3. Lucynda

«Passarono anni, durante i quali conducemmo la nostra vita isolate da tutto. Sopravvivere era più importante di vivere. Nessuna di noi aveva aspettative. Io osservavo le mie sorelle, ormai adulte,  e avevo il grande senso di colpa che mi logorava. Che vita stavo offrendo a quelle donne? Forse migliore di quella prevista se fossimo rimaste nella casa di appuntamenti, ma comunque degradante ed estremamente insignificante.»

«Non dire così», sussurra Luna.

«Continuavo a pensare che almeno loro avessero il diritto di sposarsi, di avere figli... Ma la nostra vita non cambiò, campavamo di carne di animali o pesci del lago. Mangiavamo verdure che la stessa terra ci elargiva, il cibo non ci mancava, ma non avevamo vita sociale... finché...»

«Finché?», insiste Luna.

«Un pomeriggio tornavo alla casetta dopo essermi diretta sull'isola, ero andata a raccogliere il sambuco; volevo farlo essiccare per averlo sempre a disposizione, qualora ce ne fosse stato bisogno. Ai lati delle pareti l'edera si stava insinuando tra le pietre, così mi chinai per strapparla dalla radice. Le mie sorelle mi stavano aiutando... -Buongiorno- udii in lontananza, così mi alzai rapidamente per osservare meglio la ragazza che si stava avvicinando.»

«Chi era?», chiede Luna curiosa.

«Si presentò a me con il nome di Lucynda. -Abbiamo ristrutturato lo chalet in fondo alla piazzola, mio marito adora questa zona, vuole addirittura comprare il territorio. Siamo venuti in vacanza qui per la prima volta, siamo in luna di miele- mi spiegò la donna.»

«Lucynda... come era?», domanda la giovane donna scuotendo la sua manica per far scivolare un piccolo ragno che le si era poggiato sopra.

«Oh, era bellissima. Ricordo che teneva sul capo un enorme cappello di paglia, contornato da piccoli fiori finti. Il suo fisico asciutto, ma imponente allo stesso tempo, era messo in evidenza dal vestito bianco fermato da una cinta in vita. Le cadeva fino alle caviglie con una gonna di stoffa leggera che svolazzava in base alla direzione del flebile vento. Sulla parte superiore, piccoli bottoni le arrivavano fino al collo; sembrava indossare una camicetta, in realtà era tutto un unico abito. Le maniche a tre quarti le lasciavano la chiara pelle visibile, che a contatto con la temperatura esterna, seppur tiepida, le si accapponava.»

«La immagino come se l'avessi di fronte», afferma Luna.

«Teneva i capelli annodati, ma dalla grossa acconciatura capii che doveva averli molto lunghi. Rise mostrando tutti i pulitissimi denti. Esprimeva gioia in tutte le forme. Mi porse la mano, in segno di saluto, mentre lentamente osservò le mie sorelle rannicchiate a terra intente a estirpare erbacce. Le sue labbra carnose si richiusero, placando il gesto di felicità, smise di sorridere e ritirò la mano che non le avevo stretto.»

«Perché non ricambiasti il saluto?». La giovane donna è perplessa.

«Guardami bene, Luna... Sono una donna sudicia, maleodorante, avevo, come oggi, le mani sporche di terra.»

Alzo le mani rendendole visibili a Luna. Le unghie sono nere, le nocche arrossate, la pelle screpolata e raggrinzita.

«Avevo le stesse mani, ma con la pelle poco più giovane. Erano sudicie. Quella donna era pulita e profumava di mirtilli, come avrei mai potuto violare la sua candida pelle?»

Luna rimane impietrita, non riesce a dire una parola.

«Lucynda si avvicinò prima alla più giovane, le accarezzò il viso... Ricordo che il suo gesto mi lasciò di stucco. Non le avevo sfiorato la mano per non "sporcarla", ma lei, con grande umiltà, non si preoccupò minimamente di toccare il viso di Carmen, annerito a tratti dalla polvere e arrossato dal sudore. Passò lo sguardo su Iosy e, infine, su Maria... Poggiò la sua mano su tutte le donne, una dopo l'altra, e mi chiese con voce intenerita se fossero le mie figlie, notando la differenza di età. Scossi la testa e le spiegai che eravamo tutte sorelle, seppur di padri differenti.»

«Le raccontasti del tuo passato?», chiede Luna aggrottando le sopracciglia.

«No, non quella volta. La donna si avvicinò alla catasta di varie erbe accanto la casetta. Mi domandò cosa avrei fatto con quelle piante, mentre già aveva percorso qualche metro per tornare indietro. Arrivai a risponderle che erano medicine contro le infezioni. Lei tolse il cappello per sistemare i sottili boccoli che le erano scivolati sul viso, mi salutò con un sorriso, mentre agilmente si voltò per addentrarsi tra i pini e tornare allo chalet. Quella donna, con quella sua aria graziosa ed elegante mi aveva conquistata, per tutta la notte non riuscii a chiudere occhio. Per la prima volta qualcuno aveva guardato le mie sorelle con tenerezza e non scrutandole come possibili prostitute. Nessuna di noi era mai stata trattata con dolcezza, persino Carmen non riuscì a dormire per la forte eccitazione.»

«So cosa si prova a sognare un contatto umano, a volerne percepire il calore e i profumi», confessa Luna.

«Perché dici questo? Se non ho capito male, non sei cresciuta in solitudine, giusto, mia cara?», domando curiosa.

«Mio padre... è lui che avrei voluto accanto, mi è mancato ogni giorno», spiega.

«Ti ha abbandonato?», chiedo sempre più confusa.

«Non volontariamente, ma tantissime volte osservo il cielo chiedendomi se mi pensa.»

«Guardi il cielo perché è morto?», domando.

«Lui è vivo, ma non posso raggiungerlo», racconta.

«Ogni genitore non farebbe altro che pensare alla propria creatura», affermo.

«Pensi mai alla tua?» Luna riporta la sua mano sul terriccio accanto a sé.

«Ogni giorno!», confermo.

Luna rimane qualche secondo in silenzio, riflette, poi...

«Hai più incontrato Lucynda?»

«Sì, già l'indomani. Si presentò di pomeriggio con un mazzo di fiori raccolto nel bosco. Disse che era per noi... per tutte noi. Le mie sorelle l'accerchiarono con tanti sorrisi e parole tenere. La giovanissima sposa era di qualche anno più giovane di Carmen ma, nonostante ciò, riuscì a colpire il cuore di ognuna di loro.»

«Da come la descrivi sembra una donna gioviale...»

«Oh! Sì! Beh, perlomeno lo era. I suoi bellissimi denti erano sempre in gran bella mostra. Rideva, sembrava una donna felice. Era meraviglioso passar del tempo con lei. Ricordo che si sedette a terra per chiacchierare con le mie sorelle. Carmen entrò nella casetta e prese ciò che usava per coperta, la pelle di visone. L'adagiò sul terriccio e invitò Lucynda a sedervisi sopra. -Che sia mai che sporchi il tuo bellissimo vestito!- esclamò mia sorella recitando come fosse una "Signora di corte". Tutte sbuffarono in una allegra risata. Io me ne stavo a pochi metri ad armeggiare le mie piante, davo loro le spalle, ma sorrisi a quella battuta. La donna strizzò gli occhi colpita e abbagliata dal sole, portò la sua mano sugli occhi e il raggio fece brillare la grossa pietra che teneva al dito, incastonata in un anello d'oro. -Wow, - esclamò Maria avvicinandosi con le ginocchia a Lucynda, -te lo ha regalato tuo marito?- Maria era quella più vicina all'eleganza e ai bei vestiti. Noi ci riparavamo dal freddo con tutto ciò che trovavamo, ma Maria... lei no. Lei girava per gli chalet, quando erano disabitati, e tutto ciò che trovava di utile lo portava: bicchieri, piatti, posate, ciotole... vestiti. Tutto ciò che i turisti lasciavano come spazzatura o che dimenticavano, lei se le portava dietro.»

«Sarebbe stata una donna elegantissima se ne avesse avuto la possibilità», continua Luna.

«Esattamente. Lo aveva nel sangue. Adorava vestiti, gioielli e trucchi. Una volta ero andata a caccia con Carmen, Iosy dormiva e quando tornammo la svegliai per scuoiare le prede. A volte, anche se preferivano far altro, mi aiutavano e partecipavano alle attività che non tanto apprezzavano. Maria sbucò dai cespugli. Era stata per il paese a cercare nei lontani chalet qualcosa che potesse servirci. Aveva una strana gonna in vita, non riuscivo bene a capire come l'avesse indossata, perché faceva pieghe ovunque. -Non potendole portare in mano le ho indossate!- esclamò ridendo. Aveva le braccia e le mani piene di oggetti, per cui decise di indossare tutte le vesti che aveva trovato per non lasciarle lì. Cominciò a spogliarsi e contai cinque gonne diverse, messe una sull'altra. Santo cielo quante risate! Maria era quella che più ci faceva divertire.»

Porto la parte alta della testa sul tronco ridendo di gusto e scuoto la testa. Luna, immaginando la scena, sorride.

«Cosa fece Lucynda poi?», chiede la giovane donna curiosa.

«Oh... Lei scosse la testa e rispose a Maria che non era un regalo da parte del marito, ma del padre. -Era un uomo ricco, aveva venduto tantissimi possedimenti a lui lasciati dai nonni, e divenne uno degli uomini più potenti di Holton. Non era mai in casa e, quando lo era, spesso si faceva conti sbrigando gli affari. Non ho ricordi di mio padre che giocava con me, solo dei regali. Cercava di farsi perdonare così, riempiendomi a doni. Ero l'unica figlia, non avevo con chi giocare, se non con mia madre, era l'unica a stare sempre con me. Era uno svago, era un'amica... la mia vita. Quando si ammalò, e la portarono via soffrii terribilmente, fortuna che conobbi mio marito, altrimenti mi sarei sentita persa- ci raccontò. Iosy le chiese cosa era capitato alla madre, mi voltai di colpo riprendendola. Non erano domande da fare. Eppure Lucynda roteò il suo corpo verso di me, tenendo i palmi delle mani sulla coperta per restare in equilibrio e mi disse che non c'era alcun problema, che potevamo chiederle tutto. -Era pazza... così ci spiegarono i medici. La rinchiusero in una struttura in cui poi morì. Ricordo di aver visto la parte laterale della sua fronte bruciata, non capii mai che tipo di torture le fecero in quel luogo- Le mie sorelle rimasero in assoluto silenzio. Mi voltai ancora una volta scusandomi per la domanda portale da mia sorella, lei sorrise e scosse la testa.»

«Quindi una donna con un passato non tanto felice» afferma Luna.

«E chi lo ha avuto! Nessuno credo. Ma comunque lei in quel momento era invece felice, ci raccontò che averci conosciute per lei fu come una benedizione e che tutto finalmente stava andando bene. Maria si alzò lentamente, portò i denti sul labbro inferiore ed entrò nella casetta. Dopo pochissimi minuti uscì con un rossetto rosso fuoco nelle mani. -Guarda!- disse tutta eccitata porgendolo a Lucynda. -L'ho trovato nell'ultimo chalet, dall'altro lato del bosco- spiegò ridendo a singhiozzo. Le mie sorelle erano come delle bambine non ancora pronte alla vita vera, eppure avevano l'età di una donna pronta al matrimonio, come Lucynda. Questa sussurrò: -Ho un'idea!- Prese delicatamente il rossetto e lo passò sulle labbra di Maria, la quale iniziò a battere le mani e a sorridere. Iosy e Carmen iniziarono a deriderla, non erano abituate a vederla così "colorata". Poi però la donna pittò le labbra anche di Carmen e Iosy che iniziarono a guardarsi come se si sentissero ridicole. Da una piccola borsetta bianca, l'affascinante donna prese un piccolo specchietto e fece osservare le ragazze da quel pezzo di vetro. Ricordo le loro espressioni... si piacevano! Si piacevano tanto, proprio tanto... e per la prima volta in vita loro.»

«E tu? Non hai voluto provarlo?», chiede la giovane sorridendo.

«Si avvicinò a me, ma alzai la mano fermandola. Non mi piaceva l'idea di mettere un colore tanto acceso sul viso, mi ricordava i trucchi che usavano quelle donne nella casa d'appuntamenti. Sebbene su di lei stesse veramente bene quel leggero trucco, su di me non lo avrei mai accettato. Io continuai a sistemare le mie piante, stavo creando l'infuso di finocchio, che usavo spesso per cucinare la carne selvatica, finché lei mi chiese... -Mi insegnerai un giorno?- domandò col sorriso. -A cucinare?- chiesi. -Oh, credevo fosse uno dei tuoi soliti intrugli- disse ridendo. Il vento fece filtrare il suo buonissimo profumo dalle mie narici; mi spostai di poco,  quasi avessi paura della vicinanza, sapevo che il mio odore poteva essere paragonato a quello di uno spicchio d'aglio appena schiacciato. Risposi con un cenno della testa, a volerle dire...» 

«Cosa avresti voluto dire?», chiede Luna ansiosa di capire.

Rimango parecchi secondi in silenzio, rifletto.

«Le feci solo cenno di sì, ma dentro la mia mente vagava una sola frase...»

«Quale?», insiste.

«Sta' lontana da me o farai una brutta fine.»

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