Capitolo 1 - REWIND - prima parte

La nebbia si dissolve completamente e riesco a scorgere l'astro notturno più brillante baciarci con i suoi gelidi raggi. Lo spettacolo puntiforme del firmamento fa da sfondo alla tetra scenografia che ci circonda.

Sangue rappreso, armi abbandonate, cadaveri.

La scalinata di marmo è percorsa da rivoli di liquido carmigno. Gocciola in piccole cascate, tingendo di rosso il manto erboso dello sconfinato giardino che ci circonda.

Un alito di vento fa vorticare la polvere, i resti di chi, pavidamente, ha cercato di sopraffarci.

Ci gettiamo all'interno della costruzione: la massiccia porta che ne celava l'ingresso è soltanto un ricordo lontano, frammentato in trucioli di legno e assi spezzate.

Ai lati, come fedeli e impassibili guardiani, due statue di Cavalieri Celesti vegliano sul nostro arrivo con i loro sguardi scolpiti nella pietra. Gli schizzi di sangue che li imbrattano paiono lacrime versate per i loro compagni che giacciono inermi al suolo.

All'interno, lo spettacolo non cambia.

Vado cercando qualche segnale di vita, so che non si tratta della nostra missione, ma davanti alla speranza di salvare qualcuno non posso rimanere impassibile.

Nulla, solo silenzio e desolazione.

Le mani inconsapevolmente coprono il naso, gli occhi tremano per l'orrore.

Mai avrei immaginato di vacillare così, davanti a una distesa senza fine di cadaveri.

Mai avrei immaginato di trovarmi in una tale situazione.

Il fetore della morte mi assale, paralizzandomi.

Un dolore simile a un pugno dello stomaco mi piega in due, un rivolo acido mi brucia le labbra, prima di cadere, sulle lastre di granito che compongono il pavimento della cattedrale.

Sento una mano posarsi delicata sulla mia schiena...

***

«Selene, stai bene?»

Maximilian corse a sincerarsi delle condizioni della sua compagna. Il volto era pallido, pregno di sudore, nonostante la pelle al tocco risultasse fredda.

«S-sì» ansimò tra un rigurgito e l'altro «anche se ho avuto giorni migliori.»

Non aveva smarrito la voglia di scherzare e l'espressione contratta del ragazzo si distese leggermente.

«Scusami, ho solo avuto un attimo di smarrimento.»

Maximilian liquidò quell'inutile giustificazione inarcando le labbra in un timido sorriso. Provava le stesse sensazioni della compagna, anche se, cercava di mascherarle, dando fondo a tutto il suo autocontrollo. Aveva giurato a se stesso di essere il suo sostegno, e come tale, non poteva lasciarsi piegare o spezzare dagli eventi.

Ripensò a pochi giorni prima, quando nella Foresta dell'Illusione stava per essere sopraffatto dalla rabbia. Ricordò di come Selene lo aveva fermato, mettendo in gioco la propria vita.

"No, non posso più cedere alla debolezza rischiando di perdere ciò che ho di più caro."

Si smarrì davanti alla delicata bellezza della sua compagna: le lunghe ciocche corvine raccolte da una spilla, i lineamenti del viso contratti in una smorfia di disgusto, quel corpo snello e sensuale che aveva potuto assaporare nelle notti passate a condividere lo stesso giaciglio, l'anima fragile che emergeva nella luce frastagliata delle sue pupille.

In mezzo a quello scenario, l'unico a non aver perso il senno sembrava Tron. Scuoteva la testa scrutando le pareti, come se fosse in attesa di una risposta, da quegli spessi ammassi di pietra.

«Di là» disse, indicando un lungo corridoio che terminava in una bassa porticina dalle borchie d'ottone.

Selene e Max annuirono, sforzandosi di tornare concentrati sull'obbiettivo. La loro marcia riprese, facendo attenzione a non inciampare su quelli che erano i resti delle guardie della Cattedrale Celeste di Florentia.

***

Quando spalancarono la porta, furono investiti da una massa di pipistrelli che li travolse come onde dell'oceano in un giorno di burrasca.

Istintivamente si ripararono il volto, per proteggersi da quel nugolo di predatori notturni e dalle loro piccole zanne affilate.

Allo stormo seguì il rapido balenare di un lampo, che si infranse sugli stipiti dell'ingresso, sfiorando i tre stregoni appena sopraggiunti.

«Ah, siete voi.»

Una voce femminile, con un accento di imbarazzo manifestò tutta la propria sorpresa.

«Thundara, ma che...»

«Perdonate mia sorella e la sua irruenza, arcimago Tron, il suo incantesimo non era certo rivolto a voi» si scusò Bolton, seguito a ruota dalla ragazza, a capo chino e con le mani giunte.

«Spiegatemi la situazione.»

Il primo arcimago ignorò tutta la manfrina, non aveva intenzione di perdere tempo in chiacchiere inutili.

«Il signore dei vampiri... è scappato, dannazione!» imprecò Thundara, agitando il pugno destro come se dovesse colpire un fantasma.

«I pipistrelli erano ciò che rimaneva del suo corpo» precisò il ragazzo, indicando alcuni di essi stecchiti sul pavimento.

Non solo a terra giacevano quei ratti alati in cui Lothor aveva scomposto il suo corpo. Nell'alta volta della stanza erano presenti altri brandelli: pezzetti di pelle fusi dalle scariche elettriche, che inzaccheravano l'opera pittorica con cui era stato affrescato il soffitto della cappella.

Ora, insieme alla rappresentazione dei sei cherubini, che per volere della Grande Madre portavano doni agli uomini sulla terra, erano impresse macchie nere indelebili, provocate dalle bruciature degli incantesimi sprigionati dai due stregoni gemelli.

«Spiegatevi meglio» incalzò Maximilian, confuso dalle scarne parole proferite fino a quel momento.

«Stavamo affrontando il signore dei vampiri, responsabile dell'assalto alla cattedrale. Questo tizio, dopo aver saltellato da una parte all'altra della stanza per sfuggire ai nostri attacchi, ha trasformato il suo corpo in un nugolo di pipistrelli, schizzati in ogni pertugio che permettesse loro la fuga.»

«Affrontando? Se questo vuoi chiamarlo combattere» proseguì la sorella «ci ha solo preso in giro, facendoci perdere un sacco di tempo!» concluse, tremando per il disappunto.

Tron si grattò il mento perplesso prima di domandare:

«Esgarth?»

«Esgarth è corso a cercare Alexandros» rispose Bolton di slancio «il signore dei vampiri ha ammesso che si tratta di un suo complice.»

«Il signore dei vampiri vi ha sicuramente ingannato!» gridò Maximilian che aveva perso tutto il proverbiale aplomb. Avrebbe voluto stampare sulla faccia dello stregone del tuono tutta la sua frustrazione, se non fosse intervenuta Selene a trattenerlo.

«Maximilian, calmati» intervenne Tron, accigliato dopo quella rivelazione.

«Ma signore, io non posso credere che il mio maestro...»

«Silenzio! Dobbiamo attenerci ai fatti. Ho lasciato che tu venissi con me conoscendo la razionalità che ti contraddistingue. Se avevo bisogno di un ragazzino immaturo, avrei scelto il tuo allievo!»

Il primo arcimago si avvicinò a Maximilian per potergli parlare, guardandolo dritto negli occhi.

«Ricordati che c'è anche lui in questo luogo insieme alla ragazza ed entrambi potrebbero essere in pericolo.»

Il tono della voce era decisamente cambiato. Da quello imperioso e sferzante, che non ammetteva repliche, era scivolato su note più dolci. In quel momento, ricordava un padre premuroso che spronava un figlio indisciplinato a mantenere la calma, per dare il suo meglio.

Selene osservò inerme la scena. Lesse sul volto del proprio amato dapprima la rabbia per le parole di Bolton, poi l'imbarazzo per il rimbrotto subito. Osservò anche la massima autorità della Torre Scarlatta, conosciuto come un uomo freddo e distaccato, assumere una connotazione più umana.

Un buon leader forse era anche questo: non era sufficiente amministrare con l'autorità riconosciutagli grazie al suo immenso potere, bisognava saper trovare le giuste parole con cui spronare chi stava al seguito. Tron, in particolare, sembrava nutrire una discreta ammirazione per Maximilian, nonostante avesse recentemente insignito il suo rivale, Esgarth, al ruolo di arcimago.

«Max, ha ragione, andiamo» riuscì a dire Selene, sfiorando con le labbra l'orecchio dell'amico.

«Perdonatemi» aggiunse lui, che a pieno aveva compreso il proprio errore. Ma Tron, che non aveva bisogno di scuse, si trovava già a una fase successiva.

«Bolton, Thundara, cercate il signore dei vampiri che vi è sfuggito ed eliminatelo insieme alla marmaglia con cui si circonda!»

Il momento paterno si era rapidamente dissolto. L'uomo con i poteri di un Dio era tornato a esercitare le sue doti di comandante.

«Noi invece cercheremo di raggiungere Esgarth e Alexandros, e insieme a loro, anche Dass e Alteria, ovunque essi siano.» 

***

SPAZIO AUTORE

Sì, quando stavo scrivendo il finale di Destini Intrecciati avevo già intenzione di riprendere la scena della cattedrale. Al tempo, volevo concentrarmi sulla storia dei due protagonisti, senza perdermi in troppi dettagli con gli altri. Ed eccoli tornare in pompa magna in questo capitolo tutto dedicato a loro. 

Come dicevo in uno spazio precedente, l'aver introdotto tanti personaggi mi crea una specie di obbligo morale nei loro confronti, mi sento "costretto" a valorizzarli. 

Vale anche per voi altri autori? 

Non vi innamorate di tutti i vostri personaggi, non solo i protagonisti? 

O anche da semplici lettori, non vi capita di apprezzare più in un comprimario carismatico e ben descritto rispetto al protagonista?

Ora vi lascio, a settimana prossima. 

Alessandro 

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