8. Caramella al limone
«Joy, siamo arrivati...»
Il suono basso e profondo della sua voce arrivò dolcemente alle mie orecchie.
Tentai di combattere contro la sensazione di torpore che rallentava i pensieri e intorpidiva i movimenti, ma il peso inarrestabile del sonno gravava sulle mie ciglia stanche e non riuscii neanche ad aprire gli occhi. Cole continuò a parlarmi piano, mentre il suo respiro caldo, dal ritmo cadenzato mi scaldava le guance, pizzicando l'aria che ci divideva. Mi solleticò la pelle e arricciai il naso, inspirando. Umettai le labbra screpolate con un colpo di lingua e poi, mi voltai dalla parte opposta, dandogli le spalle. Lo ignorai totalmente, poiché non avevo alcuna intenzione di svegliarmi e sperai in cuor mio che lui avesse capito.
Purtroppo, però, Cole non si diede per vinto e mi accarezzò delicatamente, sfregando il palmo grande e gelido sulla mia schiena. La morbidezza di quel gesto fu sufficiente a farmi aprire un solo occhio. Lo guardai pigramente da sopra la spalla e, attraverso una minuscola visuale a mezzaluna, scorsi intorno a me l'abitacolo, avvolto da un fitto strato di nebbia. Mugolai, masticando perle di saliva e nascosi l'occhio dietro la palpebra, chiudendomi nuovamente al mondo, sonnacchiosa e disinteressata. Tuttavia, Cole cominciò a scuotermi con maggiore vigore, mentre mi ripeteva sussurrandomi all'orecchio: «Svegliati...svegliati...svegliati»
L'energia sprigionata dalla sua mano si scontrava con il tono zuccheroso della voce, ma non mi ridestai dinnanzi a quella frizione, anzi, continuai a fluttuare indisturbata nel placido stato di dormiveglia. Ero un piccolo ghiro, Mamma me lo ripeteva sempre: "Aaah, mia cara bambina, se dormi, può cadere anche il mondo intero, tanto non te ne accorgeresti".
«Joy, perlomeno dimmi come faccio a riconoscere casa tua...» disse teneramente, ridacchiando contenuto.
«È...è la terz'ultima... sulla finestra» biascicai.
«Sulla finestra?!»
«Sinistra, destra...» mormorai infastidita mentre incrociavo le braccia al petto, facendo scontrare il dorso delle mani. Era la mia posizione preferita per dormire.
«Sinistra o destra?!» brontolò confuso.
«Al centro. È quella di dolore grigio...» mugolai.
«Sono tutte grige Joy, maledizione» lo sentii sbuffare, ma non mi curai del suo tono burbero ed esausto. Mio malgrado, però, Cole cominciò a scuotermi la spalla, tentando disperatamente di catturare la mia attenzione ed io grugnii contrariata, allontanandomi dal suo tocco: «Mmh, basta, lasciami dormire...» ripetei, masticando insulti al suo indirizzo.
«Dimmi un dettaglio per distinguerla e poi ti lascio riposare»
«Uff-uffa...» balbettai con fare annoiato «...La cassetta della pasta, è color...giallo canarino»
L'attimo dopo sentii il rombo del motore accendersi e l'ingranaggio della marcia inserita. Sollevai appena il viso e mi accorsi che la macchina si stava muovendo piano, poi abbassai il mento sul petto, affondando ancora di più la testa nel sedile.
«Ok, l'ho trovata»
Fu un attimo. Ma quanto poco tempo era trascorso?!
Udii un tonfo sonoro provenire alla mia destra e il rumore di passi scricchiolare sotto un leggero strato di ghiaia sottile. Non feci in tempo a capire cosa stesse accadendo intorno a me, che una corrente d'aria fredda mi investì, facendomi rabbrividire. Subito, mi voltai turbata verso lo sportello dell'auto, aprii gli occhi e vidi Cole, sospeso su di me con un sorriso stampato in volto.
«Che, che succede?» domandai, stropicciandomi le palpebre per strappare via il sonno, mentre la sua immagine diventava sempre più nitida.
«Sei un ghiro, ecco che succede...vieni qui» disse piano, prima di prendermi in braccio. Mi lasciai cullare dal calore del suo corpo, inebriata dal buon profumo che emanava la pelle. Fresco e penetrante come la lavanda, intenso ed avvolgente come cristalli d'ambra. Si fermò sul vialetto di casa, accanto alla piccola cassetta della posta e lesse i nomi incisi sopra, assicurandosi di non aver sbagliato.
«Famiglia Davis...Paul, Josephine, David, Francesca e...»
«Joyce Celine Davis!»
Ma cosa...
«Ti sembra questa l'ora di tornare a casa?»
Un momento. Questa è la voce di mia madre...
Mi svegliai e la vidi. Di una bellezza giunonica proprio come me la ricordavo. Indossava i pantaloni del pigiama e una semplice vestaglia azzurra, chiusa all'altezza del bacino. Puntò i suoi occhi su di me mentre se ne stava imperturbabile sull'uscio di casa, con la sua tipica postura da sergente in prima linea: sguardo intenso, folgorante, spalle aperte e braccia conserte; così illuminata dalla fioca luce dell'abat-jour posizionata proprio all'ingresso, sembrava il diavolo incarnato.
Tentai maldestramente di scendere subito dalle braccia di Cole, ma lui mi tenne ferma, così gli lanciai un'occhiata torbida. Ricambiò con uno sguardo ammonitorio che stava a significare: "Non puoi camminare, dove cazzo pensi di andare?", e solo in quel momento mi ricordai dello stato della mia caviglia.
«Mamma ...sarei tornata molto prima se qualcuno non avesse...» mi affrettai a dire, ma lei mi bloccò con un cenno sbrigativo della mano e si diresse a passo di carica verso di noi, facendomi sussultare.
«Perché sei mezza addormentata in braccio ad uno sconosciuto? Hai bevuto? Hai assunto droghe? Non provare a mentirmi Joy, sai che ti scopro subito!» sputò fuori, indignata, mentre i suoi occhi furiosi incontravano i miei, insonnoliti e quelli di Cole, terrorizzati. Lo scrutava con circospezione come un leone dinnanzi alla sua preda. Scossi la testa per risponderle e sollevai leggermente il busto, mettendomi dritta, mentre con una mano stringevo il tessuto della sua felpa, e con l'altra circondavo il suo collo robusto.
«Mamma...no, niente di tutto ciò, sono solo...» si soffermò ad analizzare la situazione, sottoponendo ad una attenta valutazione ogni dettaglio. Poi, il suo sguardo da rapace intercettò finalmente la mia caviglia visibilmente gonfia e il focus della sua attenzione si spostò da noi a lì.
«Oh, cielo ma che ti è successo? Sei caduta? Ti sei ferita?» domandò.
«Tranquilla, è solo una storta...almeno credo»
«Per fortuna non è niente di grave» commentò all'improvviso Cole, lasciandomi sbigottita.
Osa persino rivolgerle parola?
Lo guardai con un ciglio sollevato. Non doveva in alcun modo coinvolgerla, altrimenti...
«E tu chi sei giovanotto?»
Ecco appunto.
Mi affrettai a parlare, per scongiurare ogni dubbio.
«Oh, ehm, lui è...il mio» mi schiarii la gola imbarazzata, non sapendo bene cosa dire. Mi grattai un sopracciglio con il pollice, indecisa sul da farsi.
Provavo un profondo disagio a rivelare i singolari dettagli del nostro inaspettato incontro, così lanciai continue occhiate a Cole, in cerca del suo aiuto, che volontariamente non mi concesse. Si limitò a far ben altro, spiazzandomi totalmente. Mi strinse a sé con forza e il fiato mi mancò. Non capii subito il significato di quel gesto e mi persi nell'assurdità del momento.
«Aaah, non ci posso credere! È il tuo nuovo ragazzo, oooh amore mio, sono troppo felice!» urlò nel cuore della notte mia madre, per poi sfoggiare un ampio sorriso che ci investì entrambi; era luminoso, caloroso, compassionevole, vero come pochi ne avevo visti splendere sul suo viso appassito dal tempo.
«Mamma...» replicai rigida per palesare il mio disappunto, ma lei non mi diede ascolto.
«Era ora, finalmente» sospirò e si passò una mano prima sulle labbra, poi tra i capelli, come se stesse cercando di trattenere a stento l'euforia che le esplodeva nel profondo.
«Mamma...» la rimbeccai.
«Che fantastica notizia» era completamente partita di testa.
«Mamma...» l'ammonii, ancora, stavolta a denti stretti.
«Meriti questa felicità, tu più di chiunque altro, poi dopo quello che hai vissuto a causa di...»
«Gesù, mamma puoi stare un momento zitta? Non è il mio fidanzato, cazzo!» sbottai esasperata. Lei smise finalmente di farneticare e mi osservò, incredula e amareggiata insieme, ed io potei appurare con quanta facilità l'austerità del mio tono avesse dissipato la sua felicità.
«Come...» balbettò, indietreggiando un passo. Sospirai e abbassai gli occhi, in segreto, mi morsi persino la lingua, per impedire alle parole di sgattaiolare fuori dalla bocca senza controllo. Incassai la testa in mezzo alle spalle e tentai di regolarizzare il battito, inspirando l'aria intorno a me che sapeva di profumo al disagio e di fragranza orientale di Cole. Fortunatamente, fu proprio quella combinazione a tranquillizzarmi. La inspirai tutta. Consapevole ne sarebbe servita un bel po' per mitigare il mio animo e acquietare l'istinto.
Alcune volte, molto spesso a dire la verità, mi capitava di vivere dei momenti in cui mi era difficile gestirmi. Da quando ero stata...sì, insomma... da quel fatidico evento, quei momenti erano diventati sempre più frequenti. Nonostante la mia evidente instabilità e indiscutibile debolezza, la mia famiglia mi era rimasta accanto. La speranza era improvvisamente fiorita nel loro cuore e aveva messo radici così salde e profonde da illuderli di potermi capire un giorno, magari anticipando e padroneggiando i miei attacchi di rabbia. Purtroppo per loro, però, non riuscivo a controllarli neanch'io. Mi dominavano totalmente. Condizionavano il mio umore, distruggevano la mia autostima e logoravano fino a strapparla del tutto la fitta ragnatela di relazioni sociali che nel corso degli anni, con immensa fatica, avevo costruito intorno a me. Erano insopportabili da sostenere, quanto complicati da gestire, poiché tanto potenti da oscurare ogni spiraglio di ragione e temperanza che fiammeggiava, fievole, nei meandri della mia coscienza.
«Piacere di conoscerla Signora Davis, sono Cole» disse il ragazzo tenebroso accanto a me, mentre un sorriso caloroso gli dipinse il viso. Mia madre lo squadrò attentamente dall'alto verso il basso, io mi limitai ad incenerirlo con uno sguardo così severo da spegnere subito la sua risata di circostanza. Si schiarì la voce, tirò nuovamente le sue labbra perfette e tornò all'attacco.
«Io e sua figlia frequentiamo lo stesso indirizzo al College. Ci siamo incontrati per caso ad una festa e lei, purtroppo, si è accidentalmente ferita il piede, così mi sono offerto di accompagnarla a casa perché non poteva guidare nella sua condizione» ribatté imperscrutabile ed io rimasi incantata. Il suo corpo possente emanava un fascino mozzafiato; era attraente, sicuro di sé, sensuale anche quando parlava con mia madre. Ma ciò che più di tutto mi turbava era la consapevolezza che persino lei ne era rimasta affascinata.
«Sei stato molto premuroso, caro, grazie!» mormorò placida.
«Sii figuri Signora, era il minimo che potessi fare...» affermò sicuro come un vero sbruffone, però avvenente come pochi.
«Chiamami Josephine» replicò cordiale e io non capii se stesse fingendo di essere accogliente o meno.
«Posso dirle che mai avrei immaginato fosse la madre? Ero più che sicuro fosse sua sorella maggiore» rispose Cole, mentre mia madre sbatteva le palpebre, cercando di non mostrarsi troppo lusingata dal complimento inaspettato.
«Oh, Cole, sei troppo gentile» puntò le sue pupille sul ragazzo dinanzi a sé e spostò via con l'indice una ciocca di capelli dalla guancia arrossita.
Ma tutta questa confidenza da dove salta fuori?
«Comunque mi rincresce precisarlo ma io e sua figlia ci conosciamo a malapena...ed io sono già impegnato...»
Spalancai le palpebre confusa.
Ma come era possibile...
Cole era fidanzato?!
«Oh, che peccato..» rispose mia madre. Anzi, Josephine.
«Mamma puoi lasciarci soli un attimo?» mi affrettai a dire senza pensarci troppo. Strinsi i denti mentre lei sollevò un sopracciglio e mi guardò perplessa. Tuttavia, quando intercettò i miei occhi assottigliati in una espressione furente, cambiò subito espressione del viso. Mi fece un segno col capo ed io intuii avesse capito: doveva lasciarci. Subito.
«Certo, ti aspetto dentro. Buonanotte è stato un piacere conoscerti» disse sbrigativa, regalandoci finalmente la visione delle sue spalle.
«Anche per me, arrivederla Josephine» replicò dubbioso, poi si voltò lentamente con lo sguardo puntato su di me.
«Tua madre è dolce e gentile, mi domando da chi hai ripreso questo caratterino» chiese inclinando il volto e infilando le mani in tasca, assumendo così un atteggiamento spavaldo.
«Da mio padre, vuoi flirtare anche con Lui?» risposi ironica, ma con tono deciso. Lui sorrise.
Ma che diavolo c'era da sorridere?
«I miei gusti sono molto singolari, perciò non escludo niente e...»
«La tua fidanzata sa che ci provi con altre ragazze sotto il suo naso?» sbottai, sfidandolo.
«Sì», sussurrò, sicuro e pacato.
Sperai di non aver sentito bene.
«Come? ...»
«Ho detto sì, ne è al corrente»
«Mi stai prendendo in giro?» domandai, aggrottando le sopracciglia in una smorfia contrariata.
«No, è la verità» sfoggiò un lieve sorriso e rimasi scioccata dalla sua sincerità. D'un tratto, mi si avvicinò di un passo e mi resi conto quanto fossimo vicini. Feci un grosso respiro e cercai di celare l'effetto che la sua figura imponente aveva su di me.
«Non ha paura che tu possa lasciarla per qualcun'altro?»
«A quanto pare no, le sta bene così» il suo sguardo mi si posò sulle labbra e arrossii.
«Lo credi sul serio?»
«Ne sono certo»
«Tu, tu sei decisamente troppo sicuro di te, lasciatelo dire» dissi con voce risoluta, mentre indietreggiavo intimidita dalla sua presenza.
«Ho difetti peggiori...»
«Quindi, spiegami, cosa sareste? Poligami? Scambisti? Avete una relazione aperta?» incrociai le braccia e le strinsi forte all'altezza dei seni, come a voler nascondere il tumulto di emozioni incontrastabili che cercavo disperatamente di combattere.
«Siete una di quelle coppie che fa giochi perversi con indosso strane maschere?» mormorò la mia lingua affilata, intrisa di tagliente sarcasmo e ironia.
«La curiosità uccide il gatto, Joy...» si mosse verso di me, di nuovo. Maledizione.
«Perciò perché tanto interesse?» disse seducente, avvicinandosi, ancora...e ancora.
«Io non sono un gatto e poi sto solamente cercando di capirti...» mi schiarii la gola e incastrai una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Quel semplice gesto dimostrò tutto il disagio che avvertivo sottopelle.
«Che c'è da comprendere? Stiamo insieme senza avere un rapporto di esclusività» commentò con la sua solita espressione indifferente.
Questa sì che mi era nuova.
«È impossibile. Come diavolo fate a controllare la gelosia reciproca?» uscì spontaneo dalla mia bocca.
«Non puoi essere geloso di qualcosa che appartiene solo a te» il suo respiro caldo mi toccò e la sua affermazione mi turbò l'anima. Un'amara consapevolezza mi attraversò la mente, graffiando via la mia finta sicurezza, facendomi piombare nello sconforto, contro cui cercavo di lottare, ormai da troppo tempo.
«Ma di che parli? La gelosia tra due persone si basa proprio sul pensiero costante di essere sostituibile, sul terrore profondo di perdere ciò che ami...» affermai insolente ma turbata.
«Non la pensiamo allo stesso modo...»
«Beh, permettimi ma il tuo modo di pensare è veramente assurdo» ammisi e mi allontanai. Cercai di oltrepassarlo per entrare finalmente in casa, ma Cole allungò un braccio per sbarrarmi la strada.
«Posso raccontarti una storia?» mi afferrò per un polso, trattenendomi.
«Non credi che io sia troppo grande per le favole?» lo provocai a bassa voce.
«È una storia, non una favola» puntualizzò cordiale. Abbassai il mento e osservai la sua mano grande che avvolgeva il mio piccolo polso; stretta tra le sue dita rischiavo di sparire. La pelle ardeva proprio in quel punto.
«Si dice che il cielo ami le stelle da tutta la vita. Il loro è un amore celeste, divino, incondizionato. Il rapporto che li lega fa invidia ai pianeti che, infelici, sono troppo lontani per amarsi; fa riflettere e pensare giovani poeti e avvenenti scrittrici, troppo soli e disillusi per tentare di innamorarsi, ma non abbastanza per smettere di sognare e sperare. Purtroppo, però, ci sono notti in cui le nuvole nascondono il mare di diamanti sotto un enorme e pesante tappeto di tenebre. Ed è in quei rari momenti che il cielo tradisce le stelle e fa l'amore con colei che tutti conoscono sotto il nome di "amante bianca": l'incantevole luna. Il loro rapporto non è convenzionale, si amano in segreto e si incontrano nell'eternità di rari attimi di oscurità. Tuttavia, le stelle sanno dell'esistenza di una rivale e sono a conoscenza dei tradimenti del cielo. Ciononostante, non sono gelose, e sai perché? Perché sono perfettamente consapevoli che nessuno, eccetto loro, sarà mai capace di far risplendere in esso la luce dell'infinito...» Cole chiuse le palpebre come se stesse catturando con la fantasia quell'immagine lontana di due eterni ed eterei amanti. Poi, le riaprì e mi fissò in quel modo serio e penetrante che lo rendeva capace di toglierti il fiato. Il suo sguardo era caldo, intenso, luminoso e temetti di affogare nel buio, accecata dalla luce che irradiava quel bosco d'inverno che pendeva dai suoi occhi.
Finsi di non essere sorpresa dalla potenza simbolica delle sue parole, né sconvolta dalla sua travolgente sensibilità emotiva. Cole era un uomo dalle mille sfaccettature, capace di provocare inquietudini contrastanti e al contempo risvegliare impulsi difficilmente confessabili. Camaleontico, imprevedibile, inarrivabile e...mi ghiacciai quando mi sollevò il mento con l'indice per indurmi a guardarlo.
«Hai veramente poeticizzato una situazione?» sussurrai audace, con finta sicurezza.
«Sono fatto così...»
«Chi sei? Dante Alighieri?» mi presi gioco di lui, nascondendomi come sempre dietro l'ironia.
«No, ma mi piace parlare tramite allegorie» mi osservò con un sorriso indulgente e mi accarezzò con il pollice la pelle spigolosa. Quel contatto indesiderato mi riscosse dal mio momentaneo stato di confusione e mi scansai all'istante dal suo tocco, recuperando lo spazio necessario per riappropriarmi della lucidità.
«Quindi metaforicamente parlando tu saresti il cielo, la tua fidanzata le stelle e le tue presunte amanti o ipotetiche conquiste rappresenterebbero... la luna?» domandai, mentre i suoi occhi continuavano a bruciarmi addosso come pezzetti di brace viva.
«Esattamente...»
«Se ho capito bene, tu sei libero di sedurre e flirtare con altre persone, senza che lei sia gelosa o spaventata all'idea di perderti, perché ha questa assurda e folle convinzione di essere la sola donna di cui sei realmente innamorato?»
«Eccellente parafrasi signorina Davis» mi disse, complimentandosi con un battito di palmi.
«Che idiozia...» scossi la testa e mi toccai la fronte, grattando via l'imbarazzo.
«Comunque ti è sfuggito un dettaglio astronomico: il cielo brilla anche grazie al candore della luna, le stelle non sono l'unica fonte di luce nell'universo, ergo, il tuo ragionamento non ha alcun senso» mi permisi di correggerlo.
«La luna non splende. Sfrutta e ruba il bagliore del sole. Invece, le stelle sono gli unici corpi celesti capaci di vivere di luce propria, non c'è paragone tra i due albori. Il cielo godrà della luna per qualche notte, ma amerà per sempre le stelle»
Maledizione...come faceva ad avere una risposta pronta a tutto?
«Ok, va bene, le mie orecchie hanno sentito abbastanza per stasera...» sollevai le braccia in segno di resa «Vado a dormire...» proseguii apatica, voltandomi con solo mezzo busto.
«Non hai nient'altro di meglio da dirmi?»
«Mi dispiace, le stronzate poetiche le lascio dire a te, in questo sei un vero maestro» dissi con convinzione e fu allora che lo vidi: un guizzo di luce fiorente lo illuminò come un fulmine, rendendolo ancor più brillante se possibile.
«Non vuoi essere la mia luna, solo per stasera?»
Sconvolta, zoppicai per qualche passo. A stento mi ressi in piedi, ma non per colpa della caviglia dolorante, a causa della sua inaspettata richiesta.
«Stai scherzando?» riuscii a dire.
«Mai stato più serio...»
Il mio cuore ebbe un sussulto. Sghignazzai.
«Ci conosciamo a malapena Cole! Io non so praticamente nulla di te e...»
«Mi chiamo Cole Carter, ho ventidue anni, frequento il corso di Medicina Veterinaria alla Auburn University, sono nato a Birmingham e ho una sorella più piccola di nome...»
Io rimasi immobile, avevo persino smesso di ascoltarlo. Lui se ne stava fermo davanti a me, in tutta la sua bellezza. Gli occhi giada mi inchiodavano al terreno, il sorriso lieve e malizioso confondeva le mie certezze. E così...mi ritrovai paralizzata sul pianerottolo di casa, in trappola, come una fragile falena incastrata nella vischiosità di una ragnatela. Cercai di schiarirmi la voce e ingoiare il groviglio di saliva che si era formato in bocca, poi, incerta su cosa dire, balbettai: «Intendo... che non so chi sei davvero»
Obbligai me stessa a recuperare un po' di contegno e finalmente mi riscossi.
«Perciò, non andremo a letto insieme» sentenziai lapidaria. Mi stavo davvero giustificando? Avrei dovuto mandarlo a quel paese e basta.
«Ti ho salvato dalle avide mani di un bastardo qualunque, ti ho soccorsa quando ti sei slogata il piede, ti ho portata in braccio fino alla mia auto e poi ti ho persino riaccompagnato a casa. Per essere due sconosciuti... abbiamo condiviso parecchio...» ammiccò un occhiolino.
Dovetti ammettere che ci sapeva fare e che era molto bravo a sedurre la mente delle donne. Ma non ci sarei cascata...no, non l'avrei fatto!
«Io e te non ci saremmo neanche dovuti incontrare, è stata solo una semplice coincidenza» risposi titubante.
«Chiamalo "destino"» il suo timbro di voce basso e rauco mi annebbiò per un istante infinito la ragione. Stavo correndo un rischio enorme.
«Se non mi fossi trovata in quella situazione, ti saresti fermato a parlare con me o avresti proseguito dritto per la tua strada, ignorandomi totalmente?» sussurrai sull'orlo del precipizio, aggrappata ad un sottile filo invisibile di coscienziosa prudenza. La stessa che, negli anni, avevo imparato a dosare e usare in ogni singola situazione. La stessa che mi aveva sempre salvato dal ritrovarmi con il culo a terra, le ginocchia sbucciate e il cuore frantumato in mille pezzi.
Cole non rispose, si limitò a schiudere appena le sue splendide labbra, piene e rosse come le ciliegie. Lasciò solo che un fastidioso e doloroso silenzio fuoriuscisse da esse.
«Come immaginavo, sei proprio uno stronzo» sibilai l'attimo prima di voltarmi e zoppicare addolorata verso l'uscio. Non mi avrebbe minimamente considerata se non fossi stata infastidita da qualcuno. La sua stupida e insensata richiesta di passare la notte assieme, lo faceva sembrare ancor di più il classico e intramontabile Don Giovanni da quattro soldi.
«Come farai a camminare con quella caviglia?» si affrettò a dire dietro le mie spalle.
«Zoppicherò...»
«Fatti aiutare»
«No! Rimani pure qui fuori a guardare le costellazioni poeta, me la cavo da sola» seguitò un gesto di disprezzo con la mano.
«Non vuoi ti accompagni fino in camera da letto?» tentò ancora, ma fu come cercare di separare le acque dell'oceano con un misero e sottile bastoncino in legno.
«Cole...» arrancai malconcia «Trovati qualcun'altra per la scopata di stanotte, io non sono quel genere di ragazza, mi dispiace» feci qualche passo in avanti. Insicuro. Esitante. Debole, ma pur sempre avanti, contrastandolo. Non ci conoscevamo neanche e lui dava per scontato che io fossi attratta da lui a tal punto da concedermi con tanta facilità. Era una offesa alla mia dignità.
«È proprio questo il punto...» replicò lascivo, carezzando con la punta della lingua gli incisivi color neve candida «...non sei come tutte le altre, Usignolo» continuò sicuro di sé «Ecco perché ti voglio»
«Oh, ma per favore...» risposi, trattenendomi a stento dal ridergli in faccia. Questa era davvero troppo, persino per me. Lui nascose la testa tra le spalle, imbarazzato dalle sue stesse sciocche parole.
«Ti vorrei...?» continuò, ed io non riuscii più a contenermi. Scoppiai a ridere.
«Torna a casa Shakespeare» dissi, asciugandomi una minuscola lacrima posteggiata sulla coda dell'occhio destro, poi ripresi a camminare, pur compiendo uno sforzo ben visibile.
«Forse... ti vorrei...ma solo un po'? Sono più sincero così?» ribatté lui.
«Sciò, sciò, vattene via» lo scacciai mentalmente, come se fosse un fastidioso insetto. Anche se, tutto sommato, lo era sul serio. In quel momento, aveva perso tutto il suo aspetto fascinoso.
«Non me ne andrò» incrociò le braccia al petto e sbatté i piedi a terra, sfidandomi senza timore.
«Rimani pure fuori allora, cosa vuoi che me ne importi» risposi con sufficienza, mostrando fermezza.
«E se dovessi morire per ipotermia?»
«È un rischio che sono disposta a correre» Cole sollevò le sopracciglia sorpreso dalla mia glaciale indifferenza.
«Sei davvero crudele. Mi avrai sulla coscienza»
«Non essere melodrammatico. Siamo a settembre, non fa così freddo» lo derisi ancora.
«Per chi soffre di cattiva circolazione come me uno sbalzo di temperatura può essere fatale...»
Testardo. Impertinente. Sfacciato. Non lo sopportavo.
Riusciva a suscitarmi un'antipatia istintiva e, mio malgrado, anche molte altre indecifrabili emozioni che per orgoglio mai avrei ammesso a me stessa. Neanche sotto tortura.
«Santo cielo. Cosa vuoi per lasciare subito questo vialetto?» controbattei esasperata.
«Una ricompensa» disse in un sussurro, rivolgendomi un'occhiata scaltra. Sospirai, sollevando gli occhi al cielo e frugai nella tasca del cappotto alla ricerca di qualcosa. Sentii l'involucro ruvido che rivestiva quella che mi parve essere una caramella, poi, lo scricchiolio della plastica accartocciarsi tra le dita fredde me ne diede conferma.
«Ok, tieni! È tutto ciò che ho.» Gli mostrai il suo compenso e lo guardai torbida, in attesa che se ne andasse. Una scintilla di sorpresa attraversò il suo sguardo, incatenato su di me. Cole sbatté le palpebre un paio di volte, inarcò le sopracciglia e mi fissò intensamente, mentre una reazione stupita si impadroniva del viso, dando vita ad una marea di piccole onde sulla sua fronte.
«Mi hai dato una caramella?»
«Sì, era anche l'ultima» risposi con schiettezza.
«Ma se neanche mi piacciono quelle al limone...» mi redarguì con un sorriso sfacciato.
«Gesù, accontentati.» sbottai. Avrei voluto prenderlo a schiaffi.
«Io parlavo di una vera ricompensa. Un lodevole premio per l'oscuro e nobile cavaliere che ha valorosamente salvato la principessa, un po' scorbutica e arrogante bisogna ammetterlo, da un imminente pericolo»
Era un osso duro. Ma io avevo denti ben affilati per piluccarlo, masticarlo e ingoiarlo in un sol boccone.
Almeno così credevo.
«La ricompensa sarebbe lasciarti entrare in casa mia così che tu possa intrufolarti segretamente nel mio letto? Beh, scordatelo!» puntualizzai acida, lui inspirò facendo uno sforzo immane, come per trattenersi dal voler dire qualcosa e si passò una mano tra i capelli.
«È un premio allettante che solo un pazzo rifiuterebbe...» affermò insolente «Ma ...resterò umile, sapendo poi che c'è tua madre; perciò,» continuò malizioso «Mi accontenterò di un solo e unico bacio.»
Si era completamente bevuto il cervello. Anche se, cominciai a dubitare ne avesse uno.
«Era la Notte dei Baci e tu con le tue bravate mi hai impedito di divertirmi fino in fondo...» si sporse in avanti, ingabbiandomi tra le sue braccia.
«Inoltre, qualcosa mi dice che non hai nemmeno rispettato le regole della serata...non hai baciato nessuno più grande di te, giusto?» mi disse, pizzicandomi la punta del naso con uno schiocco di dita, senza distogliere mai lo sguardo dal mio.
«Non sarò io a darti un bacio» balbettai, in bilico tra desiderio e senso di colpa.
«Mi obblighi a prendermelo da solo, allora» si avvicinò così tanto che potei avvertire il suo respiro bruciarmi le labbra. Rabbrividii ma non vacillai.
«Ok, se lo desideri tanto...» sostenni il suo sguardo, raccogliendo la forza necessaria per fronteggiarlo, e senza respirare, senza ragionare, quasi sotto ipnosi espirai sfiancata e mi avvicinai.
I palmi appoggiati sulla sua felpa. Le gambe tremolanti sul punto di cedere e il cuore in gola, vicino all'esplosione.
Ti prego, non baciarmi.
«Che stai facendo?» chiese sprezzante, stringendo la mandibola.
«Forza, sono qui, davanti a te!» dissi, cercando di non mostrarmi sopraffatta dal forte profumo che emanava il suo corpo, e dalle sue labbra che, da quella breve distanza, sembravano più piene e rosse di come le avevo viste.
«Che aspetti? Baciami» un tremito scioccato mi pervase quando quelle fatidiche parole grondarono fuori dalla mia bocca impaurita. Sentii i suoi muscoli irrigidirsi in maniera significativa sotto i polpastrelli madidi di sudore. Percepii il suo corpo ardere di emozione, ma sapevo non l'avrebbe fatto.
«Mi stai veramente sfidando?» domandò, con un tono alterato.
«Ti sto liquidando!» mi incrinai ma non mi spezzai, proprio come le fronde degli alberi sconquassate dal vento.
«È un gioco per te?» sibilò, inclinando il volto per azzannarmi il respiro. Con uno slancio inaspettato, fece scivolare il suo braccio intorno alla mia vita. Mi strinse con possesso e mi guardò con durezza, con occhi increduli. Il suo assalto disperato fece tuonare le mie vene.
«No, è solo l'ultima occasione che ho per mandarti via» ripetei, complice il mio cuore che pompava nel sangue adrenalina mista ad una strana follia. Circondata dalle sue spalle e cristallizzata nel suo respiro, mi sentivo stordita.
Cole si fece più vicino e si accostò al mio orecchio. Avvertii la testa girare nel delirio di quello che stava per succedere tra noi. Mi sussurrò qualcosa e il terrore mi assalì ancora, preoccupata all'idea di essere smentita. Tremai di panico e sentii le guance incendiarsi.
Non farlo, per favore.
«Attenta. Non provocarmi»
«Tu non deludermi...» mormorai, stuzzicandolo.
«Accadrà...ma non stasera» premette le labbra sul lobo, deliziandomi con un tenero bacio sull'orecchio. Il timbro della voce graffiato e bollente vibrò nelle mie ossa ed io cessai di respirare per un secondo.
«Perché hai cambiato idea?» farfugliai incapace di reggere l'inquietudine e la potenza del suo suggestionante sguardo.
«Ti darò un bacio solo quando sarai tu a chiedermelo» si scostò da me «E credimi, presto o tardi, lo farai...»
Le mie sensazioni mutarono di colpo. Il batticuore e l'imbarazzo lasciarono spazio al disprezzo e ad una calma pericolosa.
«La convinzione distrugge la gente, Cole» mi impuntai, contrariata dalla sua presunzione.
«Se è per questo i desideri nascosti azzannano l'anima, Joy... fino a fartela sanguinare» le sue iridi verdeggianti mi risucchiarono, ma non desistei. Seppur straziata e lacerata dalla scomoda verità, affilai gli artigli. Lottai, ma non per difendere me stessa, lo feci solo per proteggere le emozioni incontrastabili e inarrivabili che, malgrado tutto, provavo ancora per l'uomo che mi aveva ferita. Non l'avrei mai tradito... anche se non stavamo più assieme.
«Credi davvero che io voglia baciarti?» replicai con una punta di asprezza.
Sentii il dolore, la frustrazione, lo sdegno montarmi dentro come un terremoto. Avvertii il bisogno impellente di ferirlo, fargli male, graffiarlo a parole, solo per rivendicare il mio amore...
«Ti ho visto solo tre volte in tutta la mia vita e in tutte e tre le occasioni mi hai fatto alterare così tanto i nervi da farmi desiderare di scomparire all'istante. Mi irriti più tu di qualsiasi altra persona che conosco. Sei dispotico, presuntuoso, contradditorio e i tuoi continui, bruschi sbalzi d'umore mi fanno venire il mal di stomaco. Mi sembra di vivere costantemente sulle montagne russe...» continuai, imperterrita. Gli rivolsi uno sguardo ferreo, accecata dalla rabbia.
«Ecco, vedi? Ora mi stai facendo arrabbiare di nuovo. Non mi piaci. Ok? Sei, sei troppo complicato, ambiguo e anche confusionario, forse molto più di quanto non lo sia io; perciò, cosa diamine ti fa pensare di avere un qualche potere su di me?»
Perché finivamo sempre per litigare? In un modo o nell'altro...
«L'odio che provi...»
Sussultai, colta alla sprovvista.
«Come?»
«L'odio è un sentimento forte, persistente. È duraturo, pervasivo, contagioso. È una reazione primordiale, selvaggia, frutto di una miscela esplosiva e variegata di atteggiamenti opposti e inconciliabili tra loro, in grado di attivare e stimolare la parte più intima di ciascuno di noi...» i suoi occhi mi fissavano incuriositi e mi lasciarono ancora una volta vuota e impotente.
«Odiare qualcuno è come farsi un'iniezione in vena di eroina pura. Odiare qualcuno è come provare molteplici orgasmi, uno dietro l'altro, senza mai arrestarsi. È intenso, penetrante, totalizzante. È come toccare, accarezzare, provocare la parte più sensibile del nostro cervello, portandolo all'esasperazione, fino all'apice del godimento assoluto...» lo guardai attonita, era così bello da farti male, ma era anche così autentico da rimanerci male. Espirai e bruciai di un'emozione strana, sconosciuta, per un attimo atroce. Era una sensazione nuova e non ci ero abituata.
«Dove vuoi arrivare Cole?» ringhiai nervosa. Disturbata dalla conturbante intelligenza che quel dannato ragazzo esibiva fiero come il più ambito tra i trofei.
«Il mio potere su di te è direttamente proporzionale all'avversione che provi nei miei confronti. L'odio, l'astio, il livore che senti sono sentimenti molto più potenti dell'amore, la benevolenza e l'affetto. Mi odi così tanto, nonostante ci conosciamo così poco»
«Quindi?» serrai la mandibola, lampi di sdegno mi attraversarono le pupille incandescenti.
«Preferisco farmi odiare da te. È più divertente, è più...eccitante» disse piano e una vertigine violenta mi azzannò lo stomaco.
«Basta mi hai stancato, buonanotte!» fu tutto ciò che riuscii a dire e mi allontanai di scatto, sconfitta. Le guance pizzicavano e le cosce fremevano. Ad ogni centimetro guadagnato lontano da lui, tornavo a sentirmi viva, tornavo a respirare. Quando mi trovai davanti l'uscio di casa, mi smarrii per un istante nella libertà riconquistata con tanta fatica. Mi voltai a guardare dietro di me, proprio come farebbe una preda scampata all'agguato di un temibile cacciatore; vidi i suoi occhi magnetici, tanto belli quanto pericolosi, fissarmi senza fiato, totalmente scioccati dalla mia inaspettata risposta, irrimediabilmente sorpresi dal gesto avventato.
La tensione che imperava tra di noi era ancora alta, tanto da martellare così forte l'aria, da riuscire a romperla in mille pezzi.
«Joy...»
La sua voce. Fuoco e gelo.
Tra respiri sospesi e sguardi agganciati, lui tornò, mio malgrado, a tormentarmi, fino allo stremo...
«Che c'è ancora?» domandai, sfinita dalla battaglia che avevamo appena combattuto, troppo stanca per iniziarne una nuova.
«Come facevi ed esserne sicura?»
«Di cosa?»
«Che non ti avrei baciato? Come facevi a sapere che non l'avrei fatto?»
Strinsi le palpebre con uno sforzo immane.
«Non lo sapevo...» mormorai sincera e me ne andai, chiudendo la porta alle mie spalle. Sperai di aver confinato fuori anche il mio malessere; tuttavia, mi portai con me quella sensazione spaventosa che avvertivo sempre di più avvinghiarsi ai miei pensieri e ancorarsi alle mie ossa.
***
Spazio Autrice!
Eccoci qui, spero il capitolo sia stato di vostro gradimento. Vorrei scusarmi per non essere stata presente nell'ultimo periodo, purtroppo, sto affrontando un momento delicato. Per chi, come me, vive e ama gli animali, sa che sono un grande impegno, per cui a volte è necessario rinunciare ad alcuni attimi di libertà e momenti di assoluta spensieratezza.
Mi sto dedicando alla salute dei miei due cuccioli di cane, affetti da una grave patologia alle zampe che li rende incapaci di muoversi in modo autonomo e indipendente. Prendermi cura di loro è a tutti gli effetti un lavoro a tempo pieno; perciò spero voi possiate comprendermi e accettare i miei "ritardi". Posso solo dire che sono più che giustificati.
Vi abbraccio e spero di ritrovarvi presto.
Joy.
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