L'Essere di Un'Altra Dimensione, Parte IV
È tornato. Realizzò Julien. Posò la mano sulla maniglia. Dovette stringerla con forza per smettere di tremare. Il panico è tornato. Aveva provato a difendersi dietro il pensiero razionale, ma la paura aveva trovato una nuova strada.
Si fermò a leggere le lettere cubitali sulla porta. SICUREZZA, scritto in spartani caratteri neri. Stava temporeggiando, se ne rendeva conto, ma non poteva fare altrimenti. Era bloccato. Le immagini che aveva visto quasi un'ora prima soffocavano la sua volontà. Quella viscida pelle, nera come il carbone, che poi diventava rossiccia e coperta di bolle. Quelle decine di protuberanze lanciate in ogni direzione; Dante credeva fossero tentacoli, ma a lui sembravano dita sottili di cadaveri che volevano fuggire dalla tomba. Quei misteriosi filamenti luminosi, simili a scintille sospese nell'aria. Quella strana nube di gocce, grandi e piccole, che lo circondava come nebbia. Quella voragine, al centro di tutto; non poteva essere altro che una bocca.
Staccò la mano dalla maniglia, sapendo che non avrebbe mai voluto rivedere tutto ciò. Dopotutto, forse era solo uno scherzo di Dante, un modo di vendicarsi per aver agito alle sue spalle. Sapeva che non era così. Per quanto fosse difficile, si ricompose. Strinse nuovamente la maniglia e, senza dare al suo subconscio il tempo di opporsi, spinse la porta.
L'unica luce all'interno era quella dei monitor, sufficiente appena a illuminare il piccolo spazio. L'aria era satura del tipico odore di polvere bruciata dai computer. Il solo rumore era il basso ronzio delle macchine.
Come succede alle falene, i suoi occhi furono subito catturati dalla luce. Non riuscì più a distoglierli. Quando decifrò ciò che aveva di fronte, sentì la gravità tirarlo con maggior forza verso il pavimento e la pelle trasformarsi in un mantello di piccoli aghi. Aveva la sensazione che gli organi gli si stessero rimescolando in corpo come serpenti irrequieti.
Dante aveva ragione.
La cosa si era mossa, non c'erano dubbi. Già di per sé questo bastava a inquietarlo, ma fu un dettaglio di quel movimento a terrorizzarlo davvero: la creatura si era mossa verso l'uscita. Come un essere senziente. Come un animale abbastanza intelligente da comprendere l'architettura della camera. Come un mostro.
Julien rimase immobile, gli occhi sbarrati e la bocca semiaperta, a osservare quello spettacolo raccapricciante. Si rese conto che poteva vedere il movimento ancora in atto. Era lentissimo, ma sembrava che stesse accelerando. Un moto continuo diretto fuori dall'inquadratura, verso l'uscita. In qualche modo, un moto diretto verso Julien stesso.
Notò qualcos'altro. Il mostro stava mutando. In un primo momento pensò che fosse solo la distorsione creata dai campi di contenimento del prisma, ma poi capì che era qualcosa di più. I tentacoli si erano parzialmente ritratti, la nube si stava condensando. La cosa stava assumendo una nuova forma. Una forma più definita.
Cosa vuole quest'essere? Cosa farà una volta raggiunta la porta? Che forma avrà assunto? Queste e altre domande turbinavano nel suo cranio. A ognuna trovò risposte spiacevoli. La calma tanto cara era ormai persa: i suoi pensieri naufragavano senza rotta per porti oscuri. Ancora non sapeva se quella fosse una creatura pericolosa, o se davvero fosse viva, ma la voce pacata e accademica che esprimeva questi dubbi era soffocata dalle urla di un'immaginazione fuori controllo. La realtà stava diventando un incubo.
Il martellare nel suo petto non aveva smesso di accelerare da quando era entrato e ormai aveva raggiunto livelli insostenibili. La sua spina dorsale era una colonna di ghiaccio. Più si scioglieva in gelide gocce di sudore, più diventava fredda. Respirare diventò difficile. Il cuore sembrava arrampicarsi su per la carotide con artigli affilati. Fu costretto a poggiarsi alla scrivania per mantenere l'equilibrio, ma le gambe non stavano facendo il loro lavoro, piegandosi sotto il suo peso. Cercò una sedia a tentoni. Non la trovò. Barcollò. La stanza parve girare.
Poi il buio.
Sono svenuto? Era caduto, di quello era certo, però stava ansimando troppo affannosamente per essere svenuto. Cercò di aprire gli occhi, ma notò di non averli mai chiusi. Perché, allora, era tutto buio? Il suo battito cardiaco non era rallentato, e ora nuovi timori alimentavano il suo martellare incessante. Aprì e chiuse più volte le palpebre, si stropicciò violentemente gli occhi, si concentrò provando a distinguere qualche ombra. Fu tutto inutile. Cercò di sopperire alla sua cecità sondando la stanza con gesti cauti. Trovò una parete, usandola per risollevarsi. Le gambe erano ancora deboli, ma seguendo il muro raggiunse la porta.
La vista del corridoio fu un sollievo enorme. Nonostante fosse anch'esso buio, le deboli luci di emergenza indicavano la via per l'uscita, e lui riusciva a vederle. Non era cieco. Si posò una mano sul petto, assaporando quel meraviglioso bagliore verdastro. Purtroppo la gioia fu breve: quando si rese conto di cosa significasse tutto ciò una nuova angoscia lo raggiunse.
Il generatore di corrente era saltato. Potevano essere molte le cause, ma solo una fu quella che raggiunse la superficie dei suoi pensieri. Quali sono le capacità di quell'essere? La domanda fece sorgere un nuovo dubbio, ancora più agghiacciante. Si guardò attorno preoccupato, improvvisamente cosciente della sua solitudine. "Dante!"
Non giunse risposta. Pose le mani intorno alla bocca per ampliare il suono, poi riprovò: "Danteee!"
Nulla.
Seguì la scia verde fino alla sala di comando. Era ancora chiusa a chiave. Bussò comunque, urlando il nome del collega, ma non ottenne alcun risultato. Proseguì fino alla tromba delle scale, spalancando tutte le porte aperte e battendo su quelle bloccate. Non era su quel piano. Salì al livello superiore. Sapeva bene che forse Dante si trovava in uno dei due piani inferiori, ma non osava avvicinarsi alla camera del laser. Se non lo avesse trovato, si disse, forse sarebbe sceso. Forse.
Il livello superiore era vuoto, così come quello sopra e quello sopra ancora. Raggiunto il cucinino, la sua ricerca era ormai disperata. Sudava come un malato, urlava come un ossesso. Non era neanche lì. Rimaneva solo il pianterreno, le sue speranze erano molto esili. Sarebbe dovuto scendere, ormai lo sapeva, e l'idea lo terrorizzava. Tuttavia salì l'ultima rampa di scale, continuando a urlare. Mi avrebbe sentito a questo punto, mi avrebbe risposto, si ripeteva. Era certo che non fosse lì.
Invece, appena aperta la porta del corridoio, lo trovò seduto a terra, spalle al muro. Sorrideva. "L'ho ucciso, Julien." Disse.
Julien avrebbe voluto radunare le ultime forze e prenderlo a calci. Avrebbe voluto urlargli con tutto il poco fiato che gli rimaneva in petto. Avrebbe voluto insultarlo. Invece si limitò a sussurrare: "Come?"
"L'ho spento. Volevo ucciderlo col laser, ma la sala di controllo è bloccata. Allora ho deciso di disattivare il prisma." Diede una gomitata allo sportello al suo fianco; Julien capì che si trattava del pannello elettrico. Dante continuò la sua spiegazione: "Senza corrente i campi di contenimento decadono, e il foro si richiude." Guardò l'orologio al suo polso. "Altri dieci minuti e sarà come se non avessimo mai avviato l'esperimento."
"Sei sicuro che funzionerà?"
Ci fu qualche secondo di silenzio. "Sì." L'incertezza in quelle due lettere era densa come catrame.
Attesero i dieci minuti. Per essere sicuri ne attesero altri dieci. Poi riattivarono il generatore. I neon del corridoio ronzarono, sfarfallando mentre si accendevano disordinatamente. Ammirarono quello spettacolo ordinario, poi Julien chiese:
"E ora?"
"Ora non ci resta che controllare."
Si muovevano incerti, lentamente, mentre ripercorrevano a ritroso la tromba delle scale. Nessuno dei due voleva scoprire che la cosa si trovava ancora lì, ma in fondo sapevano entrambi che era inevitabile. Il piano di Dante, pensava Julien, non era altro che il frutto di un attacco di panico, non un'azione ragionata. Che il foro fosse aperto o meno, la creatura lo aveva già varcato. Era improbabile che la sua chiusura cambiasse qualcosa.
Eppure quell'incertezza, la possibilità anche infinitesimale che fosse tutto finito, era liberatoria. Al diavolo i miei discorsi sullo studiare e comprendere la cosa, forse non ne valeva la pena. Forse Dante aveva avuto ragione fin dall'inizio. Forse Julien voleva solo provare qualcosa al mondo, dimostrare la sua intelligenza. Si era lasciato sedurre dall'opportunità di far parte di qualcosa di grande, aveva agito egoisticamente. Certo, si raccontava che i suoi motivi erano nobili, che lo faceva per la scienza, ma forse il collega aveva visto più in fondo dentro di lui di quanto non avesse mai fatto lui stesso. O forse voleva davvero comprendere un nuovo aspetto della realtà; non lo ricordava più. Era troppo stanco, troppo impaurito per ricordare. Ora voleva solo che fosse tutto finito.
Passarono davanti alla sala di controllo. Julien tirò fuori il mazzo di chiavi e la aprì. Dante gli lanciò un'occhiata severa, ma non disse nulla. Peccato. Sperava quasi che gli facesse una scenata. Avrebbero guadagnato un po' di tempo prima di scoprire che non era cambiato nulla. Un comportamento stupido e infantile, lo sapeva, ma ogni fibra del suo corpo stremato cercava di tenerlo lontano dalla porta con la scritta SICUREZZA. Invece, si ritrovò di nuovo con la mano su quella maniglia. Sospirò. È ora di affrontare la realtà. Spinse la porta ed entrarono.
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