7. Acererak
Oltre, il principio di una rampa di scale scendeva ancora verso il basso, ma il cammino era ostacolato da numerose e intricate ragnatele, che pulsavano come fossero vive e fremevano, quando la luce della torcia le lambiva. Quel dettaglio non sfuggì ai loro occhi attenti, e accendendo una torcia normale si fecero largo tra i fili, bruciando quelli che bloccavano il passaggio. Lambite dalle fiamme, le ragnatele si tesero e restrinsero, fino ad appiattirsi verso le pareti, dove le fiamme non potevano arrivare.
La rampa di scale scendeva per qualche metro, poi si fermava a una nuova porta, che questa volta si aprì facilmente sotto il tocco dello gnomo. Il nuovo corridoio si mostrò sfocato, coperto di una spessa e densa nube che all'apertura della porta si mosse verso di loro, investendoli.
Solo Ben non ebbe la prontezza di trattenere il respiro, e la nube penetrò le sue narici, insinuando si nel suo corpo e scompensando le sue terminazioni nervose. Giunta alla mente, l'insidiosa nebbia trasmise al guerriero una forte e irresistibile sensazione di pericolo e senza riflettere, l'uomo si voltò e corse indietro lungo le scale, fino alla botola e al sicuro corridoio soprastante.
Furono necessari diversi secondi perché il suo respiro tornasse regolare, e il battito riprendesse la costanza abituale. Quando discese trovò i compagni intenti a scacciare la nebbia, allontanandola con un vento magico il tanto sufficiente da rivelare una porta, che lo gnomo si prodigò ad aprire il più velocemente possibile. La corrente d'aria scatenata dal nuovo ingresso disperse definitivamente la nebbia, permettendo a tutti di respirare nuovamente aria pulita.
«Tutto a posto Ben?» chiese Jord voltandosi verso il compagno e questi annuì, completamente libero dall'effetto provato poc'anzi.
Oltre la porta, una nuova rampa di scala scendeva ancora, tanto che alla fine ebbero tutti l'impressione di calarsi nelle viscere stesse della terra. L'impressione di essere giunti quasi al termine del viaggio li investì, quando le scale terminarono e si aprirono in un'unica stanza, senza altri ingressi oltre quello dal quale era giunti.
Sulle pareti, scaffali antichi giacevano inclinati e spezzati, e il contenuto era sparso sul pavimento, infranto e scheggiato. Si trattava per la maggiore di ingredienti alchemici, provette e fiale per pozioni distrutte in mille frammenti e tomi gettati alla rinfusa in ogni angolo di quel piccolo luogo. L'impressione generale era che qualcuno, in preda a una forte rabbia avesse deliberatamente riversato tutto ciò che trovava a portata, mandandolo in pezzi a terra senza ritegno.
Solo un angolo era scampato a quel devasto, e lì, su un divano ricoperto di un mantello di oro lucente, il corpo di un lich sedeva compostamente, all'apparenza privo di coscienza. Sul capo spiccava una splendida corona anch'essa d'oro, e il corpo marcito e grigio vestiva degli abiti sontuosi, simili per fattura a quelli di un mago dell'anta nobiltà.
L'unica altra macchia di colore dell'angolo, oltre all'oro del divano e della corona, era uno scrigno verde giada, posato accanto ai piedi della creatura come a invitare i nuovi arrivati a farsi avanti.
Tutto pareva avvolto da un velo di immobilità, e nonostante il ribrezzo provato per quel corpo privo di vita, lo gnomo ebbe l'ardire di muovere un passo all'interno, con l'idea di osservare più da vicino quel tesoro incustodito.
D'un tratto, le cavità orbitali del teschio del lich brillarono e questi sollevò la testa, mentre una voce tonante usciva dalle sue labbra immobili:
"Chi osa disturbare il riposo di Acererak? Avete trovato la vostra morte."
disse il lich, ergendosi poi in tutta la sua altezza e puntando il suo tetro sguardo verso di loro.
Paralizzato dal terrore, Warrod cominciò a tremare vistosamente, poi il suo corpo agì senza controllo, e il piccolo gnomo si nascose dietro le gambe di Jake, sperando così di non incrociare più lo sguardo vitreo della creatura.
Senza attendere l'azione successiva del lich, Ben estrasse lo spadone e caricò, seguito dal fischio delle frecce di Jake, che arrivarono un istante prima di lui e penetrarono nel corpo della creatura, sortendo però pochissimo effetto. Anche la sua lama trovò la carne marcita dell'essere e vi penetrò con facilità, ma quando riemerse un ghigno di sfida apparve su quello che un tempo era stato il sorriso di un umano, mentre dalla ferita aperta usciva solo qualche residuo di pelle morta.
La risata tetra e gutturale del lich invase il guerriero, che a quella distanza riusciva a distinguere il tanfo mortale della pelle marcita e del suo interno, quando la bocca si spalancò in un urlo feroce.
Ignorando lo spadone che scalfiva le ossa e l'epidermide rimasta aggrappata ad essa, Acererak alzò il braccio, puntando il dito scheletrico verso l'uomo davanti a lui. Senza che un suono uscisse dalle sue labbra, la falange si tinse di un freddo verde brillante e una sfera del medesimo colore guizzò da lui al corpo del guerriero, penetrando l'armatura e la pelle fino a giungere agli organi interni. Ben urlò, mentre il freddo di quel tocco si insinuava nel suo corpo e lo stritolava, e fitte di dolore si propagarono dal punto colpito fino alla mente, lasciandolo stordito e debilitato come raramente si era sentito fino quel momento. All'esterno il suo corpo non aveva alcuna ferita evidente, ma all'interno sanguinava e pulsava, bruciato da quella morsa gelata capace di strappare anche l'anima.
Barcollò, cercando di mantenersi presente al combattimento, e con grande difficoltà strinse più forte l'elsa dello spadone, cercando di individuare un punto debole della creatura per ripagarla dello stesso dolore che ancora sentiva scorrere nelle sue vene.
Il lich in risposto lo sfidò, uno sguardo divertito intuibile nella pelle contorta e il dito teso pronto a ripetere lo stesso trattamento che aveva appena interrotto.
Preparandosi a quella che immaginava sarebbe stata la sua fine, Ben percepì appena il canto dei compagni dietro di lui, scorse di sfuggita altre due frecce che colpirono la creatura distogliendola per qualche secondo da lui, e poi la vite ghignare ancora, quando le parole di Warrod cessarono senza sortire alcun effetto apparente.
Con una risata, il non-morto si voltò ancora verso di lui, stese la falange, e mentre un nuovo globo si estendeva dalla punta, anche il canto di Jord e Spock cessò, e Ben vide due colonne di fuoco e fiamme fondersi e abbattersi dal soffitto sulla creatura, evitando lui per un soffio e avvolgendola nelle sue spire fino a nasconderla alla vista.
Le urla disumane del lich risuonarono nella sua mente, coperte a tratti dai sibili del fuoco che ne lambiva la carne marcita, e quando entrambi i suoni scemarono e l'intensità luminosa si affievolì abbastanza da permettergli di osservare, vide le fiamme diradarsi e mostrare solo una fine polvere d'ossa che volteggiava, e la pesante corona d'oro che impattava con violenza sul terreno.
Un sospirò gli sfuggì dalla labbra, ma prima di poter gioire, un rombo esplose nella camera e il pavimento cominciò a tramare con tanta violenza da farlo sbandare. Enormi crepe apparvero nel soffitto e questo iniziò a frantumarsi, facendo crollare i grossi massi di pietra sui malcapitati all'interno della stanza. In un ultimo moto di lucidità, Ben afferrò lo scrigno verde che giaceva a pochi passi da lui, poi si voltò e incitato dai compagni cominciò a correre, attingendo a tutte le ultime energie rimaste. La stanza crollò alle loro spalle e lo stesso iniziò a fare il corridoio, mentre le scale tremavano e si spaccavano e le pareti collassavano al loro passaggio.
I compagni corsero disperatamente verso la salvezza, evitando i massi che crollavano accanto a loro, immergendosi nella polvere dei detriti frantumati, con la vista annebbiata dalla fatica e da quel tumulto che il sotterraneo stava scaricando su di loro. Il corridoio terminò e con un balzo superarono la fossa della porta, per poi riprendere a corre sempre più disperatamente vedendo le pareti restringersi e il passaggio verso la salvezza farsi sempre più lontano.
La sala della cappella si scorgeva appena tra due porzioni di muro che collassavano su se stesse e con un balzo in avanti si lanciarono oltre l'ingresso, sentendo le pietre abbattersi poco dopo e vedendo il passaggio chiudersi inesorabili dietro di loro.
Mai avrebbero pensato di trovare quel luogo salvifico e rassicurante, e ignorando l'atmosfera tetra che irradiava si accasciarono a terra, cercando di allontanare il pensiero di essere quasi morti dentro quel malefico tunnel. Le pareti della cappella sembravano reggere solide e immutate a quel terremoto improvviso e a quella vista tutta la tensione scemò, sostituita dalla consapevolezza di essere usciti vivi dall'ultima trappola di Acererak.
Quando infine il panico scemò e la stanchezza si affievolì, Ben ormai vicino a perdere i sensi, chiese a Jord di porre rimedio alla fredda morsa che ancora sentiva dentro di sì; le parole calde del chierico lo avvolsero e quel calore si irradiò sotto la pella a contatto con le sue mani, infondendosi e cancellando il freddo che lo aveva attanagliato fino a quel momento.
«Ti ringrazio» mormorò quando Jord riaprì gli occhi, e l'amico gli sorrise con sguardo preoccupato.
«Dovresti smetterla di rischiare la vita in quel modo. Questa volta ci sei andato molto vicino».
Lo scambio tra i due venne interrotto da Spock, che recuperò lo scrigno portato in salvo dal guerriero e li richiamò, per aprire insieme l'unico bottino sopravvissuto a quella fuga.
All'interno, sette fialette di un liquido azzurro sconosciuto stavano ritte in fila, accanto a due pergamene antiche e in perfette condizioni. La prima racchiudeva degli incantesimi, che sarebbero tornati utili in seguito per le loro avventure.
La seconda però fu come uno schiaffo in pieno viso; inscritte in un inchiostro rosso vivo, le ultime parole di Acererak li salutavano:
"I miei complimenti per essere caduti nel mio inganno. Spero che la corsa sia stata di vostro gradimento. Vi attendo ancora nelle mie stanze, se mai riuscirete a raggiungermi"
«Cosa diamine significa?» esplose Jake, frustrato «Non era Acererak quello?».
«A quanto pare no» rispose tetro Warrod. «Ci ha ingannati».
«Ma come dovremmo fare a proseguire? Il tunnel ormai è crollato, non c'è modo di percorrerlo» continuò Ben, condividendo la stessa frustrazione dei compagni.
Jord nel frattempo si era mosso verso l'ingresso al tunnel, e aveva fatto una triste scoperta, che non esitò a trasmettere agli altri.
«Guardate» disse loro, mostrando come la mano passasse attraverso i massi che distinguevano chiaramente oltre la parete «Era solo un'illusione. Tutto il crollo dev'essere stato tale. Ci ha davvero ingannati».
La delusione li invase, e la sensazione di essere stati manovrati, fin dai primi passi mossi in quel sotterraneo fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Stanchi, indeboliti e frustrati, decisero di non voler passare neanche un'ora in più tra le grinfie del subdolo mago; all'unanimità scelsero dunque di abbandonare la collina e di tornare sotto il benevolo cielo di Irvania, decisi a non permettere al mago di controllarli ancora per il proprio divertimento. Uscendo, Spock sigillò l'ingresso con la stessa pietra del tunnel, poi insieme ricoprirono l'ingresso con il fango scavato, per esseri sicuri che nessun malcapitato penetrasse per sbaglio in quell'infido sotterraneo.
«Chissà, magari un giorno torneremo» pensò lo gnomo in sella al suo pony, voltandosi indietro verso la collina, mentre i compagni cavalcavano già verso la città.
Il sole aveva infine vinto la battaglia contro le nuvole, ma i suoi caldi raggi non riuscivano a cancellare il tetro aspetto di quel pendio e dei monoliti che, ora ne era sicuro, avevano la forma del ghigno divertito del mago Acererak.
[continua... forse]
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