Capitolo 3 - IN BALIA DELLA CORRENTE - finale

Al limitare della foresta dell'illusione c'era una roccia dalle dimensioni considerevoli, abbastanza grande da proteggere con la sua ombra un piccolo gruppo di esseri umani. All'apparenza insignificante, presentava sulla superficie d'arenaria una serie di chiazze di tenebra, schizzi di un pennello dal manico simile a un tronco d'albero, bruniture che sembravano esser state lasciate dalla forza di numerosi roghi.

Lo stregone guardava con un pizzico di nostalgia quei segni, risultato di tentativi fruttuosi e duri allenamenti. Mai avrebbe pensato, una volta ancora, di mettersi alla prova come un apprendista alle prime armi, che tentava di domare poteri reticenti a esser soggiogati.

Chiuse gli occhi e una lingua di fuoco si dipanò dal suo palmo destro fino alla dura pietra, causando un'altra macchia antracite.

Il risultato non lo soddisfò molto a giudicare da come scosse la testa e ancora meno dal pizzicore che sentì provenire dall'arto.

Pelle ustionata e bolle piene di liquido punteggiavano gli strati della cute del palmo, come se avesse maneggiato, senza protezione alcuna, dei carboni ardenti.

Il dolore era solo un tenue dispiacere e il lezzo della carne bruciata appena percettibile. L'insensibilità avanzava inesorabile, fagocitando a piccoli morsi ogni percezione.

Oltre a quello, i suoi poteri erano sempre più fuori controllo. Si sentiva come un neonato a cui veniva dato in gioco un coltello affilato.

"Quanto durerà questa condizione?" si domandò, senza trovare risposta.

Esmeralda e il resto del consiglio dei cinque arcimaghi l'avevano rassicurato che si trattava di una situazione momentanea. Parole pronunciate senza convinzione, che cercavano di scavare un solco immaginario tra speranza e rassegnazione.

«Alex.»

Una voce femminile scandiva il suo nome, l'unica che ancora presentava dolci note nella sua inflessione.

«Sei tu» si limitò a rispondere.

«Speravo di trovarti qui, ti ho cercato per tutta la torre.»

Lesse apprensione sul quel candido volto, oggetto delle sue attenzioni più benevole. Non si rendeva conto dei dispiaceri che le stava dando, ostaggio di una condizione che lo stava mutando in un involucro di carne senza emozioni.

Ad Alteria non sfuggì l'espressione colpevole con cui la fissò. Quegli occhi, carichi di vita e sentimenti, si spegnevano come lucciole morenti ogni volta che posava lo sguardo su di lui.

«Cos'hai fatto?»

Notò subito la mano ustionata, nonostante l'impacciato tentativo con cui tentò di celarla.

«Non preoccuparti, non è nulla» si sforzò di sorridere, ottenendo come risultato una smorfia indecifrabile.

Faticava addirittura a simulare l'emotività, ricordo che gli sembrava lontano quanto l'infanzia a un centenario.

La ragazza non si fece incantare e con delicatezza gliela strinse tra le dita sottili.

Mosse appena le labbra e una luce indaco, in reazione ai suoi impercettibili movimenti, si manifestò, fasciando con un abbraccio di bagliori l'arto ferito.

Nel tempo di un sospiro ustioni e pustole si ritirarono come onde del mare sulla sabbia.

«Sei diventata davvero brava» dovette ammettere lo stregone ripensando al passato, ai giorni spensierati dei loro incontri nel magazzino abbandonato della città di Mirtia.

C'era da aspettarselo, pur nascondendo altri scopi, si era sempre applicata sia nello studio che nella pratica come un primo della classe.

In quel corpo esile e delicato, nascondeva la tenacia di un guerriero.

Qualità che Alexandros, invece, aveva sprecato facendosi divorare dal desiderio di vendetta.

E mentre lei l'aveva inseguito e ritrovato, guidata dal più nobile dei sentimenti che ardeva l'anima come una fiamma inestinguibile, lui non riusciva a ricambiare come avrebbe meritato, ridotto all'impotenza dal peso dei propri errori.

«Grazie» rispose la ragazza, cercando le labbra del suo amato per unirsi in un bacio, delicato quanto un fiore reciso da mani inesperte.

Il senso del pudore che ancora l'accompagnava in quei semplici gesti, naturali tra due innamorati, faceva capire con quanta emozione li compiva.

«Alex, io...»

«Devi dirmi qualcosa Alteria?»

«Ecco, io...»

Esitò, affannandosi a respirare. Non era facile quello che stava per dirgli: sentiva il cuore palpitare e le mani impastarsi di sudore.

Separarsi, anche se solo momentaneamente, dopo tutta la fatica che aveva fatto a ritrovarlo, era qualcosa che le struggeva l'anima. Animata dal desiderio di rivedere casa, si era lasciata ammaliare dalle parole di Selene, ma ora, davanti a lui, quelle convinzioni vacillavano.

«Io pensavo di lasciare... la torre...»

Nonostante l'immagine di Alexandros che aveva amato dal primo istante in cui lo vide fosse solo un pallido ricordo su quel corpo scavato dal dolore, faticava a trovare le parole.

«...vorrei andare a trovare i miei genitori» trangugiò tutto d'un fiato, chiudendo gli occhi e portandosi le mani al cuore.

Lui ricambiò con una carezza, un gesto insignificante al mondo esterno, ma con cui manifestò briciole di sentimenti che ancora non erano state disperse dal suo animo malato.

«E che non vorrei separarmi da te.»

«Lo so.»

«Starò via solo pochi giorni.»

«Non ti devi... giustificare.» Lo stregone cominciò a balbettare in modo convulso, come se il bacio gelido della morte l'avesse colto all'improvviso. «Per seguire un desiderio effimero ho finito per rovinare anche la tua vita... quanto hai dovuto soffrire per...»

«Basta!» lo zittì lei, posandogli una mano sulla bocca. «Tutto ciò che ho fatto è stata una mia scelta.»

«Hai rischiato la vita a causa mia.»

Alexandros tremava come una foglia, ricordandosi di come le sue mostruose mani l'avevano trafitta. Il sangue della ragazza che colava sulla lama di ghiaccio era un'immagine marchiata a fuoco nella sua coscienza, una cicatrice, come quella lasciata sulla pelle di Alteria, che non sarebbe mai andata via.

«Lo rifarei milioni di volte, da qui all'eternità pur di starti accanto» disse lei, per cercare di sgravarlo dal peso dei suoi errori.

Si aggrappò alla sua maglietta per colmare la differenza d'altezza che li separava. Chiuse gli occhi e le loro labbra s'incrociarono ancora una volta. Afferrò ogni sensazione che quel prolungato istante le offriva e le mise nella tasca della sua fantasia, per poterla accarezzare e scaldarsi con essa nei freddi giorni che sarebbero seguiti.

Si lasciò cadere sui talloni indietreggiando qualche passo, smarrendosi ancora una volta tra i confini dell'uomo che amava.

«Devo andare, Maximilian si è offerto d'accompagnarmi e mi sta aspettando. A presto.» Si congedò con un tenue sorriso, mentre un raggio di sole risplendeva sulle sue guance.

Come un fiore che appassisce, la figura di Alteria che si allontanava nel prato diventava sempre più minuta.

Alexandros tese una mano verso di lei, come se cercasse d'afferrare qualcosa di sfuggente, un ricordo felice, un briciolo di vita al sapore di speranza.

Le dita si serrarono, racchiudendo in esse soltanto un pugno d'aria.

Per lui, quella ragazza splendeva di colori accessi, in un mondo fattosi completamente piatto e grigio. 

***

SPAZIO AUTORE

Si conclude così il capitolo. Ho preferito separarlo dal paragrafo precedente (anche se non è molto lungo) perché non volevo mischiare "argomenti"differenti. 

Dal discorso marziale del generale Mizar passiamo a un momento di intimità tra i nostri due protagonisti. La cera di Alexandros si fa sempre più brutta e Alteria appare come l'unico raggio di sole nelle tenebre che lo avvolgono. 

Riuscirà a "guarire" da questa condizione? E Alteria troverà un pizzico di serenità tra le braccia dei suoi cari?  

Ecco i nostri "piccioncini" in una bellissima fan art di Sheilaroug17 (che non finirò mai di ringraziare).   

Restate sintonizzati! 

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