Una brutta giornata
Il cielo era limpido, senza nuvole all'orizzonte. Faceva caldo, e un sacco di gente in mezzo a Montesanto indossava magliette a mezze maniche, nonostante fosse ancora marzo.
Era una bella giornata, di quelle che ti fanno venir voglia di fare filone da scuola e andare giù Mergellina, per una passeggiata sugli scogli, facendo attenzione ad evitare spazzatura e topi.
Era davvero bella, e Fabrizio la odiò con tutto sé stesso, lì fermò davanti alla chiesa, in attesa dell'arrivo della bara.
Durante i funerali, non ci dovrebbe essere bel tempo. Dovrebbe piovere, far freddo, far vedere che a Dio o chiunque ci sia lassù freghi qualcosa.
Invece no, era una bella giornata, così normale da fargli venire la nausea.
Non era giusto.
Sua sorella era morta, e il mondo andava avanti come se nulla fosse.
Quindici, quasi sedici anni non era un'età per morire. A quindici quasi sedici anni si dovrebbe uscire, fare cazzate, andare in crisi per i compiti a casa, non giacere freddi ed immobili in una grande cassa ed essere sepolti dopo che qualcuno ti aveva fatto a pezzi e visto i tuoi organi interni.
Si sentì pizzicare gli occhi, e si morse il labbro con tanta forza da farlo sanguinare.
"Fabrizio, sanguini," sua madre disse, mettendogli una mano sul braccio, come a volergli dare conforto.
Come se, nelle sue condizioni, ne fosse capace. Sua madre era distrutta, pallida come un fantasma, occhiaie nere e rughe che prima non c'erano. Era invecchiata di vent'anni il giorno in cui due tizi della polizia erano venuti a dirgli che Angela si era ammazzata.
"Sto bene, mamma," disse, più duro di quanto intendesse, ma oh, la rabbia era così tanta che era praticamente tutto ciò che sentiva. Ed era meglio essere arrabbiato piuttosto che sentirsi triste, perchè della tristezza non se ne faceva un cazzo.
"Tesoro..." lei provò ancora, il labbro che le tremava. Era una visione pietosa, che invece di ammorbidirlo, lo fece arrabbiare di più.
Scattò," Sto bene! Basta farmi domande stupide!"
Si sentì subito un verme quando la vide trasalire.
Fabrizio non sapeva come chiedere scusa, nè ad offrirle conforto: non era mai stato bravo a consolare gli altri, lui preferiva i pugni alle parole, erano più facili. Zero rischi di fraintendimenti.
Mentre cercava di balbettare una scusa, una ragazza poco più grande di lui si avvicinò.
"Zia Maria, ciao. Come stai?" domandò, la voce dolce, quasi melodiosa. Si chiese se si era esercitata o era così di suo, quando non cercava di fargli da baby-sitter gratis.
"Oh, Carmela...sto vivendo un incubo," la mamma disse con un filo di voce, aggrappandosi alla ragazza come se fosse la sua ancora di salvataggio,"Sei con tua madre?"
"Arriverà tra poco," le rispose, per una volta non correggendola dicendo che si chiamava Carmen e non Carmela.
Non era truccata, e i brufoli che cercava così disperatamente di nascondere le butteravano le guance.
In un giorno normale, Fabrizio l'avrebbe già presa in giro, sapendo bene quanto fosse permalosa, specie quando si trattava dei suoi difetti fisici.
Tuttavia, non era un giorno normale, e tutto ciò che sentiva era un nodo alla gola e una stretta al petto. E rabbia.
"La cumana ha fatto ritardo," Carmen spiegò, anche se nessuno glielo aveva domandato.
"Immaginavo..."
"Preferiresti entrare in chiesa?" le chiese ancora, trattandola come uno degli animali di cui si occupava al canile, quasi temesse di spaventarla. Sforzi inutili: sua madre aveva paura di tutto da anni. Non aveva mai avuto nervi forti, nemmeno da giovane, ed era stata sfortunata ad incontrare uno pezzo di merda che l'aveva reso la vita un inferno, picchiandola anche quando era incinta e riempiendola di corna.
Sua madre esitò," No, io...voglio aspettare Angela. Non voglio che entri da sola."
Carmen non cambiò espressione, mentre dentro di sè Fabrizio la derise.
Cazzate. Angela era morta. Non le sarebbe fregato nulla di entrare con la mamma.
Non le era mai fregato della mamma. Se lo avesse fatto, non si sarebbe buttata sui binari della metropolitana, facendosi travolgere e fare a pezzi da un treno.
Non arriverà molto di lei in chiesa.
"Hai ragione. Aspettiamola insieme, " Carmen, meno cinica di lui, concordò. Si rivolse poi a lui, "Hai gli occhi lucidi. Vuoi un fazzoletto?"
"Non è niente," disse, irritato.
"Hai tutto il moccio in faccia."
Per tutta risposta, si passò il palmo della mano in faccia, e le disse," Soddisfatta?"
"Sei un animale," Carmen disse con una smorfia, guardandolo dall'alto in basso, come faceva sempre. Come si stava lì sul piedistallo? Una piccola spinta, e anche lei rischiava di cadere e farsi male.
"Non rompere, Carmè. "
Lei strinse le labbra, ma non disse nulla, probabilmente per non turbare ulteriormente la madre di Fabrizio. Dopotutto, sarebbe stato brutto litigare proprio lì davanti l'ingresso della chiesa, specie con quel prete ricchione che aveva espresso molto chiaramente cosa pensava di chi si suicidava, e doveva solo sentirsi fortunato di non essere stato ricoverato al Cardarelli.
Iniziò ad arrivare altra gente, compagni di classe di Angela, ragazzi di cui ricordava a stento le facce, amiche più grandi che non conosceva.
Era più gente di quanto pensasse, anche se molti erano lì per lavarsi la coscienza. Avrebbero fatto la faccia triste al funerale, pianto qualche lacrima, e poi sarebbero tornati a casa, continuando come se nulla fosse.
Loro almeno lo avrebbero potuto fare.
Mentre lo sguardo vagava, lo vide. Il bastardo. La causa di tutto. Valerio.
Era fuori la cumana, mani in tasca, e guardava verso di loro. Che cazzo guardava? Era venuto a godersi lo spettacolo? Voleva vedere la fine del suo lavoro? Non si metteva vergogna?
Sentì le mani prudergli, molto più forte di prima. Voleva dannatamente mettere le mani addosso a qualcuno e vedere il sangue scorrere.
Bè, era il momento di assecondare un impulso.
Carmen guardò nella sua stessa direzione, e capì al volo. Almeno, era intelligente.
"Fabrizio, no," disse, tono categorico, quasi fosse una maestra d'asilo che doveva avere a che fare con un alunno troppo capriccioso.
La ignorò, "Lui non dovrebbe essere qui."
"Non fare scenate in chiesa," lo avvertì, aggrottando la fronte.
Le fece un sorriso sghembo," Per fortuna, non siamo in chiesa."
"Non è quello che intendevo...Fabrizio, torna indietro! Fabrizio!"
Era tardi, se ne era già andato. Doveva accogliere personalmente un caro amico.
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