Lo sbarco

Nell'esercito conobbi un ragazzo di colore, molto bello tra l'altro, si chiamava Jhon Brisley.
Aveva diciannove anni anche se possedeva dei tratti molto delicati che lo facevano sembrare un po' più piccolo, era un tipo molto simpatico e sempre col sorriso sulle labbra nonostante lo schifo di situazione in cui eravamo.
Cantava, cantava benissimo, e suonava una chitarra mezza rotta che si era portato da casa..
Ogni sera ci deliziava con il suo repertorio, sapeva una vastità di canzoni e tutti noi ci univamo a lui nel cantarle.
Nonostante la stanchezza, le paure e tutto il resto ci concedevamo dei minuti di svago e spensieratezza per sopravvivere a quel momento della nostra vita.
Ovviamente il mio pensiero era fisso a Marta, ogni giorno era superato a fatica solo per l'eco del suo nome nella mia testa.
La immaginavo, mentre mi allenavo, seduta da una parte col suo solito sorriso dolce mentre mi guardava teneramente e questo mi dava la spinta per affrontare il giorno ma la notte faceva male.
La notte cercavo di immaginarla affianco a me, in quella branda piccola e scomoda, mentre mi stringeva e teneva la testa sul mio petto ma... non c'era, lei non era lì con me, ed era doloroso.
Santo cielo, mai sentito un dolore così forte in tutta la mia vita.
Jhon sapeva la mia storia ed era consapevole di come mi sentivo.
Lui era sposato da un paio di anni ed aveva due bambini, un maschio ed una femmina, credo si chiamassero Timothy e Rebecca.
Anche per lui era una tragedia stare lontano dalla sua amata famiglia, non faceva altro che parlare dei suoi bimbi e di sua moglie Sarah.

«I miei bambini sono così dolci Steve, non ne hai idea! Quando tutto questo sarà finito tu e Marta siete invitati a cena a casa mia! Sarah vi cucinerà l'arrosto, è il suo piatto forte» io mi limitavo a fare cenni con la testa ma ero di poche parole, Marta mancava ed io ero stanco di tutto persino di parlare.

«Andiamo Steve, cerca di reagire fratello! Sono certo che non durerà molto e che presto torneremo a casa dalle nostre famiglie» presi un foglio ed una penna e mi sedetti sul letto (chiamarlo letto è un'offesa ai letti) poi dissi, con tono ironico:
«Certo Jhon, tutto andrà bene e cavalcheremo draghi verso nuovi orizzonti»
Il mio sarcasmo depresso fece fare una smorfia a Jhon che si alzò per sedersi ai piedi del mio letto:
«Senti Steve, non sei l'unico a stare da schifo qui okay? Guardati attorno!
Siamo tutti carne da macello ma queste vittime sacrificali amano e sono amati quindi lottano per mantenere almeno un briciolo di positività così da superare la guerra.
Dici che è un'illusione? Che importa se ci mantiene vivi?!» poi si alzò di nuovo e uscì dalla stanza lasciandomi per conto mio.
Iniziai a scrivere una lettera a Marta, l'ennesima in realtà:

Isola di Leyete, Filippine.

19-10-1944

Cara Marta,
Siamo quasi sbarcati a Leyete, nelle Filippine.
Il comandante MacArthur ha previsto il nostro arrivo per domani e dice che ci aspetterà una battaglia.
Ormai siamo lontani da quasi tre anni ma il mio amore, il bisogno di te, non si è ancora affievolito.
Tutt'altro amore mio, aumenta ogni giorno se non ogni istante e la cosa, presto, mi renderà pazzo.
Ho bisogno di guardarti negli occhi, di sentire il tuo profumo.
Necessito di sfiorarti, di baciarti dolcemente la fronte e le labbra.
Ogni sera salgo sul ponte e guardo l'orizzonte..
Marta, amore mio, sei ancora lì per me.
Promettimi che resterai oltre il mio orizzonte ad aspettarmi, promettimi che mi amerai anche se dovessi lasciare questa terra perché giuro che io ti amerò così intensamente che la morte non ostacolerà ciò che sento per te.
Se domani dovessi morire, piccola mia, sappi che l'amore non muore mai.

Tuo, per sempre
Steve.

Spedii la lettera con le lacrime agli occhi pregando Dio che non fosse l'ultima e mi misi di nuovo in branda, solo, con gli occhi lucidi.
La sera ci fu un banchetto, il comandante disse che poteva essere l'ultima cena e che meritavamo una festa..
Una festa per festeggiare cosa? Pensai stizzito, stavamo per andare in pasto alla morte ed io avrei dovuto festeggiare secondo loro.
Che idioti.
Jhon si sedette accanto a me offrendomi del purè «Steve, non mangi? Devi essere in forze domani altrimenti la debolezza ti giocherà brutti scherzi» scansai il piatto e feci una faccia seccata «Non ho fame, per favore lasciami solo»
Fui consapevole di essermi comportato male solo poco tempo dopo, quando...

«Steve...»

«Piccola mia, scusami ti ho svegliata?»

Si strofina gli occhi non è vero? La vedete? Lo ha sempre fatto ed io la trovo una cosa così dolce, quasi bambinesca.
La mia piccola Marta.

«No, tranquillo, hai cenato?»

«No tesoro, aspettavo te per mangiare insieme»

«Ma sono le ventuno passate! Sciocchino, potevi mangiare tranquillamente... io mi sarei arrangiata in un secondo momento»

Mi alzo dal letto e sorrido:

«Ah beh, il secondo momento è arrivato ed io ho fame...
Tanto vale passarlo insieme, no?»

La sento mentre si alza lentamente e con fatica, ha il fiatone la mia Marta il che non è un buon segno.

«Marta, per favore, rimani a letto.
Penserò io alla cena.
Certo, non sarà un capolavoro come le tue solite cene ed i tuoi fantastici pranzi ma accontentiamoci okay? Resta a letto»

Sospira rassegnata, credo sappia che non ci siano altre opzioni se non questa.

«Va bene» si sdraia di nuovo «Ma fai attenzione, non fare nulla di complicato e non usare strumenti che tagliano o tritano o chissà cosa! Cucina e resta intero, grazie»

Marta a volte sembra la madre che non ho mai avuto.
«Agli ordini comandante!»
Scendo al piano di sotto, in cucina, e inizio a preparare qualcosa di semplice.
Una zuppa, non quella di mia sorella Clara...Per carità.
Il giorno in cui arrivammo sull'isola di Leyete vidi una ragazza che somigliava proprio a mia sorella Clara e mi scappò un sorriso.
Mi mancava molto e quella ragazzina sembrava così felice in quel momento mentre giocava col suo cucciolo solo che le cose stavano per cambiare.
Scoppiò una battaglia sia in acqua che sulla terra per la conquista di quella magnifica isola piena di esseri umani innocenti che venivano barbaramente uccisi.
Fuoco, spari ovunque, morti che cadevano a terra come mosche ed io che nascosto dietro un muro pericolante accanto a Jhon non riuscivo a sparare:

«Steve! Se non spari ci rimetterai la pelle!!» gridava Jhon mentre scaricava intere mitragliette sui nemici colpendo, ogni tanto, anche qualche innoquo civile.

«Non posso! Jhon, non ci riesco! Perché dovrei uccidere un altro essere umano? Per cosa?»

«Per sopravvivere!!»

«Ma sopravvivere a cosa?? Stiamo lottando per una guerra scatenata da gente potente che se ne sta comodamente seduta a casa propria, stiamo morendo per rubare una terra che non ci appartiene!»

In mare vedevo intere flotte colare a picco e sulla terra c'era solo odio.
Non dimenticherò mai il volto di quella ragazza, quella che somigliava a Clara, ricoperto di sangue a pochi metri da me accanto al suo cucciolo altrettanto morto.
Sorrideva ancora.
Non fece in tempo a vedere la morte, morì e basta.
Quante cose possono accadere in un solo istante:
Può nascere una vita, può finirne un'altra.

«Steve, vuoi una mano?»

Sento Marta che scende lentamente le scale e mi asciugo la lacrima frettolosamente, ripensare a queste cose mi ha commosso... lo ammetto.

«No tesoro, è quasi pronto.
Siediti a tavola»

«Che profumo fantastico»

«Il tuo? Sì, lo so, è così da anni amore»

La sento sorridere «Intendevo la zuppa ma grazie, sei il solito sdolcinato»

Mi siedo a tavola e poggio i piatti lentamente.

«Buona appetito piccola mia»

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