Capitolo 4 - CACCIA ALLE STREGHE - seconda parte

Allineati davanti a una platea gremita di stregoni, i cinque arcimaghi si disposero sui propri scranni in ordine crescente d'importanza. A fianco di Tron si sedette Esmeralda e successivamente Hakurei che, al centro del quintetto, svettava con la sua mole importante. Le esili figure delle dame ai suoi fianchi venivano così in parte oscurate, anche se, l'attenzione della folla - tranne quella di Dass - non era rivolta alle grazie di Bella e della sua collega, ma al quinto e novello arcimago. Maximilian deglutì, vedendo su di sé focalizzati decine di sguardi. Batteva ritmicamente il tacco dei suoi stivali contro il pavimento, mentre un leggero rossore prendeva forma sulle guance. Cercò con lo sguardo l'unica persona, tra i suoi colleghi, che avrebbe potuto tranquillizzarlo; lei se ne accorse e mimò un "andrà tutto bene" con le labbra.

Tron si alzò dalla seduta schiarendosi la voce: «Non vi tedierò con inutili convenevoli, perché gli argomenti del giorno sono molteplici. Innanzitutto, voglio presentarvi il nostro nuovo Quinto Arcimago, Maximilian!»

Max si alzò in piedi rivolgendo un breve saluto alla platea e un piccolo inchino in direzione dei suoi pari.

«Bravo!» gridò Dass dalla folla, accompagnando il complimento con un fischio fatto a pieni polmoni.

Tutti gli stregoni presenti in sala rivolsero occhiate di fuoco in direzione del giovane che, in barba all'etichetta, aveva urlato tutta la sua esuberanza. Selene gli rifilò una gomitata nello stomaco sospirando sconsolata, mentre Maximilian tornò a sedersi, cercando di sprofondare nel proprio trono.

«Bene, ora se Dass me lo concede vorrei andare avanti» proseguì Tron visibilmente alterato.

Selene fece appena in tempo a tappargli la bocca, prima che l'indisciplinato mago replicasse a quell'affermazione."Come vorrei fosse qui Alteria ad aiutarmi" sospirò. L'allieva aveva da poco abbandonato l'Isola Evanescente, intraprendendo la strada verso Mirtia, la sua città natale. Selene sapeva bene quanto era importante per la ragazza fare una pausa, dopo tutta la serie di eventi delle ultime settimane.

Rivolse l'attenzione a un angolo della stanza. Appoggiato in disparte a una parete c'era Alexandros: sostava con lo sguardo perso nel vuoto e un'espressione contrita che nascondeva la gravità della sua pena. Era stato costretto a rispondere alla convocazione, in quanto gran parte degli argomenti trattati lo riguardava.

Come preventivato, Tron proseguì con il racconto dell'assalto alla Cattedrale Celeste. Omise parecchi dettagli, cercando di edulcorare il più possibile la posizione di Alexandros, ma nonostante la dialettica di cui era dotato, la verità non poteva essere celata alle orecchie dei presenti. L'ex Secondo Arcimago fu così bersaglio di ingiurie sommesse e occhiate di rimprovero, lanciate di sottecchi da parte dei maghi della Torre Scarlatta.

«Farei mangiare la lingua a metà di questi stronzi» commentò piccato Dass, trovando per una volta il cenno d'intesa di Selene. «E' un bene che Alteria si risparmi questa riunione» aggiunse.

Il Primo Arcimago stava per cambiare argomento, quando la porta della Sala del consiglio si spalancò all'improvviso.

«Che succede?» tuonò, vedendo due figure incappucciate varcare l'uscio e farsi largo tra gli astanti. Giunti a pochi centimetri dal palco rivelarono la propria identità.

«Bolton, Thundara, quanta irruenza» esclamò Hakurei, anticipando il rimprovero di un sempre più spazientito Tron.

«Scusate i modi, ma l'urgenza del momento lo richiedeva» rispose il maschio dei due gemelli. I loro visi, pallidi e sudati, non promettevano nulla di buono.

«Dov'è Nemes?» chiese Bella, ricordandosi il motivo per cui si erano assentati dalla torre.

Thundara provò a balbettare qualcosa, ma le parole le morirono in gola. Tremava come una foglia, il fratello provò a tranquillizzarla accarezzandole la schiena. La folla cominciò a mormorare, doveva esser successo qualcosa di terribile.

«Avanti, parlate!» Li incalzò Tron senza fare troppi complimenti, trovando come risposta gli occhi della strega gemella gonfi di lacrime.

«Tranquilla, ci penso io.» Bolton corse con lo sguardo lungo tutta la sala. I presenti lessero su di esso tristezza e rassegnazione. Soltanto quando giunse in direzione di Alexandros la sua espressione s'incrinò, aggrottando le sopracciglia e digrignando i denti.

Poi, le parole cominciarono a scorrere fuori dalle sue labbra, come un fiume in piena.

«Io e mia sorella siamo stati mandati a Venis dal consiglio degli arcimaghi in risposta alla chiamata di un nostro membro dormiente, una maga di nome Nemes. Dovevamo incontrarci in un luogo segreto, uno di quei rifugi conosciuti soltanto da noi membri della torre. Dopo gli ultimi avvenimenti a Florentia il consiglio ci ha chiesto di usare la massima discrezione. Giunti sul luogo, abbiamo aspettato per ore l'anziana maga, senza mai venir ripagati per il nostro pazientare. Allora, abbiamo deciso di raggiungere la sua abitazione, un piccolo cottage in un modesto quartiere di periferia dove si guadagnava da vivere commerciando erbe e unguenti dalle molteplici proprietà. Abbiamo bussato alla porta senza ricevere alcuna risposta. Con circospezione abbiamo guadagnato l'ingresso, esplorando le poche stanze. L'ambiente era immacolato, come se la donna, prima di abbandonare l'abitazione, avesse sistemato ogni cosa, compresa una pulizia minuziosa. È stato quello a far scattare nelle nostre teste un campanello d'allarme. I soldati dell'armata celeste, rimasti mimetizzati fino a quell'istante, ci hanno assalito da ogni angolo.»

Il mormorio di sdegno dei presenti si elevò tanto da interrompere Bolton.

«Silenzio!» comandò il primo arcimago, interrompendo ogni suono inutile. Con un cenno invitò lo stregone gemello a proseguire.

«Anche se ci soverchiavano in numero grazie ai nostri poteri ce la siamo cavata, al prezzo delle loro vite. Thundara è riuscita a interrogare un militare prima che questi spirasse. Ci ha detto solo che avremmo dovuto seguire la folla per avere risposta ai nostri quesiti.»

«Quel bastardo!» aggiunse la strega, trattenendo a fatica le lacrime.

«E noi, pur avendo annusato l'odore di una trappola, abbiamo deciso comunque di provarci. Non fu difficile capire la direzione da prendere, tutta la popolazione della città era agitata come uno stormo di insetti impazziti. Celati sotto i nostri mantelli ci siamo uniti alla marea, confluendo in una grande piazza che poteva contenere senza problemi diecimila persone. Un lato di essa era dominata da una fortezza, la più grande che abbia mai visto.»

«Conosco il luogo» lo interruppe Tron. «Si tratta del quartier generale dei Cavalieri Celesti, la residenza del loro generale.»

«Proprio lui, Tron, lo abbiamo visto con i nostri occhi.»

Il Primo Arcimago sospirò, agitandosi sulla seduta come se essa fosse diventata improvvisamente scomoda.

«Si fa chiamare Mizar» proseguì Bolton. «Ha fatto installare un palco davanti al forte con al centro un grosso palo di legno. Legato a esso c'era...c'era...» improvvisamente lo stregone iniziò a balbettare, accompagnato dalle lacrime della sorella. «C'era...Nemes.»

La rivelazione scosse gran parte del pubblico, non i più avveduti o esperti che purtroppo avevano già intuito dove sarebbe andato a parare il racconto.

«Aveva un aspetto tremendo, dovevano averla torturata a lungo. Attesero che la piazza fosse gremita, poi appiccarono le fiamme. A stento io e mia sorella ci siamo trattenuti dall'intervenire, ma non è stato possibile fare nulla. Una dozzina di cavalieri celesti era schierata a protezione del patibolo, supportati da svariati plotoni di soldati. Oltre a loro c'erano le migliaia di persone radunate nella piazza. Se fossimo entrati in azione scatenando i nostri poteri, molte di loro avrebbero pagato con la vita.»

«Avete fatto la scelta migliore» li consolò subito Hakurei intuendone i crucci. Nonostante l'evidenza, i gemelli non riuscivano a perdonarsi il fatto di aver abbandonato una compagna al proprio destino. «Il vostro onore non è in discussione, se aveste agito in quel momento sareste caduti in trappola, e ora, al posto di una sola perdita, dovremmo piangere anche le vostre due vite.»

L'arcimago con quelle parole sapeva di aver dato sfogo alla maggior parte dei pensieri dei presenti, oltre ad aver placato gli animi dei più irruenti.

«Arcimago Hakurei, noi...» Thundara non riusciva ad accettare la situazione.

Nella sala serpeggiavano sentimenti contrastanti: c'era chi stava completamente smarrito davanti a tale rivelazione, chi meditava di farla pagare profumatamente ai cavalieri celesti e chi aveva perfettamente chiara la causa di questo omicidio. Tra essi c'era pure Esmeralda rimasta in silenzio sino a quell'istante.

«Poi, Bolton, cos'è successo?» domandò con voce tremante, come se temesse i passi che succedettero al rogo della malcapitata.

«Poi, Mizar ha preso la parola. Ha arringato la folla dicendo che ogni complice del vile attacco a Florentia sarebbe stato eliminato, purificato dalle fiamme della giustizia della Grande Madre. Disse che non si sarebbero fermati finché...» il ragazzo esitò un istante, cercando tra i presenti la persona a cui era rivolta la minaccia. «Finché i colpevoli, o il colpevole» diede un forte accento a quell'ultima parola «dell'assalto alla cattedrale non si sarebbero consegnati nelle loro mani.»

Nella stanza scoppiò il caos.

Gli stregoni, individui solitamente calmi, gridavano l'uno con l'altro come un branco di ubriachi. La sala del consiglio sembrava essersi trasformata in una bettola di periferia. L'autorità del primo arcimago tardava a mettere ordine: da quando aveva sentito nominare il generale celeste, sembrava essere sprofondato in una profonda catalessi, come se tutto quello che stava succedendo non fosse più di suo interesse. Thundara attraversò la stanza a grandi falcate, pronta a dare voce al pensiero di un nutrito gruppo di persone.

«E tu, non hai nulla da dire?» esclamò, puntando il dito contro l'uomo che neanche di fronte a quella rivelazione si era scomposto. La donna non si fermò alle ingiurie e prese Alexandros per la collottola.

«Con la tua scelleratezza hai fatto morire Esgarth e messo in gioco la vita di un sacco di persone! Ora vuoi anche far pagare il peso delle tue colpe su delle vite innocenti?»

Quelle accuse lo trafissero con la forza di cento spade. Alexandros non replicò a nulla, perché sapeva di essere l'unico colpevole a quella situazione. Si fece sommergere dal livore con cui Thundara l'apostrofava, seppellire dagli sguardi d'odio della maggior parte dei suoi ex compagni. Il risentimento, ora più che mai, lo stava trascinando verso il fondo. Era come un'enorme masso legato ai piede di un provetto suicida.

«Ora basta! Lascialo!»

Thundara si sentì strattonare.

«Tu, non ti impicciare in questa faccenda!»

Selene si era stufata di stare in disparte e aveva deciso di intervenire. Non poteva tollerare che l'uomo amato dalla sua allieva fosse trattato a quel modo. Le due si scrutarono in cagnesco per qualche istante. Entrambe allargarono le gambe per avere maggiore presa sul terreno e strinsero i pugni tanto da far tremare le braccia. Un tenue ronzio accompagnò le volute luminose che cominciavano a sprigionarsi dai due corpi.

«Signore, suvvia, non è in questo modo che si risolvono le questioni.» Dass provò a gettare acqua sul fuoco. «Tali dissapori dovrebbero essere risolti con il metodo che più si aggrada a due gentildonne del vostro rango. Cioè, lottando senza veli in una vasca piena di fang...»

Ma le due si detestavano talmente tanto che neanche l'umorismo spicciolo di Dass riuscì a catalizzare su di sé il loro odio.

«Adesso basta!» Le pareti tremarono all'ordine perentorio di Tron, come fronde frastornate da un'improvvisa folata di vento. Riscosso finalmente dai suoi pensieri, era pronto a catturare il polso della situazione.

«Dobbiamo far rientrare alla Torre Scarlatta ogni membro o ex membro della nostra gilda. Questo luogo è l'unico sicuro, la barriera di Zephir ci protegge anche agli occhi delle divinità.» Il primo arcimago cominciò a diramare ordini con il piglio di un vero leader.

«Diramate più messaggi possibili, raggiungete chi non può riceverli. Chiunque si recherà sul continente, dovrà essere accompagnato da almeno un altro stregone, e soprattutto dovrà usare la massima discrezione. Quindi evitate luoghi o città dove potrebbero riconoscervi.»

Dopo qualche altra raccomandazione la riunione si sciolse, lasciando ogni mago solo con le proprie responsabilità. Alteria era il pensiero fisso di Selene, divorata dall'angoscia per averle suggerito di raggiungere la famiglia proprio in un momento del genere. 

***

SPAZIO AUTORE

Mi sembra doveroso fare una precisazione riguardante la Torre Scarlatta e la sua organizzazione.  

Uno stregone raggiunge il top della carriera in un età circa tra i 30 e i 40 dove si trova ad avere un giusto compromesso d'esperienza supportato ancora da un fisico scattante. Ho scelto di paragonare la loro vita a quella di un atleta per esigenze letterarie. Diciamo che in questo modo raggiungo il target di pubblico che voglio, inoltre la rendo "un'associazione" dinamica come mi ero prefissato. Quindi, con l'avanzare dell'età, la forza dei poteri tende a diminuire, e soprattutto, diminuisce il tempo con cui si può esercitarli. 

Fatta questa premessa, esiste anche la questione del "debito" con la torre. Non esiste un tempo preciso, ma si è legati alla Torre Scarlatta (e quindi alle missioni che i cinque arcimaghi assegnano) fino a quando vuole Zephir, e la volontà di Zephir è imperscrutabile. Una volta "assolto" il proprio debito, uno stregone è libero di fare ciò che vuole diventando un membro dormiente, ma anche in quel caso deve sottostare ad alcune regole non scritte. 

Il primo imperativo della torre è: DISCREZIONE. Non si possono palesare i propri poteri per diventare il Re di una nazione, ma nulla vieta di usare qualche trucco per guadagnarsi una posizione agiata nella società. La maggior parte dei dormienti si ritira a vita privata, esponendosi il meno possibile, godendosi le somme guadagnate durante la propria attività mercenaria, oppure usano i poteri per creare erbe e unguenti dalle blande proprietà magiche (come faceva Nemes). Altri si impiegano come cartomanti o prestigiatori, sfruttando quella coltre di superstizione che permea la popolazione nonostante i precetti religiosi della grande madre. 

Queste sono  delle informazioni che ho preferito non inserire nella storia per non spezzarne il ritmo, ma possono sempre interessare. 

Grazie per l'attenzione. 

Alessandro. 


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