Capitolo 3 - IN BALIA DELLA CORRENTE - terza parte

Le mura della Fortezza Celeste della città di Venis erano solide come l'abbraccio di un Titano di granito. Erano state costruite con la pietra estratta dai monti Dolomes, sovrani dormienti dai picchi ghiacciati che vegliano da diverse ere sulla valle estesa ai loro piedi. Spesse oltre due metri, sulla sommità erano attraversate da una doppia fila di merli, spezzata regolarmente da torri di guardia dalla forma circolare. Tonnellate di roccia che nel corso dei secoli avevano respinto calamità naturali e protetto la città portuale, importante crocevia del continente, da invasori e ribellioni. 

All'ombra del maschio principale della costruzione era stato allestito un palco di legno, dove una doppia fila di uomini d'arme, in alta uniforme, attendeva una personalità importante. Impettiti e con lo sguardo fiero, sollevarono le armi per il saluto d'onore, quando il tonfo dei primi passi del generale risuonò nel cortile gremito dalla folla.

Mizar raggiunse il bordo della struttura sopraelevata, passando in veloce rassegna la marea umana composta dalle dozzine di plotoni della sacra armata celeste che attendevano il suo verbo. La prima fila era occupata dai cavalieri celesti; le loro armature divine, scintillavano alla luce del sole. Tra questi scorse anche Alioth. Dopo la punizione era stato riammesso tra i ranghi con non poca riluttanza da parte dei commilitoni. Il generale, forte del parere del divino Ismael, considerava scontata la pena e aveva messo a tacere qualsiasi obiezione. Un brivido lo percorse lungo la schiena ripensando alla terribile pena che, con le sue stesse mani, aveva dovuto infliggere a quel ragazzo: i segni indelebili di quelle cento frustate lo avrebbero aiutato a conservare salda la fede per il resto della vita.Scosse la testa tornando a concentrarsi sul suo ruolo, avvicinando il pugno destro alle labbra per schiarirsi la voce. 

«Soldati, figli devoti della Grande Madre!» Enfatizzò una pausa per dare più peso a ciò che stava per dire. «Sono qui, di fronte a voi, perché ancora una volta siamo costretti a metter alla prova la nostra fede.»

Dalla folla il timido mormorio di chi aveva intuito il prosieguo del discorso solleticò le orecchie del generale.

«Tutti voi siete al corrente del vile attacco perpetrato alla Cattedrale di Florentia. Un'orda di malvagi figli della notte, assettati di sangue, ha osato profanare il sacro suolo della residenza del divino Emmaniel!» Mizar picchiò il pugno contro il leggio predisposto davanti a lui. «I nostri fratelli, al costo dell'estremo sacrificio, hanno respinto quelle empie creature. L'angelo custode di quel luogo, col cuore infranto dal dolore, è asceso nuovamente alla Grande Madre, abbandonando a tempo indeterminato questo mondo indegno d'ospitare tale messaggero di bontà e speranza.»

Così era stata mascherata la sua dipartita a opera di Alexandros. Emmaniel e i sei angeli sono da sempre considerati immortali e tale convinzione doveva rimanere granitica nella mente dei fedeli.

«Un pugno di nostri compagni, sopravvissuti all'attacco, ci ha riferito che, tale sconsiderata azione, è stata guidata da cultori dell'occulto conosciuti col nome di stregoni, provenienti da un luogo maledetto chiamato Torre Scarlatta.»

Urla di sdegno si levarono dalla platea imprecando e maledicendo i colpevoli del misfatto. Il generale si fossilizzò in una posa marziale per qualche minuto, dando tempo ai suoi uomini di sfogare la rabbia. Lo sguardo scivolò verso il cavaliere superstite all'attacco, investito dalla furia silenziosa dei suoi compagni d'arme. Erano gli unici a conoscere, assieme a Ismael, i dettagli dell'accaduto. 

Alioth assisteva all'orazione col capo chino e i pugni stretti allo spasmo. La pelle martoriata della schiena sussultava a ogni battito del cuore, rimembrando col suo tormento la colpa di cui si era macchiato.

«Per troppo tempo la loro eresia è stata tollerata, forti di un consenso tra la plebe guadagnato con false azioni di giustizia.»

«Uccidiamoli tutti!» gridò una voce, persa in quel tappeto d'uniformi e moschetti. Mizar chiuse gli occhi, invitando alla calma con un gesto della mano.

«Soldati!» Il tono della voce impennò improvvisamente. «Li perseguiremo con la determinazione e risolutezza che ci contraddistingue! Ci fermeremo soltanto quando il colpevole, o i colpevoli del vile attacco al cuore delle nostre istituzioni, saranno consegnati alla giustizia divina!»

L'impeto di quelle parole trafisse il cuore dei militari, alimentandone lo spirito con linfa al sapore di battaglia. Risuonò all'unisono un canto marziale intonato da diecimila guerrieri dalla fede incrollabile, determinati a strappare cuori impuri e offrirli in dono alla loro Dea. Diecimila invasati pronti a riversare la loro rabbia su chiunque trasgredisse la legge morale imposta dal credo religioso. Una nuova caccia alle streghe stava per cominciare.

Alioth si defilò appena terminò il discorso. I soldati attorno a lui si sparsero per il forte come una massa impazzita di formiche. Vedeva in loro bestie idrofobe, pronte ad azzannare qualsiasi preda gli si parasse davanti. Tutto era consentito in nome della Grande Madre, quando si trattava di eliminare l'eresia. Violenze, torture, sevizie e esecuzioni sommarie sarebbero da lì a poco cresciute in modo esponenziale: era veramente questa la volontà della Dea? Il dolore pulsava sulla schiena come un tetro parassita, ma i dubbi non si cancellavano, anzi, si abbeveravano in esso.

Gli era stata affidata la missione più complicata: nelle sue condizioni attuali non poteva essere altrimenti, trattandosi dell'elemento peggio visto nell'ordine e di conseguenza il più sacrificabile. Se avesse portato a termine il compito avrebbe riguadagnato considerazione, altrimenti sarebbe perito lontano da sguardi misericordiosi. Avrebbe fatto la fine che Ismael nella sua infinita bontà gli aveva condonato, ma al costo di un debito difficile da ripagare.

"Grande Madre, se ancora vegli sul mio cammino, proteggi la mia anima." si raccomandò, cercando di afferrare un'impalpabile volontà, sempre più sfuggente.

***

SPAZIO AUTORE

Chiedo scusa per la parte di capitolo più breve del solito, ma ho preferito spezzarlo da quello successivo.  

Ho trovato un programma per fare mappe fantasy, così potrò finalmente dare una forma a questo mio mondo inventato. Nel frattempo mi sono esercitato facendo una mappa della città di Venis. 

Visto il breve capitolo vi tedio con due informazioni in più sull'Armata Celeste. La gerarchia di questo esercito vede sulla sua sommità i Cavalieri Celesti così suddivisi:

Generale (Mizar)

Cavalieri di rango superiore (come Alioth)

Cavalieri di rango inferiore (come i defunti Pherkad, Dubhe e Merak) 

Se non fosse ancora chiaro, quando si viene insigniti di questo rango, si perde il proprio nome comune e si assume il nome di un astro. 

Sotto i celesti ci sono un vasto numero di soldati "normali" divisi tra ufficiali e non, secondo le classiche gerarchie di qualsiasi esercito. 

Per quanto riguarda il capitolo avrete notato che sul finale ho parlato di una missione per Alioth particolarmente rischiosa. Riuscirà il biondo cavaliere a riabilitare il suo nome riguadagnando la stima dei commilitoni?

Ora vi saluto e vi do appuntamento al prossimo capitolo.

Alessandro.  

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