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Il tendone nero

Non si riesce mai a smettere di fare certe cose. Anche quando ci metti tutto l'impegno possibile, anche quando organizzi alla perfezione la tua disintossicazione. Alla fine ci caschi sempre. In un modo o nell'altro il vizio torna sempre a bussare alla porta della tua mente e quando non apri lui insiste e insiste e insiste. E alla fine cedi. E poi ti abbandoni a quello che pensi sia il tuo destino, qualcosa che non puoi controllare. Alla fine, dopo che quel tuo momento di debolezza è concluso, ti guardi allo specchio e ti rendi conto che avresti potuto continuare a ignorare quella forza insistente che ti ha costretto a fare ciò che hai fatto. Saresti potuto tornare a casa sorridente e dire a tua moglie e tuo figlio: oggi ce l'ho fatta. Anche oggi sono riuscito a resistergli.

Ma no, Albert Wesley, quella sera sarebbe tornato a casa sua, a testa bassa, avrebbe salutato sua moglie senza guardarla, avrebbe dato un bacio sulla testa bionda del figlio e sarebbe andato a letto, senza rivolgere parola più a nessuno fino al giorno successivo, quando avrebbe ancora dovuto lottare per non cedere alla tentazione di assaporare ancora un po' di cocaina, per essere sempre arzillo, sempre pronto e attento a lavoro, sempre al massimo per fare il massimo e prendere il massimo e avere il massimo per dare il massimo alla sua famiglia.

Perciò, il nostro eroe mascherato, coperto da strati e strati di polverina bianca, si incamminò, a passo lento, strascicato e stanco, verso l'auto che aveva parcheggiato un po' lontano dall'ufficio (nemmeno lui sapeva bene il perchè). I capelli biondo-dorati gli ricadevano sulla fronte, coprendogli il volto come una tendina, nascondendo quegli orribili occhi rossi e lucidi che avrebbero rivelato tutto ad ogni passante, le labbra contratte in una smorfia di tristezza, perchè voleva riuscire a non piangere.

Si disse che non poteva andare avanti così, no, proprio non poteva. Rischiava di morire e lui voleva tutto, tranne che morire. Non voleva lasciare il suo piccolo Peter alle prese con la matematica completamente da solo, tutte quelle tabelline, moltiplicazioni e divisioni in colonna... no, non poteva lasciarlo da solo! E poi sua moglie! Lei era un bravo avvocato e stava diventando anche abbastanza conosciuta lì a York, nel Regno Unito, ma era molto sensibile e se fosse morto... no. Non poteva morire. Non voleva. E non lo avrebbe fatto.

Infatti arrivò a casa sano e salvo. Anche se aveva guidato a 20 km/h, aveva guidato ed era arrivato a casa. Ora doveva solo salire, guardare sua moglie corrergli incontro felice... e poi perdere il sorriso, davanti alla sua faccia allucinata.

Perciò si fece coraggio. Erano solo le sei del pomeriggio, aveva finito molto prima il suo lavoro a causa dell'adrenalina e il suo capo gli aveva dato il permesso di rincasare, forse anche solo per questo, sua moglie avrebbe capito.

Con un groppo in gola enorme, salì le scale. Prima lo faccio, prima vado a dormire, si disse sicuro. Voleva solo buttarsi nel suo letto e chiudere gli occhi. E sognare, sognare un mondo felice. Un mondo senza Kian, che gli aveva fatto scoprire la coca e senza Quentin che gliene forniva un po' ogni settimana, dicendogli che era la più buona di tutta York e senza la tentazione, che fregava ogni singolo essere vivente presente sulla Terra.

Ormai era proprio davanti al suo appartamento. Fissava la porta in legno e lo spioncino. Provò a sentire qualcosa, di ciò che succedeva all'interno, ma niente, c'era solo silenzio. Magari Harriet stava giocando con il piccoletto, Peter. Insomma, erano solo le sei del pomeriggio... Non si sentiva il rumore della tv, perciò o stavano giocando insieme oppure sua moglie lavorava e Peter giocava in silenzio in camera sua.

Afferrò le chiavi, con le mani che tremavano leggermente, poi le infilò nella toppa e girò con così tanta lentezza che quasi non si rese conto dello scatto della serratura e del fatto che le sue mani si stavano realmente muovendo. Una volta, due, tre. Poi aprì.

Sentì delle voci, poi dei passi veloci, leggeri e piccoli. Sicuramente di Peter.

«Papà!» la dolce voce del piccoletto giunse alle sue orecchie come una triste melodia, perchè sapeva quello che sarebbe successo dopo. Lo salutò, cercando di sorridere il più possibile, sforzandosi di avvicinarsi, stringerlo forte tra le sue braccia e poi dargli un bacio sulla testolina bionda e arruffata come un nido di corvi.

«Hey, piccoletto!» mormorò Albert, chiudendo la porta con un calcio secco. Quando si rialzò, sua moglie Harriet era davanti a lui e lo guardava preoccupata. Sicuramente stava per dire qualcosa, ma l'uomo la strinse a sè e la baciò leggermente, quasi disperatamente, in un muto "mi dispiace" che non sarebbe riuscito a pronunciare. Si staccò quasi subito, ricordandosi del piccolo Pete che li guardava disgustato.

«Come va? Stavate giocando?» chiese l'uomo con un sorriso che tradiva la stanchezza. Era sempre stato un bravo ingannatore. Sin dalla scuola media, quando aveva iniziato a farsi le giustifiche da solo, imitando alla perfezione le firme della madre. Sì era davvero un portento nel falsificare le firme. E poi, ne aveva sempre una. Aveva davvero una forte fantasia nell'inventarsi scuse ed era un ottimo attore. Forse avrebbe potuto fare carriera. Forse.

«Sì, mamma mi stava facendo vedere come si costruisce una pista... per Saetta McQueen!» il bambino gli indicò la macchina giocattolo, fiero, poi gliela porse e, Albert, dopo essersi tolto giubbotto, zaino e scarpe, l'afferrò e la studiò per bene, in ginocchio di fianco al bambino, con Harriet a pochi metri da loro, persa nei suoi pensieri.

«Questa è davvero un'ottima macchina!» osservo' il padre, fingendosi sorpreso.

«Ma certo! È Saetta McQueen!» dichiaro' Peter con orgoglio. Il padre allora sorrise, gli restituì la macchina e lo incoraggio' ad andare in camera sua.

Quando il bambino scomparve dietro il corridoio, Albert si alzò e si volto' verso Harriet, che, invece, non riusciva a staccare gli occhi dal pavimento, imbambolata.

«Harry...» la chiamò, con disperazione. Si avvicinò di qualche passo e lei chiuse semplicemente gli occhi, come per scacciare un brutto sogno. «Harry... mi dispiace tanto» mormorò, ormai a qualche centimetro da lei. Le cinse la vita con delicatezza, come se fosse stata di vetro, poi l'abbracciò, poggiando la testa sulla sua spalla, annusando i suoi capelli e lasciando che i polmoni si riempissero da quella dolce fragranza. Ma solo quando la donna poggiò le piccole mani sulla sua testa e gli accarezzò i capelli, si sentì veramente al sicuro e in pace. Finalmente in pace.

«Lo so, Albert... lo so» rimasero cosi' per molto, molto tempo. Si coccolarono e si scambiarono piccoli sussurri, poi, però Harriet si riscosse. «Hey Alby... Peter oggi mi ha chiesto se potevamo portarlo al Luna Park! È ancora presto, potremo fargli fare un giro, ti va?» chiese, tornando ad avere il sorriso sulle labbra.

In realtà non voleva. Non aveva proprio voglia. Si sentiva con l'umore a terra, e ad essere sinceri, non si sentiva nemmeno stabile sulle gambe. Ma, dopotutto, era solo per una ragione che lui stava in quel modo. Ed era da tempo che non usciva con Peter e Harriet.

«Va bene. Subito dopo mangiato andiamo al Luna Park.» le sorrise, avendo trovato un pizzico di forza di volontà all'interno di quegli occhi verdi, felici. La donna rise come una bambina, gli diede un bacio a stampo e poi corse a dare la buona notizia a Peter. Albert, invece, andò a bere un po' d'acqua per poi stendersi sul divano, distendere i muscoli, rilassarsi. Di certo sarebbe stata una serata lunga e movimentata.

Musica!

Musica e colori!

Persino odori fuori dal comune!

Forza! Tutti verso il Luna Park!

Correte verso le giostre! Il giro della morte è il migliore!

Budella aggrovigliate ma sorriso sulle labbra!

Hey, piccoletto, lo vuoi un palloncino? Colorato e dalle forme più stravaganti! Ma attento che vola via!

Albert non se lo ricordava così, il Luna Park. Era diverso dall'ultima volta che ci era andato. Non tutte quelle persone, non tutto quel trambusto, non tutti quegli stand, quelle bancarelle, quei palloncini levati al vento che talvolta se ne andavano, per la distrazione di qualche bambino.

Comprò un palloncino a forma di Saetta McQueen anche Peter, ma glielo legò al polso per essere sicuro che non gli scappasse. Iniziarono a girovagare, e l'uomo riuscì a notare che subito, sia Harriet che Peter avevano acquisito un sorriso gigantesco. Si tenevano per mano, indicavano le cose, le persone stravaganti, la macchina che soffiava nuvole di zucchero filato e l'omino che con gesti esperti le avviluppava intorno al bastoncino di legno e il profumo che si spandeva per metri e invitava a prenderne un po'.

Neanche loro riuscirono a sfuggire a quel buon profumo. Ne presero solo uno. Ma immenso. Lo teneva Albert e il bambino ne prendeva a manciate, mettendosele in bocca con golosità.

Passò molto in fretta un'ora.

Fecero qualche giro e provarono alcune giostre adatte a Peter, mangiarono molto, anche se avevano  cenato abbondantemente. Ma erano felici, e quella era l'unica cosa che importava veramente ad Albert. Per un momento pensò che avrebbe potuto farcela, che con quelle dolci immagini che gli rimpivano il cuore e gli svuotavano i polmoni avrebbe potuto anche smettere. Avrebbe potuto cacciare i suoi demoni una volta per tutte. Era davvero felice di avere quei pensieri. Ma poi si rese tristemente conto che li aveva sempre. Quasi ogni giorno si supplicava, pregava se stesso di smettere con quella roba. Poi gli passava e il giorno dopo era la stessa storia.
Anche se alcune volte le preghiere venivano esaudite.

«Allora? Cosa vuoi vedere?» chiese Harriet al bambino. «Ultima cosa, va bene? Papà è sicuramente molto stanco...» continuò lanciando un'occhiata apprensiva al marito, che le sorrise. Lei sapeva bene quello che stava passando. Lo sapeva bene e ogni giorno cercava di aiutarlo, di superare i brutti momenti nei quali lui pensava di non essere abbastanza per loro e che non sarebbe mai stato abbastanza.

«Il mago! Il mago! Andiamo a vedere il mago! Ti prego, papà, possiamo andare a vedere il mago?» chiese saltellando il bambino. Albert rimase per un attimo spaesato. Si guardò intorno, cercando dove fosse questa fantomatica fattucchiera, o questo ingannatore, ma non vide niente. Non c'era nessuna donna vestita da zingara seduta su un cuscino con delle carte in mano, nè un palchetto da quattro soldi dove un uomo dall'alto cilindro in testa si esibiva in stupidi trucchetti che gli facevano guadagnare qualche spicciolo al giorno.
Stava per dire al bambino che non c'era nessun mago, quando i suoi occhi si posarono su un tendone nero: fuori una grande insegna al neon bianca con su scritto "Guardate al futuro" e poi un cartello un po' più piccolo, con una scritta che sembrava volesse passare inosservata "Il mago del futuro". Non ne proveniva nè musica, nè risate. Da lì uscivano solo persone in assoluto silenzio. Con gli occhi a padella che si guardavano tra di loro, sorpresi, senza parole. Poi si mettevano a correre, ma non con terrore o con disgusto, solo con sorpresa e voglia di correre, vivere, andare avanti.

«Va bene, andiamo» acconsentì riluttante.

Subito se ne penti'. Pensò che sicuramente si sarebbe annoiato e che solo il bambino ed Harriet si sarebbero lasciati trasportare da quel flusso di ingenuità e inganno. Era sicuro che alla fine avrebbe dovuto tirarli fuori con la forza. Stava proprio per dire a Peter che forse era troppo stanco, quando proprio quest'ultimo si girò verso di lui con il sorriso più grande della terra. No, non poteva deluderlo in questo modo. Sarebbe stato crudele, ed era sicuro al cento per cento che se ne sarebbe pentito a vita. E poi, cos'erano dieci minuti? Poteva sicuramente sopravvivere.

Si incamminarono velocemente, marito e moglie, mano nella mano, cercando di stare dietro al figlio saltellante che teneva ben stretto un orsacchiotto di peluche vinto a un gioco poco prima.

Quando entrarono nella tenda videro solo buio. Non c'era nessuno, solo loro. Dalla penombra emersero tre sedie. Strano. Molto strano, si disse Harriet. Strinse la mano al marito, che pensò la stessa cosa. Poi guardarono il figlio, che si era già accomodato.

«Tesoro, secondo me ha già chiuso...» sussurrò la donna, sia al marito che al bambino, ma, improvvisamente, l'aria divenne più rarefatta e un buon odore di menta piperita riempì i polmoni della famiglia Wesley.

«Scusate, scusatemi tanto... non trovavo l'interruttore» una voce graffiata dall'età giunse all'interno della tenda insieme all'illuminazione di tante lucine di Natale, cosparse per tutta la circonferenza dell'abitacolo e poi su fino al soffitto e poi giù in pendenza, come fiocchi di neve bianchi, illuminati dai dolci raggi di sole invernale.

Un uomo di colore, dalla barba e i capelli bianchi si fece avanti. Indossava un frac, aveva persino il bastone con un pomolo d'argento che rappresentava la figura contorta di un drago cinese.

Peter sembrava più che affascinato da tutto quello che stava succedendo.

«Pensavo che non avrei più avuto ospiti, ma mi sbagliavo» continuò l'uomo. Poi alzò lo sguardo e i due rimasero sorpresi più che mai. Aveva gli occhi completamente bianchi e deturpati. Albert e Harriet si strinsero le mani, poi il loro sguardo corse verso il bambino, che invece non sembrava turbato.

« Per favore, sedetevi tutti e tre..." li esorto' l'uomo in frac " il bambino è stato veloce... complimenti! Dopo ti darò una caramella» detto questo, sotto gli occhi sconvolti di Harriet e lo sguardo confuso di Albert, l'uomo si posizionò a qualche metro dalle sedie, dove dei teli bianchi coprivano... qualcosa. «Sù, non state fermi lì! Sedetevi!». Esclamò ancora il mago.

Con titubanza e timore, i due si andarono a sedere vicino al bambino. Sicuramente ha delle lenti a contatto... si disse Albert, non trovando altra spiegazione. Ma nel profondo, sapeva che non era cosi'.

«Beh, direi di iniziare col dirvi il mio nome! Io sono Tyler Osborne, sono americano, ma sono arrivato qui cinque anni fa... è stato a quei tempi che ho imparato a riconoscere attraverso gli altri quattro sensi come sopravvivere senza la vista. Mi sono accorto che era anche meglio non vedere! Non vieni distratto da tutte quelle sciocchezze che ti bombardano attraverso gli occhi . Puoi solo sentire la voce della persona che hai davanti, poi sentire il suo odore, e da lì puoi sapere quanto è alta, quanto pesa, se ha dei problemi con il fumo o con la droga, dove si trova e molte, molte altre cose.» disse lentamente e camminando avanti e in dietro, lancio' un'occhiata cieca ad Albert. «Ora è il vostro turno... vi prego, presentatevi».

«Io sono Peter! Peter Wesley!» esclamò subito il bambinoi. Poi si girò verso Harriet e lei annuì, accarezzandogli piano la testa.

«Io sono Harriet Dosey, sono un avvocato» disse in modo più naturale possibile.
Poi, entrambi, si girarono verso Albert, che sprizzava ostilità da tutti i pori a tutta questa situazione e non aveva intenzione di dire proprio nulla.

«Non sia timido, la prego» disse il mago, sorridendogli amichevolmente. Albert alzò gli occhi al cielo.

«Sono Albert Wesley, contabile» disse secco.

«Beh, direi che qui abbiamo dei soggetti interessanti... la mia magia, sta nello scoprire l'identità delle persone solo al sentirne la voce...» l'uomo si sedette su una poltrona. Ecco cosa nascondeva il telo bianco: una poltrona in legno scuro, ricoperta da velluto bordeaux. Sembrava davvero comoda. «Tu, Peter... sei un sognatore, sogni ogni giorno... sogni di diventare un pilota di macchine da corsa, sogni che il tuo papà ti insegni a guidare e sogni di viaggiare per sempre con i tuoi genitori e sogni anche un cagnolino... non è così?» chiese l'uomo sorridendo. Albert guardò il bambino che rispondeva di sì all'uomo.

«Lei, signora Wesley, è un avvocato di grande fama, ma vorrebbe trasferirsi in America... ha una grande ambizione, ma sono sicuro che è una donna a cui piacciono i bambini, è molto attaccata alla sua famiglia, lavora tanto, tutto il giorno per rendere felice suo figlio e suo marito... ha molti sogni, ma li tiene per sè perchè pensa che non possa realizzarli tutti o anche solo alcuni. In conclusione è una donna d'oro» la sua profonda risata riscosse Harriet che aveva la bocca spalancata e le mani che quasi tremavano, non riuscendo a credere che il vecchio avesse intuito tutto quello solo nel sentire il suo nome e la sua professione.

«Lei, invece, signor Wesley... è molto, molto particolare... sono davvero felice di averla incontrata... è un ragazzo sveglio, un contabile bravo, ha vari problemi, iniziati con dei genitori violenti, aveva grandi aspettative, ma poi si sono spente perchè nessuno è riuscito a capire il suo genio... beh, più di questo penso di non voler dire, sarebbe brutto davanti a suo figlio». Nella stanza cadde il silenzio. Come era possibile? Come poteva sapere tutte quelle cose quello lì? Un vecchio ceco, seduto su una poltrona in un tendone nero.

«Il mio consiglio è quello di ampliare la mente. Ampliate la vista, guardatevi attorno... scoprite il vostro odore preferito, catturatelo in un fazzoletto e quando siete persi, prendetelo e rilassatevi, distendete i muscoli e andate avanti. Funziona sempre. Fissatevi su un punto e poi pensate al resto. In quanto a te, piccoletto, la sera, abbraccia forte quell'orsacchiotto» gli fece l'occhiolino e poi, con gentilezza li accompagnò all'uscita del tendone.

Harriet e Albert si guardarono con due paia d'occhi a padella, senza poter credere a ciò che avevano sentito e visto. Poi spostarono lo sguardo sul bambino, felice come una pasqua, che saltellava avanti e indietro.

«Ora possiamo andare a casa, papà? Sono un po' stanco!» esclamò Peter prendendo la mano dell'uomo, che annuì, ancora con la bocca socchiusa. Era davvero curioso di sapere come avesse fatto quell'uomo, sì, stava quasi per tornare indietro, ma poi scosse la testa e si incamminò verso la macchina, mano nella mano con il figlio e la moglie. Ormai si stavano già dimenticando del fatto strano finchè...

Ci fu un'esplosione dietro di loro. Caddero a terra. Albert cercò in tutti i modi di proteggere Peter, che aveva lanciato un urlo raccapricciante.

Nessuno della famiglia Wesley si fece male.

Ma la tenda nera era stata spazzata via. E con essa anche l'uomo misterioso. Vennero poi ritrovati i resti.


















S. A.
Nuova storia!
Diversa dalle altre, completamente fuori dal mio stile! Fidatevi se vi dico che non vi pentirete di continuarla!

Già questo è un capitolo abbastanza interessante, non vi pare? 😂

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