10

"C'è stata un'intromissione divina. Suppongo si tratti di Mio fratello Shin-ko, protettore dei nostri nemici Shin. Stiamo interferendo con la prosperità del popolo da lui protetto, perciò si è mobilitato. Purtroppo non mi è possibile capire di che natura sia il suo intervento, ma è senza dubbio una minaccia. Qualsiasi cosa sia, è già sulle vostre tracce"

Lasti si svegliò di soprassalto nel cuore della notte, scosso dalle parole della Dea.
Si vestì in fretta e furia, prese tutte le sue cose e uscì in corridoio, quindi bussò alle porte delle stanze dei compagni perché si svegliassero.
Stanchi e confusi, si affacciarono uno dopo l'altro.
"Spero che abbiate riposato almeno un po', perché dobbiamo partire subito"
Nel vederlo preoccupato capirono che era successo qualcosa di serio.

Diede loro appuntamento alla porta del villaggio e scese le scale per primo. Si diresse a casa di Uaitmes, consapevole che non era il caso di andarsene senza averla salutata.
Bussò alla porta e, poco dopo, la donna gli aprì.
Anche il suo abito per la notte era succinto e i suoi capelli, ora slegati, erano gonfi e lunghissimi.
"Uaitmes, sono io" le disse.
"Lasti... Vuoi entrare? Non importa se mi hai svegliata, speravo proprio che cambiassi idea"

"Non è per questo che sono qui, mi spiace. Siamo costretti a ripartire adesso per volere della Dea" le spiegò senza nasconderle il suo affanno.
"Se è così, prendo le mie cose"
"No, non sarà necessario" la fermò. "Lei dice che il tuo villaggio ha bisogno di te. Potrai comunque essere utile alla causa, restando qui"
"Va bene..." rispose, rattristata dalla notizia. "Se si tratta del Suo volere, lo accetto"
"Ti ringrazio per l'ospitalità che ci hai riservato" aggiunse lui, prima di salutarla e avviarsi verso la porta.

Qualche minuto dopo, il piccolo gruppo era partito e si trovava nel folto della foresta. Ognuno di loro aveva in mano una lampada ad olio, fatta eccezione per Lasti e Crux. Quest'ultimo stava consultando la mappa per assicurarsi che stessero andando nella direzione giusta, mentre Tadas gli faceva luce.

"Continuando per di qua arriveremo al villaggio più vicino, ne sono certo" annunciò, facendo poca attenzione a dove metteva i piedi pur di concentrarsi sulla cartina, che un attimo dopo ripiegò e infilò in una tasca della borsa. "Ma ci vorrà un bel po' di tempo. Cammineremo per quel che resta della notte, almeno"
"Bene, più ci allontaniamo da Nagari e meglio è" disse Lasti, senza guardarlo in faccia.

Concentrato, osservava la foresta davanti a sé tendendo le orecchie per udire ogni singolo rumore.
Preso com'era dalla foga, aveva fatto appena in tempo a indossare l'armatura leggera e prendere le sue cose. Questa volta non aveva insistito per trasportare lui le provviste.

Avendo ben altro a cui pensare, le aveva lasciate a un altro Lin del gruppo, Kumika. Lui, silenzioso come lo era stato per tutto il viaggio, non si era lamentato di dover portare un peso in più, ma anche se lo avesse fatto Lasti non ci avrebbe dato peso. Si trattava di pochi viveri ormai, giusto quelli avanzati prima di arrivare a Nagari, e sarebbero bastati fino a raggiungere il villaggio successivo.

"Primo Generale, perché siamo partiti nel cuore della notte? È successo qualcosa?" si decise a domandargli Tadas, allarmato come tutti.
Lasti non si voltò verso di lui.
I rumori degli animali in lontananza, che si trattasse di ululati o fruscii, lo distoglievano da quelli che potevano essere prodotti da un altro essere, in agguato per attaccarli. Sapeva che forse il suo era un comportamento esagerato, ma non riusciva a stare tranquillo.

L'avvertimento della Dea lo aveva scosso nel profondo.
Anche il fatto che non fosse stata chiara a riguardo lo preoccupava. Era improbabile che si sarebbero trovati davanti a Shin-ko in persona, ma non aveva idea di cosa aspettarsi dalla divinità degli inganni. Sapeva solo che si trattava di un pericolo e non poteva permettersi di farsi cogliere impreparato.

"La Dea mi ha messo in guardia" svelò, in tono serio. "Una minaccia è sulle nostre tracce"
"Una minaccia? Di che tipo?" chiese Palkem, facendosi strada per raggiungerlo.
"Non lo sappiamo" rispose. "Un'altra divinità interferisce con i Suoi piani"
"Un'altra divinità?" ripeté Tadas, rimanendo spiazzato dalla rivelazione.
"È una cosa possibile?" chiese allora un altro del gruppo, Tulbiak, anche lui incredulo.
Non aveva ancora parlato con Lasti durante quei giorni, ma adesso che lo vedeva così nervoso anche lui non poteva che farsi avanti e chiedere.

"Fino a qualche anno fa non credevo fosse possibile parlare con La Dea. Ora avremo a che fare con un'altra divinità, tutto è possibile" sottolineò.
Si sforzò per non farsi vedere sconsolato, ma la verità era che aveva paura.
Non poteva apparire debole e spaventato, non sapeva come avrebbero reagito gli altri alla cosa.

Strinse i denti, fremendo di rabbia. Si domandò come fosse potuto succedere. Fino a qualche ora prima mirava a portare a compimento il piano della Dea il più in fretta possibile, svuotato da qualsiasi ambizione personale che non La riguardasse.

Privato del controllo sulla sua persona e del suo futuro, aveva potuto pensare solamente a svolgere il suo dovere al fine di soddisfarla e riprendere possesso della propria vita.
Adesso, invece, era consapevole che probabilmente avrebbe affrontato qualcosa di più grande di lui.
Lasti era un mero strumento che ad altre divinità era scomodo...

Certo, Lei avrebbe potuto trovarsi un altro fantoccio da riempire con la Sua volontà, ma a che prezzo? Lui era sostituibile, ne era sicuro, ma ormai comandava la Sua armata da anni. Conosceva tutti i suoi uomini, chi più chi meno, aveva imparato a gestire i poteri che aveva ricevuto e, per quanto possibile, i suoi impulsi. Se fosse morto, La Dea avrebbe scelto qualcun altro e l'avrebbe dovuto istruire da zero. Probabilmente la Sua scelta sarebbe ricaduta su uno dei generali, ma Lasti sapeva bene che affrontare tutto ciò che aveva passato lui non sarebbe stata una passeggiata.
Di certo Lei non avrebbe raggiunto il Suo obiettivo nei tempi stabiliti.

A parte queste riflessioni, pensava anche alla sua vita. Aveva rischiato in passato, certo, ma l'intervento divino sarebbe potuto essere di tutt'altra risma. Con La Dea dalla sua parte e i poteri da Lei ricevuti, malgrado un'insicurezza iniziale, Lasti si era sempre sentito intoccabile.
Non era più così, non in quell'occasione.

Consapevole di essere un guscio vuoto al servizio della Dea, lui non avrebbe voluto morire così, ricoprendo quel ruolo fino alla fine, in quelle condizioni. Avrebbe voluto fare molte altre cose, senza più essere sotto il controllo di nessuno.
Ma per fare tutto ciò, si sarebbe prima dovuto occupare della Sua causa, portare avanti il Suo piano.
Non posso assolutamente morire adesso, si ripeté diverse volte.

Un fruscio alle spalle del gruppo, udito solo grazie ai sensi potenziati dal Mirai, gli fece raggelare il sangue nelle vene. Arrestò il cammino e si voltò, mettendo in allarme anche gli altri.
La maggior parte di loro non si era accorta di niente.
Dopo aver scrutato nell'oscurità, il Primo Generale si sentì decisamente sollevato. Era solo un nocturnol, animale dal manto a scaglie taglienti e munito di denti affilati. Quelle bestie cacciavano di notte e ce n'erano molte in zona.

Non si trattava di una grossa minaccia, anche se era aggressivo. Sarebbe stato problematico solo se fosse arrivato il resto del branco.
"Un nocturnol" esordì, dato che gli altri ancora non potevano vederlo.

Crux fu il primo a estrarre la spada, avendo entrambe le mani libere. Quando però, un attimo dopo, l'animale spiccò un salto in direzione di Palkem, solo Lasti fu in grado di prevederlo e di spingere via la ragazza. Lei fece cadere la sua lampada per lo spavento e si ritrovò a terra, ma la bestia l'aveva mancata.

Adesso che si trovava a pochi passi da Lasti, il quale aveva già impugnato la propria arma, il nocturnol sembrò cambiare idea. Ben illuminato dalla luce delle lampade, parve rendersi conto che, in quella situazione, la preda era lui.
Un attimo dopo guizzò via, sparendo nelle tenebre più velocemente di come era arrivato.

"Gli abbiamo messo paura" commentò Nissa, caricandosi in spalla la lancia.
"Deve essere stato il Mirai di Lasti" puntualizzò Crux.
"Sì. Avrà avvertito l'istinto di sopravvivenza" aggiunse il diretto interessato, rimettendo l'arma nel fodero.

La lampada di Palkem si era infranta al suolo cadendo, appiccando un piccolo fuoco sull'erba. Lasti si avvicinò senza paura alle fiamme, si chinò e le spense appoggiandoci sopra una mano. L'aveva soffocata senza che gli provocasse alcuna bruciatura.

Intanto Frem aveva aiutato la sorella a rimettersi in piedi.
"Grazie, Primo Generale" disse l'arciera dai capelli lunghi, ancora scossa per aver rischiato la vita.
"Non serve ringraziare per così poco" rispose lui, riprendendo a controllare i dintorni. "Con questo buio, voi che usate l'arco siete svantaggiate. Rimettiamoci in cammino, l'odore che sento non mi fa pensare a niente di buono"

Nessun altro era in grado di percepire l'umidità che permeava l'aria, ma presto accadde ciò che lui aveva temuto.
Iniziò a piovere.
Dapprima leggera, la pioggia divenne in pochi minuti intensa e scrosciante. Non si udivano fulmini in lontananza, ma era una vera e propria tempesta. Per fortuna non aveva iniziato a soffiare il vento, in tal caso sarebbe stata ancora più dura proseguire.

"Dobbiamo trovare un riparo!" suggerì Lasti, alzando la voce per permettere agli altri di sentirlo.
Avevano già i vestiti bagnati, ma non era quello il problema più grave.
Con lo scrosciare della pioggia, il Primo Generale non era più in grado di distinguere i rumori gli uni dagli altri. Essa copriva tutto, rendendoli insignificanti.

Trovando riparo, non avrebbero potuto certo riposare. Non lui almeno. Il piano era piuttosto quello di stare all'asciutto, rimanendo comunque in allerta.
"Più a nord ci sono le montagne!" intervenne Crux. "Se siamo fortunati troveremo un'insenatura in cui rifugiarci"
"Procediamo allora, aumentiamo il passo!"

Camminarono ancora, avanzando a fatica sul terreno che si era fatto fangoso.
"Mia Voce"
Lasti sobbalzò quasi, teso com'era. Non si aspettava certo di sentire La Dea, ma doveva ammettere che fu rassicurante. Anche in quell'occasione, non li aveva abbandonati.

"Non abbassare la guardia, vi ha raggiunti"
"Che cosa...?" si lasciò scappare, spiazzato.
Aveva usato un tono di voce troppo basso perché gli altri lo potessero sentire, ma ignorò la cosa e si fermò.

Concentrandosi al massimo, riuscì a udire il rumore di qualcosa che si avvicinava alla sua destra. Era veloce, ormai stava per arrivare.

Sguainò la spada mettendo in allerta tutto il gruppo.
Si girò appena in tempo per vedersi raggiungere da una figura incappucciata dagli indumenti scuri, che procedeva a viso basso verso di lui. Alzò la lama per colpirlo e Lasti schivò l'attacco.

Il nemico misterioso non tentennò, fece di nuovo per attaccarlo ma venne intercettato da Tadas, che parò con la sua spada all'altezza del viso. Mentre le loro lame ancora stridevano per lo scontro, lo sconosciuto lo trafisse al fianco con un'altra arma.

Bastò un attimo perché Lasti si accorgesse che erano spade corte, e che con una catena erano legate ai polsi di quell'individuo. Questo dettaglio, insieme al fatto che fosse incappucciato, gli fece intuire che si trattava di un assassino proveniente da un altro regno.

Tadas tossì e venne spinto indietro con un calcio.
Fu Nissa a farsi avanti questa volta, con la lancia tentò di trafiggerlo ma lui schivò abilmente, come se il terreno sotto i suoi piedi non fosse affatto scivoloso. Dopo aver schivato, il sicario si ritrovò in prossimità di Palkem, la quale stava tendendo l'arco verso di lui. Adesso troppo vicino, si spostò e così venne mancato.

Frem invece, più lontana, riuscì a colpirlo alla spalla, ma questo non bastò a dissuaderlo. Dopo aver evitato un'altra freccia dell'arciera dai capelli lunghi, si era affrettato per raggiungerla e tagliarle la gola.

Lei cadde sulle ginocchia, poi a terra. Sua sorella urlò, disperata. In un moto di rabbia, corse verso di lui mollando l'arco, armata solo di un pugnale estratto dal fodero che teneva in vita.

"Frem, no!" esclamò Nissa, raggiungendola e spingendola via per non farla cadere tra le braccia del nemico, che si trovò invece faccia a faccia con Kumika e un altro Lin del gruppo, Ganari. Il primo armato di spada e il secondo di ascia, non riuscivano a tenergli testa anche se era solo. Con l'intervento di Tulbiak e Nuri, alle sue spalle, l'assassino dovette spingerli via e scansarsi per non finire trafitto.

Lasti aveva soccorso Tadas. Dopo aver premuto una mano sul suo fianco ferito, lo aveva avvolto in fretta con una benda ottenuta strappando un lembo del suo mantello nero.
"Amico mio, tu sei forte" gli disse, sperando che quelle parole disperate riuscissero a sovrastare la pioggia e raggiungere le sue orecchie. "Non morirai in questo modo, affronteremo insieme tante altre battaglie"

Tadas annuì, segno inequivocabile che aveva capito.
"Adesso premi qui, okay?" si assicurò di dirgli, prima di impugnare nuovamente la spada e tornare nella mischia.

Dopo aver soccorso il generale, si rese conto che la situazione era ormai degenerata.
Palkem era a terra. Frem, inginocchiata accanto a lei, era svuotata di tutto il suo spirito combattivo, e Crux stava affrontando l'assassino insieme a Tulbiak. Anche Ganari sembrava ferito, si stringeva il ventre.

"Lascia stare i miei compagni!" urlò Lasti, in un tentativo disperato. "È me che vuoi, non è così? Sono io la Voce della Dea!"
A quelle parole, l'assassino mollò un calcio a Crux per allontanarlo da sé. Tulbiak riuscì a fargli perdere la presa sulla lama sinistra, ma la spada anziché cadere oscillò, agganciata al suo polso. Si difese con la destra, mentre riprendeva in mano l'altra.

Per schivare un attacco, Tulbiak indietreggiò, il sicario fu così libero di voltarsi e concentrarsi su Lasti, che gli si era avvicinato per trafiggerlo alle spalle.
Esclamò qualcosa in una lingua sconosciuta e sollevò entrambe le spade per parare il fendente del Primo Generale. Usò così tanta forza da riuscire a spingerlo indietro e a farlo barcollare.

Il Mirai di Lasti ondeggiò in avanti per un istante, e il tempo bastò all'assassino per afferrarlo, strapparglielo dal collo per poi gettarlo lontano.
Il Primo Generale sgranò gli occhi, spiazzato.
Senza il Mirai non aveva niente. Non era niente.

Se non fosse stato per le deboli luci delle lanterne rimaste intatte, sarebbe stato cieco.
Solo in quel momento si accorse quanto poco riuscivano a vedere i suoi compagni nella notte, e rimpianse, prima di tutte le altre caratteristiche, la sua vista potenziata.

Quando il sicario tornò alla carica, si accorse di quanto era difficile parare i suoi attacchi. Non riusciva più a muoversi velocemente, non quanto il nemico almeno, e la sua lama impattò contro quella di Lasti con una forza che gli sembrò assurda.

Dovette concentrarsi al massimo per riuscire a vedere i suoi movimenti e parare gli attacchi incalzanti. Dopo aver parato l'ennesimo fendente, l'assassino non spostò il braccio, anzi, continuò a spingere la lama contro quella di Lasti.
Il ragazzo si accorse che stava muovendo l'altra spada verso il suo fianco e fece appena in tempo ad afferrargli il polso per impedirgli di ferirlo.

La forza con cui continuava a spingere entrambe le armi verso Lasti, riuscendo quasi a trafiggergli il ventre con la destra, era incredibile. Il Primo Generale sentiva i propri polsi tremare per lo sforzo, e cedere sempre di più permettendogli di farsi più vicino.

Non perdeva però la speranza.
Quando si accorse che i compagni stavano arrivando ad aiutarlo, decise che non avrebbe permesso a quell'individuo di uccidere nessuno di loro. Prese a indietreggiare, sperando di riuscire a distanziarli.
Il terreno bagnato lo fece scivolare, ma barcollando verso sinistra fece perdere l'equilibrio per un attimo anche al nemico, che si sbilanciò in avanti.

Cogliendo il momento, Lasti gli assestò una ginocchiata allo stomaco, dopodiché afferrò la freccia che aveva nella spalla e la fece affondare più in profondità.
L'assassino esclamò di nuovo qualcosa in una lingua sconosciuta, probabilmente un'imprecazione, e alzò le spade per ferirlo al volto.

Anche questa volta il Primo Generale riuscì ad afferrarlo per i polsi, rendendosi conto subito dopo di essere finito in una trappola: quello gli fece incrociare le braccia, avvolgendole in parte con le catene. Anziché colpirlo con le spade, lo trascinò sfruttando la presa su di lui e l'intreccio del metallo.
Probabilmente aveva capito che allontanandolo dalla luce sarebbe stato in netto vantaggio.

Lasti era in preda al panico.
Notò in lontananza i compagni che raccoglievano le lanterne per seguirlo, ma già non lo scorgevano più.
Anche lui non vedeva nulla, se non ciò che aveva davanti al naso.

L'assassino lo stava ancora trascinando nel folto della foresta, mentre lui si dimenava senza ottenere risultati. Gli aveva lasciato i polsi, ma aveva stretto la presa con le catene intorno ai suoi avambracci. Sforzandosi di riprendere lucidità, Lasti cercò di ancorarsi al terreno con i piedi e scaraventare il nemico di lato. Sapeva che così avrebbe potuto perderlo di vista, ma forse avrebbe guadagnato il tempo necessario a correre verso le lanterne.

Riuscì a divincolarsi dalla presa, anche se non del tutto. Quando perse l'equilibrio, finendo in un burrone che non aveva notato, sentì che il suo braccio destro era ancora impigliato nelle catene.
La caduta sarebbe potuta essere più rovinosa, ma anziché schiantarsi al suolo venne inghiottito da un fiume in piena.
Si sforzò di tornare in superficie, scosso da un forte dolore alla schiena dovuto all'impatto.

Ora non era più prigioniero delle catene nemiche, ma sapeva di aver trascinato l'assassino giù con sé, proprio come ora il fiume stava trascinando loro chissà dove.
Un'onda lo sommerse e si sentì tirare di nuovo giù, ma ancora una volta riuscì a tornare a galla e poté respirare.

La luce di Felnea, tra le nuvole, rischiarava appena quella situazione, non permettendogli comunque di vedere dove si trovasse il nemico. Sperò con tutto se stesso che fosse morto nella caduta, ma un momento dopo lo vide riemergere dall'acqua, poco più indietro, con le spade ancora strette in mano.

Lasti, a differenza sua, era disarmato, e sapeva che probabilmente il fiume li stava portando ad una cascata, dato che lo scrosciare si era fatto ancora più impetuoso. Capì che doveva agire subito se voleva salvarsi.
Nuotò cercando di raggiungere la riva, lottando con la corrente che lo spingeva da tutt'altra parte.

Quando riuscì ad afferrare un tronco e portarsi in salvo, strappandosi alla furia dell'acqua, sapeva che non poteva ancora tirare un sospiro di sollievo. Si trascinò a riva, dove barcollò nel tentativo di alzarsi. Appesantito dall'acqua e dallo sforzo, ci riuscì a fatica.

Appena si voltò, si ritrovò di nuovo addosso il suo assalitore.
Lo ferì al viso, ma Lasti riuscì a indietreggiare in tempo perché non diventasse più di un graffio. Intanto l'assassino ansimava, anche lui palesemente sfiancato.

Il Primo Generale riuscì a vedergli il viso per un attimo. Aveva gli occhi sgranati, di un grigio inquietante e gelato, come la pioggia che li stava colpendo senza pietà.

Un secondo fendente gli squarciò la parte bassa della maglietta, aprendo una ferita orizzontale sotto di essa. Questa volta non era riuscito a schivarlo.
Il sicario non perse tempo e gli assestò un calcio con una forza formidabile, lanciandolo a un paio di metri di distanza. Lasti colpì il suolo con la schiena provando nuovo dolore. Stordito, non riuscì ad alzarsi prima di ritrovarsi il nemico addosso, che gli infilava una lama nel ventre con sadica lentezza.

Sgranò gli occhi e strinse i denti, sconvolto dalla tortura che stava subendo. Gemette dal dolore.
In quel momento ebbe la consapevolezza che sarebbe morto, stava succedendo davvero.
Cercò di spingerlo via per le spalle, ma non ebbe successo. Riuscì solo a far arretrare la lama dentro di sé, cosa che non servì a dargli sollievo.

Afferrata la mano nemica, stretta sull'impugnatura, impiegò tutte le forze che aveva per fargliela estrarre e avvicinarla al suo collo, ribaltando la situazione.
L'assassino non sembrò per niente turbato. Sollevò la seconda spada e la conficcò prontamente nel suo fianco, di nuovo.

Lasti lasciò andare un urlo.
Disperato, tentò di dargli un'altra ginocchiata, ma la posizione e la ferita al basso ventre non glielo permisero. Gli diede allora un pugno in pieno volto usando la mano sinistra, facendogli rovesciare la testa all'indietro.

Colse quell'attimo di distrazione per spingerlo ancora per le spalle, questa volta riuscendo a buttarlo a terra e ritrovandosi sopra di lui.
L'individuo incappucciato, che ora aveva la testa scoperta, annaspava per la fatica mentre Lasti cercava di usare le sue stesse spade contro di lui.

Era dannatamente difficile raccogliere abbastanza energie, che ormai non aveva più, per spingerle entrambe verso il suo oppositore.
Ancora disperato, con la mente annebbiata e non più in grado di capire cosa stesse facendo, Lasti sentiva il calore del sangue che stava perdendo e sapeva che le forze lo stavano lasciando.

Ma non poteva arrendersi.
Se doveva morire, lo avrebbe portato con sé.

Lo sguardo gli cadde su un grosso sasso poco distante. Impiegò il suo ultimo sforzo per allontanare con la mano destra la lama puntata al suo fianco, mollargli il polso e dargli un altro pugno in viso, mentre con la sinistra gli teneva fermo l'altro braccio. L'assassino perdeva sangue dal naso ma di certo non si sarebbe fatto fermare da così poco.

Lasti riuscì ad afferrare in fretta la roccia e sbattergliela sul volto più forte che poteva.
Non si fermò, lo colpì ancora e ancora mentre il braccio destro del nemico, alzato per pugnalarlo, si agitava in modo convulso.
All'improvviso sentì che l'uomo aveva smesso di opporre resistenza; lasciandogli andare il polso vide il suo braccio afflosciarsi all'indietro sul suolo fangoso, privo di vita.

Era morto, ce l'aveva fatta.
Ansimando per lo sforzo, lasciò la presa sulla pietra, sua arma di fortuna, e cadde riverso sulla schiena.

Mentre la pioggia gli bagnava il viso e Felnea lo illuminava sbucando dalle nubi, sentì le ultime energie che lo abbandonavano.

Ebbe l'impressione di rivedere i momenti salienti della sua vita come se li avesse appena vissuti.
Chiuse gli occhi, stremato, con in mente un volto amico. Qualcuno conosciuto anni prima all'Accademia Militare.
Cercò di aggrapparsi disperatamente a quel ricordo, ma non c'era più nulla da fare.
Perse conoscenza.


Continua nel prossimo capitolo


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