la malattia

Sono cresciuta in mezzo alla strada, ho imparato presto la legge del più forte, a fare a botte e tendere una imboscata con con il "branco " ai ragazzi dell'altro quartiere, le battaglie erano a base di palle fatte di fango e si vinceva un pezzo di territorio in più sul quale giocare.
Non volevo fare i compiti delle vacanze, non capivo a cosa servisse sprecare tante energie sui libri, in realtà facevo già tanta fatica ad esistere tra la mancanza di affetto, gli abbracci negati e la continua ricerca di attenzioni.
Non capivo perché fosse tutto così faticoso.
La tubercolosi polmonare era ormai in remissione ma alzarsi dal letto, cercare di mangiare qualcosa a colazione, giocare con le amiche o fare una corsa in bicicletta, mi faceva stare ancora male.
Tutta quella sofferenza fisica ed esistenziale mi portarono ad allontanarmi dalle amicizie, stavo bene solo a casa e senza nemmeno accorgermi mi trovai spesso a letto a crogiolarmi con mali di ogni genere.

Nonostante la non solidarietà tra fratelli, un pomeriggio d'estate sentii mio fratello andare incontro alla mamma, di ritorno dal lavoro, non aveva ancora varcato la soglia di casa che, tutto preoccupato, le disse che ormai non mi alzavo dal letto da giorni e che non mangiavo più:
I miei genitori lavoravano entrambi fino a sera tardi. Io e i miei fratelli restavamo da soli in casa sotto la custodia di mia sorella Luisa di 5 anni più vecchia di me. Un po' come dire....abbandonati a noi stessi.
In poche parole mi risvegliai in ospedale con un dolore atroce all' addome che non mi permetteva di muovermi.
Salvata appena in tempo, tra il sorriso amaro di mio padre e le lacrime di mia madre, l 'infermiera disse che avevo l 'appendice perforata. Tornai a casa dopo un mese, l' estate ormai era finita e la foschia stava ritornando, era ora di ricominciare un nuovo anno scolastico ma, finalmente, il duro lavoro dei miei genitori porto' i suoi frutti con una bellissima sorpresa!

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