasti tornò in mente una delle scene a cui aveva assistito la sera del ballo in maschera al castello: Artillas che parlava animatamente con una ragazza, sua collega.
Scosse la testa allontanando quel ricordo superfluo e tornò a guardare avanti a sé.
Il più giovane, tranquillo, continuava a dargli le spalle.
La strada principale che portava all'uscita sud della capitale era trafficata, ma era anche la via più veloce. Lui e i suoi compagni, durante la guerra, avevano preso solo strade secondarie, impiegando un'eternità per ogni spostamento.
"Pensavo che anche tua madre vivesse nel regno di Danes" ammise, portando avanti il discorso.
"No. Ecco, la mia è una storia particolare. I miei genitori non erano sposati quando sono nato. Mia madre viveva vicino al confine di Danes e lo varcava spesso senza preoccuparsi delle conseguenze. Ha conosciuto mio padre e sono diventati amici, ma niente di più. O meglio, qualcosa di più c'è stato altrimenti non sarei nato io. Scusa, se ti sto annoiando dimmelo"
"No, continua. Mi interessa" rispose Lasti, colpito da quel racconto mai sentito prima.
"Dicevo... Quando sono nato, è stato un grande scandalo sotto ogni possibile punto di vista. Ho dei vaghi ricordi di mio padre, ma sono stato allontanato da lui sin da piccolo. Mia madre mi ha portato con sé alla capitale, ha trovato lavoro e io sono stato iscritto all'Accademia Militare. Voleva darmi una buona educazione e sai anche tu che, per chi non è né nobile né ricco, le uniche possibilità per studiare sono quella o il seminario. E non c'era verso che io studiassi per diventare un vicario della Dea" precisò. "L'Accademia, e poi la guerra, mi hanno tenuto lontano da mio padre. Siamo rimasti in contatto tramite lettera ma sono impaziente di incontrarlo, si può dire che io non lo conosca affatto"
Lasti restò in silenzio, pensieroso. La sua era decisamente una storia insolita, che lo aveva lasciato senza parole.
"Mi vedi in modo diverso ora che lo sai?"
"E perché dovrei?" rispose, tranquillo. "Era per questo che venivi preso in giro, quando eri una recluta?"
"Mh, in realtà non credo che la cosa si sapesse, ma dal loro punto di vista c'erano mille altri motivi. Comunque, io ho fatto subito strada a differenza dei miei compagni di corso" precisò, soddisfatto.
Evitò di entrare nei dettagli per non doverci ripensare, ma gli anni di Accademia erano stati molto pesanti per lui. Più bravo dei suoi coetanei, era stato presto assegnato a una classe superiore, frequentata solo da reclute più grandi. Malgrado questo, la loro maturità mentale non era pervenuta e così sfogavano le frustrazioni su di lui prendendolo in giro, giocandogli brutti scherzi e persino minacciandolo. Non erano mai andati oltre o qualche ufficiale se ne sarebbe accorto, ma era sempre solo e quando non lo era viveva un incubo senza fine.
Riuscire a entrare nell'esercito prima degli altri era stato un sollievo. Lì, grazie al suo titolo e alle sue abilità, era stato subito rispettato e ben visto tra le figure di comando, malgrado la giovane età. Non tutti accettavano la sua presenza ovviamente, ma aveva potuto ritrovare la serenità perduta da tempo.
"Ti piaceva essere l'Eroe dell'esercito del regno?" domandò il Lin, sorridendo al ricordo della volta in cui si erano incontrati sul campo di battaglia.
"Per me era una sorta di riscatto, anche se attiravo l'invidia di molti. Adesso è soltanto motivo di vergogna. Quel Re corrotto aveva coniato apposta per me una carica vuota che non sono nemmeno riuscito a tenermi stretta per un lasso di tempo accettabile"
Lasti non commentò, ma capì dal suo tono che era convinto di ciò che stava dicendo.
Entrambi non erano contenti degli anni passati a combattere.
"Non temi... che rovinerò l'incontro con tuo padre?" chiese, cambiando discorso.
"No, gli ho già detto di te in una lettera, prima di partire"
"In che termini?"
"Ho scritto che avrei portato con me il Lin di cui sono innamorato, che è un maschio e che, per la troppa fatica, gli sono cresciute le corna" disse velocemente e senza vergogna, voltandosi per vedere la sua reazione.
Lasti sgranò gli occhi, poi li assottigliò.
"Scherzi, vero?"
"Volevo provocarti, ma l'ho fatto veramente" precisò.
"E non trovi che sia un po' troppo... ridicolo?"
"Non ho saputo inventarmi di meglio" ammise, divertito.
Il più grande scosse la testa.
"Senti, non sarò piuttosto io a rovinare la riunione con i tuoi genitori?" chiese Artillas, che aveva troppe domande a riguardo e stava trattenendo la curiosità da giorni.
"No, anzi temo che sarà deludente comunque. Ho provato a giustificare in molti modi la loro indifferenza nei miei confronti, ma nessuna di quelle scuse aveva un senso..."
"Ora mi vuoi dire cos'è successo?"
"Sì, ho ascoltato la tua storia e presto saremo a Nyss, perciò mi sembra giusto. Io... una volta li ho delusi profondamente, quindi mi hanno spedito all'Accademia per espiare le mie colpe. Ci scrivevamo lettere, ma le loro erano sempre più rare. Non ho mai avuto il permesso di tornare a casa durante le festività e così, non avendo ancora raggiunto la maggiore età, sono stato costretto a rimanere sempre lì. È da tanti, tantissimi anni che non li vedo. È veramente assurdo a pensarci adesso, ma... più chiedevo spiegazioni, più stavo male per quel trattamento, e più si allontanavano. Alla fine hanno smesso di scrivermi del tutto, e dopo un po' ci ho rinunciato anch'io"
Sentì che il cuore gli si stringeva mentre ne parlava. Era qualcosa che gli faceva ancora male, malgrado fosse passato molto tempo.
I suoi genitori lo avevano abbandonato, gli era chiaro ormai. Il motivo? Il suo unico, stupidissimo sbaglio, lo stesso che aveva condizionato totalmente la sua vita. Non glielo avevano mai perdonato.
"Mi dispiace, non ne avevo idea" commentò Artillas, affranto.
"No, non serve dispiacersi" sospirò. "Vorrei ricucire i rapporti, credimi, ma non sono fiducioso. Li guarderò in faccia, sentirò cos'hanno da dire e potrò considerare chiusa la questione per sempre"
Artillas non chiese altro. Lasti aveva già detto tutto e ogni sua parola di troppo sarebbe potuta essere indelicata.
"Dormo un po', se per te va bene"
"Certo" rispose, voltandosi un attimo nella speranza di capire se fosse tutto a posto.
Il carro non era grande, ma lo spazio per stendersi a riposare non mancava. Cullato dai leggeri sobbalzi della strada sterrata appena fuori dalla capitale, Lasti si addormentò.
Per cena si fermarono in una radura che costeggiava il sentiero. Erano usciti dalla città, proseguendo poi su una stradina che attraversava il bosco.
Lasti aveva dormito per gran parte del pomeriggio, ma si sentiva comunque stanco per il viaggio. Diede da mangiare e da bere al lolip e si sedette con Artillas, che stava accendendo un fuoco. Il mezzo Lin, incapace di cucinare, aveva fatto scorta di provviste alla capitale.
Per Lasti era strano poter viaggiare senza pensieri, forse per questo non riusciva a rilassarsi del tutto.
Erano soli nel bosco e nessuno dei due aveva più il proprio Mirai. Il suo era andato in frantumi, mentre l'altro aveva dovuto riconsegnare il proprio quando aveva dato le dimissioni.
L'uniforme bianca e oro da guardia reale, invece, la indossava ancora.
"Perché viaggi in uniforme? Non sei più una guardia" sottolineò Lasti, confuso a riguardo.
"Quando un soldato termina il servizio, deve tornare a casa indossandola. È una sorta di... regola non scritta. Non lo sapevi?"
"No, mai sentito prima. Ero ancora una recluta quando La Dea mi ha chiamato a sé"
"Allora non lo potevi sapere. Sai, nel mio caso ha poco senso che io rispetti questa tradizione, visto che stiamo andando in un regno pacifista, ma... sembra quasi un modo per concludere al meglio il servizio, no? L'ultima impresa in uniforme"
"Lo sembra, sì" concordò, addentando la sua cena.
"Ad ogni modo, se continuiamo con questa andatura saremo nelle Terre di Valka prima che faccia buio" annunciò, stendendo una mappa davanti a loro. "Poi, in questa zona, dovremmo trovare uno spiazzo in cui fermarci a riposare. Sempre se ti va bene passare la notte nel carro"
"Ho dormito in posti molto più scomodi" rispose Lasti. "Conosci bene la zona?"
"No, affatto. Prima di partire ho ricevuto informazioni da una fonte attendibile, il tuo amico Crux. È un tipo scontroso, ma è stato lui a venire da me per chiedermi se mi servisse aiuto con qualcosa"
"È proprio un buon amico" commentò Lasti, sorridendo amaramente.
"Già, si vede. Io non ho stretto legami con nessuno finché non sono stato trasferito a palazzo, quindi capisco quanto sia dura salutare tutti e ripartire da capo, ma non sei solo" sorrise. "Ricordo che lui era uno dei generali, vi conoscete da tanto?" gli chiese.
"Sin dall'inizio" rispose.
Abbassò lo sguardo, pensieroso.
Sì, era triste aver dovuto dire addio a Crux e agli altri, ma sapeva di essere partito per poter ricominciare a vivere. Inoltre, intendeva rimanere in contatto con loro, seppur a distanza.
"Tra i tuoi amici c'è anche la ragazza con cui ti ho visto parlare al ballo?" si decise a chiedere.
Artillas ci pensò su un attimo.
"Ah, intendi Hor! Sì, lei è una mia amica..."
Dopo averlo detto, si zittì per un momento e abbassò lo sguardo.
"Siamo stati insieme una volta... Le piacevo e volevo sapere com'era andare a letto con una donna, ma è stato deludente"
Lasti, sorpreso dalla sua confessione improvvisa, non seppe come rispondere.
"Non fare quella faccia, dovevo forse tenertelo nascosto? La mia prima volta è stata con te e pare che tu mi abbia segnato"
Il modo in cui lo stava dicendo, quasi fosse un'accusa, ma con ironia, lo mise di buon umore.
"Anche tu hai segnato me, se ci tieni a saperlo, altrimenti non ti avrei seguito"
"Allora siamo pari" sottolineò il mezzo Lin, e un sorriso furbo si allargò sul suo viso. "Però... mi piacerebbe sapere con quante persone sei stato tu, dopo che ci siamo separati. So che tra noi non c'era niente, ma sono curioso comunque"
"Non mi piace la piega che ha preso questo discorso"
"Mi stai dicendo che sono tante?" insistette, divertito.
"Tante è un eufemismo" ammise Lasti. "Ma... io non l'ho voluto nemmeno una volta. Nemmeno con te. Forse, se ci fossimo conosciuti in un altro modo, sarebbe scattato qualcosa a un certo punto... ma eravamo nemici, ho agito in modo irrazionale. Malgrado questo, è l'unica volta di cui non mi sia pentito, se non per averti costretto"
"Mi hai costretto, è vero, ma con te non è stato deludente" sottolineò. "Ci rimettiamo in viaggio?"
"Sì, credo sia meglio"
Anche se non si era scomposto, le parole di Artillas lo avevano imbarazzato. Gli faceva piacere che non portasse rancore, ma aveva temuto che quello scambio di battute terminasse in un altro modo. Era sollevato che non fosse andata così.
In ogni caso, presto sarebbe calata la notte e l'avrebbero passata insieme, nel carro. Lasti non voleva annullare subito la distanza che aveva messo tra di loro, prima sentiva il bisogno di lavorare ancora un po' su se stesso, quindi non era il momento di fare passi falsi.
Tornò dentro e ripartirono.
Ci volle poco per entrare nelle Terre di Valka e trovare il punto indicato sulla mappa. Si trattava di un'area di pianura appena fuori da una città, molto comoda per fermarsi a fare una sosta, oltre che sicura.
"È strano non avere più il Mirai" disse Artillas, dopo aver legato il lolip a un albero ed essere entrato nel carro. "La città è a due passi, ma non avverto nessun rumore oltre a quelli della natura"
"È come se fossi stato improvvisamente tagliato fuori dal mondo" concordò Lasti.
Aveva già preparato due borse morbide che avrebbero potuto usare come cuscino, poste a debita distanza l'una dall'altra.
"Non avrei saputo dirlo meglio. Io mi sdraio qui? Aspetta, forse da qualche parte ho una coperta"
Si mise a cercare tra le sue cose finché non la trovò. Era piccola, marrone e consumata, ma pulita e pronta all'uso.
"Vieni più vicino così possiamo usarla insieme, fa freddino stasera" propose.
"Io non credo che sia una buona idea" ribatté Lasti.
"È per via dei desideri irrazionali? Sono certo che non succederà niente, ma se ti dessi le spalle ti sentiresti più sicuro?"
"Sì... possiamo provare" rispose, arrendendosi alla sua proposta.
Faceva freddo davvero, quindi non si oppose ulteriormente e avvicinò un po' il suo cuscino di fortuna a quello di Artillas. Si sdraiò per primo dandogli le spalle e sperò che anche lui facesse lo stesso. Stare stesi l'uno accanto all'altro, senza però toccarsi, aveva qualcosa di pacifico e appagante. Qualcosa che riuscì a riempire la mente di Lasti, cancellando le preoccupazioni e cullandolo fino a farlo addormentare.
L'indomani si misero in viaggio presto. Attraversarono boschi e pianure, fermandosi brevemente solo per far riposare il lolip e mangiare.
Giunsero a Nyss prima del previsto, al tramonto di quello stesso giorno.
Lasti osservò il villaggio attraverso lo spacco del telo che copriva il veicolo, rimanendo senza parole. Tutto era come lo ricordava, il che gli riportò alla mente tanti ricordi dolceamari.
Anche le preoccupazioni non mancavano.
Diede le indicazioni per raggiungere la casa in cui era nato, sorprendendosi di quanto ricordasse bene ogni strada, ogni edificio e ogni dettaglio del paesaggio circostante. C'erano poche persone in giro a quell'ora, e intorno all'abitazione non c'era proprio nessuno.
Essa era piccola, vecchia e rovinata dal tempo, ma era comunque la sua casa.
Spostò il telo e scese, sentendosi subito attanagliato dall'angoscia. Artillas legò il lolip a una staccionata vicina e andò da lui, ancora fermo.
"Tutto bene?" gli chiese, notando il suo stato d'animo.
"Sì" rispose, rivolgendogli uno sguardo teso. "Non riesco a credere di essere tornato. Sapevo che prima o poi sarebbe successo, ma... ora che sono qui, vorrei quasi scappare"
"Allora direi che non va affatto bene" sottolineò Artillas. "Non sei obbligato a fare niente, possiamo anche rimetterci in viaggio se vuoi. Questo villaggio è di strada per Danes"
"No, non esiste. Non posso tirarmi indietro proprio adesso. Però... non so proprio cosa fare e cosa dire. Busserò alla porta, e poi? Ho la mente vuota... o forse troppo piena"
"Vuoi che venga con te?"
"Certo che devi venire con me" rispose, d'istinto. "No, non voglio obbligarti, ignora le mie parole" si corresse, rendendosene conto.
Era agitato, anche se cercava di non darlo a vedere nascondendosi dietro a una maschera di serietà.
"Oh, ma io voglio venire. Dopo tutta questa strada, non puoi pretendere che resti ad aspettare fuori" ribatté Artillas.
Non intendeva imporgli la sua presenza. Semplicemente, visto che Lasti fingeva di non volerlo con sé, avrebbe insistito per accompagnarlo comunque, per essergli di sostegno.
"Bene. Ti ringrazio..." gli disse e sospirò.
L'ansia gli chiudeva la gola.
Perché i suoi genitori si erano ostinati a ignorarlo per anni? Perché lo avevano abbandonato? Anche se temeva che la risposta fosse quella semplice e scontata che già conosceva, aveva bisogno di sentirla dalle loro labbra. Aveva bisogno di vederli e sapere cosa avevano fatto negli ultimi quindici anni. Solo così, ne era certo, sarebbe riuscito a buttarsi tutto alle spalle e andare avanti.
"Basta perdere tempo, andiamo" annunciò, incamminandosi per primo.
Si era imposto un passo veloce, ma non era affatto sicuro. Solo la sua forza di volontà e la determinazione lo trascinavano.
Alnea splendeva basso, tingendo il paesaggio circostante di arancione, ma la notte non era ancora calata.
Raggiunse la porta di legno e la squadrò, rendendosi conto che ne conosceva ogni venatura.
Prese coraggio e bussò un paio di volte. Qualcosa, dentro di lui, si dimenava sperando che non lo avessero udito, così che potesse andarsene sapendo di averci almeno provato.
"Sì?" domandò una voce femminile, dall'interno.
Lasti sospirò, angosciato. Schiuse le labbra, ma le parole gli morirono in gola.
Neanche un attimo dopo la persona aprì di poco, abbastanza per poter vedere chi avesse bussato. Era una donna bassa, dai capelli neri e col viso segnato dall'età. Lo guardò, sgranò gli occhi e richiuse la porta sbattendola con forza.
Lasti si era accorto di aver smesso di respirare. Si costrinse a tornare a farlo, ma anche lui aveva sgranato gli occhi. Era sua madre, non la vedeva da tantissimo tempo ma ne era certo, era lei.
"Cosa vuoi dalla mia famiglia, mostro?"
Altre parole seguirono, ma da fuori non riuscì a distinguerle. Ciò che capì chiaramente era che una voce maschile si era unita alla sua.
"Madre! Padre! Sono Lasti, vostro figlio" esclamò a denti stretti, battendo un altro pungo e tenendolo premuto contro il legno.
Aprirono di nuovo, questa volta di più, rivelando le figure di entrambi. I suoi genitori erano invecchiati e sconvolti.
"Lasti?" chiese lei, timorosa, allungando una mano verso il suo viso.
Subito dopo la ritrasse e indietreggiò.
Suo marito le teneva un braccio intorno alla vita, come per proteggerla portandola via con sé all'evenienza.
Lasti era agitato, gli tremavano persino le labbra. Non avrebbe dato loro la soddisfazione di piangere, ma ora sì che aveva la mente svuotata dal panico.
"Cosa ci fai qui? Vuoi vendicarti?" domandò l'uomo, corrugando la fronte.
"Vendicarmi? No... solo parlare. Possiamo entrare?"
Alla sua domanda si accorsero che non era solo. Artillas, alle sue spalle, indossava l'uniforme da guardia reale e perciò diede loro l'impressione di essere ancora un soldato. Vedendolo, sembrarono calmarsi di poco, come rassicurati dalla presenza di un servo del Sovrano.
Per loro fu un collegamento inconscio e solo Artillas, esterno a tutte le emozioni che li coinvolgevano, si accorse di ciò.
"Entrate, parleremo in soggiorno" continuò il padre, avviandosi per primo insieme alla donna.
Lasti si voltò a guardare il ragazzo in cerca di una rassicurazione.
Il mezzo Lin gli sorrise, annuì e fece segno di varcare la soglia. Così fece.
Il primo passo all'interno fu difficoltoso, pesante.
Si fermò a contemplare il corridoio che conosceva come le sue tasche.
Sulla destra, poco più avanti, c'era l'entrata del soggiorno. A sinistra, invece, sulla parete erano stati affissi i ritratti di famiglia.
Quello dei genitori, dei fratelli e... il suo. Capì qual era, anche se la cornice era stata girata perché stesse rivolta verso il muro. Restava visibile soltanto il legno che lo contornava, insieme alla polvere che ci si era posata sopra. Affranto da questa visione, non si accorse che dopo il suo era stato appeso un altro quadretto che prima non c'era.
Di nuovo, si fece coraggio e raggiunse i genitori.
Lo avevano aspettato vicino al tavolo. Sua madre fece loro segno di sedersi e così fecero, accomodandosi per primi.
La piccola sala da pranzo, che fungeva anche da salotto e cucina insieme, era identica a come la ricordava. I mobili in legno logorati dal tempo, le stoviglie riposte in ordine sul piano da lavoro e i vasi in terracotta, fatti dalla donna, qua e là ad abbellire la stanza. Si perse a guardare ogni particolare, dimenticandosi quasi di essere lì per parlare con loro.
Quando tornò concentrato su sua madre e suo padre, trovò lui con un'espressione severa e lei confusa.
"Perché sei venuto? Pensavamo di essere stati abbastanza chiari" esordì lui.
"Chiari? Smettere di scrivere non significa essere chiari..." lo incalzò Lasti, il tono di voce basso per la delusione.
"Non volevo chiamarti mostro" li interruppe la donna, con lo sguardo ancora fisso sul tavolo. "Mi hai spaventata, ma... Quelle corna, significa che sei tu la Voce della Dea?"
Suo padre scosse la testa e fece schioccare la lingua.
"Sono io" le rispose, ignorandolo.
Sua madre sembrava sull'orlo delle lacrime.
"Dopo quello che hai fatto, gettando vergogna sulla nostra famiglia, La Dea ti avrebbe scelto per fare di te il Suo portavoce? Perché proprio tu?" chiese l'uomo, alzando il tono.
Lasti strinse i pugni sotto il tavolo.
"Questo dovresti chiederlo a Lei" ribatté, nervoso.
Artillas notò il suo stato d'animo e posò la sua mano destra sulla sinistra di Lasti, che si rilassò leggermente sentendo quel contatto.
"È inaccettabile" continuò il Lin. "Quando sei scomparso, quelli dell'Accademia Militare sono venuti a cercarti. Tutto il villaggio ha saputo che avevi disertato, gettando di nuovo fango su di noi. Poi non ti sei fatto vedere e ti abbiamo dato per morto. Adesso torni qui e si scopre che eri stato scelto dalla Dea? È uno scherzo?" la sua voce era severa, carica di rabbia.
"È la verità" rispose, cercando di mantenere la calma.
Avrebbe tanto voluto che fosse uno scherzo, ma purtroppo non era così. Lei lo aveva chiamato a sé e reso il Suo Primo Generale, mandandolo in guerra per compiere la Sua volontà.
Dalle espressioni e il tono dei suoi genitori, capì subito cosa stavano pensando. Che lui non solo era stato perdonato dalla Dea per l'offesa dell'aver pronunciato il Suo nome, ma era anche stato elevato su tutti gli altri e scelto come messaggero.
Quasi fosse qualcosa di cui andare fieri.
Invece si trattava di una punizione, la vendetta nei suoi confronti, crudele e senza scampo. Lui ne era certo, ma nessun altro era in grado di capirlo. Non era stato un premio, ma un supplizio infinito, per questo il modo in cui ne parlavano gli dava sui nervi come non mai.
"Non mi sembra vero che La Dea abbia scelto uno come te per questo compito" insistette suo padre, deluso.
"Lei deve aver avuto le Sue ragioni" intervenne sua madre, alzando lo sguardo sul marito. "La Dea non sbaglia mai. Lo ha perdonato, forse dovremmo..."
"No!" esclamò lui.
"Non cerco il vostro perdono" li interruppe Lasti, cupo in volto. "Non lo voglio, soprattutto se ne parlate in questi termini. Non sono venuto per questo, volevo sapere se mandandomi all'Accademia intendevate ripudiarmi. Se le poche lettere che mi avete scritto sono state solo un modo per ritardare il nostro addio. Non serve chiedere, me lo avete appena confermato. Non vi interessava quale fosse la mia sorte, voi speravate di non vedermi più" affermò con rabbia, trattenendosi per non urlare.
Ora Artillas non teneva la mano sulla sua, ma gliela stringeva e Lasti ricambiava la stretta. La mano gli tremava, così come le spalle. Teneva la sua per non cedere.
La coppia si ammutolì, ma le loro espressioni giudicanti non cambiarono.
"Se hai avuto ciò che cercavi, allora vattene" gli ordinò suo padre, stoico, un istante dopo.
"I miei fratelli, dove sono adesso?" chiese invece Lasti, ignorandolo.
Sua madre sgranò gli occhi, spaventata senza un apparente motivo.
"Anche loro non mi hanno scritto più... Li avete convinti voi a non farlo?"
"Esatto! La cosa migliore che potevamo fare era tagliare ogni rapporto con te, che sei la nostra rovina!" sbottò l'uomo. "I tuoi fratelli si sono sposati, ora vivono lontano da qui. Non vogliono vederti, non li rivedrai mai!"
"Bene" rispose in modo duro, offeso.
A malapena tratteneva la sua furia, sull'orlo di esplodere.
"E chi è questo soldato che ti porti dietro? La tua guardia del corpo? Hai bisogno di qualcuno che ti protegga?" continuò, provocatorio.
Artillas assottigliò lo sguardo, pronto a rispondere. Il modo in cui stavano trattando Lasti, pur essendo la sua famiglia, aveva fatto arrabbiare anche lui ma non aveva voluto intromettersi fino a quel momento.
Schiuse le labbra proprio mentre la porta di casa sbatteva, attirando l'attenzione sua e di Lasti. Un attimo dopo una ragazza varcò l'entrata, affannata.
"Padre, che succede?" domandò.
Posando lo sguardo su Lasti sgranò gli occhi, fece cadere a terra la borsa e barcollò all'indietro finendo contro un mobile.
"V-Voi siete la Voce della Dea?" domandò ancora impaurita, spostando lo sguardo sulle corna.
"Lia, scappa!" esclamò la madre.
La ragazza spalancò la bocca e lo stesso fece Lasti, offeso nel profondo.
"I-io... non capisco. Ho visto un carro, sentito le urla e la Voce della Dea è qui. Perché dovrei scappare, madre?" chiese e spostò lo sguardo di nuovo sul ragazzo. "Voi siete qui per farci del male?"
"No, non temere" rispose lui con voce calma, alzandosi in piedi.
Lasciò la mano ad Artillas che, confuso, non poté far altro che alzarsi a sua volta, pronto a seguirlo.
"Non darmi del voi, non sono un nobile. La mia famiglia è proprio come la tua... ma loro mi hanno ripudiato tanto tempo fa. Ce ne andiamo"
Il suo sguardo era vuoto e l'espressione severa mentre superava la ragazza per tornare nel corridoio e andarsene.
Indugiò solo un istante passando di nuovo davanti alle cornici. Ora se ne rendeva conto: accanto a quelle dei suoi tre fratelli e alla sua ce n'era un'altra, con il ritratto di una bambina. Prese la propria tra le mani, tolse la polvere da sopra passandoci le dita e la appese girata nel verso giusto.
Il ritratto raffigurava un Lin ben diverso da lui. Un bambino che sorrideva sereno, spensierato, fiducioso nei confronti della vita. Non aveva idea che il suo futuro sarebbe stato tanto disastroso.
Si avviò verso la porta e la varcò senza più ripensamenti. Aveva fatto ciò che doveva, trovato le risposte alle sue domande. Non gli restava che andarsene.
Artillas lo raggiunse e gli prese di nuovo la mano, preoccupato.
Gli rivolse uno sguardo che valeva più di mille parole, ma non riuscì a pronunciarne nessuna.
Anche Lasti non disse niente, ma gli mostrò un'espressione carica di dolore e delusione.
Raggiunto il carro, sospirò profondamente.
"Andiamo via" chiese, impaziente. "Non so dove ci fermeremo per la notte, ma ovunque è meglio che qui"
"Sono d'accordo" rispose e andò a slegare il lolip.
Lasti si sedette sul bordo del veicolo, rivolto verso la casa. La guardò un altro istante, poi lasciò ricadere la testa in avanti, appoggiandola sulle mani. Non stava piangendo. Sentiva di non avere lacrime, di essere vuoto. Anche la rabbia se n'era andata lasciando spazio a un senso di nausea.
Quando riaprì gli occhi vide che la ragazza di prima era uscita dalla porta e stava correndo verso di loro. Pensò che fosse frutto della sua immaginazione, invece stava succedendo davvero.
Si fermò davanti a lui, piegandosi in avanti per riprendere fiato.
"Tu... sei mio fratello?" domandò, la fronte corrugata in un'espressione dispiaciuta.
"Sì" ammise, mentre Artillas li raggiungeva sorpreso.
"Io non ne avevo idea... Mi hanno sempre detto che eri morto da piccolo" rivelò, a sguardo basso.
Una fitta di dolore trapassò il petto di Lasti.
"Morto... da piccolo?" ripeté, spiazzato.
Non sapeva se ridere o piangere, ma scosse la testa e si trattenne dal fare entrambe le cose.
"Scusa, forse non avrei dovuto dirlo. Come ti chiami? In casa non si parla mai di te"
"Lasti" rispose, sorvolando sul resto. "Tu ti chiami Lia?"
"Sì" disse lei, per poi spostare lo sguardo sul mezzo Lin. "E tu chi sei?" domandò ingenuamente, curiosa.
"Artillas, il fidanzato di Lasti"
Il diretto interessato sgranò gli occhi.
"E quando lo avremmo deciso?" chiese, sorpreso.
"Pensavo fosse ovvio, stiamo andando a vivere insieme dopotutto"
Lasti accennò un sorriso, rallegrato dal modo scherzoso e leggero con cui l'aveva affermato, in contrasto con ciò che era appena successo.
"È come dice lui. Stiamo andando nel Regno di Danes"
"No, fermatevi per la notte! Sono sicura che domattina mamma e papà saranno più ragionevoli!"
Lui scosse la testa.
"Hanno avuto quindici anni per ripensarci, ormai non voglio saperne più niente di loro" rispose in modo severo.
La ragazza ci restò chiaramente male.
"Se ti fa piacere, ti scriverò delle lettere. Non sapevo di avere una sorella" propose, accennando un sorriso.
"Certo che mi farebbe piacere!"
Già che c'era le chiese di più sui loro fratelli, dato che lei era ben disposta a parlare, poi si salutarono per rimettersi in viaggio.
"Hai fatto bene" disse Artillas dopo un lungo silenzio, quando il villaggio di Nyss era ormai sparito in lontananza. "Dopo il modo in cui ti hanno trattato, non meritano altre possibilità. Non so come hai fatto a trattenerti, stavo per insultarli io al tuo posto"
Il Lin sospirò e basta, indeciso su come rispondergli.
Doveva fare ordine nei suoi pensieri, non aveva ancora elaborato del tutto ciò che era appena successo.
"Questa volta non ti chiederò come stai, però vorrei proprio sapere cos'hai fatto di tanto grave per ricevere questo trattamento"
"Io... credevo di avertelo già raccontato. No, ovvio che non ne ho parlato, avrei voluto dimenticarlo talmente me ne sono pentito" sospirò di nuovo. "Quando ero piccolo ho osato dire ad alta voce il nome della Dea, per di più a scuola, davanti a tutti. È per questo che sono stato ripudiato"
Artillas si voltò a guardarlo, incredulo.
"Non è una reazione un po' esagerata per una cosa così stupida?"
Lasti gli rispose con uno sguardo serio, lasciando spazio a un lungo attimo di silenzio.
"Nominarla è irrispettoso e Lei è La Dea della vendetta. Lei stessa ci ha dato molto peso, come puoi immaginare. In quanto a loro, sono la mia famiglia e mi aspettavo di meglio. Non ero fiducioso, ma questo... è decisamente troppo"
Pronunciò le ultime parole con un tono più basso, distrutto.
"Guarda il lato positivo, ci hai guadagnato una sorella. Loro non ti meritano. Sarò io la tua famiglia d'ora in poi, se me lo permetterai"
Lasti sorrise pur sapendo che l'altro non lo stava guardando.
Pensò di essere molto fortunato ad averlo con sé, e che non avrebbe saputo cosa fare senza di lui, ma non osò dirlo.
"Eri serio prima, quando hai parlato di fidanzamento? Siamo due ragazzi, non abbiamo modo di sposarci"
"Stiamo per andare a vivere insieme, tutto il resto non importa" rispose Artillas, sicuro. "Intendo dire che ero serio, molto serio"
"Non importa? Mi piace questo tuo modo di pensare, ma non ci sono per niente abituato" ammise.
"La guerra è finita, non sei a Lissen e nessuno si aspetta niente da te. Devi imparare a lasciar perdere, sarà questo il tuo riscatto"
Lasti sorrise di nuovo, stupito. Malgrado si sentisse ancora a pezzi, Artillas gli stava dando una speranza esponendogli il suo punto di vista. L'idea di lasciar correre e iniziare a stare bene a dispetto degli altri, gli sembrava una gran bella prospettiva.
"Mi stai ascoltando?"
"Sì! Scusa, ci stavo riflettendo"
"Non riflettere, l'hai fatto abbastanza per oggi. Dormi, piuttosto. Poco più avanti c'è una pianura, ci fermeremo lì quindi ti puoi già rilassare"
Decise di dargli retta. Preparò il cuscino di fortuna, si mise al caldo grazie alla coperta e tentò di prendere sonno. Non fu così semplice, purtroppo, perché tutte le emozioni di quella serata lo colpirono come un macigno. I pensieri lo avrebbero attanagliato per tutta la notte, ne era convinto.
Continua nel prossimo capitolo
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