t h r e e

La telefonata

Henri Peterson...
Lui sì che era interessante.

Era originario del Tennessee, aveva sempre studiato nelle migliori scuole per avere un futuro brillante, i suoi genitori avevano grandi aspettative su di lui... tra queste non rientrava il suo trasferimento in Inghilterra, nel Kent, ad Ashford.

Tutto era partito da una lettera. Una strana lettera, inviata da un mittente anonimo.
Chiedeva a Henri se le sue ambizioni andavano oltre l'essere il miglior avvocato difensore del Tennessee.
E lui, a quel tempo giovane, voleva scoprire il mondo ed era rimasto incantato da quelle parole scritte penna su carta, quell'ortografia affilata e antica, quell'odore inebriante di libri vecchi e... menta piperita.

Quella lettera l'aveva colpito così tanto che non ci aveva pensato due volte a fare le valige e partire. Era stato come un colpo di fulmine a ciel sereno, aveva squarciato il suo cuore e lo aveva spinto a scappare via, contro la volontà dei genitori, seriamente preoccupati per il figlio e per il suo cambiamento repentino.

Insomma, la sua partenza era stata definitiva. Si innamorò tanto di Ashford che ci rimase per un anno, e poi, altri cinque felicemente sposato con la sua dolce Margot e con Matthèo, il figlio che aveva sempre desiderato, seppur non suo. Erano felici.  Non potevano desiderare di meglio.

Quando Henri partì per quel viaggio di lavoro, aveva una strana e bruttissima sensazione. Una sensazione che non gli piaceva proprio, perciò cercò in tutti i modi di placarla: durante il volo non fece altro che leggere libri vecchi cent'anni, che in poco tempo inebriarono le sue narici e gli riempirono i polmoni e, come una dolce droga, gli offuscarono la mente, lasciandogli pensare che sarebbe andato tutto bene. Fu un errore lasciarsi andare.

Alla conclusione di quei tre giorni di riunioni e test da correggere tra una pausa e l'altra, non vedeva l'ora di tornare a casa per riabbracciare Margot e Matthèo. Era così contento di essere, finalmente, arrivato alla conclusione di tutto quel trambusto. Non ne poteva proprio più.

In men che non si dica era già in aeroporto, aspettando l'arrivo del suo aereo. Continuava a leggere e continuava a sentire la testa più leggera, ma, stranamente, quella volta non funzionò del tutto. Continuò a sentire una strana sensazione che non gli dava pace e per il resto del viaggio non fece altro che cercare una posizione più comoda su quel dannato sedile. 

Arrivato finalmente all'aeroporto più vicino a Ender Hills, si sentì più sollevato. Solo mezz'ora di taxi e sarebbe arrivato a casa! Che bella rivelazione.

Si mise alla ricerca di un taxi, evitando gente su gente che sembrava gli venisse addosso senza riuscire neppure a vederlo. Fortunatamente, quel giorno non c'era un flusso così esagerato da dover aspettare un taxi per venti minuti! Infatti, dopo soli cinque taxi persi, riuscì a beccarne uno libero. Vi salì e con foga disse al guidatore la sua destinazione. In realtà, quest'ultimo sembrava non sapere bene dove sarebbe dovuto andare ma Google Maps risolse tutto e, finalmente, Henri poté godersi il suo ritorno.

Pensava che si sarebbe addormentato, anzi, ne era sicuro, già aveva sistemato il suo giaccone a mo' di cuscino e si era accoccolato contro il finestrino, proprio come un bambino, per riuscire a dormire nel più comodo dei modi senza badare troppo alle buche che ogni tanto prendevano alla sprovvista il tassista.

Poi però il telefono iniziò a squillare. Sobbalzò. Sullo schermo galleggiava un numero privato. L'idea di non rispondere lo allettava, ma poi pensò che forse all'aeroporto aveva dimenticato qualcosa o magari era Margot che chiamava dalla biblioteca, o Matthèo.

Rispose.

«Pronto? Chi è?» chiese assonnato, continuando a osservare fuori dal finestrino con solo un'immensa voglia di chiudere gli occhi e dormire anche solo per altri dieci minuti. Dall'altra parte della cornetta non si udiva nulla. Solo un leggero crepitio in sottofondo che a Henri non fece venire in mente nulla. Che fosse uno scherzo? «Pronto? Hey, ma c'è qualcuno?» chiese ancora, stavolta più presente ed insistente.

«Ciao Henri»

Non riconosceva quella voce, cercò di scavare nella sua mente, un collegamento con un volto, o qualcosa del genere, magari era un vecchio compagno del college, o del liceo, ma nulla... Quella voce gli era completamente estranea.

«Chi è?» Henri si era fatto improvvisamente serio, aveva corrugato la fronte e si era rizzato sul sedile, in allerta. Il tassista lo guardò attraverso lo specchietto, ma poi riportò gli occhi sulla strada, ricordandosi che non erano affari suoi.

«Solo un messaggero, niente di più ». La voce era tremendamente calma, giovanile, animata da un tono vagamente scherzoso che Henri non sapeva se interpretare come un tono da "sto per scoppiare a ridere perchè è uno scherzo" o da pazzo psicopatico. Eppure non ricordava di aver fatto alcun torto a qualcuno! Era sempre stato un professore modello e la sua vita passata nel Tennessee se l'era lasciata alle spalle da cinque anni!

«E hai un messaggio per me?» chiese con voce tremante Henri. Per controllare il tremolio delle mani, strinse i pugni. Anche il fiato era pesante e la mente iniziò a vomitare idee assurde, deformi, su chi potesse essere l'uomo misterioso.
Henri prese convulsamente uno dei suoi amati libri, per inspirarne il dolce odore, che subito gli fece rilassare i nervi.
Finalmente nella sua mente tornò la quiete.

Quando Henri riaprì gli occhi, oltre il finestrino del taxi vide in lontananza del fumo grigio, denso, elevarsi nel cielo, macchiando il limpido candore del cielo.

Non ci fece caso. Perché avrebbe dovuto, dopotutto?

Dall'altra parte del telefono non si sentiva più nulla, se non il solito crepitio.
Henri stava per insistere nuovamente con la domanda, ma il misterioso interlocutore non gliene diede il tempo.

«Sono un messaggero di morte, Henri. Vedi quel fumo? Sì, certo che l'hai visto. Ma ovviamente lo hai ignorato. Le persone tendono sempre ad ignorare ciò che non li riguarda, giusto? Sbagliato! Perché questo ti riguarda certamente.» ci fu una nuova pausa, ma questa volta non durò molto. Henri inizio' a capire, le mani ripresero a tremare e lo stomaco a contorcersi.

 «Non lo senti quest'odore, Henri? Non senti la tua droga preferita che brucia lentamente? Non senti il crepitio delle pagine che si trasformano in un mucchio di cenere? Non senti gli ultimi gemiti di tua moglie e tuo figlio, mentre vengono abbrustoliti dal fuoco insieme a quella montagna di pagine profumate? È stata lei ad uccidervi, Henri».

Ed Henri non riusciva più a parlare.
Il telefono gli scivolò di mano e la chiamata si chiuse.

«Vai alla biblioteca!» 

L'urlo disumano riempi' l'abitacolo del  taxi. In preda al terrore il tassista si diresse  verso la biblioteca in fiamme, superando di gran lunga ai limiti di velocita'.

Forse non ci sarebbe nemmeno bisogno di raccontare il finale di questa storia.
Forse avete capito.

Quando scese dal taxi, Henri era accecato dalla collera e dalla disperazione, non ragionava. Il suo cervello era impazzito e non c'era più alcun libro, la sua dolce droga, che potesse aiutarlo a tornare il solito. E lui lo sapeva. Lui lo sapeva benissimo che la pazzia era qualcosa da cui non si poteva guarire.
Perciò fece la prima cosa che il suo cervello, guidato da un senso animalesco e selvaggio, gli disse di fare: spintonò i vigili del fuoco e la polizia, urlò disperatamente e si buttò tra le lingue di fuoco della biblioteca in un puro suicidio senza ritorno.

















Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top