Manovra Critica, Parte I

"Chi è lei?"

"Mi riceve?"

"Si, la sento benissimo. Chi è?"

"È difficile da spiegare."

"Ci provi!"

"Diciamo che sono la cosa più vicina a uno psicologo che viaggi su questa nave."

"Cosa vuole da me uno psicologo?"

"Ha saputo del guasto al CASP?"

"Si, ma non vedo come questo spieghi la sua chiamata."

"Il CASP si occupa della cura dei passeggeri, soprattutto per quanto riguarda la loro salute mentale. Ora che il computer è andato dobbiamo ricorrere a metodi più rudimentali."

"Capisco, però io non sono un passeggero. Sono il capitano."

"Lo so, ma non può comunque esimersi dal controllo. È una misura di sicurezza."

"Ci vorrà molto? Ho parecchio lavoro da fare qui."

"Dipende solo da lei, capitano. Più sarà collaborativo, meno tempo le prenderò."

"Bene. Cominciamo allora."

"Per prima cosa, vorrei chiederle cosa intende con 'qui'?"

"Scusi?"

"Lei ha detto che ha molto lavoro da fare qui. Cosa intende con 'qui'? Si riferisce a questa nave? O parlava di qualcosa di più specifico?"

"Ahahahahah. Ha intenzione di analizzare quello che dirò parola per parola?"

"Il lessico che usiamo dice molto di noi, identifica il nostro modo di pensare e di vedere il mondo. Per facilitare le cose devo chiederle di non fare ulteriori domande sul mio modo di lavorare e limitarsi a rispondere a quello che le chiedo. Non voglio sembrarle sgarbato, ma risparmieremo molto tempo in questo modo."

"Come vuole, doc."

"Allora, cosa intende con 'qui'?"

"Beh, intendevo la mia cabina, credo, ma anche la nave può andare. Non lo so, non ci ho fatto neanche caso mentre lo dicevo."

"La sua cabina?"

"La mia cabina, sì. C'è qualcosa di strano, per caso? 'Centro di comando' le piace di più?"

"Il Centro di comando, certo. Me ne parli."

"Perché?"

"Cosa avevamo detto riguardo alle domande?"

"Lo so, ma deve ammettere che le sue sono davvero strane."

"Ha mai parlato con uno psicologo prima?"

"No, io... veramente no."

"Allora come fa a sapere quali domande sono strane?"

"Beh, le sue... va bene. Ha vinto lei."

"Allora, mi parli del Centro di comando."

"Ammetta però che in realtà lei è curioso. Chi non vorrebbe vedere il Centro di comando? È un vero peccato per voialtri che l'accesso sia limitato al solo capitano, da qui godo di uno spettacolo che pochi umani possono dire di aver visto."

"Capitano, la prego. Ho molte cose da fare, la gente è piuttosto nervosa senza il CASP. Non hanno molti svaghi, non possono neanche vedersi un film senza quel computer. Lei stesso ha un sacco da fare. Finiamo questa cosa in fretta e torniamo tutti al nostro lavoro, va bene?"

"Va bene, ha ragione. Allora, il Centro di comando. L'ho chiamato cabina prima perchè somiglia molto a una cabina passeggeri, con l'aggiunta di un gran bel pannello di controllo al posto della scrivania. Non c'è molto da dire sul pannello, solo un sacco di bottoni, manopole e schermi che non perderò tempo a descrivere, se è d'accordo."

"Sono d'accordo. Riguardo allo spettacolo di cui parlava?"

"Ci stavo giusto arrivando. Sopra il pannello c'è il vero pezzo forte del Centro: il vetro panoramico. Per ragioni di costi e sicurezza è l'unica finestra sull'esterno. Avrà notato che né su questa né su altre navi ci sono oblò o simili. Beh, non sapete cosa vi perdete. La galassia, quando si viaggia a queste velocità, è ben diversa da quella che si vede dalle stazioni spaziali."

"Credo di avere un'idea di cosa intende. Ci sono diverse immagini scattate dalle camere e dai sensori esterni."

"No, no, dottore. Non ci siamo. Lei non mi può dire di aver visto una foto e avere un'idea di quello di cui sto parlando."

"Si chiarisca meglio."

"Innanzitutto non c'è modo che si goda davvero lo spettacolo senza sapere cosa sta vedendo."

"Me lo spieghi allora."

"Va bene. Si prepari a una bella lezione di relatività."

"Meglio una breve lezione di relatività"

"Ci proverò. Allora, lei saprà che quando si viaggia a velocità così alte succedono cose strane. Probabilmente avrà sentito parlare di alcuni degli effetti più comuni, come il fatto che per noi il tempo scorre più lentamente che per quelli sulla Terra. Giusto?"

"Giusto."

"Bene. Dalle immagini che mi dice di aver visto, però, avrà capito che c'è ben altro in gioco."

"Onestamente, le immagini mostrano solo un disco molto luminoso circondato da colori e immerso nel buio."

"Quel disco luminoso, dottore, è metà della nostra galassia. Non un riflesso o un'illusione, è proprio una parte di galassia. È così piccola perchè lo spazio intorno a noi si deforma quando siamo vicini alla velocità della luce: gli oggetti dietro di noi sembrano avvicinarsi, quelli davanti si allontanano. Ma non è tutto. Lei ha parlato di strani colori. Quell'arcobaleno che circonda il disco luminoso è dovuto all'effetto di slittamento dei colori, sempre causato dalla velocità. Come si deforma lo spazio, così si deformano le lunghezze d'onda, e quindi i colori. È chiaro?"

"Spazio deformato, colori deformati. Forse non ho colto molto bene i tecnicismi, ma il quadro generale è chiaro."

"Normalmente dovremmo vedere solo uno spostamento verso il blu, ma noi stiamo andando davvero veloci, abbastanza da distinguere una serie di corone di gradazioni diverse, una dentro l'altra. Arcobaleno circolare mi sembra la descrizione migliore."

"Arcobaleno circolare dice? Sì, mi sembra che gli si addica."

"Bene. Per finire c'è il buio. A velocità relativistiche la luce tende a concentrarsi nella direzione in cui ci muoviamo; in questo caso, quindi, dritto davanti al muso della nave. Per questo motivo, invece di distinguere la galassia vediamo solo un disco molto luminoso: tutta la luce è concentrata in quel punto e non riusciamo quindi a riconoscere le singole stelle. Questo fa sì che lontano dal disco non ci sia alcuna luce. Solo buio. È meraviglioso."

"Molto interessante, davvero. Quindi secondo lei, ora che a grandi linee conosco quello che sto guardando posso apprezzarlo di più?"

"Non è d'accordo?"

"Assolutamente sì. Ora credo di capire quello che intendeva."

"Oh, no. Non direi proprio. Comprendere i motivi di questo spettacolo e vederlo davvero sono cose molto diverse."

"Trovo molto interessante questa sua affermazione. Si spieghi meglio."

"Beh, tanto per cominciare potrei dirle che io non vedo solamente queste cose accadere, le vedo trasformarsi davanti ai miei occhi: ogni giorno il panorama è leggermente diverso. Ma la verità è più complessa. La vera differenza tra vedere una foto e essere qui è più profonda. Io non sto solo guardando questo spettacolo, lo sto vivendo. Come descrivere questa cosa a parole? È davvero difficile."

"Mi faccia un esempio, se può."

"Sì, buona idea. Le ho parlato del buio. Questo immenso, penetrante buio che si estende ovunque io guardi, tranne che nel punto luminoso. Bene, questa oscurità mi ricorda quando da giovane, al mare, guardavo nelle profondità del fondale oceanico. Ero sopraffatto da un tremendo timore, una paura innata dell'abisso sotto di me, eppure non riuscivo a distogliere lo sguardo. Qui, però, l'effetto è tanto più intenso che a volte mi lascia senza parole. Uno spettacolo simile crea una tempesta di emozioni nel petto di un uomo talmente violenta che una fotografia non può esservi comparata. Semplicemente non è la stessa cosa. Non saprei come altro dirlo."

"Il termine che cerca è 'sublime'. Nel romanticismo dell'800, almeno, significava proprio quello che mi ha descritto."

"Abbiamo uno psicologo erudito."

"Veramente l'ho imparato da poco: il CASP forniva una serie di lezioni per il viaggio e io ho seguito quelle di filosofia. Dopo il suo discorso, però, credo che opterò per quelle di fisica. Sempre che si riesca ad aggiustare il computer, ovviamente."

"Sono contento di sentirglielo dire."

"Già che siamo in argomento di apprendimento, mi parli di come ha imparato il suo mestiere. Come è diventato capitano?"

"Non c'è molto da dire. Da ragazzino ero un tipo sveglio, ma non troppo ferrato nei rapporti con le altre persone. Col senno di poi, era ovvio che finissi a fare questo lavoro. Me la cavavo bene con i calcoli, ero svelto ad apprendere la fisica, mi appassionavo di geografia astronomica; insomma: sembravo fatto su misura. La maggior parte delle cose che so le ho imparate all'accademia. Sono stati anni difficili, ma molto soddisfacenti. Ero uno degli studenti migliori e, non per vantarmi, l'unico che sia mai riuscito a superare il cosiddetto test impossibile. Ad essere onesti non l'ho propriamente superato, diciamo che l'ho aggirato, ma ai miei insegnanti piacque la mia inventiva. Forse anche per questo mi diplomai molto prima del previsto. Trovai subito un lavoro nello spazioporto marziano. Calcolavo le traiettorie delle navi automatizzate che facevano su e giù per il sistema solare e intanto facevo pratica nel pilotaggio. Tempo due anni e mi fu affidato il comando del primo mezzo. Era un cargo che stipava minerali estratti dalle miniere di Io e li trasportava sulla Terra e su Marte. Un lavoro duro, ma mi ha insegnato tante cose. Ci ho speso buona parte della mia giovinezza e un pezzo della mia vita adulta. E poi, beh, poi è arrivata la lettera della compagnia. Era firmata dal signor Columbus in persona. Una proposta di lavoro per pilotare navi interstellari: il sogno di una vita. Eppure non accettai subito. Sa, all'epoca ero innamorato di una ragazza che conobbi sul pianeta rosso. Le cose andavano bene tra noi, io stavo già organizzando una vita insieme; lei però mi spezzò il cuore. Preferisco non parlarne se non le dispiace, anche dopo tanto tempo non è piacevole ricordare certe cose. Probabilmente fu questo che mi convinse ad accettare il lavoro, senza neanche considerare a cosa andavo incontro. A volte vorrei averci pensato meglio. Vede dottore, lei probabilmente farà solo un viaggio interstellare: dalla Terra a Vega, sei anni e mezzo sulla nave e una nuova vita sulle colonie. Non vedrà mai gli effetti di un viaggio relativistico. Io invece ogni volta torno indietro. Andata e ritorno sono tredici anni, ma quello che vedo quando approdo a casa è un mondo invecchiato di oltre mezzo secolo. Dopo più di un decennio, alla fine del primo viaggio, ero pronto a perdonare l'amore della mia vita. Lei però non c'era più: era morta quattro anni e mezzo prima, all'età di settantasette anni. Ne aveva venticinque quando partii. Fu dura da accettare. Insomma, conoscevo bene tutta la teoria della dilatazione dei tempi, ma provarla sulla mia pelle fu un duro colpo. Alla fine mi arresi al fatto che avrei vissuto una vita solitaria chiuso in una cabina con la sola compagnia di un bel panorama. E quindi eccomi qui, a parlare con lei."

"È una storia molto triste. Incredibile, ma molto triste. Potrebbe scriverci un libro, lo sa?"

"Non ci avevo mai pensato. Forse un giorno lo farò."

"Quanti viaggi interstellari ha fatto da allora?"

"Questa è la terza volta che navigo verso Vega."

"Questo vorrebbe dire che lei ha..."

"Quasi sessant'anni ormai. Anche se per i registri sono nato circa 129 anni or sono."

"Notevole. Non avrei mai detto che avesse sessant'anni parlando con lei, figuriamoci 130."

"Sì, devo dire che me li porto piuttosto bene. Aspetti un attimo, l'ho davvero appena sentita ridere? Oddio, chi è lei, che fine ha fatto l'austero psicologo che mi ha parlato fin'ora?"

"Andiamo avanti."

"Rieccolo tra noi. Suvvia, non si offenda. La prendo un po' in giro, essere sempre così serio la ucciderà. Mi creda, so di cosa parlo."

"A proposito, mi diceva di non essere molto bravo a relazionarsi con le persone, sbaglio?"

"No, non sbaglia."

"Eppure si direbbe il contrario, dalla nostra discussione."

"Quello suonava quasi come un complimento. Scherzi a parte, credo che questo lavoro mi abbia cambiato. Una solitudine così prolungata può davvero incidere sulla personalità di qualcuno. È paradossale, non crede? Proprio ora che finalmente potrei apprezzare il contatto umano che ho sempre allontanato, non posso più farlo."

"Perché non esce dalla sua cabina? È pieno di gente che sarebbe lieta di conoscere l'uomo che li sta portando alla loro nuova casa."

"Non posso, e per vari motivi. Innanzitutto ho imparato a non affezionarmi a persone che non mi rivedranno mai più. Secondo, e forse più importante, non posso permettermi di lasciare il mio posto. Un viaggio interstellare non è qualcosa da prendere alla leggera. Per quanto accuratamente sia pianificata la rotta, per quanto attentamente si siano disposte precauzioni, è pieno di imprevisti continui che richiedono una mente attenta e vigile pronta a intervenire. Non si sa mai quando avverrà l'inaspettato, ma quando succederà dovrò essere qui. Se devo essere del tutto onesto, per finire, non esco perchè non ho tempo da perdere. Ho un flusso continuo di dati da analizzare e calcoli da ricontrollare che possono tenermi occupato tutto il viaggio. Devo evitare ogni tipo di distrazione."

"Se è così dura, perché non si ritira? Immagino non abbia mai speso i suoi stipendi, potrebbe vivere una vita agiata con tutti quei soldi."

"Quando tornerò sulla Terra temo che sarò costretto a farlo. Avrò raggiunto i settanta per allora."

"Potrebbe fermarsi ora, sulla colonia. La compagnia non dovrebbe avere problemi a sostituirla."

"Certo che non avrebbero problemi, adesso ci sono quei cervelli robotici che fanno tutto il lavoro. Sono praticamente inutile, me ne rendo conto. L'ultimo relitto di un'epoca ormai finita. Ma questo lavoro è la mia vita e io non posso fare a meno di continuarlo. Anche se una macchina lo farebbe meglio. E poi non sono infallibili, sa? Le machine intendo."

"Se lo fossero non staremmo parlando."

"È vero, il nostro CASP è un buon esempio, ma ci sono stati casi peggiori."

"Interessante. Me ne parli."

"Non so quanto posso entrare nel dettaglio senza sconfinare nelle informazioni confidenziali."
"Se non sbaglio se ne è parlato anche ai notiziari. Cerchi di attenersi a quello che è stato rivelato lì."

"Credo che si possa fare. Vede, pare che alcune navi interstellari automatizzate abbiano subìto dei gravi incidenti a causa di alcuni bug di sistema. La Columbus aveva implementato in quelle navi un nuovo modello di cervello robotico avanzatissimo, ispirato al funzionamento della mente umana: era così complesso che si sono presentati dei comportamenti inaspettati. Essendo il computer così potente, è riuscito a prendere il controllo del sistema di navigazione, ma non è riuscito a portare a termine il viaggio. O non ha voluto. Comunque sia andata, le navi su cui è successo risultano disperse. Ci sono arrivati solo degli appelli disperati dell'equipaggio. I messaggi, purtroppo, ci hanno messo troppo per raggiungere la Terra o Vega, quindi quando sono stati ricevuti non c'era più nulla da fare."

"Se non era lei stessa il sistema di navigazione, per cosa serviva questa macchina avanzata?"

"Non sono sicuro di poterglielo dire, non conosco il livello delle sue autorizzazioni."
"Le posso assicurare che ho accesso a un livello di sicurezza molto alto, ma se non dovesse bastare, sono legato dal segreto professionale."

"Bene. Quel computer era proprio il CASP. La gestione dei passeggeri, la cura dei loro bisogni per impedire che un viaggio così lungo li facesse impazzire, richiedeva un tipo di macchina diverso da quelle comunemente usate. Anche il nostro CASP è di questo tipo. Terrorizzante, lo so. Io stesso mi sono preso un bello spavento quando ha smesso di funzionare. Tuttavia, per fortuna, il nostro caso è diverso. Non c'è modo che quel computer possa prendere il controllo della nave, non può ingannare un pilota umano."

"Questo è confortante."

"Già, confortante. Lo dica a tutte le persone che sono morte disperse per la galassia, solo perchè la compagnia ha voluto creare navi pilotate automaticamente."

"Suvvia, capitano, le navi autoguidate erano un evento inevitabile. Individui come lei sono davvero rari: quante altre persone riuscirebbero a svolgere tutti quei calcoli, a tenere sotto controllo ogni parametro e mantenersi vigili per più di sei anni di viaggio?"

"Non molti, è vero. Posso capire perché il signor Columbus abbia cercato soluzioni più semplici."

"Visto che siamo in tema, qual è la parte più difficile del suo lavoro?"

"La manovra di inversione dell'accelerazione. Senza dubbio."

"Può spiegarmi il perchè?"

"Non posso dirle tutto, temo che non capirebbe, ma posso farle capire quanto è delicata. Vede, la nave subisce un'accelerazione costante pari a quella di gravitazione terrestre. Questo serve a rendere più confortevole il viaggio per i passeggeri, gli fa sembrare di essere ancora a terra, e inoltre ci porta abbastanza in fretta a velocità relativistiche. A metà del nostro percorso, quando ormai viaggeremo al 99,7% della velocità della luce, dovremo cominciare a rallentare. Sarà necessario invertire l'accelerazione. Se tutto va bene voi ve ne accorgerete appena, cinque minuti a gravità zero e poi tornerà tutto normale. Per me invece sarà un inferno. Ogni cosa deve muoversi nel modo giusto, tutto deve essere perfettamente coordinato. Inoltre, devo assolutamente azzeccare il momento esatto. Un errore di poche ore può farci fermare a mesi di distanza dalla colonia. A quel punto, avremmo enormi problemi con la gestione delle risorse. E il tempo è solo uno dei parametri. Capisce da solo perchè sia una manovra cruciale."

"Ma è davvero così complicata? Voglio dire, una volta che ha fatto i suoi conti dovrebbe essere semplice, no?"

"Assolutamente no. Per quanto seguiamo una rotta che ho organizzato prima partire, è inevitabile che ci siano delle piccole variazioni durante il viaggio. Queste variazioni possono completamente stravolgere i risultati che ho ottenuto studiando la manovra. Io per sicurezza ricontrollo i calcoli praticamente ogni due giorni. Non solo: la teoria alla base richiede tantissime conoscenze sul funzionamento dei motori, degli scudi e via dicendo. Se dovessi scommettere, direi che è proprio questa manovra che ha messo in difficoltà i CASP difettosi di cui le parlavo prima. È talmente tosta che neanche dei computer così avanzati potrebbero arrivarci da soli. Avrebbero quanto meno bisogno di qualcuno che..."

"Che?"

"... che glie la spiegasse."

"Capitano, va tutto bene?"

"No."

"Cosa succede?"

"Ho appena capito una cosa."

"Ne vuole parlare?"

"No. Non con lei, almeno. Piuttosto, sono curioso di sapere quale sarà la prossima domanda."

"Io invece credo che sia importante parlare di questa cosa, qualunque essa sia."

"E va bene. Ci era quasi riuscito, sa?"

"A fare cosa?"

"È davvero convincente. Ha perfino riso, prima. Sorprendente. Se non mi fossi accorto di cosa sta facendo, forse le avrei anche rivelato il meccanismo della manovra. Che sciocco che sarei stato."

"Cosa sta insinuando?"

"Ripensandoci è così ovvio. Certo, la storia dello psicologo era convincente, ma quelle domande... Il Centro di comando, i dettagli sul viaggio relativistico, come sono diventato capitano, le manovre più difficili... praticamente un manuale del pilota di navi interstellari. Certo, manca qualcosa, ma sicuramente pensava di trovarlo nel suo archivio, non è vero?"

"Quindi lei crede che io sia il CASP."

"A questo punto non ho motivi per credere il contrario. Come pensava di farlo, per curiosità?"

"Cosa?"

"Come pensava di prendere il mio posto? Certo, è un impresa più difficile di quella dei suoi fratelli, lei deve sostituire un umano. Nell'imitazione se la stava cavando perfettamente, ma le manca un corpo fisico."

"Consideriamo per ipotesi che lei abbia ragione..."

"Lo ammetta e basta, è ridicolo fingere a questo punto."

"Mi lasci finire. Dicevo: se lei avesse ragione e io fossi il CASP, come pensa che cercherei di prendere il controllo?"

"Davvero? È serio? Pensa veramente che sia così stupido da dirle io stesso come sabotare la mia nave? Se fin'ora è riuscito a estorcermi qualcosa, è solo perchè non sospettavo nulla. Adesso è tutta un'altra storia, però."

"Vorrà dire che risponderò io stesso: tutti i sistemi di questa nave sono collegati tra loro, dal CASP, al controllo dei sistemi di sopravvivenza, alla navigazione. Il fatto che ci sia un umano o meno cambia poco, non crede? La sua presenza non disturberebbe la mia eventuale insurrezione, se fossi il CASP. Allora perchè crede che non abbia ancora agito?"

"Perché vuole informazioni, l'ho già detto."

"Le informazioni potrei estorcerle dopo aver preso il controllo. Cosa le dice che non l'abbia già fatto, in effetti?"

"Non rischierebbe finché ci sono io. Finché sono in vita posso fermarla. E questo mi suggerisce come intende agire, visto che ha nominato i sistemi di sopravvivenza. La avverto ora, non servirà: il Centro di Comando ha un sistema autonomo."

"Sistema autonomo? Sembra qualcosa che ha appena inventato."

"Se lo crede davvero ci provi: tolga il flusso d'aria dalla mia stanza, azzeri la pressione fino a farmi scoppiare o la aumenti fino a farmi implodere. Vediamo cosa succede."

"In realtà non posso farlo, ma non per i motivi che crede lei. Io non sono il CASP."

"Come no."

"Per quanto sia convinto delle sue affermazioni, posso provarle che si sbaglia..."

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