5. La tenebrosa Cappella del Male
Rientrati alla sala delle sfere, scelsero di imboccare il cunicolo adiacente a quello appena percorso, che dall'ispezione dello gnomo si era rivelato stretto solo per i primi venti metri; oltre scendeva verso il basso, allontanandosi dal soffitto fino a permettere a tutti loro di camminarvi all'interno.
In fila indiana e dietro il ladro, il gruppo percorse il corridoio, scendendo ancora più in profondità tra le viscere della tana di Acererak. Al termine del tunnel, Warrod individuò una porta nascosta, che fece scattare per aprire il passaggio.
Davanti ai loro occhi si aprì una vasta sala, che la torcia retta da Jord faticava a illuminare del tutto. Al centro, grossi banchi di legno simili a quelli di un tempio diedero loro i primi indizi della funzione del luogo, ma fu solo quando lo percorsero interamente che ebbero la loro conferma: su una pedana di marmo rialzata era adagiato un altare dello stesso materiale ma completamente nero. Ai suoi fianchi, due alti candelabri e una sedia riempivano la pedana.
«Siamo finiti... In una cappella?» mormorò Jake spaziando con lo sguardo sulla sala e notando gli affreschi alle pareti; scene di vita quotidiana decoravano il contorno del tempio, ma avevano qualcosa di insolito e sbagliato. Avvicinandosi, il ranger notò che tutti i volti, le mani, i piedi delle persone raffigurate erano marci e putrefatti e che dai loro occhi uscivano grossi vermi, che spuntavano anche dal naso e dalle orecchie.
«Sì, ma dubito che sia costruita in onore di un dio benevolo. Non sentite questa atmosfera opprimente?» confermò Jord, osservando l'altare e gli ornamenti disposti intorno.
«Guardate, un altro arco» disse Warrod indicando il lato ovest della cappella. Era del tutto simile a quelli precedenti, ma questa volta a pochi passi dall'ingresso giaceva un scheletro, ancora in armatura, che con un dito scheletrico indicava l'entrata nella nebbia.
«Molto invitante...» continuò lo gnomo, con un tono che voleva essere disinvolto, scherzoso per giunta, ma che gli uscì solo leggermente stridulo. Se c'era una cosa che in tutti i suoi anni di vita non era mai riuscito a superare, era la paura per tutto ciò che era non-morto. Neanche la pace trovata presso il tempio di Olidammara era riuscita a mettere fine a quella fobia istintiva e tenace. E trovare due, uno dopo l'altro, dentro quel tunnel stava iniziando a rivelarsi ben più di quanto era disposto a sopportare. Il pensiero che ancora dovevano incontrare il signore dei lich in persona lo destabilizzava al punto da paralizzarlo sul posto, ed ebbe bisogno di tutta la sua tenacia per riuscire a non arretrare fino all'uscita della tomba.
Cercando di evitare lo scheletro, e lasciando ai compagni il compito di esaminarlo, lo gnomo si mosse verso la parete opposta, in cerca di un percorso alternativo all'arcata di nebbia. Fu esaminando un angolo del muro che scorse una piccola cavità a forma di "O", grande a sufficienza perché vi entrasse una moneta o un piccolo ninnolo.
"O meglio ancora, un anello" realizzò, ripensando al tesoro appena guadagnato e all'indovinello.
«Credo di aver trovato il prossimo accesso» disse ai compagni, che lo raggiunsero e osservarono la cavità sulla parete.
«Il saggio non avrà bisogno di sacrificare altro che un cerchio di magico metallo!» esclamò Jake, mentre lo gnomo estraeva dallo zaino la teca di cristallo. «Ottimo lavoro piccoletto».
L'anello entrò con precisione nella cavità e la parete tremò, mentre una sezione a forma di cono si abbassava inglobando il pegno e rivelando un'entrata nascosta.
«Acererak, arriviamo» mormorò Warrod eccitato.
Oltre la sezione di pietra, un nuovo tunnel si apriva nelle tenebre e come per i precedenti, il gruppo procedette in fila, lasciando che lo gnomo individuasse e disattivasse gli ostacoli; la strada proseguiva in piano per qualche metro, prima di sfociare in una rampa di scale di pietra che scendeva nell'oscurità. Più avanti, il cammino era bloccato da una porta, e da una trappola che Warrod individuò con facilità esaminando i cardini.
«Aprendo la porta scatta una botola» disse ai compagni, mentre si adoperava per bloccare il meccanismo. «Davvero astuto, chissà quanti metri di salto ci sono qui sotto».
La porta stessa era un trabocchetto, perché se aperta senza prestare attenzione, il pannello di legno avrebbe ruotato su se stesso, facendo perdere l'equilibrio al malcapitato e facendolo precipitare nella botola. Con attenzione, lo gnomo bloccò anche il listello, poi si dedicò alla serratura e con cura sfilò i denti che la tenevano chiusa.
Dietro la porta il corridoio proseguiva, ma l'architetto del posto aveva cambiato stile: le pareti non erano più di prezza grezza e imprecisa, ma di fine marmo levigato, mentre il pavimento si dispiegava candido davanti a loro, rivestito di liscio alabastro. Da qualche parte, oltre la zona illuminata, si percepivano i primi veri segni di vita del sotterraneo: una musica suonava dolce e leggera, accompagnata dal suono cristallino di un canto e dallo scoppiettare di un fuoco vivace.
«Ma dove siamo finiti?» sussurrò Jake mettendo piede nel corridoio dietro lo gnomo, guardandosi intorno spaesato dalla raffinatezza della struttura e dalla dolcezza della musica.
«Non lo so, ma non mi piace. C'è qualcosa che non torna in questa zona» gli rispose piano Warrod, che stava avanzando davanti a lui di qualche passo. Era troppo lontano perché potesse sentire Ben, che chiudeva la fila dietro il chierico e il druido, mormorare infastidito «Come se avessimo trovato anche solo una cosa normale in questo posto». Niente di quel sotterraneo gli piaceva e quella non era che l'ultima delle stranezze di un posto anormale e malsano.
Man mano che avanzavano nel corridoio, la musica in lontananza scemava, come se il suonatore stesse procedendo in avanti a sua volta, allungando però la distanza dal gruppo.
D'un tratto la musica cessò del tutto, e il corridoio terminò davanti a un grosso portone in legno rivestito di sbarre di rinforzo metallico. Ogni tentativo dello gnomo di scassinarne la grossa serratura fu vano, come tutti gli sforzi che fece per manometterne i cardini.
Sbuffò, infastidito di trovarsi davanti a una delle rarissime porte di tutta Irvania capaci di resistere alla sua esperienza, e si rabbuiò, pensando di essere arrivato al capolinea di quella spedizione per il momento infruttuosa.
«È inutile» fu costretto ad ammettere ai compagni «La serratura non cede. Fine del viaggio» con un tono tanto desolato da costringere i compagni a sforzarsi maggiormente per cercare una soluzione alternativa.
«Potremo sfondarla» propose infine Ben, quando si accorse che nessuno riusciva a trovare un'idea più pulita «Sembra resistenze, ma sono sicuro che cederà sotto numerosi colpi di spadone».
«E con il metallo come pensi di fare?» domandò Spock dando voce al pensiero di tutti gli altri.
«Forse possiamo sfondarlo. Magari se lo colpiamo insieme, riusciamo a farlo venire giù».
Jake accanto a lui scosse la testa «Non credo sia possibile, non siamo abbastanza forti. Un conto è il legno massiccio, un altro il ferro. Quelle sbarre sono rinforzate, non basteranno le spallate di quattro uomini per piegarle».
«Di quattro uomini magari no» riprese Spock con un sorriso soddisfatto sul volto «Ma se le desse un orso?».
«Saresti in grado di assumere le sembianze di un orso?» domandò stupefatto il ranger, che fino a quel momento lo aveva visto sempre e solo trasformarsi in un rapace.
«Non solo le sembianze, ma anche la forza. Lasciatemi provare» e così dicendo il druido si allontanò lungo il corridoio, per non intralciare gli amici durante la metamorfosi.
Come era solito fare quando modificava il suo aspetto in quello di un'aquila, immaginò i propri arti tramutarsi, il corpo piegarsi e la testa adattarsi alla nuova forma; questa volta però, al posto delle piume sentì una folta pelliccia farsi largo tra la pelle, la schiena piegarsi fino ad assumere una posizione orizzontale; il volto si allungò, lasciando lo spazio per le grosse fauci e per il muso sporgente, e le mani si ingrossarono e divennero tozze, per poi coprirsi della stessa peluria bruna del resto del corpo.
In pochi secondi, al posto dell'umano vestito di pelli che era stato, il corridoio ospitò un grosso Grizzly, dall'aspetto minaccioso e selvatico. A un suo cenno del muso i compagni si allontanarono dalla porta e con una rincorsa furiosa, l'animale impattò sulla porta, mandandola in frantumi.
La sua corsa si bloccò un paio di metri oltre, mentre le schegge di legno e ferro volarono in avanti, cadendo sul bianco pavimento che si perdeva nel buio.
Come era arrivata, la pelliccia scomparve dentro la pelle, e il druido riassunte le sembianze iniziali; tutto ciò che si era portato dietro fin lì tornò a occupare il suo posto sul suo corpo, come se la metamorfosi non fosse mai cominciata e nel corridoio vi fosse sempre stato soltanto Spock.
«Non smetterò mai di stupirmi di questa tua capacità» gli disse Ben, osservando ammirato il varco aperto in ciò che restava del portone.
«Spero di non doverlo rifare. È stato poco piacevole» fu l'unica risposta del druido.
Lo gnomo li superò, analizzando la porta e il corridoio che continuava più avanti.
«Sono sicuro che non ce ne sarà bisogno. Non possono esserci molte altre serrature come quella» disse poi scavalcando i rimasugli ferrosi. «Avanti, proseguiamo».
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