Capitolo 5 - IL PROFONDO SOLCO DEL DESTINO - seconda parte
Il sorriso della ragazza si dileguò, divenendo un'espressione sbilenca, come se cercasse di mordersi la parte interna della guancia. L'insegna del locale era esattamente come se la ricordava: consunta dal passaggio delle numerose stagioni a cui era stata esposta. La guardava dondolarsi appesa al proprio sostegno di ferro, cullata da un incessante brezza che spazzava la via e scompigliava le acconciature delle signore di passaggio.
«Tutto bene? Sei lì impalata da quasi dieci minuti.»
«Non è cambiato nulla» rifletté ad alta voce, ignorando completamente la questione postale dall'amica.
Alla fine erano passati circa cinque mesi dalla sua partenza, non un periodo così lungo anche se ad Alteria pareva un lustro intero. In quel lasso di tempo ne aveva passate così tante da dilatare la normale percezione degli eventi. Era come se la sua vita avesse subito una brusca accelerata, macinando una distanza che nei primi diciotto anni di vita non era riuscita a percorre neanche in piccola parte.
«Ho così tante cose da raccontare.»
«Di certo non potrai farlo standotene qua fuori.»
Theresa capì la situazione e si avvicinò all'amica per trasmetterle un po' di conforto.
«Sì, hai ragione» replicò all'affermazione, sfiorando una delle mani che le poggiava sulle spalle. Prese il coraggio a due mani e spinse l'anta della modesta porticina di legno che la separava dall'interno del locale.
Il campanello d'ingresso tintinnò, annunciandone l'entrata. Alteria non percepì nulla di diverso dal giorno in cui se ne era andata, la Locanda della Foglia Stretta era esattamente come l'aveva lasciata. La disposizione del tavolame seguiva un confuso - all'apparenza - ordinato progetto. Era stato studiato per incastrare le diverse combinazioni di grandezze, in modo da sfruttare al meglio il poco spazio a disposizione, permettendo alle cameriere di muoversi tra gli avventori senza problemi. Ad abbellire le pareti c'erano vecchie stoviglie di rame appese a grossi chiodi arrugginiti e mensole stracolme di bottiglie di vino vuote.
«Siamo ancora chiusi, tornate tra un'ora» esclamò una voce femminile, proveniente da oltre il paravento che separava la sala dalla cucina.
La donna, dopo aver atteso invano che il suono del campanello appeso alla porta annunciasse l'uscita dell'ospite prematuro, si recò nella sala, portando con sé un'alta pila di piatti.
Il fragore dei suddetti che si schiantavano sul pavimento di legno, rimbombò fino alla via esterna adiacente al locale.
«Che succede?» fece eco una voce maschile, preoccupata più per il costoso servizio che per la salute della moglie.
Non ricevendo risposta si recò anch'egli nella sala rimanendo di stucco.
«Mamma... Papà... »
Alteria non riuscì a dire altro, non riuscì a muovere un passo. Soltanto le palpebre sbattevano, separando le lacrime che scendevano sulle guance.
«A-Alter... »
Antonina non riuscì a terminare il nome della primogenita che ebbe un lieve mancamento. Il marito, anch'egli senza parole, stava avanzando verso la ritrovata discendente, ma dovette tornare sui suoi passi per sostenere la compagna.
«Mamma!» gridò la figlia, gettandosi a supporto del padre.
La madre, adagiata dolcemente al suolo, allungò una mano per accarezzarne la guancia.
«Sei proprio tu?» domandò con un fil di voce, mentre Alteria la stringeva a sé come se non volesse più separarsene.
«Sì, sono proprio io, sono tornata.»
***
Theresa aveva atteso fuori dal locale per un buon quarto d'ora. La sua era stata una scelta ponderata, per lasciare il tempo ai suoi datori di lavoro di metabolizzare il ritorno a casa della figlia. Quando si decise a varcare la soglia della locanda li trovò ancora abbracciati l'uno all'altro, con le gote arrossate e i globi oculari umidi, come un terreno punteggiato da una pioggia incessante.
«Theresa, lei è...»
«Lo so, sono stata io ad accompagnarla qui.»
Antonina piegò il capo ripensando al giorno in cui la ragazza si era presentata da loro.
«Voi vi siete già conosciute, giusto? Quando ti ha consegnato la lettera che ci hai recapitato.»
La cameriera non rispose, attendendo che fosse Alteria a farlo per lei.
«Non solo per la lettera, diciamo che abbiamo affrontato una piccola avventura insieme» disse, asciugandosi le ultime lacrime con la manica.
«Non essere modesta. Dovete essere fiera di vostra figlia, mi ha salvato la vita.»
I genitori le guardarono interdetti, non capendo il significato di quella frase.
«Papà, mamma, sediamoci. Ho parecchie cose da raccontarvi.»
Presero posto a uno dei tavoli più defilati di forma quadrata predisposto a ospitare quattro persone. L'attenzione era tutta rivolta ad Alteria, arrossita come un peperone, che non trovava le parole per cominciare. Theresa le sfiorò una mano, e per toglierla dall'imbarazzo, cominciò a raccontare la sua storia.
«Come vi ho raccontato ho perso mio figlio, ma non è stata una malattia a ucciderlo... sono stata io.»
I due osti rimasero interdetti per una manciata di secondi, congelati come due sculture di marmo.
«Co-cosa? Come hai potuto mentirci così?»
Carlo si sollevò dal tavolo, aggredendo con la sua mole l'esile fanciulla dai capelli corvini.
«Aspetta papà, è una storia complicata, lasciala finire» intervenne Alteria, cercando di quietarne l'animo.
Theresa fece un lungo respiro prima di entrare nel dettaglio. Parlare di quella faccenda equivaleva a riaprire la più dolorosa delle ferite.
«Sono stata posseduta da uno spirito maligno, lo spirito di una donna che mi ha costretto a farlo contro la mia volontà» disse tutto d'un fiato, per non scoppiare a piangere durante il discorso.
«E con questa scusa sei riuscita a farti scagionare? Da quando la guardia cittadina di Mirtia è diventata così credulona?»
L'uomo era furioso per essere stato ingannato e aver accolto nella sua locanda un'assassina. «E pensare che ti ho trattato come se fossi una figlia.»
«Basta papà!» urlò Alteria sostenendone lo sguardo. «Theresa sta dicendo la verità!»
«E tu come fai a saperlo?»
«Perché ho affrontato personalmente lo spirito maligno mentre possedeva il corpo di un'altra donna innocente.»
«Affrontato?»
Carlo aveva la sensazione di smarrire la terra sotto i piedi. Dopo mesi ritrovava sua figlia e questa lo stava prendendo in giro, coprendo le azioni di un'omicida che aveva assunto come cameriera. Antonina, pallida in volto, faceva eco col suo silenzio a tutta quella situazione.
«E cosa saresti diventata, un'esorcista? Anzi no, sei per caso un cavaliere celeste?»
«No, papà io sono diventata...» la voglia di replicare di getto fu sorpassata dall'esitazione, data dal peso che quell'affermazione avrebbe portato nelle vite dei genitori.
«...sono diventata una strega.»
La madre sentì mancare le forze, ribaltando la testa verso lo schienale della sedia.
«Mamma!» urlò preoccupata, mentre Theresa e Carlo tentavano di farle aria, agitando le mani come fossero dei ventagli.
«Guarda cos'hai fatto, vuoi farla morire dalla paura?»
La donna nel frattempo si era ripresa e stringendo un rosario che aveva nella tasca della gonna stava invocando il perdono della Grande Madre.
«Alteria, io non so quali scemenze ti ha messo nella testa quel ragazzo con cui sei scappata, ma se credi di venire qui e turbare così le nostre vit» Le parole si strozzarono nella bocca del padre.
Tra le mani la giovane maga aveva materializzato una piccola sfera di luce. Nella penombra della sala splendeva sui volti esterrefatti dei due anziani, illuminando il sorriso a trentadue denti di Theresa.
Dopo qualche istante Alteria congiunse le mani soffocando il piccolo globo che evaporò in un sottile sbuffo di fumo. Di sottecchi osservò i volti dei genitori; immobili come statue trattenevano il fiato da parecchi secondi, come fossero in apnea.
Non riuscì a dire nulla, nessuno lo fece. In quel luogo le lancette del tempo avevano improvvisamente smesso di ruotare.
«Gwa-gw» farfugliò la madre mentre i sensi l'abbandonavano nuovamente.
«Antonina! Antonina!» urlò Carlo, scuotendo vigorosamente la corpulenta donna.
Theresa sospirò, recandosi in cucina a prendere una bacinella d'acqua e una pezza di stoffa. Inizio a tamponarle la fronte con l'aiuto di Alteria.
«Figlia mia, quello che hai appena fatto è incredibile» disse il padre, mentre si recava verso la porta d'uscita.
Per un attimo le due ragazze credettero che se ne stesse andando, invece maneggiò con la serratura della porta, facendo schioccare gli ingranaggi del grimaldello di chiusura.
«Per stasera direi che possiamo tenere chiuso, ci sono cose più importanti da fare.»
Strizzò l'occhio alla figlia che ricambiò ritrovando il sorriso. Sentì strattonarsi per la manica della camicia.
«Scommetto che hai un sacco di cose da raccontarci» aggiunse la madre, tornata cosciente e vogliosa di ascoltare ogni singolo racconto di quei cinque mesi di lontananza.
***
SPAZIO AUTORE
Eccovi la seconda parte del capitolo (scusate l'attesa).
Ho materiale almeno fino al capitolo sette, quindi per ancora qualche settimana andrò avanti ad aggiornare. Nel frattempo cercherò di superare questa specie di blocco che mi attanaglia.
Grazie a voi miei lettori per il supporto che mi date sempre.
Alessandro.
Ps: vi lascio con le picture di Alteria e della sua famiglia
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