16. La verità su Luna

//Questo capitolo presenta scene violente. Vietato ai minori//

«Sei morta...», sussurro rimanendo con le labbra aperte dallo stupore.

Luna china la testa, accenna un sorriso.

«Certo, Adele.»

Resto in silenzio mantenendo la stessa espressione allibita.

«Per questo ti vede solo Lucas... Ma allora, io sono... Anche io sono...»

«No, non sei morta, non ancora. Mi vedi perché su una cosa hai sempre avuto ragione: la lupa ti ha infettata. Ti ha donato anni in più da vivere e ti ha regalato delle capacità.»

«Come percepire i pensieri...» rifletto a voce alta.

«Neanche conosci i tuoi poteri. Non hai la minima idea di quanto siano potenti. Puoi persino vedere chi è passato nell'altro mondo.»

Sogghigno.

«Se fosse vero avrei rivisto la mia creatura.»

«Non è affatto semplice. Chi ha oltrepassato questo mondo non può tornare se non per giustificata causa. Solo chi può farsi vedere può varcare nuovamente questo mondo e servirsi della tua capacità di parlare con noi», spiega Luna.

«Qual è la tua giusta causa?»

«...Tu»

Corrugo la fronte. La donna si accascia poggiando la sua testa sulle mie gambe. I suoi capelli si dilatano e mi coprono le cosce, si adagia per lungo sul terriccio, porta parte della mia mantella sul petto, coprendo interamente tutta la parte superiore del corpo. Afferra la mia mano portandola sulla fronte illuminata dalla luna. Osservo interdetta ogni suo movimento per assumere quella posizione. Sgrano gli occhi quando sul suo viso una nube, come nebbia, appare nascondendolo. Dura pochissimi secondi. Improvvisamente essa inizia a svanire...

Un brivido percorre la mia schiena coinvolgendo il mio cuore che inizia a battere accelerato.

Il suo viso si rimpicciolisce, i suoi capelli diventano più corti e meno mossi, assumono il colore di una carota. Le lentiggini si dilatano e diventano più scure. Il suo petto comincia a schiacciarsi, vedo la mantella abbassarsi, e le sue lunghe gambe si accorciano come per magia.

Muta e scioccata osservo quella strana magia. La nebbia si è completamente dissolta, poggiata sulle mie cosce c'è il viso di una bambina, assottiglio gli occhi per mettere a fuoco l'immagine. Santo cielo, la conosco! I miei ricordi tornano a tanti anni prima...

********

La piccola era avvolta dalla mia mantella. Sanguinava dalla testa. Cercavo di arrestare l'emorragia con la stessa stoffa rossa.

«Faceva tanto freddo lì sotto», sussurrò la piccola tremante.

«Ti riscaldo io, tesoro», bisbigliai mentre l'abbracciavo chinando di poco la schiena su di lei.

«E se il posto dove andrò sarà tanto buio come la terra che mi copriva?», domandò impaurita.

«Guarda la luna, piccola mia... Guarda la luna!»

«È tanto luminosa...»

«Va' verso la luce... Va', tesoro, io ti accompagnerò. Vai verso la luna...»

*****

Sussurro: «Mio Dio! Nala... »

"... Chiamami Luna...", penso nella mia mente, ricordando le sue parole al nostro incontro. La nebbia torna fitta su tutto il suo corpo, inizio a scuotere una mano cercando di farla dissolvere come fosse fumo. Ma è tutto inutile, resta ferma, come fosse finta, immaginaria. Improvvisamente da piccoli squarci vedo le gambe riallungarsi; una ciocca di capelli cammina sulle mie cosce, solleticandomi delicatamente; le sue dita si assottigliano e crescono...

La nebbia si esaurisce pian piano. La bambina riprende le sembianze di una donna. Apre gli occhi. Annuisce. Resta nella posizione di prima, è sdraiata con la testa adagiata sulle mie gambe.

«L'ultimo mio ricordo è la luna che tanto mi hai elogiato. Ricordi cosa mi è accaduto?»

La stessa cupa e strana sensazione si ripresenta più forte: il battito del cuore è convulsivo, ansimo mentre osservo il suo viso, la nebbia torna, non più solo sul suo viso, ma in tutta la foresta. Densa e fitta copre la mia vista, alzo la mano alla portata dei miei occhi, la pelle si stira, il morso della lupa nel braccio sembra non esserci, le mie unghie impallidiscono ma sono piene di terra. Ringiovanisce la pelle della mia mano.

Come in un flash, torno a venti anni fa, tutto è improvviso. Sento in lontananza delle bambine giocare, sento la loro voce, le loro urla di gioia...

Ora vedo anche lo chalet, le bambine si divertono, sono nello slargo di fronte...

*****

Sei giugno, 1949

Nala e Elvira giocavano, dalla mano di una delle due cadde un biscotto e lo videro sbriciolarsi per terra, sul terriccio giallastro quasi compatto. Nala rise per la sbadataggine della sorella. A un tratto le bambine furono distratte dalle urla di Lucas.

«Mamma aiutami... dove sei? Rebecca non respira, aiutami!»

Rebecca stava avendo un altro attacco. Molto più forte del giorno prima. Aveva già il viso ceruleo, Lucas cercò più volte di aiutarla, ma la bambina non respirava. L'abbracciò e la testolina pendeva dalle braccia di Lucas. Lui piangeva, scuoteva il corpicino, ma nulla riuscì a salvarla. Morì tra le braccia di Lucas dolorante dal forte dispiacere.

Le bambine non capirono la gravità della cosa... Ridevano fuori, giocavano con le mani incrociate, volteggiavano. A un tratto Lucynda uscì dal bosco, entrò in casa quando le grida di Lucas non si sentirono più. La donna trovò i figli accasciati a terra, l'una tra le braccia dell'altro. Rebecca, senza vita, era accucciata dal fratello che, continuando a piangere, non riusciva più a urlare... «Aiuto...», sussurrava stremato. La donna uscì dalla stanza e si diresse fuori, era furibonda. Si avvicinò alle bambine. Spinse Elvira a terra facendole battere la testa. Fortunatamente si fece solo un graffio, rimase a terra vedendo delle mani che afferrarono le spalle di Nala, la quale, con forza venne portata via. Elvira allungò la mano verso la sorella che strillava e chiedeva aiuto. Nala riuscì, voltandosi, a osservare un'ultima volta il viso affranto della gemella ancora a terra. Lucas si era accorto dello sguardo della madre e adagiando delicatamente la testa della piccola Rebecca a terra, corse fuori e vide la scena. Rimase seduto sul portico mentre ancora piangeva! Arrivò Louis che aiutò Elvira ad alzarsi e la portò in casa ordinando a Lucas di seguirli.

«Ripuliscile la ferita, io vado a cercare tua madre!», disse Louis.

Andò via e Lucas dolcemente passò la garza, asciugando il sangue. Elvira era come stordita dalla botta nel cadere per terra...

«Dov'è Nala?», chiese a Lucas.

«Non hai più una sorella», rispose dispiaciuto.

E aveva ragione, perché la donna, presa dalla rabbia per la morte di Rebecca, ma soprattutto ormai mentalmente destabilizzata, si infuriò per le urla delle bambine mentre giocavano. Portò Nala nella foresta, le gridava che non sopportava più le loro voci.

Ricordo che la vidi avvicinarsi alla casetta, strattonava il braccio della bambina, che continuava a piangere e a tentare di liberarsi. Faticava ad andarle dietro, i rovi la colpivano mentre cercava di difendersi da essi con l'unica mano libera. Le corsi incontro urlandole di fermarsi.

«Lascia stare la bambina, Lucynda!», le ordinai.

«Stanne fuori, Adele», mi rispose scaraventandomi, con una sola spinta, a metri di distanza. Rimasi impietrita dalla sua forza, non mi raccapezzavo su come ci fosse riuscita. Con l'ausilio di una sola mano e mentre ancora con l'altra spingeva con sé la piccola Nala, semplicemente sferrando un colpo sotto il petto, era riuscita a farmi fare un volo di oltre cinque metri.

Ricordo che appena avvertii la sua mano sul mio addome, un forte ululato mi fece voltare. La lupa corse contro Lucynda e la bambina, le stava per attaccare, ma la donna si voltò di scatto verso l'animale. Non dimenticherò mai gli occhi di Lucynda. Di fronte la bestia aveva sempre reagito spaventandosi, nascondendosi dietro di me, tremando. Quasi ero felice, per la prima volta, dell'avvento della lupa in quel momento, avrebbe potuto fermarla e salvare in qualche modo Nala. Ma questa volta qualcosa di cupo e malefico accadde... e non era la lupa.

La donna osservò la bestia parandosi davanti a essa. L'animale iniziò dapprima a ululare e ringhiare, d'improvviso poi, si scaraventò giù, senza alcun motivo apparente, lamentando dolori atroci. Lucynda continuava a fissarla mentre l'animale si dimenava come un cucciolo bastonato.

«Lucynda», urlai distogliendola.

La lupa, durante quel momento di distrazione della donna, fuggì.

Tentai di sollevarmi da terra, ma portò a me quel suo sguardo malefico. Quella volta vidi il male nei suoi occhi. Il colore del sangue non apparteneva più alla bestia, ma alla donna che avevo trattato come una figlia. Mi fissava con quello sguardo maledetto, mentre piccole chiazze di macchie rosse percorrevano le sue pupille. Ero tanto lontana ma riuscivo a vederle come se fossero a un palmo dal mio naso. Sentivo come il peso di una grossa roccia sul petto, che mi tratteneva a terra.

La donna si avvicinò alla casetta e con una spinta micidiale, gettò la bambina sulla parete. Un colpo che la piccola testa di Nala non poteva accusare senza conseguenze. Cadde giù, giacendo per terra.

«Che diavolo hai fatto?», urlò Louis a Lucynda mentre, sbucando dai pini, si avvicinò al corpicino.

«Sotterrala, vado a cercare l'altra piccola serpe!», ordinò la donna mentre si diresse verso lo chalet in cerca di Elvira.

Louis cominciò a piangere mentre a mani nude cercava di scavare una fossa. Alzò lo sguardo verso di me.

«Sono sicuro che la colpa è tua, vecchia malefica! Mia moglie era adorabile prima di incontrare te!»

Impiegò un po' di tempo per scavare la fossa, durante il quale mi diressi verso lo chalet, stavo attenta a non farmi vedere, ma allo stesso tempo cercavo di capire dove fosse Elvira. Rimasi a osservare da dietro la prima fila di pini. Speravo di salvare almeno lei. Capii che la piccola non era all'interno dello chalet, era riuscita a nascondersi o a fuggire e che, a lasciarla andare, era stato Lucas. Ecco perché, di fronte la struttura in legno, nello slargo, Lucynda stava prendendo a pedate il ragazzino.

«Hai capito che resterai senza madre se scoprono cosa ho fatto? Se la ragazzina parla io sono finita!», urlava mentre lo picchiava.

Fortunatamente arrivò Louis che la fermò in tempo...

«Ti rendi conto che questo è nostro figlio?», le diceva Louis trattenendola.

Mi accorsi di una piccola sagoma dietro lo chalet, che ogni tanto affacciava la testa. Era Elvira, si era nascosta. Riuscì a internarsi nella foresta dalla parte dietro lo chalet, corse così tanto che arrivò a me. Tra i pini la fermai prendendola dalle braccia. La bambina si impaurì, fece un passo indietro. Mi chinai dolcemente, le presi le mani tra le mie. Avvicinai il viso al suo e le mostrai la via da prendere, le indicai il sentiero che l'avrebbe portata in paese.

«Cerca Maria, dirigiti in farmacia e aspetta lì i tuoi genitori», le ordinai.

Tornai indietro, alla casetta. Le emozioni erano state troppe. Mi accasciai a terra sedendomi, con le mani sul viso piangevo, dondolando la mia schiena, fino a portare la testa tra le gambe. L'alzai di botto, istintivamente, come se qualcosa mi avesse spinto a farlo, una strana sensazione forse... Vidi il mucchio di terra che Louis aveva creato per seppellire Nala.

Mi poggiai ai pini, ero stanca, straziata, dispiaciuta e amareggiata, feci forza con le braccia e mi rialzai facendo qualche passo verso quel cumulo di terra. Mi parve di vedere qualcosa di strano.

Avevo ragione... la terra si spostava di poco. Come sabbia si smuoveva al lati. C'erano dei piccoli movimenti lì sotto.

La bambina era ancora viva!

Corsi, e mi gettai in ginocchio... A mani nude iniziai a scavare, le unghie divennero piene di terra, mi facevano male ma, imperterrita continuai a scavare fino a farle sanguinare. Svuotai quel buco sino a scorgere la sua manina. La spinsi fuori, riusciva a malapena a respirare, l'aiutai a liberarsi dalla terra sul viso, in bocca e nelle narici, le gettai dell'acqua fino a farla rinvenire del tutto. Spostai di poco la mano con cui tenevo la sua nuca... Era piena di quel liquido rosso che mai nessuno vorrebbe vedere. Era una ferita troppo grave e intuii che qualunque sforzo sarebbe stato invano. Provai una gran pena per quella povera bambina. Essere cattivi poteva anche appartenere a un tratto caratteriale, ma uccidere un'innocente era da mostri. Tra la bestia e Lucynda non sapevo più chi fosse il vero male.

La sua testa continuava a perdere sangue, la poggiai sulle cosce tentando di fermare l'emorragia e coprii il suo corpo con la mantella. Accarezzavo la sua fronte quando la piccola Nala aprì gli occhi.

«Sta tranquilla, non ti lascio sola... non proverai alcun dolore», sussurrai.

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