f o u r t e e n

Il tè era ancora lì. Il giornale era ancora lì. Ebbene, dopo essersi assicurata che tutto era al proprio posto, si tolse il giubbotto e lo mise dove era prima, si tolse le scarpe e si sedette esattamente nella stessa posizione che aveva prima, tornando alle sue precedenti faccende come se nulla fosse successo. Con la flemma di chi aveva calcolato ogni cosa, riprese a leggere il giornale, cercando qualcosa di interessante da fare e sorseggiò il suo tè tiepido. Certo, lo avrebbe preferito caldo, ma non poteva chiedere a Farren di scaldarlo perchè era a fare la spesa e non aveva assolutamente voglia di andare in cucina da sè dopo tutta la corsa che aveva già fatto. Si lasciò trasportare dall'odore di menta piperita e libri sfogliati, avvertendo un piacevole brivido ai polpastrelli.

Passarono pochi minuti di pace e poi la porta si aprì e Farren, coperta da sacchetti di carta pacco stracolmi di cibo entrò traballante.

Per un momento non si accorse della presenza della donna. Buttò con poca gentilezza tutti i sacchetti sul tavolo rotondo del salotto, borbottò qualcosa di incomprensibile sul fatto di essere distrutta e sull'avere dormito solo sei ore nel giro di quarantott'ore, poi rilassò le braccia lungo il corpo.
Continuava a dare le spalle a Susan senza sospettare minimamente di non essere sola.

«Farren mi riscalderesti il tè, per cortesia?»

Susan per un momento credette che la segretaria sarebbe caduta a causa dello sbilanciamento che aveva avuto per la sorpresa, ma fortunatamente non fu così ed alla ragazza bastò appoggiarsi al tavolo con la testa e metà del busto girato verso la poltrona. Cercò di ricomporsi il più velocemente possibile ma si poteva notare lontano un miglio l'imbarazzo nei suoi successivi passi. Si nascose dietro il tavolo, fingendo di sistemare la spesa per nascondere le malridotte old-star nere che creerebbero qualche disguido per il particolare accoppiamento con il tailleur blu. Una delle cose che più Susan non riusciva a sopportare era l'accostamento tra il nero e il blu.
«Pensavo che fosse uscita! Ma lei non si muove mai?» l'impertinenza dell'assistente fu sorvolata con un semplice ghigno nascosto dal giornale.
«Farren non noti nulla?»
«Cosa dovrei notare signora Knightely?»
«Mia cara, sei al mio fianco da così tanto tempo e non riesci proprio a imparare! Non so come fare con te.»
«Signora Knightely, davvero non capisco a cosa stia alludendo. Sa bene che non mi interessa la sua materia e ho ottenuto centodieci cum laude ad Harvard perciò ritengo la mia conoscenza ottima quanto la sua»
«No, mia cara, non comparare mai più la mia mente con la tua: mi insulteresti e perderesti anche il lavoro»
«Mi scusi, signora Knightely» il silenzio che seguì non fu imbarazzante: ormai entrambe ne erano abituate. Quella scena era una continua ripetizione nelle loro giornate, perciò adesso toccava alla spiegazione.
«Questa mattina ho avuto il piacere di fare la conoscenza di un tizio, un certo Doua An, un tipo molto riservato e permaloso. Era preoccupato, si notava, perciò non si è curato del fatto che gli stessi alle calcagna. Sta di fatto che Doua mi ha portato dal suo capo, Yoson Li, quello che per l'appunto doveva pagarlo per l'omicidio commesso di un innocente agente dell'MI5, e che io stessa l'abbia intercettato durante il pagamento. Ho registrato la conversazione e ho iniziato a seguire Yoson con tutti i soldi. Ha attraversato il ristorante cinese sulla 2nd Avenue e poi mi ha quasi depistata, sai sto perdendo colpi dopo tutti questi anni. In fine l'ho preso e l'ho consegnato al caro John e a Scotland Yard, quindi sono tornata a casa e ciò che avresti dovuto notare sono il cambio delle mie scarpe. Prima avevo quelle da ginnastica bianche e adesso ho le pantofole, ho i pantaloni umidi e le scarpe sono in balcone a prendere il sole. Un indizio più evidente di questo per dedurre che ho messo il piede in una pozzanghera non c'è.»
Farren boccheggiò per qualche secondo, senza riuscire a capacitarsi del fatto che quella donna ancora era in grado di fare certe cose e soprattutto del fatto che non era riuscita a notare quegli evidenti cambiamenti.
«Sono sicura che se avessi avuto qualche secondo in più per osservare avrei capito»
La risposta troppo veloce deluse molto la donna che per risposta le disse di sistemare la spesa e cambiarsi immediatamente le scarpe o il tailleur per rispettare ciò che avevano stipulato da quando era arrivata, ovvero: non mettere mai nulla di nero e blu nello stesso outfit.
Susan ebbe qualche minuto per riflettere osservando il guardato e riguardato elefantino in avorio cesellato ricevuto in dono nella misteriosa India del 2006. In quei giorni era spesso in soprappensiero e quando accadeva, senza accorgersene, iniziava a raccontare antiche avventure e vecchi aneddoti, alcune volte con la silenziosa e sempre attenta presenza di Farren, altre al muro o alle foto perennemente sorridenti. Quella volta, fortunatamente non accadde. In realtà stava per raccontare del suo viaggio in India e della bellissima vacanza, conclusasi con un serial killer in prigione, ma venne interrotta dall'incessante bussare (sbattere violentemente il pugno contro l'innocente porta) e dal fastidioso rumore del campanello.

«Farren, per l'amor di Dio, metti fine a questo tormento e caccia chiunque ci sia oltre quella porta!»

La ragazza, anche lei molto infastidita dal poco simpatico suonatore, corse ad accoglierlo e rispedirlo da dove era venuto. Quando la porta si aprì, finalmente, Susan poté respirare e riprendere a sorseggiare il tè, ora caldo. Ma la calma durò ben poco. Dalla porta a doppio battente in ferro battuto e vetro colorato che separava la hall (sala d'attesa per persone antipatiche agli occhi della cinica padrona di casa) dall'ampio salotto, entrò Hazel Acklam, guance paonazze e occhi iniettati di sangue. Non sembrava neppure lei. Il tempo di guardarsi negli occhi durò pochi secondi, poi la padrona di casa si alzò, poco convinta, come se sospettasse di star posando gli occhi su un'illusione, o un fantasma e si avvicinò all'inaspettata ospite. Non dissero una parola per molto tempo, rimanendo ad osservare incantate l'una gli occhi dell'altra, la più giovane notando le nuove rughe e l'osservatrice cercando indizi sul motivo della sua improvvisa visita.

«Certo non mi aspettavo di averti qui, Hazel... è successo qualcosa all'azienda? hai bisogno di soldi? di un consiglio? ti sei sentita forse male? mal di testa? calo di pressione? È da troppo tempo che non ti vedo, né sento la tua voce! Mi sembri più scarna, molto più magra e sei pallida come un lenzuolo! Forza, dimmi cosa succede e ti prego, siediti, non vorrei che svenissi nel bel mezzo del mio soggiorno... ecco brava... Farren portale un bicchiere di... acqua? vuoi un po' di tè?... vada per l'acqua!... porta dell'acqua e fai presto così che potrò sentire di nuovo la sua voce, dopo tanto tempo»

Farren si mosse subito, sbigottita più che mai dalle premure della signora Knightely. Mai e poi mai l'aveva sentita parlare con quel tono di voce, o l'aveva vista gurdare qualcuno nel modo in cui stava osservando la nuova arrivata, con tanto affetto e preoccupazione. Si disse che dovevano essere vecchie amiche, del circolo di cui Susan ogni tanto parlava durante le sue storie. E che storie raccontava! Partiva sempre con un luogo, una data e un'ora ben precisa, dopodiché descriveva luoghi surreali che, grazie alle sue parole semplici e concise diventavano improvvisamente reali, ma irraggiungibili. Dune dorate che brillavano come se il firmamento fosse stato catturato dal vento e si fosse impigliato tra i granelli di sabbia, piccoli diamanti luccicanti, sorgenti cristalline e piene di vita che trasformavano una trappola di ferro e fuoco nel più meraviglioso dei paradisi, alberi verde smeraldo, che si stagliavano contro il sole a testa alta, uomini e donne alti due metri dalla pelle dorata e i capelli lunghi fino alla base della schiena, vestiti di perle colorate e bianche, braccia lunghe e dita colorate di rosse, grandi dei di quelle terre paradisiache. Farren provò una recondita gelosia, iniziò con una leggera pulsazione al ventre, finchè come un serpente a sonagli si mosse sempre più insistente per uscire, si attorcigliò, andò più velocemente e poi più lentamente, cercò la via d'uscita e poi salì lungo la trachea, verso la bocca, strisciando silenzioso pronto all'attacco. Si lasciò indietro quelle sensazioni, indossando il sorriso più convincente che avesse nel guardaroba, poi prese velocemente il bicchiere d'acqua richiesto e lo portò alla famosa Hazel Acklam che solo in quel momento si rese conto fosse proprio quella Hazel Acklam.

«Che cos'è successo, bambina mia?» Susan era impaziente, muoveva i cinquanta penny sulle nocche senza neppure pensarci, provocando un fastidioso tintinnio con gli anelli, anche se, stranamente, non sembrava curarsene: voleva solo sapere come stesse la sua bambina. Hazel, che non era ancora riuscita a spiccicare parola, era molto scossa, sorseggiava l'acqua a piccoli sorsi, per regolarizzare il respiro e riprendere il controllo, così come proprio Susan le aveva insegnato. Era molto più semplice ora che l'odore di menta piperita e libri antichi che impregnava la stanza era reale e non solo immaginazione.

«Non sai niente?»

«Non so a che cosa tu ti stia riferendo, non so proprio niente. Farren dovrei sapere qualcosa che non so?»

La segretaria scosse il capo, confusa, scavando nella propria mente per ricordare se ci fosse qualche mail che avesse dimenticato di riferire, ma non c'era assolutamente nulla. Tutto in ordine.

«Sei la sua nuova alunna?» Hazel guardò entrambe molto contrariata, e non potè fare a meno di notare il vestiario della ragazza, sorprendendosi che non fosse ancora stata cacciata dalla proprietà. Per il resto, in realtà non le sembrò tanto male, aveva dei lineamenti forti, gli zigomi alti che le davano un'aria da adulta, gli occhi felini verdi e i capelli acconciati in un'ordinato chignon. Truccata bene e sembrava essere anche intelligente. Cercò anche di rispondere, ma Susan la bloccò ancor prima che aprisse bocca.

«No, affatto. Non insegno più. Farren è la mia segretaria e mi aiuta con la casa e tutto il resto, è a posto.» Susan era indecisa su come interpretare il cambio di discorso di Hazel; sembrava molto spaventata: perchè chiedere della segretaria e non arrivare subito alla minaccia? O era troppo sospettosa o, semplicemente, non voleva farla preoccupare.

Hazel rimase in silenzio per qualche minuto. Osservò con occhio attento il salotto, per distrarsi. Notò che era molto più pulito dell'ultima volta che l'aveva visto e che il tavolo ora era in rovere e non più in abete e che le sedie erano sei e non più tredici, che mancava l'Iliade dai volumi della libreria a fianco della poltrona di Susan, che non c'era più il gigantesco mappamondo che si illuminava e che non c'erano i girasoli nel vaso a centrotavola ma gigli. Pensò che probabilmente molte altre cose erano cambiate in tutti quegli anni, ma non era opportuno fare la caccia al tesoro in quel momento. Quel terribile momento.

«Qualcuno ci ha presi di mira»

«Spiegati meglio» Susan fermò i suoi cinquanta penni e passò a farli roteare sulla mano sinistra con la stessa maestria che con la destra.

«Ci sto arrivando... » bevve «Qualcuno, non ho idea di chi sia, ha ucciso tutti quanti. Tutti quelli del circolo e i figli, i parenti con il nostro dono. Hanno ucciso anche la bambina, la piccola Hela... è un mostro senza pietà, è venuto anche da me ieri sera e sono viva per poco.» si bloccò e si accorse di avere il fiatone. Bevve. Susan, per la prima volta dopo tanto tempo, era confusa.

«Non ho ricevuto notizie da nessuno, Scotland Yard non mi ha avvertito di nulla, sei la prima che mi dà una notizia del genere.»

«Posso ben immaginarlo. È riuscito a oltrepassare la mia sicurezza, ha ingannato tutti quanti! Ci vuole battere al nostro stesso gioco. Punta sulla nostra mente, prova a farci mettere da parte la nostra umanità...» si sistemò con disagio sulla sedia, poi prese la sua borsa e ne tirò fuori dei dossier. «Guarda, i miei contatti mi hanno fornito questi. Spesso fa fare il lavoro sporco ad altri, ne sono sicura. Non ho idea di come faccia. Uno di loro ha detto di aver parlato con il Diavolo al telefono.» Li porse a Susan. Le immagini erano raccapriccianti; Farren dovette allontanarsi, perchè le sembrò di sentire il tanfo di quei cadaveri e tutto quel sangue la impressionava.

«È decisamente qualcuno che ce l'ha con noi, ma ho il sospetto che anche lui sia dotato. Chiunque sia l'assassino, anche lui ha le nostre capacità. Cosa mi dici di Angel? È morta anni fa per il cancro» borbottò Susan, pensierosa.

«Qualcuno ha profanato la sua tomba.» rispose secca, poi continuò «Quando è venuto da me» Hazel si avvicinò a Susan, come se quello che stesse per dirle fosse strettamente confidenziale. «mi ha fatto un indovinello. Parlava di sè stesso e la risposta era Giustizia. Lui si crede la Giustizia, perciò è qualcuno che ce l'ha con noi. Dobbiamo solo capire a chi abbiamo fatto un torto e...»

«Ce ne sono troppi, ma... andiamo al tavolo, mettiamo in ordine» Farren seguì le due a ruota, senza sapere bene cosa aspettarsi dalla fusione di due menti così grandi. Le osservò curiosa, mentre sistemavano i dossier in base alle date. «Se ho ragione, il nostro serial killer ci sta mandando un messaggio. Ha compiuto gli omicidi spesso molto ravvicinati e spesso troppo lontani. Dobbiamo solo capire cosa vuole dire.»

«Intendi tipo... gematriya ma al contrario? O l'alfabeto secondo numeri precisi? Ci sarebbero molte combinazioni... è difficile dirlo» Hazel era confusa e ancora dell'idea che bastasse fare un elenco della gente che avevano fatto arrabbiare e andare a interrogarli.

«Ho dei libri sulla decriptazione, meglio che ci mettiamo subito al lavoro se non vogliamo che il misterioso assassino venga a bussare a quella porta» Susan si diresse ad una delle librerie e ne tirò fuori sei grossi volumi impolverati.

«A che punto siamo nella scacchiera?» Susan lanciò uno sguardo deciso verso la figlia adottiva. La ragazza si morse le labbra.

«Sta per fare scacco matto e noi non riusciamo a vederlo» Lo sguardo sconsolato di entrambe, venne ravvivato dalla rabbia e dalla determinazione.

Susan si voltò di scatto verso Farren e le fece cenno di avvicinarsi: «Dacci una mano, usa il tuo centodieci cum laude per catturare un serial killer, invece che a pulirmi casa»

«Certo Signora Knightely»

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top