l'istinto omicida
" Buongiorno, è lo studio del dott. Ferrero..."
Quella settimana il ginecologo mi aveva contattata perché erano pronte le analisi del batteriologico e quelli delle urine.
Mi guardavo intorno mentre attendevo seduta alla scrivania del medico: era ben arredato con tanto di figure e messaggi subliminali sulla maternità , accanto allo scrittoio vi era una piccola scultura in pietra stilizzata che raffigurava una donna col bambino sulle ginocchia, la parete alle mie spalle era totalmente tappezzata dalle fotografie un po ' sovrapposte dei bambini che aveva fatto nascere:
Pensai che avrebbe dovuto avere anche un secondo studio , magari neutro, dove ricevere le donne un po' meno fortunate.
" Mi spiace tanto signora, ma gli esami hanno dato esito positivo alla clamidia. Si tratta di una malattia venerea che si trasmette sessualmente . ....Bla. . . Bla . . Bla. . . Terapia antibiotica. . . Bla . . .Bla. . . . Bla. . ......"
Sapevo cosa fosse la clamidia, mi ero informata bene a suo tempo, prima di decidere di avere rapporti sessuali,uno dei motivi per cui avevo sempre preso le mie precauzioni.
Il bastardo mi tradiva già prima del matrimonio e chissà con quale donnaccia!
Trascorsi un'altra giornata senza mangiare, avevo lo stomaco ritorto. Dovetti darmi di nuovo malata al lavoro, l'odio e lo sgomento procurati dalle ultime notizie mi lacerarono qualcosa nel cuore e nello stomaco, i miei passi diventarono pesanti , era difficile, non riuscivo a pensare e ancora peggio, non riuscivo a raccontare niente a nessuno. I miei genitori, i miei fratelli, mia sorella, tutti gli amici e i colleghi sapevano che eravamo felicemente sposati.
Mi distruggeva il suo schifoso comportamento: non tornava a casa prima che iniziasse il nuovo giorno, strisciava come un viscido verme schifoso tra le lenzuola alle 2 del mattino, si alzava presto l'indomani per fare la doccia, la barba e andare a lavorare. Sapevo che trascorreva l'intera giornata insieme a quella donna, prima al lavoro, poi cenavano insieme, e poi chissà cos'altro.
Andammo avanti così per un po' di tempo, dormivo con quel mostro che non mi guardava più, non mi parlava più, che mi cancelló letteralmente dalla sua vita e aveva contratto una malattia venerea magari proprio da lei, motivo per il quale forse avevo anche perso il mio bambino.
Facevo sempre finta di dormire, era l'unico modo per evitarlo e trovavo poi nel cesto della biancheria le sue sudice camicie sporche di blush e rossetto.
Trascorrevo le giornate chiusa nella mia bellissima casa / prigione fumando sigarette e coltivando odio per lui e per lei, pensando e ripensando a come avrei potuto uscire da quella orribile situazione, come vendicarmi e riprendermi la mia vita. Lo pensavo mentre ero stancamente appoggiata alla cucina, bevevo un caffè e lo sguardo cadde sul ceppo dei coltelli che avevamo comprato insieme.
Il mattino seguente mi alzai presto con lui, non gli permisi di prepararsi con calma, ma lo tormentai, ronzandogli attorno come un moscone impazzito, gli urlavo contro:
" maledetto bastardo, la devi smettere di tornare a casa e fare quello che ti pare , ci vivo io qui, abbi un po' di rispetto almeno, non ti ho fatto niente di male , non puoi farmi soffrire così! Te ne devi andare. . . . "
Quando non ne poté più di ascoltare mi afferrò per un braccio, i suoi occhi divennero di ghiaccio, quegli occhi verdi che mi avevano fatto tanto innamorare, ormai mi fissavano minacciosi, non avrei mai creduto fosse capace di tanta brutalità, mi trascinò verso la camera da letto, io mi gettai a terra ma continuò a trascinarmi, mi disse che lui poteva fare quello che voleva, si sbottonó i pantaloni e si accaní su di me come una bestia selvaggia, prima schiaffeggiandomi, poi tenendomi stretti i polsi. Mi fece immensamente male, stuprandomi con disprezzo, io urlavo e piangevo, ma nessuno avrebbe potuto sentire.
Se ne andò lasciandomi a terra.
Mi aveva spezzato il cuore, distrutto l'anima e infine fece scempio anche del mio esile corpo.
Riuscii ad alzarmi avvicinandomi così alla cucina con il labbro sanguinante, ero straziata e singhiozzavo talmente forte e incontrollabilmente che ad un tratto mi sembrò di non respirare più. Afferrai con l'ultimo esile slancio di forza un coltello dal ceppo, l'idea che presto sarebbe stato tutto finito mi fece eccitare, la scarica di adrenalina mi provocò una forte tachicardia tanto che la testa cominciò a girare molto forte.
Mi svegliai nel pomeriggio sul pavimento gelido della cucina.
Mi alzai con fatica , la testa girava ancora tanto, sul pavimento c'era il coltello che, a quanto pare, non ero riuscita a piantarmi nella giugulare.
Quel pomeriggio non riuscii a prepararmi qualcosa da mangiare, ormai non facevo più la spesa, ma non fu un problema: non avevo più il senso del l'appetito, non avevo più sete, lo stesso per la cognizione del tempo, la consapevolezza di cosa fosse giusto o sbagliato, dolore o pace. Nella mia testa vi era solo un'orgia impazzita di pensieri, parole, discorsi, parole, ricordi, parole, grida....parole . . .
Mi infilai nel letto dopo le 23,00 . Avevo guardato un film in tv e fumato un'intero pacchetto di sigarette. Ormai la casa puzzava come un forno crematorio e faceva sempre freddo: non avevo ancora imparato a gestire quella maledetta caldaia!
Appoggiai la testa sul guanciale accarezzando con l'indice quello di Federico. Sarebbe bastato in bel colpo ben piazzato con tutta la forza, utilizzando entrambe le mani, attraverso le costole,
facile prendere le misure accarezzandogli il torace mentre dormiva in posizione supina.
Ma rischiavo lo stesso di non farcela, perché ormai ero letteralmente priva di forze, avrei solo rischiato di affettarlo inutilmente senza concludere. Un bel taglio netto alla gola, quello si, avrebbe funzionato. Spensi la lampada e con il coltello nascosto sotto al cuscino: aspettai il suo rientro.
Mi svegliai l'indomani,
avevo ancora addosso la camicia da notte di seta rosa del giorno prima. era sporca del sangue e dello sperma dello stupro. Era quella rosa ed elegante, coordinata con la vestaglia. L'avevo scelta con mia madre e mia sorella in un pomeriggio di settembre tra una risata e l'altra. Il mio imminente matrimonio ci aveva rese amiche, complici e felici. Non ci era mai capitato prima di andare a spasso per la città a fare shopping solo noi tre insieme e di stare così bene.
Non riuscii ad uccidere Federico, sentii nei suoi confronti ancora un forte sentimento di amore e forse anche di protezione. In uno dei miei residui momenti di lucidità realizzai che avrebbe pagato per i suoi errori in modo lento e doloroso nel corso della sua futura e patetica esistenza.
Era la prima settimana di gennaio, faceva freddo e le colline erano totalmente imbiancate dalla neve. Fu il caldo ricordo di mia madre e di mia sorella a darmi la forza di reagire. Ormai non potevo più fare affidamento su quello che era rimasto del mio povero corpo. Non potevo più pensare nemmeno con la mia testa, forse avrei potuto provare ad attingere energie dai bei ricordi rimasti nel cuore ma , soprattutto, dovevo gettarmi finalmente nelle loro braccia e lasciarmi aiutare.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top