6. La Notte dei Baci
Trevor cominciò a roteare sul posto come un bimbo felice, mentre mi teneva stretta tra le sue braccia nerborute. Adagiata in malo modo sopra la sua schiena, con la pancia che premeva decisa sulla spalla appuntita, lo pregai di lasciarmi seduta stante. Ma ad ogni mia insistente richiesta, seguiva una piroetta da capogiro. In pochi secondi, il sangue mi arrivò dritto al cervello e iniziai ad avvertire un forte dolore all'altezza delle tempie. Tanto insopportabile da costringermi a serrare gli occhi, strizzando forte le palpebre tra loro.
Mi stava volutamente ignorando, convinto quello fosse il modo migliore per indurmi a cedere. In verità, non faceva che accrescere dentro di me la rabbia; ardeva senza controllo come brace incandescente. Il mio livello di sopportazione stava per esaurirsi, la voce supplichevole con cui lo stavo implorando, divenne tutto d'un tratto minacciosa, sino a quando, esausta, gridai a squarciagola di mettermi giù.
Non esitò ancora, mi afferrò per i fianchi e mi adagiò con delicatezza a terra. Una vertigine improvvisa mi colpì la testa e barcollai sulle mie stesse gambe, molli come gelatina. Bless mi prese per le spalle e mi tenne stretta a lei, sorreggendomi per impedirmi di cadere.
«Joy, ti senti bene?» mi chiese spaventata.
No, cazzo. Non stavo affatto bene.
«Mi gira tutto...» risposi fredda, massaggiandomi una tempia.
«Sei impallidita, vuoi...vuoi un bicchiere d'acqua?»
«Scusami, mi dispiace non avrei dovuto! Che idiota, mi sono fatto prendere dall'euforia, vuoi sederti? ...» disse Trevor afflitto. Sollevai il viso, scorsi il suo volto ottenebrato da un'espressione mortificata, così scossi la testa, bloccando il flusso disconnesso delle sue parole.
«Tranquilli...è tutto ok!» mi sedetti sul primo gradino del portico di casa, poggiai la schiena contro la porta d'ingresso e respirai profondamente, ad occhi chiusi, tentando di tranquillizzare il battito del mio cuore.
«Volevamo farti una sorpresa, ma a giudicare dal tuo stato, non è stata una buona idea» sghignazzò Bless, cercando di stemperare la situazione.
«Come, come facevate a sapere dove abito?» domandai con circospezione, arrivando dritta al sodo. Ignorai totalmente la sua dichiarazione, mi sollevai col busto e drizzai le orecchie, curiosa di conoscere la verità.
«La pizza...» la sua bocca carnosa s'increspò verso l'alto; brillò una smorfia divertita.
«La pizza?» aggrottai la fronte, confusa, mentre loro si scambiarono uno sguardo complice.
«Ti ho mandato un messaggio per chiederti di consigliarmi una pizzeria, tu mi hai suggerito proprio quella vicina casa tua...»
«Così ho cercato su Google il nome del locale e sono facilmente risalito all'indirizzo, abbiamo preso la macchina e siamo subito andati lì» aggiunse Trevor.
«Il pizzaiolo, Edward...oh, no, aspetta...ehm, quale era il suo nome?» domandò Bless, puntellandosi il mento con le dita, come se quel semplice gesto potesse aiutarla a ricordare meglio. «Ah, Eddie, mi ha gentilmente fornito le indicazioni verso la tua casa» aggiunse, sfoggiando entusiasta il suo splendente sorriso.
Eddie?
Sperai di aver sentito male.
«Un momento, cosa? È stato lui a dirti dove abito?» chiesi sconvolta; la mascella tesa a mezz'aria.
«Già...» fu la sua risposta ed io rimasi senza parole. Mentalmente, mi ritrovai a maledirlo in cinque lingue diverse. Come diavolo si era permesso di fornire il mio indirizzo privato a quelli che, ai suoi occhi, erano dei perfetti sconosciuti? Gli era dato di volta il cervello?
«Non ti ha domandato perché desiderassi tanto conoscere il mio indirizzo?» replicai acida, senza neanche pensarci.
«A dire la verità, no, non si è fatto tanti problemi...» mormorò con un gesto innocente delle spalle.
Razza di incosciente. Non avrei più ordinato nulla nella sua pizzeria, neanche una misera patatina.
«Ma come-come è possibile? Tutto questo per me è davvero assurdo! Ma che vi è saltato in mente?» borbottai furibonda, agitando le mani in aria. Scorsi il sorriso di Bless piegarsi a mano a mano, sotto la forza spietata delle mie parole. La sua incommensurabile spensieratezza tramontò, lasciando spazio ad uno stato di evidente inquietudine. Notai lo sguardo di Trevor incupirsi, le iridi cerulee erano ormai due specchi d'acqua caliginosi, sui quali era impossibile specchiarsi; mi osservava torvo, sconvolto dalla mia reazione, tanto inaspettata quanto probabilmente eccessiva.
Le loro espressioni felici vennero spazzate via come nebbia.
Sapevo che il mio atteggiamento scontroso, schivo, a tratti arrogante, poteva risultare ai loro occhi insensato, irragionevole, e assurdo...ma questo non destava in me alcuna preoccupazione, anzi. Loro non mi conoscevano, non sapevano che le mie parole, pungenti come spilli, celavano, in verità, profonde insicurezze. Non avevano idea che al di sotto della corazza dura e spessa che mi ostinavo ad indossare per proteggermi, si nascondevano intime paure.
Il mio passato era un fardello pesante che ricadeva sopra le mie spalle, schiacciandomele contentamente. Ogni giorno, mi ricordava quanto fosse sbagliato, controproducente, e a volte, pericoloso, affezionarsi a qualcuno. Legarmi non rientrava nei miei progetti futuri, costruire un rapporto basato sul rispetto reciproco? Non era un'idea che mi allettava particolarmente. Il solo pensiero di intrecciare una nuova relazione mi faceva contorcere lo stomaco e rabbrividire la pelle.
Tuttavia, Bless e Trevor mi piacevano. Erano diversi.
Per qualche assurda ragione, il loro modo di fare eccentrico ed estremamente sincero, non mi dava fastidio. Tolleravo abbastanza bene le manifestazioni d'affetto di lei, il parlottare frenetico della sua bocca e l'eccessiva euforia che l'accompagnava in ogni momento. Sopportavo persino la fascinosa eleganza di lui, le sue tenere occhiate, ricolme di significato, e la sua intramontabile ironia, intrisa di un sarcasmo affilato.
Ma il mio interesse lì finiva. Avrei accettato di costruire con loro una semplice amicizia, senza impegno e soprattutto senza aspettative, uscendo sporadicamente, al fine di conoscersi quel tanto che basta da scambiarsi delle misere e futili confidenze. Purtroppo, però, farmi una sorpresa e venirmi a prendere a casa, dopo solo due giorni che ci conoscevamo, era una manifestazione lampante del loro eccessivo interesse. Talmente grande che non rientrava, neanche schiacciandolo e ripiegandolo su stesso, entro le mie possibilità.
Spiegargli le mie ragioni non avrebbe avuto alcun senso, tanto non sarei mai stata capita. Così scelsi la strada più semplice: allontanarli. Era l'unica soluzione. L'alternativa che faceva al caso mio.
È pura follia smettere di amare, o desiderare di essere amati, solo perché qualcuno ha irrimediabilmente spezzato il tuo cuore, non è vero? È impensabile scegliere di trascorrere un'intera vita in bilico, tra apatia e risentimento, rancore e desolazione, solo perché l'amore ha divorato tutti i tuoi sogni e desideri. È da codardi avere paura di mettersi in gioco, affezionarsi, rischiare, solo perché una volta hai fallito.
Ma per quanto stupido e insensato potesse sembrare il mio ragionamento, non riuscivo ad andare oltre. La solitudine mi era amica da tempo e mi ero abituata ad essere sola, dopotutto, questo implicava persino dei vantaggi: nessuno aveva il potere di distruggerti.
«Perché sei così arrabbiata?» disse Bless con voce tremante. Il suo tono ferito mi riportò drasticamente alla realtà. Mi ero persa nei miei assurdi pensieri, tanto da dimenticarmi di avere due persone davanti, in attesa, desiderose di ricevere una risposta. Mi schiarii subito la gola, scossi lievemente la testa e dopo un respiro profondo, dissi: «Me lo chiedi pure? Non potete andare in giro a chiedere informazioni su di me, a mia insaputa! Ma soprattutto, non potete presentarvi davanti la porta di casa mia, a notte fonda, mentre i miei genitori stanno dormendo. Caricarmi in spalla come se fossi un sacco della spazzatura, costringermi a venire ad una stupida festa, alla quale vi avevo espressamente detto che non sarei mai andata, neanche morta...»
"Sii più convincente Joy" mi ripetei mentalmente.
«Insomma, ragazzi, ci conosciamo da quanto? Due giorni? E già vi prendete tutte queste confidenze? Non credete sia eccessivo?»
Tagliente come il vetro.
Fredda come il ghiaccio.
Non sarei mai potuta essere più stronza.
Il mio giudizio li colpì duramente e nel profondo. Sbigottiti, mi fissarono increduli ed io lessi nei loro sguardi un mix di emozioni che, in un primo momento, non seppi descrivere. Soltanto poi, quando recuperai finalmente fiato, mi soffermai ad analizzare ogni limpida sfumatura stampata nei loro volti e capii di aver commesso un enorme sbaglio.
Quando me ne pentii, era già troppo tardi. Guardai i loro occhi e a rallentatore, vidi scorrere come unici sentimenti: delusione, dispiacere, e rammarico, ma c'era anche qualcos'altro, inabissato nel profondo delle iridi, forse rabbia, rancore e rifiuto.
In quel preciso istante, avvertii farsi spazio tra le mie costole, un enorme senso di colpa. Era totalizzante, destabilizzante come poche altre sensazioni. Sbattei le palpebre confusa e mi guardai attorno smarrita, come se avessi appena preso una bella botta in testa. Tentai di parlare, di sputare fuori qualcosa, ma neanche una misera parola, una qualche spiegazione grondò fuori dalle mie labbra. Tutto il mio corpo era immobile, pietrificato. Un gigantesco blocco di ghiaccio costruito su una solida base di rimorsi e pesanti rancori.
Sollevai il volto, ispezionando il mondo attorno a me, poi, il mio sguardo ricadde su di loro. Completamente avvolti nella delusione. Vederli così desolati mi provocava un fastidioso dolore al petto, ma a peggiorare la mia condizione, fu la piena consapevolezza dell'affetto che inspiegabilmente provavo verso di loro. Non riuscivo a capire perché mi importasse tanto.
Questa insolita contraddizione, che si agitava impazzita dentro il mio animo, mi mandava fuori di senno.
Serrai la mascella di scatto, divenendo seria e rigida. Deglutii, tentando di mandare giù il groppo amaro che avvertivo in gola. Indietreggiai, senza fiatare, mentre un tornado di emozioni spazzava via ogni paura, insicurezza e ossessione. Tutte insieme, aggrovigliate tra loro, all'interno dell'occhio del ciclone, mi colpirono dritte in faccia, tirandomi uno schiaffo forte e deciso, centrando in pieno quella ragazza ingenua che tentava ostinatamente di nascondere al mondo la sua più recondita debolezza: l'enorme desiderio di essere amata, ancora una volta, nonostante tutto.
In quel momento, mi resi conto quanto tempo, quante occasioni, quante opportunità avessi sprecato dietro ciascuna delle mie paure, e me ne vergognai, tanto era forte l'imbarazzo da tingere i miei zigomi di colore rosso vermiglio.
«Wow! Impressionante... siamo venuti fin qui e questo è il tuo ringraziamento?» affermò Trevor, innervosito, e aveva tutte le ragioni del mondo per esserlo.
«Noi volevamo solo farti una sorpresa...» aggiunse Bless, facendomi sentire, se possibile, ancora più in colpa. Tentai di rispondere, ma le parole fecero una fatica immensa ad uscire dalle labbra tremule.
«Bless...Trevor, io, come-come ve lo spiego...» rivolsi un'occhiata carica di pentimento ad entrambi. Cercai di rimediare al mio errore, ma fu piuttosto difficile...
«Non ti preoccupare, non serve che sprechi altro fiato, togliamo il disturbo...» Bless afferrò con rabbia il braccio di Trevor, attirandolo a sé «...Andiamo Trev» disse piccata, voltandomi le spalle.
Così com'erano arrivati, se ne andarono, all'improvviso, ignorandomi completamente.
E io rimasi lì, in silenzio, pentita e amareggiata, con un profondo senso di angoscia a sconquassarmi le viscere. Non riuscii a fare niente, li vidi incamminarsi lenti verso l'auto, mentre il buio li inghiottiva a poco a poco, finendo per oscurare anche me. Sbuffai, passai una mano tra i miei capelli scarmigliati; strinsi il labbro inferiore tra i denti, premendo così forte da punire me stessa per essere così incapace e così stupida. Insomma, feci di tutto, tranne quello che avrei dovuto fare.
Quando in lontananza catturai la figura di Trevor intenta ad entrare in auto, un tacito dolore mi attraversò la pelle e un brivido mi morse il cuore, risvegliandolo da quello stato di apparente menefreghismo, in cui si era avviluppato per troppo tempo.
Dovevo fare qualcosa. Non potevo permettergli di andarsene. Erano stati così gentili con me. Nessuno era mai così gentile con me...
Così mi sforzai di parlare, tentando di spiegare le mie ragioni.
«Io odio le sorprese...» urlai e loro si voltarono.
«Le ho sempre odiate, sin da bambina, ma questo piccolo dettaglio voi non potevate saperlo perché non mi conoscete. Non sapete nulla di me e forse è meglio così...» mi avvicinai «Perché sono un vero disastro, sono anche una pessima amica. Ne combino una dietro l'altra e non mi rendo conto subito dei miei sbagli; però, almeno so chiedere scusa. Perciò, perdonatemi, mi dispiace, non volevo offendervi, ma non credevo che voi voleste veramente...»
«Tu non credevi cosa, Joy? Che desiderassimo essere tuoi amici?» Trevor mi interruppe sul momento, la sua domanda mi colse di sorpresa tanto che non fui capace di rispondere.
«Sì, cioè no! Gesù, non-non lo so» balbettai.
«Sei seria? Due giorni fa ti ho chiesto se ti andasse di accompagnarmi alla prima partita di basket del campionato. Ti abbiamo invitato al Moonlight, il bar dove abbiamo trascorso un'intera giornata a parlare delle nostre vite, ridendo e scherzando insieme. Ci siamo sentite per telefono, ti ho scritto ogni ora per sapere che facevi, nonostante tu mi stessi palesemente ignorando. Che significato ha per te tutto questo? Perché per me significa solo una cosa!» commentò Bless, e io sospirai afflitta. Allargai le braccia in segno di resa, rivolgendo loro un'occhiata tormentosa, consapevole di aver ferito entrambi.
«Faccio schifo nel cogliere i segnali. Non sono abituata a questo genere di cose, ok? Non so come si fa, non so come ci si comporta. Non ho mai avuto degli amici e per me, questo-questo rapporto, tra di noi...insomma» indicai tutti e tre con un gesto frettoloso della mano «È una novità, qualcosa che non sono in grado di gestire perché...»
«Lascia perdere Joy...abbiamo capito!» ripeterono in sincrono.
«No, non avete capito un bel niente» replicai sbrigativa, con il cuore che batteva in gola.
Ero stanca, mi pulsavano le tempie. Sentivo il bisogno di andarmene, di allontanarmi, di chiudermi nella mia camera e dimenticare tutto quello che era appena successo. Ma non potevo scappare di nuovo. Non questa volta.
«Io ho paura! I legami, le relazioni, qualsiasi tipo di rapporto mi terrorizza. Faccio veramente di tutto pur di allontanare le persone dalla mia vita, perché ho paura che queste un giorno mi deludano, mi illudano, sì...insomma mi feriscano»
«Noi non ti abbiamo mai fatto niente» sibilò Trevor con una punta di rancore.
«È vero, mentre io invece, vi ho fatto del male...» deglutii «E non ne avevo alcun diritto. Non ho saputo riconoscere una cosa bella, neanche quando questa si è presentata alla mia porta. La verità è che nella mia vita...ho incontrato un fuoco così forte e intenso che mi ha bruciato dentro. Ha distrutto tutto, riducendo in brandelli i miei sentimenti, frantumando ogni emozione, desiderio, persino i miei sogni sono stati rovinati. Tutto ciò che è rimasto nel mio cuore è solo paura e cenere spenta, dalla quale, purtroppo, non posso far nascere nulla senza poi finire per consumarla...»
«So che non è una valida scusa ma...» una lacrima baciò il mio zigomo «Quando ti scotti così forte, poi anche il ghiaccio ti spaventa...»
Ed eccola lì. La mia intima fragilità e innocente debolezza.
La strappai via fuori dal petto con uno strattone deciso e mi sentii inspiegabilmente libera. Libera di quell'enorme peso che gravava sulle mie spalle: una verità scomoda, invalidante, difficile da accettare, impossibile da sostenere.
Un improvviso senso di spensieratezza avvolse il mio corpo in un tenero abbraccio: confortevole, caldo, sicuro. Mi sentii come se mi stessi abbracciando da sola.
Forse era la prima volta che accadeva.
Forse era la prima volta, dopo tanto tempo, che mi sentivo così leggera e delicata, esattamente come un piccolo soffione che vola al minimo e lieve refolo di vento.
«Qualcuno ti ha ferito in passato, non è vero?» domandò Bless; il suo sguardo illuminato da una luce diversa.
«Sì...» fu un leggero sussurro, ma potente. Lei mosse cauta un passo verso di me, lasciando Trevor indietro.
«Mi dispiace, nessuno merita di soffrire» seguì un respiro ponderoso. «Voglio darti un consiglio però: non lasciare che il passato ti condizioni, non permettere a colui che ti ha ferito di cambiare il tuo presente, non dargli questo potere, Joy. Concedi a te stessa una seconda possibilità, per amare, affezionarti e vivere felice, lontano dai brutti ricordi, distante dalle cattive esperienze» mormorò, con un tono così docile, premuroso, che per poco non mi buttai a terra, in lacrime.
«Io e Trevor siamo due treni in corsa. Andiamo a 200 km/h e viviamo tutte le esperienze che ci capitano al massimo. Con te abbiamo fatto lo stesso, forse abbiamo sbagliato, forse abbiamo corso troppo, non lo so! Ma a te serve più tempo per aprirti, per farti conoscere e ora lo sappiamo! Perciò, scusami, scusaci se ti abbiamo messo pressione addosso...»
Chinai il viso, senza nemmeno ribattere, poiché non avevo il coraggio.
«Noi andiamo alla festa, se cambi idea sai dove trovarci...» Trevor mi sorrise, strizzando l'occhio, quel semplice gesto fu la goccia. All'improvviso, tutta la frustrazione che avevo in corpo scivolò via, lasciandomi svuotata.
Prima che me ne accorgessi.
Prima che potessero vedermi crollare.
Prima che potessi impedirglielo.
Loro se ne erano già andati.
È una pessima idea.
Mi ero ripetuta mentalmente questa frase almeno cento volte, prima di convincermi che lo fosse per davvero. Tuttavia, alla mia coscienza non sembrò importargliene un bel niente. Non so nemmeno come mi ci ritrovai in macchina, alle undici di sera, con addosso una semplice felpa grigia su cui spiccava al centro un grazioso dinosauro. Un attimo prima ero sul portico di casa mia, a pensare alla mia vita, a quanti sbagli avevo compiuto, ai rimpianti che da vecchia avrei ricordato, e un attimo dopo mi trovavo ai piedi di un cancello in ferro battuto. Si apriva maestoso verso il grandissimo parco che affiancava l'Università.
Mossa da non so quale sentimento, avevo deciso di raggiungere Bless e Trevor alla Notte dei Baci; nonostante io odiassi le feste, ma soprattutto chi, per qualche strano motivo, decideva spontaneamente di andarci. Per fortuna, non mi ero dimenticata il luogo dove i rappresentanti avevano deciso di organizzare l'evento, altrimenti, avrei zigzagato senza meta, rischiando persino di perdermi, o peggio, diventare matta.
Una volta dentro, mi ritrovai davanti il bellissimo giardino del parco. L'aria era già satura di musica; il rumore assordante delle canzoni hip-hop rimbombava nelle mie orecchie, costringendomi a strizzare le palpebre e digrignare i denti. Talmente era alto e fastidioso il volume che sentivo a malapena i miei pensieri. Tutto il giardino pullulava di persone felici che ballavano a ritmo di musica, alternando passi improvvisati a coreografie a dir poco imbarazzanti. In quell'attimo di delirante frenesia, saltavano sul posto come cavallette impazzite. Altre, semplicemente si divertivano e ridevano, stringendo tra le mani un bicchiere rosso, pieno zeppo fino all'orlo di alcool.
Mi strinsi nella felpa, incassando la testa nel cappuccio, presi un profondo respiro e mi incamminai in mezzo alla folla. Mentre passeggiavo, mi guardai attorno, ammirando il paesaggio. Notai gli alberi spogli decorati da lunghi intrecci di luci dalla calda tonalità. Si estendevano serpentini fin sopra la chioma, avvolgendola totalmente, e regalavano agli occhi uno spettacolo mozzafiato. Li osservai meravigliata, con le iridi ricolme di ammirazione. Il prato all'inglese era ricoperto da grandi coperte, aperte e distese a mo' di tappeti, accompagnate da cuscini giganti, sparpagliati un po' qua e là. Tutti quegli elementi assemblati insieme ricordavano l'atmosfera soffusa di una camera da letto. Poi, riflettei un attimo e pensai che forse, fosse proprio quello il tema principale su cui verteva l'intera serata.
Qualcosa catturò la mia attenzione. Poste ai lati del grande giardino, c'erano delle splendide lanterne, fatte in vetro e metallo che emanavano una luce soffusa. Le amavo, avrei riempito ogni angolo di casa, se solo avessi potuto. Mi trasmettevano felicità e avevano l'incredibile potere di sollecitare in me intense emozioni; calma composta, gioia e inalterabile spensieratezza.
Fu un attimo...
Il nero delle palpebre mi colpì dietro gli occhi. Barcollai appena, e quasi caddi a terra. Il torace tonico di un ragazzo mi investì completamente. Biascicò qualcosa, forse delle scuse, ma non ne ero sicura, era indubbiamente ubriaco; perciò, non seppi dire con certezza quali parole mi avesse rivolto. Lo guardai di malanimo scomparire tra la gente, se ne era andato con una tale nonchalance da lasciarmi di stucco. Per lui era come se nulla fosse appena accaduto.
Incredibile.
Ero sul punto di esprimere ancora una volta dubbi sulla mia presenza in quel posto. Desideravo andarmene, sfuggire a quella musica martellante e rivendicare il mio costante desiderio di essere invisibile, ma quando notai appartati vicino l'angolo bar, Bless e Trevor, cambiai idea. Sentii riaccendersi la fiamma del coraggio e determinata come non lo ero mai stata, mi incamminai, facendomi strada. Avanzai in quel trambusto, muovendomi con passi incerti. Schivai alcuni ragazzi, decisamente brilli, e li raggiunsi, arrestandomi proprio davanti a loro.
«Ehi...» bofonchiai, sfregando i palmi sudati lungo il tessuto della felpa. Entrambi si voltarono sbadatamente a guardarmi. Mi fissarono scioccati, la bocca dischiusa in un'espressione folgorata. Sembrava come se avessero appena visto un angelo e non sapevano se credere o meno ai loro occhi.
«Joy? Porco cazzo» commentò Trevor, scarmigliandosi i capelli scuri.
«Sei qui! Non posso crederci» urlò Bless, osservandomi sgomenta. Mi strinse forte tra le sue braccia e per poco non soffocai. Aveva uno strano modo di strangolare...ehm, volevo dire abbracciare le persone.
«Mi dispiace tantissimo, non sapevo come farmi perdonare, perciò io, ho pensato che...» tentai di spiegare, con il fiato spezzato, ma Trevor mi poggiò l'indice sulle labbra, e premette deciso in quel punto per bloccare il flusso delle mie parole. Lo guardai interdetta, con un sopracciglio sollevato in una smorfia di improvvisa contrarietà. Tuttavia, lo lasciai fare e quando mi ritrovai avvolta in un suo tenero e caloroso abbraccio, mi ammutolii seduta stante. Lui era decisamente più bravo nelle dimostrazioni di affetto.
«Joy, l'importante è che ora sei qui» mormorò dolce nel mio orecchio e per la prima volta, dopo tanto tempo, sorrisi con sincerità. Quel sorriso era tanto vero da farmi dolere le guance.
La serata stava proseguendo bene. Trevor aveva da poco raggiunto i suoi compagni di corso, mentre io e Bless stavamo parlando con alcune delle sue amiche, ma quando la conversazione si spostò dalle tematiche universitarie alle dinamiche sentimentali, mi chiamai fuori ancor prima di intavolare qualsiasi discorso. Così, mentre lei dialogava animatamente con ciascuna di loro, la sottoscritta se ne stava in disparte, intenta a vivere uno dei suoi soliti momenti, caratterizzati da silenzi assordanti e riflessioni tanto complicate, quanto impossibili da comprendere per chiunque altro.
Un'ora dopo, la Notte dei Baci era entrata nel vivo della serata e i partecipanti erano già tutti alticci.
Qualcuno aveva cambiato la musica. Le canzoni erano diventate lente, melodiche, quasi un sussurro impercettibile. Un sottofondo perfetto per lo spettacolo di luci messo in piedi dalle lanterne. Quei suoni erano piacevoli persino per le mie orecchie, molto meno gradevole era la combinazione di rumori che anticipava un bacio: lo schiocco di labbra, il risucchio d'aria e versi grotteschi a ventosa. Era impossibile non accorgersi dell'impeto passionale che agitava gli animi di tutti. C'erano coppie appartate ovunque, ragazzi e ragazze che si divoravano la faccia con una tale veemenza da farmi venire il voltastomaco; si assaggiavano bramosi di sentirsi, toccarsi, sempre di più.
Ok, era abbastanza per me.
Era finalmente giunto il momento di andarmene.
Mi voltai e vidi Bless, accanto alle sue compagne. Il suo petto prosperoso era un tamburo di risate; gli occhi scuri tirati in due strisce sottili, languide e perlucenti, sulle labbra rifulgeva il colore brillante dei quattro bicchieri di birra che si era scolata. Cercai di richiamare la sua attenzione, con l'intento di avvertirla che sarei presto tornata a casa, poiché la situazione stava prendendo una brutta piega, ma quando le sfiorai appena una spalla, lei scoppiò a ridere di gusto, con così tanta scioltezza da farmi sobbalzare, perplessa. Ritrassi subito la mano, pizzicandomi le dita. La osservai, sembrava così felice: il naso arricciato in una smorfia compiaciuta, i capelli scarmigliati dal vento, la testa molleggiante le cadeva all'indietro ogni qual volta si lasciava trasportare dalle risa. Non volevo disturbarla, non volevo privarle della spensieratezza di quell'istante.
Così mi voltai lentamente e mi allontanai, senza dirle niente.
Mi infilai tra la gente, facendomi strada con le spalle e la schiena, urtando e smuovendo la folla aggregatasi in un unico punto. Intravidi in lontananza Trevor, era accerchiato dai suoi compagni di corso, scherzavano insieme e ridevano sguaiati. Decisi di non disturbare neanche lui. Mi mossi svelta come un pesce nella corrente, animata dall'istinto di tornare il più velocemente possibile nel mio luogo sicuro: casa. In un attimo, ero già fuori dal trambusto, poco distante dal parcheggio.
C'ero quasi.
Quasi...
Ma qualcuno, all'improvviso, mi agguantò il braccio. Una punta di panico mi assalì, e in uno strattone deciso, il cuore mi sobbalzò nello sterno. Spalancai gli occhi e mi voltai. Sollevai svelta lo sguardo e incrociai quello di un ragazzo che non avevo mai visto prima, con lunghi capelli scuri, raccolti in uno chignon disordinato. Mi fissava magnetico, le iridi grandi e verdi, vacue come il fondo della bottiglia di birra che teneva ancora stretta tra le dita ossute. Tentai di liberarmi dalla presa ferrea che la sua mano esercitava sulla mia pelle, ma non ci riuscii. Il braccio cominciò a bruciare in quel punto in cui le sue unghie stavano affondando, come artigli d'aquila.
Che diavolo voleva da me?
«Dove scappi Cenerentola? È già passata la mezzanotte?» commentò beffardo, ridendo della sua stessa squallida battuta. L'alito forte di alcool mi colpì il viso, facendomi storcere il naso.
«Lasciami!» replicai con voce stentorea, ma lui non mollò la presa.
«Oh, dai, non essere rigida, ci divertiamo»
Irrigidii i pugni. «Togliti di dosso!» gli schiaffeggiai la mano e cercai di passare, spintonandolo dal petto, ma lui tentò di toccarmi ancora e mi afferrò le guance tra le dita. Fece per piegarsi su di me. Lo allontanai, stavolta spostandolo dalle spalle: barcollò all'indietro e io lo superai.
«Mi piacciono le ragazze impetuose...vieni qui, avanti» tentai di camminare più veloce ma quando lo sentii venirmi incontro per rincorrermi, il disagio cominciò a scorrere a fiotti nelle mie vene, impedendomi di accelerare. Il respiro rotto in due dalla paura. Il sudore freddo a scavarmi i palmi.
Allungò il suo braccio vigoroso per acchiapparmi, finì per ferirmi, graffiandomi la pelle. Stavo per voltarmi e mollargli uno schiaffo, quando d'improvviso andai a sbattere contro qualcosa. La guancia rimbalzò in un colpo sordo sopra la durezza di un petto. Sollevai lo sguardo terrorizzata, in quel breve istante riflettei persino sulla possibilità che ci fosse qualcun altro a inseguirmi, forse un suo amico, ma per mia fortuna, mi sbagliai.
Una montagna di muscoli mi investì, come una valanga gigantesca.
Tutto mi sarei aspettata, tranne di trovarmi Lui di fronte.
Cole si ergeva in tutta la sua intimidente altezza, mostrando fiero l'eccezionale vigore delle sue spalle possenti; larghe, aperte, ad ostentazione di una sicurezza che avrebbe fatto vacillare chiunque. Torreggiava su di me, tenebroso e avvolgente come un'ombra. La tensione che irradiava tutto il suo corpo mi costrinse a deglutire l'enorme groppo che mi si era formato in gola. Guardai i muscoli tesi della mandibola spigolosa, il collo taurino contratto e proteso avanti, sopra il quale spiccavano gonfie, vene cariche di furia cieca. Tuttavia, quegli inconfondibili dettagli non destarono la mia preoccupazione. A farmi gelare il sangue...fu il suo sguardo brutale.
Occhi feroci, cupi e profondi, come baratri neri. Nel suo sguardo imperscrutabile non brillava alcuna emozione umana, era assente, pericolosamente vuoto. Le iridi intense e perforanti erano bagnate di una calma spaventosa.
«Allontanati da lei» sibilò Cole.
«Amico, dai, non togliermi il divertimento, mi sta bene anche condividere...» ridacchiò brillo, facendo un passo avanti.
«Ti ho detto» ripeté ferino «che ti devi allontanare!»
«Altrimenti?» insistette.
«Non credo ti convenga scoprirlo. Sono generoso, ti sto perfino concedendo la possibilità di andartene sulle tue stesse gambe. Ma se osi contraddirmi ancora una volta, dovrò farti fuori...» Cole mi strinse il fianco con possesso, costringendomi a seguire il movimento lento della sua mano. Avanzò sicuro e io arrancai tremula dietro la sua schiena, senza opporre resistenza.
Era tutto così confuso tanto che rimasi inerme, incapace di muovere un solo muscolo o elaborare un misero pensiero. Cole continuava a stringermi la pelle morbida e quel tocco prepotente non faceva che peggiorare la situazione. Istigò una strana follia dentro il mio cuore. Da una parte, mi sentivo protetta, al sicuro tra le sue braccia. Dall'altra, l'aggressività del suo tocco provocava fremiti continui su tutto il mio corpo, sconvolgendolo completamente, annebbiando persino la mia ragione. La pelle ardeva senza controllo, travolta e inghiottita da un rogo di fiamme violenti. Il suo palmo aperto sul mio fianco esercitava un controllo inarrestabile, intenso e travolgente.
D'improvviso, sentii l'impulso di stringergli il polso, e d'istinto glielo arpionai con le unghie. I suoi occhi seguirono quel gesto spontaneo, poi mi guardò serio, due mezzelune di fuoco bruciavano sotto le sue palpebre. Lo osservai senza ragionare, senza capire, senza respirare, con le ciglia madide di lacrime interrotte.
«Non te l'ha mai insegnato nessuno che non si toccano le donne senza il loro consenso? Dovrei spaccarti la faccia solo per i vili e ributtanti pensieri che hai fatto su di lei...» pronunciò lapidario.
«Fottiti figlio di puttana, ma chi cazzo ti credi di essere?» sputò con disprezzo lo sconosciuto. Percepii i suoi muscoli irrigidirsi tutti insieme. Qualcosa l'aveva fatto arrabbiare più del dovuto, e io avevo capito. L'avevo sentito sotto le dita quanto fosse nero di collera.
«Chiudi gli occhi!» mormorò calmo.
Come? Perché dovrei?
Ero tanto sconvolta da non riuscire ad articolare una frase, il cuore pompava senza vergogna dentro la gabbia toracica. Sentii i battiti aumentare fino a farmi male. La gola asciutta mi impedì di replicare al suo comando, solo un gemito sgusciò via dalle mie labbra, strisciando sulla punta della lingua in maniera impercettibile. Fu un sussurro impalpabile. Tuttavia, Cole mi fissò duramente, come se non aspettasse altro che chiudessi gli occhi.
Così mi umettai la bocca e ingoiai il rovo di saliva che mi impediva di parlare. Respirai a fondo, solo un'ultima volta prima serrare le palpebre tra loro, esattamente come mi aveva ordinato. Mi fidai, non seppi con quale coraggio, ma lo feci. L'attimo dopo, lasciò la presa su di me e scattò fulmineo, come un predatore governato da una rabbia selvaggia.
Non vidi più nulla, avvertii solo il rumore di uno schianto a terra, il suono di cartilagini spezzarsi e le urla agonizzanti di qualcuno.
***
Spazio Autrice
Eccoci con un nuovo capitolo.
Volevo scusarmi per il ritardo che ho avuto con questa pubblicazione. Purtroppo, ho avuto dei problemi di salute che mi hanno impedito di portare avanti la storia. Ma ora sono tornata, con tante nuove idee che non vedo l'ora di condividere con voi.
Colgo anche l'occasione per ringraziarvi del meraviglioso traguardo che ho raggiunto, solo ed esclusivamente grazie a voi e alla vostra fiducia. Siamo a 3000 letture e per me questo è molto più di quello che potessi mai immaginare. Quindi, grazie...semplicemente.
Spero che il capitolo vi piaccia, lasciate un commento o una stellina se vi fa piacere.
Vi saluto, vi auguro una buona lettura, e vi mando un gigantesco abbraccio, con la speranza nel cuore che arrivi a ciascuno di voi.
Joy.
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