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Tip toe
"Vedi di starmi bene a sentire, signorina da quattro soldi: tu ti alzerai, ti vestirai, metterai su il solito sorriso da brava ragazza, infilerai tutto ciò che ti serve nel borsone e andrai a teatro. Non mi interessa se hai sonno. No, non me ne frega proprio un fico secco.
Alzati e fai ciò che ti ho detto."
Eh, già, buon giorno mondo, avrebbe voluto urlare Sarah, a tutta la città!... E poi scaricare una valanga di insulti su tutto ciò che la circondava!
Sì, avrebbe proprio voluto fare questo la nostra Sarah. E invece ascoltò la sua mente, si alzò dal letto completamente stravolto dagli incubi che l'avevano perseguitata anche quella notte, si guardò intorno assonnata e sbadigliò.
"E ora non permetterti di ributtarti sul cuscino! Questa sarà una giornata intensa. Hop-hop verso il tuo caffè!".
Obbedì. Si alzò e subito venne risvegliata da quella fredda sensazione del pavimento contro i suoi piedi nudi. Rabbrividì leggermente, poi camminò lentamente verso la cucina.
Era un appartamento modesto, il suo. L'aveva scelto perché era vicino all'Università che frequentava (e anche per stare lontana il più possibile dai suoi parenti ), ma dato che non aveva voluto spendere un patrimonio, si era ben ambientata in quell'appartamento di due stanze, un po' tetro e silenzioso, ma era la cosa più vicina alla parola "casa" che lei avesse mai ( o quasi ) frequentato. Perciò le piaceva.
Proprio per sentirsi un po' più in quell'"o quasi", aveva comprato un profumo per ambienti al sapore di menta piperita.
Lo spruzzava un po' dappertutto ogni mattina, forse per non sentirsi troppo sola e bearsi della compagnia di fantasmi immaginari creati dalla sua mente solitaria.
"Forza, un po' di stretching, sfaticata! E riordina quella stanza!, prima che inciampi su qualche scarpetta o scalda muscoli.".
Quella che sentiva, più che essere la sua vocina interiore, era la vecchia voce da racchia di sua madre. Qualcosa che mai avrebbe dimenticato perché l'aveva scossa nel profondo, lasciando un grande buco che avrebbe riempito in quel modo: ricordandola perennemente. Rimproveri a vita.
"Ovviamente, piccola stronzetta, perchè buttarmi giù dal balcone non ti aveva nemmeno scalfita, cinque anni fa! Eh già, il mio caro Dio adesso ti punirà... già già, ti punirà!".
Sarah la sentiva chiaramente, fastidiosa come al solito, e insulsa come al solito.
Non era altro che un bisbiglio, uno stupido bisbiglio in confronto a tutte le urla che le riempivano il resto della mente.
E perciò, come al solito, si diresse verso la piccola cucina. Le crepe sui muri macchiati di muffa e il vecchio, delizioso tavolino scrostato le davano un'aria vintage. Sul ripiano di marmo, insieme a un vaso dove un piccolo mazzo di rose stava ormai appassendo, erano ammucchiate delle bustine del tè esaurite, alcuni cucchiaini sporchi, una caffettiera vuota e tre gruzzoletti di monetine ordinatamente impilate, contate centesimo per centesimo, già programmate per l'uso. Erano il suo pranzo e la sua cena. Avrebbe poi speso l'ultimo mucchietto che ammontava esattamente a trenta sterline e cinquanta cents per acquistare una calzamaglia nuova e il biglietto per il tram. Non si sarebbe fatta tentare da altro. Né un mascara, né un rossetto. Solo lo stretto necessario.
"La ballerina più famosa di Londra e ti ritrovi a fare gruzzoletti di soldi? Stupida..."
Già, era la migliore ballerina in tutta Londra. Veniva pagata magnificamente ma... per non sapeva nemmeno lei quale motivo, teneva tutti i soldi in banca, risparmiando per qualcosa che da tempo progettava. Un viaggio. Molto lontano. Molto lontano dall'Inghilterra.
"E quella scadente bottiglia di whisky dell'altra sera? Anche quella era necessaria? Eh, stupida bamboccia?".
Necessario per la concentrazione, si disse. Sapeva che non era vero, ma le era venuto in mente solo quello, era troppo concentrata ad evitare le scarpe col tacco nere e il vestito striminzito che la sera prima si era dovuta togliere malamente, a causa del suo amante di una sera, che aveva cacciato già da qualche ora.
Ecco! Ora iniziava a ricordare come mai era così stanca!
"Già, stupida disgraziata! Una festicciola tra amici di ballo! Tutte persone per bene infilate in una buca piena di alcool e stupefacenti. Eravate tutti seduti attorno ad un tavolino ad ascoltare la musica e tu... che il mio Dio ti maledica... ti sei alzata e ti sei messa a ballare con quel francesino schifoso, un biondino da quattro soldi. Alla fine, tanto hai bevuto, tanta roba ti hanno offerto, che hai portato il francesino a casa tua e dopo una nottata piena di ulteriori feste, l'hai cacciato via. Sì, stupida ragazzina, e ora bevi quel caffè e muoviti!".
Sarah bevve il caffè, con solo un goccio di latte, dato che sia lo zucchero che il latte erano finiti. Sarebbe dovuta andare proprio a ricomprare quelli quella sera, ma prima si sarebbe dovuta presentare alle prove per lo spettacolo che si sarebbe tenuto il mese dopo. Erano già messi a buon punto con tutto, se non per uno dei pezzi della nostra protagonista, grande ballerina anche dello spettacolo, che avrebbe dovuto fare un balletto di coppia con... qualcuno che non c'era. Il ballerino che avrebbe dovuto ballare con lei si era rotto una gamba e ormai era fuori uso. L'organizzatrice e proprietaria del teatro, grande amica di Sarah (la cosiddetta Fifì, o, per intero Sophie, o, come le piace essere chiamata da quelli che lei definiva i suoi "dipendenti", signorina Moneskijn) stava già cercando qualcuno e da quello che le aveva detto ieri alla festa (quando ancora era lucida) l'aveva trovato.
"Vedi di non portare a fare un giro nel tuo letto almeno questo!".
Non ascoltò neppure questa vocina. Spruzzò un po' di profumo per gli ambienti alla menta piperita e in un secondo si ritrovò nella pace più assoluta. Con calma iniziò a preparare la borsa, infilando con ordine tutto ciò che le sarebbe servito; si fece una doccia veloce e si sistemò i capelli in un ordinato chignon; indossò la tuta per gli allenamenti e fece dieci minuti di stretching, come sua solita routine mattiniera, poi infilò le scarpe, mise il giubbotto e se ne andò alla volta del teatro, prendendo i vari mezzi pubblici, facendo tappa dopo tappa, non riuscendo mai a smettere di frenare la mente che continuava a schedare ogni persona, oggetto, animale che le stava attorno. Non c'erano soggetti interessanti neppure quella mattina, se non la vecchia signora di colore, dai capelli bianchi e con i dread. Quella era stata divertente da esaminare. Poi, però, aveva dovuto annusare di nuovo il fazzoletto spruzzato di menta piperita per riuscire a ritrovare la calma. Era come un modo segreto per non perdere la testa a causa... della mente.
Arrivata a teatro era in anticipo di cinque minuti, perciò se la prese comoda. Non c'era nessuno, nemmeno uno spettatore curioso di sapere come funzionava una prova in teatro. Tanto meglio così: avrebbe potuto litigare con più enfasi e tranquillità con chiunque l'avrebbe infastidita. Percorse tutto il teatro a passo calmo, mentre già sentiva la voce di Fifì, che strillava ordini a destra e a manca. Le venne da ridere, ma solo per un istante.
"È sempre stata stupida quella ragazzina viziata. Con i suoi jeans di Dolce&Gabbana e la borsetta rossa di Gucci, la camicetta leggera a far intravedere a malapena il corpo perfetto. Ma di cervello? Aveva una testa di gallina. Te lo dico io! Sì, te lo dico io! Dio l'ha fatta bella ma stupida. Questo è ciò che penso io, Saretta cara. Tu? Tu la mia cara figliola sempre con la mente aperta e un fisico da ballerina! E a Dio l'ispirazione e a me la creazione! Ti ho creata io, piccola creatura e senza i miei insegnamenti saresti ancora a non riuscire a toccarti le punte dei piedi"
Quell'improvvisa voce la fece fermare di botto, come un improvviso giramento di testa. Rimase senza fiato per qualche secondo, a bocca spalancata, con gli occhi sbarrati, a fissare qualcosa che non c'era. La sua mente correva, correva non sapeva nemmeno lei dove. Sembrava essere in una giostra. Troppi colori, troppi rumori, troppe luci. Stava impazzendo. Non riusciva quasi più a ragionare. Aveva un miscuglio di cose nella testa che non riusciva a mettere in ordine. E poi... quei ricordi... quei dolorosi ricordi. Ancora li conservava, quasi con gelosia, come per ricordarsi che sì, quei momenti di schifo li aveva passati, ma ora? ora si trovava in alto, al vertice, al di sopra di tutto e tutti. Sapeva cose che altri non avrebbero saputo cogliere. Avrebbe potuto fare... ciò che avrebbe sempre voluto. Ma non lo fece mai. Non lo aveva mai fatto, non ne aveva mai avuto il coraggio. Ricordava le bacchettate sulla schiena e sul petto, per intimarla a stare zitta. E poi tutti i pizzicotti alle braccia, per costringerla, in un modo o nell'altro a riuscire a toccarsi le punte dei piedi. E poi a fare la spaccata e ogni cosa che non le veniva. Lei doveva essere perfetta. Così diceva sua madre (una donna brutta, dal naso aquilino, con una crocchia di capelli crespi stretta e perfetta, corpo magro e rugoso, vestiti perennemente grigi). Ricordò il suo sguardo e cercò anche di scavare nella sua mente un momento della sua vita, nel quale le aveva sorriso, o le aveva fatto i complimenti. Ma niente. C'era sempre stato qualcosa che non andava.
In uno scatto riuscì a prendere il fazzoletto di stoffa alla menta piperita e portarselo al naso. Inspirò tutto ciò che poté e finalmente... riconquistò la pace. Funzionava sempre. Come se nulla fosse successo, continuò la sua camminata baldanzosa, come se il tempo si fosse fermato e fosse ripartito in quel momento. Andò dietro le quinte dove qualche ballerino si stava scaldando e la salutò con un sorriso o un flebile richiamo, che venne ricambiato con un semplice e secco cenno.
Tutti ormai la conoscevano. I ballerini l'ammiravano, tutti, dal primo all'ultimo, non era mai riusciti ad arrivare al suo livello. Avevano anche tentato un approccio per fargli avere una lezione, ma lei rispondeva sempre: "No". Ma dietro quel no c'era anche:"I miei metodi potrebbero non piacervi, soprattutto quelli che ho ricevuto io per diventare così. Mi vedreste come un'altra persona. Non vi piacerei più". Ed era forse quest'ultima cosa che le sarebbe mancata di più. L'ammirazione degli altri ballerini, i loro occhi meravigliati. L'orgoglio che aveva quando qualcuno l'ammirava. Non erano certo pensieri da premiare, ma erano i suoi pensieri e non poteva certo non pensare!
Si fece largo tra appendiabiti stracolmi di vestiti colorati. Lei aveva un camerino tutto suo, assieme a quello che sarebbe stato il secondo protagonista della serata. Non era un vero e proprio balletto. In realtà si trattava di un evento di beneficenza ( tutto ovviamente pianificato da Sophie all'insaputa di Sarah che alla fine, dopo grandi dibattiti, aveva accettato ), nel quale ci sarebbe stata la lettura di molte poesie di commemorazione agli ebrei salvati dai campi di concentramento e ai soldati salvati a Dunkirk durante la seconda guerra mondiale, e dove, il signore e la signora Michelson, i cari benefattori, avrebbero raccolto i soldi accumulati e li avrebbero mandati ad un'associazione inglese posta in Iran per produrre medicine ai soldati e ai bambini bisognosi. Cose che a Sarah facevano arrabbiare. Probabilmente i cari benefattori Michelson si sarebbero presi 1/4 dei soldi!
In sostanza avrebbe dovuto fare due duetti e un solo che avrebbe chiuso la serata. Il problema era se Fifì le aveva trovato un partner abbastanza bravo da sapere già due balletti e saperli fare alla perfezione in due settimane. Non che fossero difficili, erano tra i più famosi e sicuramente un ballerino di un certo livello li aveva imparati e già provati almeno una volta a teatro.
Si diresse subito verso la sua cara ed unica amica, che non si era ancora accorta del suo arrivo. Era vestita come al suo solito e...
"Ah, quella piccola smorfiosa! Si è fatta più bassa o sbaglio?"
... aveva un'acconciatura molto disordinata, anche se con quei capelli neri e lisci come degli spaghetti non si notava molto. Sembrava tutto fatto apposta, ma a Sarah non poteva sfuggire niente. Si avvicinò a lei chiamandola. Sophie si girò velocemente con un sorriso a trentadue denti. Sarah la guardò con un sopracciglio alzato, capendo già cosa era successo all'amica.
«Lo sapevo che c'era qualcosa. Da quanto state insieme? A giudicare da quel che ti ha regalato sono ormai tre mesi, oggi dovete uscire e tu conti di portarlo a casa tua, vuoi muoverti perché il vostro appuntamento è alle otto e hai bisogno di più tempo per prepararti. Lui è... biondo, occhi blu, ricco, è un imprenditore, gestisce un'azienda di cerimonie e vestiti, sarà presente all'evento di beneficenza e tu sei agitata. Tranquilla non esserlo. È alto, carino ed è in fissa con le ragazze sempre indaffarate e bellissime. Ha bisogno di una donna forte che lo aiuti nel mestiere. In cerca di amore e... si chiama Christopher Dubois.» la veloce analisi del corpo e del comportamento di Fifì lasciò la dolce innamorata a bocca aperta. Era già abituata ai trucchetti dell'amica, ma non era solito che venisse esposta ad una descrizione così sottigliosa. Sarah si maledisse da sola.
"Come ti è venuto in mente? Esporre così tanto le tue capacità! Sai che è pericoloso, vero? Stupida. Sei solo una stupida!"
E così anche la madre le aveva fatto una bella ramanzina nella sua mente.
«Woah! Con te non ho nemmeno il tempo di parlare che sai già tutto!» rise dando alla ballerina una potente pacca sulla spalla. Sarah la guardò con noncuranza. «Comunque hai avuto ragione su tutto. Non riesco proprio a capire come tu abbia fatto...
Molto semplice, si disse, le prime cose le aveva semplicemente dedotte dal set di collana orecchini e braccialetto firmate, color oro bianco. Sei agitata e dai ordini da quando sono entrata: vuoi fare in fretta per poter uscire prima e prepararti. A giudicare da tutte le cose che ho detto, poi posso dedurre che abbia gli occhi blu e i capelli biondi perché ti metti (seriamente) solo con quelli che hanno queste caratteristiche. So che è ricco sempre a causa del regalo e so che ha un'azienda di cerimonie e vestiti perché quel maglioncino bordeaux l'ho visto solo in un negozio, la Suit de Dubois, tu lo adoravi, ma costava troppo e te l'ha regalato lui. Ti sei messa queste cose per far notare che ci tieni e, dato che hai cose ben più costose di quelle a casa (sempre regalate dai suoi spasimanti) le hai messe proprio perché lui e Christopher de Dubois. E oltretutto negli ultimi tre mesi non facevi altro che aprire e chiudere il sito della sua azienda e la sua pagina Facebook.
...a capire tutte quelle cose su di noi, veramente!» Fifì rise, da sola, perché Sarah era solo trepidante di entrare in scena.
«Hai trovato il ballerino per i due pezzi di coppia?» chiese la ragazza, iniziando a togliersi le scarpe da ginnastica e prendere le scarpette da ballo. Tutti continuavano a guardarla, un misto tra lo straniti e i persi. Si mise le scarpette iniziando a fare piccoli esercizi per riscaldarsi. Voleva solo buttarsi perché aveva una sensazione... una strana sensazione. Dalla giacchetta ormai adagiata nello zaino prese il fazzoletto alla menta piperita e, come un asmatico ha bisogno dell'inalatore, Sarah, aveva bisogno di quel fazzoletto. Cercò di riempirsi interamente i polmoni di quel dolce profumo e fortunatamente riuscì a calmarla nuovamente.
«Sì! Anzi, ti dirò di più! Ne avevo trovati venti, ma poi li ho dimezzati, perché alcuni non erano bravi e non sapevano il pezzo, altri non erano carismatici, o come cavolo dici tu. Gli altri dieci li ho fatti guardare da un esperto e, un po' in base ai suoi consigli e un po' in base a quelli che so essere i tuoi gusti, ne ho scelto uno. Si chiama Dietwin Meyer, è tedesco, ma i suoi genitori sono entrambi russi e ha studiato lì per sei anni, prima di trasferirsi a Vienna e poi è andato anche in Italia e poi è stato accettato all'Accademia della Scala e ha fatto lì qualche balletto! Quei balletti che dovete fare li sa a memoria. Sono sicura che ti piacerà!» Fifì aveva parlato così velocemente che Sarah non era riuscita a capire qualche parola, ma il succo sì. Sperava proprio che il giudizio della sua amica diceva il vero.
«Beh, vorrei conoscerlo! È qui?» chiese infatti, guardandosi attorno alla ricerca di un volto nuovo.
«No... però starà arriva-» nemmeno il tempo di finire la frase che la sua bocca si socchiuse e poi si aprì di scatto. Fece un leggero cenno a Sarah verso la porta da dove era entrata anche lei. La ballerina si girò.
Non avrebbe mai pensato di provare quelle sensazioni così... forti e contrastanti. Le arrivò come una fitta al fianco e poi alla testa. Dov'è l'inalatore? Si premette fazzoletto sul naso per qualche secondo, il tempo di respirare e riprendere il suo comportamento serio e severo.
«Scusate il leggero ritardo, davvero, ma gli autobus di Londra sono un vero casino!» un perfetto accento tedesco fece voltare tutta la grande sala verso di lui, che però andava verso Sophie che già lo stava accogliendo a braccia spalancate. Si abbracciarono sotto gli occhi seri di Sarah, che ancora osservava il nuovo arrivato.
Ragazzo pieno di doti, ha appena finito il conservatorio con il massimo dei voti, continua a fare pratica con il violino e ha finito gli studi di danza classica e moderna, ma continua a danzare per fare della danza la sua professione. Ha un appartamento in periferia. Benestante, i genitori sono lontani, Germania, probabilmente Francoforte, l'accento è di quella zona. Non è nervoso, ciò vuol dire che ha già ballato molte volte in ruoli importanti e... basta. Non mi serve altro.
Sophie si girò verso di me e mi indicò.
«Dietwin, ho il piacere di presentarti...»
«Sarah Baker! È un vero onore per me conoscerti!» concluse lui la frase, porgendo la mano alla ballerina, che ne rimase sorpresa. La accettò suo malgrado: non le piaceva stringere la mano alle persone, e di solito lo chiariva prima, ma lui era stato troppo veloce e lei non se la sentiva di essere sgarbata perché... lui era stranamente diverso. Era quasi come il fazzoletto. La rendeva immensamente calma.
«Anche per me Signor Meyer» non ebbe neppure il tempo di aggiungere altro che il ragazzo intervenne, quasi offeso.
«No, no, ti prego Sarah! Voglio un rapporto molto alla pari tra noi due! Dobbiamo fare ben due balletti di coppia, darci del lei comprometterebbe le cose! Per favore, chiamami Dietwin.» disse tutto con un gigantesco sorriso, quasi smielato. Fastidiosamente smielato. La ballerina sbatté le palpebre un paio di volte, sorpresa.
«Va bene, Dietwin. Mi hanno detto che sai già fare il pezzo... pensavo di iniziare a provarlo e...»
Continuarono a provare per quattro ore, alternando ovviamente ogni ballo, facendo anche la scaletta e calcolando la durata della serata.
Il rapporto che aveva con Dietwin, stranamente si limitava a quello professionale, anche se erano usciti spesso di quei tempi. Scoprirono di avere molte cose in comune, oltre la danza. Entrambi amavano il violino e il pianoforte, Chopin, detestavano il giallo, detestavano la caoticità di Londra, amavano il caffè e avevano un passato poco felice. Sarah riscoprì l'allegria, il tono della sua risata. Riscoprì qualcosa negli occhi di Dietwin. Quando era con lui non aveva più bisogno del fazzoletto e le sembrava quasi che tutto ciò che aveva passato non era mai accaduto e la voce di sua madre non era che un sussurro flebile, lontano chilometri, e il mondo intero era secondario. C'erano solo loro due. Non si era mai sentita così. Nè seduti davanti ad un tavolino con due tazze calde di caffè, né sul palco, mano nella mano.
"Quante volte te lo sei immaginato i altre circostanze, eh?"
Sarah non rispose e continuò a sistemare il suo appartamento. Non sapeva neppure perché, ma le era venuta un'immensa voglia di sistemare. Non lo faceva... da uno o forse due mesi! Il buon proposito le era venuto quella mattina, appena alle sette, poco dopo aver fatto i soliti esercizi. Da quel momento aveva già tolto tutto ciò che c'era a terra, sistemato, raccattato dei detersivi, un'aspirapolvere e uno strofinaccio e lavato i pavimenti. Stava per passare a spolverare i mobili, quando ricevette un'inattesa chiamata. Rispose, quasi spaventata.
«Pronto? Rose?» domandò mordicchiandosi il labbro inferiore. Non aveva idea del perché l'avesse chiamata, ma era allarmante. Non la sentiva da un po'. Un bel po'.
«Hey, piccola ballerina! Come va? Ho saputo che ballerai alla serata di beneficenza dei Michelson! Ci sarò anche io. Vorrei parlarti, ma non al telefono... di cose piuttosto urgenti. Spero che all'inizio o alla fine dello spettacolo potremmo avere l'occasione di scambiare qualche parola.» da divertente e pieno di vita, il suo tono di voce divenne freddo e teso.
« Certo! Ma... Ehm... va tutto bene? » chiese la ragazza. Non voleva ricevere brutte sorprese. Sperava con tutta sé stessa che l'avesse chiamata per una stupidaggine, ma sapeva, nel profondo che non era così ed era terrorizzata dal pensiero che quella chiamata e quello che l'avrebbe seguita avrebbe potuto stravolgerle una terza volta la vita.
«No, no mia cara...» improvvisamente se la immaginò seduta sulla sua preziosissima poltrona color senape, con la sua camicia da notte rosa confetto a coprire il prosperoso seno e la prosperosa ciccia che la ricopriva, con il telefono attaccato al piccolo orecchio e la piccola e sottile bocca muoversi per parlare e il doppio mento tremare ad ogni suo movimento e i corti capelli castani raccolti in una mezza coda. «Ho una brutta sensazione. Non è affatto una cosa buona... sai bene che non sbaglio quasi mai riguardo queste cose» disse con voce tremante. Già, Sarah lo sapeva bene, conosceva Rose alla lettera, era a conoscenza del fatto che era più una grande sensitiva che, come lei, aveva imparato a controllare la mente.
«Ne hai parlato con gli altri o... con lei?» chiese la nostra piccola ballerina, mordicchiandosi l'indice destro. Per un attimo ci fu il silenzio tra le due donne, poi Rose iniziò a parlare.
«Con gli altri no, preferivo avvertire te per prima, siamo le uniche a vivere a Londra e se non mi sbaglio la mia brutta sensazione riguarda questa città. Riguardo a lei... sì, ho provato a contattarla, ma con scarso risultato. O non risponde o risponde la sua segretaria che dice che sta male o non può parlare. Eppure, il capo della polizia di Ashford mi ha comunicato che la sua vita investigativa... è attiva come al solito». Un'altra cosa fece accapponare la pelle a Sarah fu che non riuscivano nemmeno a pronunciare il suo nome. Era come una parola maledetta, un insulto. Oppure la parola chiave per accendere i motori e partire per Ashford.
"Non ritornerai mai più lì! Non rivedrai quella casa, non la rivedrai. "
Ma non credeva. Non voleva credere a sua madre. E per questo ne avrebbe pagato le conseguenze.
«Direi che la cosa non è nell'ordinario, dovremmo ritornarci su quest'oggetto di conversazione. Magari domani dopo la commemorazione.» la proposta di Sarah venne accettata con entusiasmo, anche se l'animo di entrambe le donne era in subbuglio. Non capivano cosa stesse succedendo
Ma Sarah, se ne dimenticò quasi subito, dato che non appena ebbe chiuso la chiamata con Rose, due minuti dopo (nei quali aveva rimuginato a lungo sulla conversazione), venne interrotta da un altro squillo di telefono. E quella volta era Dietwin. Improvvisamente le gote le si fecero calde e un sorrisetto involontario si fece largo nella sua faccia. Assaporò l'odore della stanza, appena impregnata di menta piperita, e improvvisamente ritornò calma e pronta a rispondere.
"E poi.... bla bla bla, il solito stupido chiacchiericcio. Saltino di qua, saltino di là! "Sicura con quella trottola?" "Si si, grazie Diet!" Siete disgustosi! Immensamente disgustosi! Che il mio Dio vi faccia cadere come due pere da quello stupido palco e vi riduca in poltiglie!"
E niente, la chiacchierata non fu molto interessante. Dietwin aveva chiamato solo per sentirla, ma senza il coraggio di chiederle veramente ciò che desiderava.
La serata di commemorazione, in fine, arrivò. Tutto era pronto. Fifì era alle stelle. Non riusciva a smettere di camminare avanti e indietro per la stanza, ripetendo trecento volte ciò che avrebbe dovuto dire per introdurre la serata. E poi, soprattutto non aveva ancora deciso che scarpe e che borsetta portare! Doveva essere all'altezza di tutti quei super milionari e ricconi che sarebbero venuti! Perciò si mise i suoi vestiti migliori, un lungo abito nero, a fasciarle l'intero corpo fino a metà polpaccio, dei décolleté neri e lucidi, e, ovviamente i gioielli che le aveva regalato Christopher. Raccolse i capelli in una "complicata acconciatura" (uno chignon con dei ciuffi sciolti e delle treccine a coprire l'elastico), dopodiché fu pronta per andare a prendere la protagonista del balletto. Quando arrivò sotto casa sua, la chiamò un paio di volte. Fortunatamente rispose subito, ma di certo non si aspettava che con lei ci fosse anche Dietwin.
"Per evitare che arrivi in ritardo per le prove generali!". Quella era stata la loro banale scusa, ma per la Fifì investigativa, sapeva non fosse così. Ogni tanto i due ballerini si scambiavano occhiate eloquenti che solo loro potevano capire. Insomma: anche Dietwin aveva visitato accuratamente il letto di Sarah, ma Sophie ebbe quasi l'impressione che quella volta sarebbe stato diverso. Ma poi lasciò perdere e se ne dimenticò, perché non era affar suo e, seppur Sarah era la sua migliore amica, ormai erano adulte, non più stupide adolescenti che sprizzano scintille non appena una fa sesso con un ragazzo carino.
Perciò li portò a teatro nel più profondo silenzio, con solo la musica della radio in sottofondo. Quando scesero, i ballerini si diressero subito verso le quinte, dove si cambiarono, si truccarono e si riscaldarono, un po' in disparte e un po' insieme, mentre Fifì andò a parlare con i signori Michelson che erano arrivati prima per provare l'intera serata (dato che tra i lettori c'erano anche loro due).
E così passarono anche quelle due ore.
"Complimenti di qua, complimenti di là! Manina, presentazioni, sbrilluccichii, nastrini e tremori. Un mare di emozioni inutili. Se continui così, Saretta, ti farai uccidere. Diventerai così insopportabile che nessuno vorrà più vederti"
Laserata stava per iniziare. Sarah aveva aspettato per un po' la sua cara amica Rose, ma l'aveva vista semplicemente entrare, accompagnata da un uomo che sembrava intrattenerla molto. Ciò avrebbe significato rimandare il discorso importante. La ballerina stava quasi per correre verso la sua amica, quando Dietwin spuntò dietro di lei, afferrandola per un braccio e invitandola ad entrare.
"Entra piccola bambolina! Corri sulla giostra. Corri in punta di piedi e attenta a non svegliare la bestia. Ti potrebbe divorare in un sol boccone"
Non seppe per quale motivo, ma le salirono i brividi. E senza accorgersene iniziò a camminare in punta di piedi verso le quinte, con Dietwin che era troppo emozionato per accorgersi che c'era qualcosa di strano nella sua compagna.
Ma tanto non successe niente. Nè prima né durante la serata. Tutto andò alla grande. A fine della serata di commemorazione, Sarah schizzò via, intenzionata a incontrare Rose, che infatti, la stava aspettando appena a qualche metro dalla porta che conduceva al retro.
«Rose!» la ballerina abbracciò la donna leggermente, annusando il suo profumo di... menta piperita. C'erano cose che nessuno poteva dimenticare. «Pensavo che ti fossi dimenticata!» sorrise la ragazza. Era tesa e, anche se cercava di nasconderlo, sapeva che Rose lo aveva intuito.
«Non me ne sarei mai potuta dimenticare. Sono stata in ansia per tutta la serata, anche se ho avuto molte distrazioni...» indicò un uomo poco distante da loro, in divisa, un colonnello della marina.
«Qui per...»
«Anno sabbatico. Uomo tutto d'un pezzo, onorevole. Sposato, anche se si è tolto la fede al dito. Ciò vuol dire vedovo. Era molto affezionato alla moglie, ma vuole ricominciare e cerca un'amante. Due bambine... controllava spesso il telefono e messaggi di una certa Babysitter. Sempre pronto a tutto: pistola carica ben nascosta e un coltellino svizzero nello stivale, estremamente facili da localizzare... e poi altri mille dettagli che ovviamente non ti interessano» Rose ridacchiò lanciando un'occhiata verso il colonnello, che però era voltato di spalle e parlava con Fifì.
«Beh, in effetti avrei voluto parlare di altro... ad esempio le tue sensazioni...» ammise Sarah, un po' in imbarazzo. Si torturava le mani gelide, per nemmeno-sapeva-lei-quale-motivo. Voleva solo liberarsi da tutto quello stress accumulato in quei giorni a causa di quella chiamata, che poi le era tornata in mente.
«Intanto volevo dire che sei stata bravissima, soprattutto il tuo ultimo pezzo, stratosferico... per il resto... non so spiegarti chiaramente, ma sono nel panico da un paio di giorni. Tu stai attenta. Io proverò a ricontattare lei e tutti gli altri.» detto questo, il colonnello-senza-nome, la chiamò e lei mi salutò con un breve abbraccio. Diciamo che Sarah non si sarebbe aspettata una conversazione così breve...
Stava per tornare a casa, quando qualcuno la fermò. Non appena si voltò, con il cuore a mille, però, era solo Dietwin. La luce era offuscata, e non riusciva a vederlo perfettamente, ma notava che era nervoso, era un po' arrossato e non riusciva a guardarla negli occhi.
«Senti... Sarah... io... insomma, pensavo che potremmo uscire insieme... a mangiare... magari domani, se sei libera» il balbettio di Dietwin la fece sorridere e subito si sciolse sotto quegli occhi dolci che avevano deciso a posare sul suo volto.
«Sarebbe un vero piacere! Ci incontriamo domani? Ho degli allenamenti alle 10:00, se ci incontriamo per le 12:30 va bene?» e, come al solito, si era già dimenticata del pericolo, delle preoccupazioni e il resto del pacchetto.
«Certo!»
Ma Sarah a quell'appuntamento, non poté mai andare. Venne ritrovata da Fifì, povera anima, che si era preparata di tutto punto per un incontro galante con il suo uomo d'affari e voleva andare ad avvertire la ragazza che non sarebbe stata presente agli allenamenti. La trovò seduta sulla sedia che aveva usato per lo spettacolo della sera precedente, vestita esattamente come nell'ultimo balletto che aveva interpretato, ma con gli occhi colmi di terrore fissi verso la luce, le sue braccia erano rigate da due spesse ferite ancora grondanti, dai bordi violacei e giallognoli. Poi, un buco in fronte, segno definitivo che non era stato un suicidio. Qualcuno l'aveva uccisa.
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