Capitolo 1 - UNA NOTTE SENZA LUNA - terza parte


Posta circa a metà della torre più alta della cattedrale, un'ampia stanza circolare interrompeva il tortuoso serpentone di scale, che risaliva verso la cima della costruzione. La sala era spoglia di arredamento, eccezion fatta per le dodici colonne che sostenevano l'ampia volta. Agli angoli opposti terminavano e proseguivano le scale che collegavano la cima della torre con il corpo centrale della cattedrale.

Il suono di numerosi e rapidi passi provenienti dai piani più bassi si faceva sempre più incalzante. Un gruppo di vampiri stava salendo i gradini che portavano nella stanza. Con un  balzo i quattro saltarono all'interno pronti a uccidere chiunque cercasse di fermare la loro avanzata. Una salva di colpi di moschetto provenienti dal lato opposto della sala trapassò i corpi dei malvagi invasori inchiodandoli al pavimento. Il plotone di soldati, composto da una dozzina di elementi, era ben deciso a non farli passare oltre. Disciplinati in una formazione di due file, una in piedi ed una in ginocchio, erano pronti a dare la vita pur di difendere l'edificio più importante della cattedrale.

Dopo qualche istante i nosferatu si rialzarono da terra sghignazzando. I semplici proiettili erano in grado soltanto di scalfire i loro corpi privi di anima. Senza demordere, gli uomini esplosero altri colpi in direzione dei vampiri, ma i proiettili erano solo in grado di rallentarli e ferirli superficialmente. I demoni avanzavano assaporando già la vittoria sui loro deboli oppositori: li avrebbero dilaniati gustando il loro sangue fino all'ultima goccia. Una piccola sfera metallica rotolò vicino ai piedi degli invasori, suscitando in loro curiosità. La granata al magnesio illuminò la stanza a giorno accecandone i sensibili occhi. Rapide, come tuoni nella tempesta, tre figure fecero balenare le proprie armi, menando l'aria con mortal fendenti. Le quattro teste dai volti sfigurati dei vampiri rotolarono al suolo e i corpi si sbriciolarono nei momenti successivi trasformandosi in polvere. Tutto avvenne così rapidamente che la luce della granata stava ancora scemando. Quando si dissolse del tutto lasciando lo spazio alla tenue luce artificiale generata dalle torce, apparvero sulla scena tre cavalieri che indossavano armature scintillanti con l'effige della croce greca, simbolo del Sacro Ordine dei Cavalieri Celesti.

«Nessuno degli invasori dovrà riuscire a superare questa stanza!» Disse uno di essi, con la voce fiera e carismatica di chi è abituato ad essere un leader naturale. Si levò l'elmo rivelando il viso affascinante di un giovane dalla bionda chioma con non più di un quarto di secolo.

«Soldati, preparatevi per respingere ogni attacco. Se il nostro cuore avrà fede nella Grande Madre, i nostri corpi non conosceranno mai la sconfitta!»

Un urlo d'approvazione fu la risposta dei normali soldati, rinfrancati dalle parole e dalla presenza dei cavalieri celesti al loro fianco.

***

Con estrema pazienza, risaliva lungo la torre principale percorrendo uno alla volta i gradini. Il suo mantello, rosso come il cielo al tramonto, ondeggiava lungo i fianchi, le vesti nere lorde di sangue erano cinte da cinture e fasce di cuoio che si incrociavano lungo il petto e la vita, mettendo in risalto i muscoli asciutti. Sembrava far parte del gruppo di invasori, eppure non si trattava di un vampiro o di altra aberrazione del male. Era un umano in tutto e per tutto anche se un alone di mistero permeava la sua figura.

«Fermati, chiunque tu sia» intimò il cavaliere dalla bionda chioma. «E' vietato passare oltre!»

L'uomo sembrò ignorare l'avvertimento.

«Non sembri un vampiro, che ci fai assieme a quei mostri?»

«Potrebbe essere un loro accolito, nobile Alioth» intervenne una delle guardie armate di fucile.

Il cavaliere lo squadrò per qualche istante, percependo che da tale individuo non c'era da aspettarsi nulla di buono. Avvertiva in lui un enorme potere, qualcosa che non aveva mai sentito prima nella sua vita. Inoltre il suo odore era quello tipico di chi aveva le mani lorde di sangue.

«Vattene straniero, non costringerci ad aprire il fuoco.»

Paralizzato all'ingresso della stanza, l'invasore non sembrava minimamente prendere in considerazione le intimidazioni.

«E sia» disse il cavaliere celeste: «Soldati, fate fuoco!»

Un susseguirsi di proiettili scaturì dalle armi dei moschettieri in direzione del malcapitato che, per tutta risposta, tese un braccio nella loro direzione, aprendo il palmo della sua mano.

Accadde qualcosa di incredibile: i colpi di fucile rallentarono vistosamente fino a fermarsi, sospesi in aria a pochi centimetri dal loro bersaglio. Il mantello dell'uomo cominciò a ondeggiare come se fosse in preda ad una raffica di vento, la polvere nella stanza vorticò insieme ai proiettili che vennero dispersi sotto gli sguardi increduli dei presenti.

Davanti al palmo dell'invasore cominciò a prender forma una misteriosa sfera fatta di energia incandescente che crebbe di dimensioni fino a raggiungere quelle di una palla da calcio. Ci fu uno sferzante sibilo quando la sfera scattò in avanti disegnando nell'aria una piccola parabola discendente. La tremenda esplosione che ne seguì, fu talmente forte da far tremare le pareti. Quando si dissolse la coltre di fumo scaturita dopo la deflagrazione, si presentò agli occhi dei superstiti una scena a dir poco raccapricciante: a terra giacevano dilaniati i cadaveri dei fucilieri, i loro corpi erano completamenti arsi, resi irriconoscibili dall'enorme calore sprigionato e le carni sfrigolavano per i liquidi che ribollivano al loro interno.

I tre cavalieri fuggiti alla carneficina osservavano la scena con occhi spalancati dall'orrore.

«Che razza di mostro sei?» chiese Alioth colmo di rabbia. «Quale forza distruttiva hai usato per compiere questa strage?»

«Allora le voci che abbiamo sentito devono essere vere» esclamò il più longilineo dei tre superstiti con voce femminile.

«Cosa intendi Dubhe?» domandò il terzo cavaliere, il più anziano del gruppo.

«La sua presenza ne è la conferma, gli stregoni hanno deciso di uscire allo scoperto, e a quanto pare sono ostili a noi cavalieri celesti.»

La donna puntò il dito contro il nemico per dare ulteriore enfasi al suo discorso.

«Stregoni, e pensare che fino a pochi decenni fa si credeva che la magia non fosse più prerogativa dell'uomo.» Alioth osservava il tizio ancora incredulo per ciò che aveva fatto. Rimproverava se stesso per averlo sottovaluto, per avergli permesso di cogliere la vita di dodici valenti soldati devoti alla Grande Madre. «Oh mia Dea, accogli tra le tue braccia le anime giuste di questi tuoi figli che si sono sacrificati per la difesa del tuo sacro tempio».

«Spostatevi!»

La richiesta dello stregone arrivò inaspettata.

«Non lo ripeterò ancora, fatevi da parte.»

Gli occhi ferini dell'invasore spiccavano tra le ciocche di capelli corvini che ne spazzavano la fronte.

«Come osi muover tali richieste dopo che hai massacrato decine di servitori della Dea Celeste?» tuonò il più giovane tra i cavalieri mettendo mano alla spada, ben deciso a non rendere vana la morte dei suoi commilitoni.

«Lo lasci a me nobile Alioth!» intervenne il più anziano frapponendosi tra i due contendenti.

«E sia Merak, ma fa attenzione, non è avversario da sottovalutare.»

Difeso da una scintillante armatura argentea, Merak era un uomo di mezza età con due piccoli occhi nocciola che emanavano saggezza e potere. La folta barba rossiccia fuoriusciva da sotto l'elmo, alternando il suo colore naturale a quello delle canizie. Armato di un'ascia da guerra dagli intarsi dorati, era considerato un abile combattente dell'ordine dei cavalieri celesti, veterano di mille battaglie.

Lo stregone lo squadrò da cima a fondo, la sua corazza era finemente intagliata dalle divine mani dell'Angelo Forgiatore. Si narrava che tali vestigia erano in grado di fornire ai loro possessori capacità sovrumane.

Merak si mosse talmente veloce che normali occhi umani avrebbero faticato a seguirlo. Balzando a un passo dal suo nemico si produsse in un rapido fendente dall'alto verso il basso che avrebbe dilaniato la sua vittima , se questa con un riflesso istintivo non si fosse spostata all'ultimo momento.

«Come fa a esser così veloce con addosso quell'armatura» pensò, mentre Merak lo incalzava con colpi rapidi e precisi. Per fermare l'ultimo attacco lo stregone incrociò le braccia avanti a sé bloccandolo con gli avambracci protetti da un incantato bendaggio di pelle.

«Formidabile quella tua protezione! Sottile e leggera, ma così resistente da bloccare la lama della mia ascia!» esclamò Merak «ma sei stato fortunato, se avessi messo tutta la mia forza nel colpo le tue ossa sarebbero andate in frantumi!»

Nonostante la pelle magica che lo proteggeva avesse impedito al fendente di farlo a pezzi, le braccia gli dolevano parecchio.

«Non sarai altrettanto fortunato!» disse il cavaliere prima di gettarsi nuovamente all'attacco. Merak scagliò un colpo potentissimo verso il bacino dello stregone che riuscì a schivarlo balzando fino quasi al soffitto sospinto da una forza sconosciuta. Il mago approfittò dell'istante di incredulità in cui si trovava il suo avversario per scagliare una vampata di fiamme dalla sua mano destra che andò a colpire e avvolgere il corpo del cavaliere.

Lo stregone atterrò al suolo convinto di aver concluso lo scontro, ma sgranò gli occhi colmi di sorpresa nel vedere Merak quasi illeso.

«Ti vedo sorpreso» disse il cavaliere godendo nel leggere l'espressione sconcertata del suo nemico «ma devi sapere che ascia e armatura sono protette dalla magia delle nostre divinità e i tuoi trucchetti da saltimbanco con me risultano del tutto inefficaci.»

Merak partì alla carica con rinnovato vigore, nonostante la velocità e la difesa più che efficace del suo avversario, riuscì a ferirlo a un braccio.

«Non hai speranza!» esclamò, mentre il mago si toccava la ferita che sanguinava leggermente. «E' tempo di vendicare i miei compagni vigliaccamente uccisi dal tuo incantesimo.»

Il cavaliere celeste sollevò l'arma concentrando tutta la sua forza in un potentissimo attacco, ma lo stregone, con un avanzamento fulmineo, lo bloccò con il dorso dell'avambraccio sinistro mentre si trovavano ancora in alto. Dall'altro braccio, puntato contro il volto dell'avversario, si sprigionò una gelida lama di ghiaccio che andò a trafiggere la gola di Merak in uno dei pochissimi punti che l'armatura lasciava scoperta. Con l'ultimo alito di vita, strozzato dal sangue che gorgogliava fuori dalla mortale ferita, il cavaliere franò in ginocchio guardando negli occhi per l'ultima volta il suo assassino.

Poi cadde inerme, contro il pavimento di fredda pietra.

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