Vingt - six | Dark days

Capita rare volte che una persona riesca a sentirsi in una stanza buia, senza la possibilità di muoversi e senza riuscire nemmeno a respirare bene, come se stesse annegando e stesse trasferendo tutte le sue energie possibili agli arti per tentare di raggiungere la superficie ed evitare che i polmoni si riempiano di aria. La maggior parte delle volte succede quando meno te lo aspetti, o in altri casi, non sei mai pronto per superarlo. Arrivi ad un certo punto in cui si toccato il fondo e non puoi fare altro che risalire, ma risalire in un pozzo senza luce è difficile, non sai mai dove metti le mani per aggrapparti.
Eleonora aveva vissuto questa esperienza nella maniera più forte possibile due volte nella sua vita, ed entrambe le volte il fatto era collegato alla morte di un caro: prima con suo fratello, e poi con il padre di Charles. È un vortice che ti trascina giù dove tu non hai neanche il tempo di renderti conto di quello che sta succedendo ed in due minuti ti trovi da solo, senza più nessuno accanto a te.
Tutti sanno i rischi che corrono le persone in una monoposto, ma nessuno ci pensa mai, nessuno arriva mai a pensare che un circuito possa essere il campo di morte di un ragazzo perché è crudele, duro e soprattutto rapido. Di norma, in formula uno, un incidente dura tre secondi prima che la macchina si fermi ma ci vogliono delle ore prima di sapere se la persona all'interno della monoposto è viva o meno.

Quel giorno, il circuito di SPA-Francorchamps si trasformò in teatro dell'orrore, di paura e di lacrime. La vita di un 22enne francese, Anthoine, era stata spazzata via nella maniera più brutale possibile e la vita di un altro ragazzo era in bilico, appesa ad un piccolo filo di ferro, dondolante, ancora indecisa su dove cadere. Il silenzio era calato nel paddock, non si sentiva nulla se non il rumore di alcuni uccellini che ignori di tutto continuavano a cantare e cinguettare senza sosta. Tutto era diventato immobile, tutti gli occhi erano rivolti verso le televisioni, che trasmettevano continuamente notizie diverse, minuto dopo minuto. In lontananza si sentiva solo il rumore delle ambulanze che correvano veloci, senza fermarsi, cercando di superare la morte, mentre tutti borbottavano in sottofondo spaventati.
Eleonora era impassibile nell'hospitality della scuderia italiana, accompagnata da Charles, da Caterina e da Pierre, che a stento si tratteneva dal piangere, sapendo che l'amico della sua vita era andato via. La ragazza era in piedi, ferma e immobile come una statua, senza espressioni, con le braccia lunghe sui fianchi e i piedi leggermente separati. Charles era a sua volta in piedi, dietro alla ragazza, con le braccia avvolte attorno al busto di Eleonora ed il viso nascosto nell'incavo del collo, senza riuscire a guardare la televisione. Tutta la felicità per la sua ennesima pole era stata accantonata e nessuno aveva più il sorriso sulle labbra. Lei, dopo un po', ebbe il coraggio di uscire da quelle quattro mura per provare l'aria esterna ma non uscì da sola.
-"Fraise" quasi sussurrò il ragazzo, fermandola per un braccio e guardandola con occhi spenti ed enormemente lucidi, avvicinandola di più a sé.
-"sì?" la francese provó a parlare ma tutto ciò che uscì dalla sua bocca fu un verso incrinato simile ad un sì e lei stessa si stupì della sua voce. Si guardò attorno, quasi spaesata e sentendo il suono delle sirene annullarsi ed una voce in lontananza distrutta dal pianto non riuscì più a sorreggere quel muro che si era creata per non soffrire di nuovo. Eleonora non era quella persona impassibile e non sarebbe mai riuscita a resistere così. Si sbilanció tra le braccia di Charles quasi facendolo cadere ed iniziò a piangere, non forte, ma pianse tanto, nascondendosi il più possibile nella sua maglietta e bagnandola delle sue lacrime. Il monegasco la strinse forte e pianse a sua volta, senza alzare il viso verso l'asfalto, tenendolo basso.
-"perchè?" singhiozzó lei, non aspettandosi una risposta. Doveva pur prendersela con qualcuno.

Quando entrambi i due si sfogarono abbastanza insieme, decisero di cambiare strada per dirigersi dalla prima compagnia dei kart di Charles, composta anche da Esteban e Pierre.
Eleonora si avvicinó e li abbracció entrambi, con forza, rimanendo un po' di più con Pierre, suo amico da sempre.
-"mi dispiace, mi dispiace così tanto" parló a bassa voce lei e sentì la stretta più forte di Pierre farsi viva attorno ai suoi fianchi, cercando di non piangere ancora.
Tutti chiusero battenti presto quel giorno, tutti rientrarono in hotel presto, con il silenzio sulle labbra, la tristezza negli occhi ed un po' di rabbia addosso, non riuscendo ancora a credere come la vita sia in tanti casi ingiusta. Eleonora rientró nella stanza e si distese sul letto, evitando di mangiare. Un groppo nello stomaco le impediva di buttare giù qualsiasi boccone e non se la sentiva di provarci, avrebbe sicuramente rigettato tutto fuori dal proprio corpo. Qualche minuto più tardi sentì il corpo di Charles accanto a sè, mentre teneva chiusi gli occhi per cercare di far vagare i pensieri. La mano di Charles si allungó per accarezzare lentamente i capelli di Eleonora e questa lo fece fare, lasciando scendere sulla sua guancia una singola lacrima che conteneva tutto.
-"non ho più nulla a parte te Perci, non te ne andare ti prego" parló aprendo gli occhi per stringerlo forte, di nuovo.
-"ci sarò sempre piccola, non ti preoccupare" disse lui baciandole la fronte dolcemente.
Non si scambiarono molte parole quella sera, non sentivano il bisogno di farlo ma si strinsero forte, e comunicarono quel che bastava con i gesti.
Eleonora passò la notte quasi insonne, dormendo circa quattro ore ma quella giornata era la giornata di gara in cui Charles partiva di nuovo in pole e dovevano impegnarsi per fargliela vincere. Doveva vincerla quella gara, in nome del suo amico.

Dopo una breve colazione ed una sola frase di rimprovero da parte di Andrea, che conosceva Eleonora al punto giusto, arrivarono di fretta al circuito, con lo sguardo triste e spento.
La cerimonia in ricordo di quel ragazzo la fece piangere ancora e si nascose nel retro del box, sfogandosi; quella volta non c'era nessuno a sostenerla e a consolarla, doveva fare tutto da sola.
-"vincila Charles, vincila per noi" sussurrò con voce rotta Pierre, avvicinandosi al box rosso per tornare nella sede vecchia, la Toro Rosso. Il francese era con il morale a terra: lo avevano trattato malissimo in scuderia maggiore, lo avevano umiliato e tolto di una seconda possiblità e non aveva più un amico. Era più difficile di quello che si poteva pensare.
Il monegasco cominciava a sentire la pressione sulle spalle ed Eleonora era stata sistemata al muretto, e non poteva muoversi per andare da lui come solitamente faceva; nonostante tutto era al lavoro e doveva tenere separati i due ambiti ma nella maggior parte dei casi non ci riuscivano.
Si mise le cuffie sulle orecchie e non attivó il microfono ma incroció le gambe, dondolando leggermente.
-"fatelo entrare adesso, prenderà più tempo" esclamò lei dopo alcune discussioni insieme al suo compagno di aerodinamica e si studió la durata delle gomme.
Charles teneva la testa del gran premio ed Eleonora pregò in così tante lingue da farsi paura da sola e si portò le mani al viso, chiudendo leggermente gli occhi.
-"è sua Nora, è sua" parló forte e chiaro Andrea, avvicinandosi al muretto elettrizzante, con l'adrenalina nelle gambe e lei si giró guardandolo negli occhi, annuendo non lucidamente.
Stava per piangere in tutti i modi possibili.
Nonostante Lewis stesse continuando a racimolare secondi su secondi, il monegasco riuscì a tenere la testa con fatica ed arrivó alla fine, tagliando il traguardo per primo.
Aveva vinto, quella gara era la sua, lo aveva fatto nel nome di chi aveva perso nella sua vita e nel nome di Anthoine. Eleonora strinse forte Andrea, la persona più vicina a lui e si sentì sollevare in aria.
-"ha vinto Andrea!" esclamò lei quasi piangendo stringendolo ancora e lo vide sorridere, annuire con gli occhi lucidi.
Si fermó sotto il podio, tenendo una mano sugli occhi data la mancanza di occhiali da sole che potevano proteggerle il viso e fissò il suo monegasco sul gradino più alto del podio, con un sorriso malinconico sulle labbra e gli occhi lucidi, fiera di quel ragazzo.

Se esiste un Dio del motorsport, quel giorno aveva preso la scelta più giusta del mondo.

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