L'Essere di Un'Altra Dimensione, Parte III
Quando Dante era ancora un bambino, la sua innocente esistenza fu scossa da un grave evento. Due uomini mal intenzionati fecero irruzione nella piccola abitazione che condivideva con i suoi genitori, urlando e minacciandoli con delle armi. Fortunatamente la questione si risolse senza feriti, ma per il piccolo rappresentò uno shock emotivo non indifferente. A distanza di anni, ricordava ancora benissimo quei terribili momenti. Paura, ansia, incertezza continuavano a ospitare i suoi incubi. Ora gli sembrava di riviverli, con un unica differenza: non era più la sua casa a essere invasa da inquietanti sconosciuti. Era la sua stessa realtà.
Si potrebbe pensare che questo precedente basti per spiegare la sua reazione terrorizzata all'apparizione sullo schermo, ma non è così. Julien, che aveva avuto un'infanzia decisamente più tranquilla, non reagì certo in modo più accademico. Anzi, si lanciò fuori dalla stanza non appena ebbe recuperato il controllo dei suoi arti, combattendo coi conati di vomito che lo piegavano in due. La verità è che ciò che videro su quel monitor era tanto lontano da quello che potevano aspettarsi che non riuscirono a rimanerne semplicemente sorpresi. Sembrava a tutti gli effetti una cosa di un altro mondo.
Passarono molti minuti senza dirsi nulla, senza nemmeno scambiarsi uno sguardo, cercando solo di razionalizzare quello che era successo. Come se la cosa li potesse in qualche modo proteggere, avevano chiuso la porta della camera. Sedevano entrambi nel corridoio, spalle al muro. Dante era periodicamente scosso da tremori, che cercava in vano di controllare. L'unico motivo per cui poteva permettersi di rimanere lì seduto era che la cosa pareva immobile. Voleva chiedere a Julien cosa fosse quell'abominio. Per una volta gli avrebbe fatto piacere sentire le fastidiose lezioncine che il collega amava tenere quando sapeva qualcosa che altri ignoravano. Allo stesso tempo, però, temeva che la sua risposta non facesse altro che confermare le sue tesi. Questo conflitto interiore si tradusse in un incerto: "Julien... Cosa...?"
La risposta si fece attendere a lungo, e fu proprio quella che, in fondo, si aspettava di ricevere. "Non lo so." Il tono, però, non lasciava ben sperare.
Julien non voleva ricevere altre domande, sperava che Dante tacesse. La sua mente, in una manovra di autoconservazione, provava a portalo in luoghi lontani e sicuri. Ma l'odiata voce del collega lo trascinò di nuovo in quel freddo corridoio, pochi piani sopra la cosa.
"È...Secondo te è... vivo?"
Che domanda sciocca, credeva davvero che avessero a che fare con una sorta di alieno? Ovviamente la risposta era no. Provò a dirglielo. Provò a urlarglielo. Provò a urlarlo a se stesso. Le sue labbra, però, non riuscirono a scandire quella semplice sillaba.
"Non lo so." Pareva che il suo vocabolario si fosse ridotto a tre parole. Tre parole tanto facili, ma tanto spaventose.
"Però era immobile." Aggiunse, sussurrando. Lo disse più per se stesso, per rassicurarti sul fatto che la tremenda ipotesi avanzata da Dante fosse impossibile.
"Sì, ma... hai visto quei... hai visto come..."
"Sì. Certo che ho visto."
Forse fu il tono glaciale, forse lo sguardo che Julien gli lanciò, forse semplicemente il fatto che non avesse altro da chiedere: dopo aver sentito quelle parole Dante tacque. Il silenzio si riappropriò del corridoio, lasciandoli nuovamente in preda delle loro speculazioni. Per molto tempo, non accadde nulla. Poi, come se avesse preso un'importante decisione, Julien si alzò in piedi. Lo fece tanto in fretta da far sobbalzare l'altro.
"Stiamo reagendo in modo assurdo." Dichiarò. Sembrava tremendamente sicuro di sé, ma non aveva ancora riacquisto il pieno controllo della sua voce. Sperò che Dante non se ne accorgesse. "Cosa stiamo facendo qui a terra, come se avessimo visto la morte in faccia?" Continuò. "Non è un comportamento degno del nostro ruolo. Dovremmo essere elettrizzati da quello che abbiamo visto, potrebbe trattarsi di una scoperta magistrale." Dante lo guardò confuso, chiedendosi se la lezioncina in cui sperava fosse finalmente arrivata.
"Tu sai cos'è quella cosa?"
"No. Non ne ho la minima idea. Ma è proprio questo il punto: non abbiamo veramente motivo di esserne spaventati."
"Sei sicuro di averlo visto bene?" Julien deglutì. Lo aveva visto molto bene, telecamera permettendo, e capiva benissimo a cosa si riferisse Dante. Per un attimo la sua sicurezza vacillò, e sentì l'oscurità del panico offuscare nuovamente il suo giudizio. Scosse la testa. Doveva tenere da parte le emozioni e affrontare la situazione in modo analitico. Riuscì a riacquisire il controllo.
"Capisco come ti senti, Dante. Lo capisco davvero. Ma la tua paura è dovuta solo all'ignoranza. No, mi sono espresso male, non volevo offenderti stavolta. Intendo che dobbiamo capire cosa abbiamo davanti, e allora smetteremo di temerlo."
Dante rise nervosamente. La situazione per lui era così spaventosamente ovvia che il comportamento irritante di Julien gli sembrava ironico. "Tu credi veramente che quella cosa possa essere innocua?"
"Credo che dobbiamo scoprirlo."
"Bene. Allora va' nella camera del laser e scoprilo." Rise ancora.
Julien sarebbe morto piuttosto che entrare lì dentro. Probabilmente, pensò, sarebbe morto se fosse entrato. Tuttavia, tenne per sé questa considerazione. Si limitò a rispondere: "No, proprio perché ancora non posso sapere se è pericoloso o meno. Al momento non sappiamo proprio niente. Stiamo solo saltando alle conclusioni senza basarci sui fatti."
Anche Dante si alzò in piedi. Sul suo volto portava ancora i segni della paura, ma le sopracciglia si erano abbassate e le narici si stavano allargando. Cominciava ad arrabbiarsi.
"Dobbiamo basarci sui fatti eh? Va bene. Vediamo cosa ci dicono i fatti: abbiamo un essere richiamato da una dimensione sconosciuta, evidentemente organico, dotato di tentacoli, protuberanze incandescenti e quella che ha tutta l'aria di una bocca di notevoli dimensioni. Come se non bastasse, è sospeso in aria, sorretto da una forza sconosciuta. È fermo, certo, ma sono pronto a scommettere che non lo sarà a lungo. Sono pronto a scommettere che non appena si sarà ripreso dal suo... viaggio cercherà di uscire, e di certo non sarà contento."
"Sei pronto a scommettere? Ti rendi conto che questo non è 'basarsi sui fatti'?" Prese un lungo respiro. Non poteva rispondere a tono. Se la loro discussione fosse degenerata in uno scontro nessuno ci avrebbe guadagnato nulla. "Ascolta, le cose che mi hai detto sono le stesse che ho pensato quando ho visto la creatura. Però non sono fatti. Ancora non possiamo sapere se quelli sono effettivamente tentacoli, o se la cosa è venuta davvero dall'altra dimensione..."
"Ah no? E da dove è venuta, dal condotto dell'areazione?"
Mantenere la calma per Julien era sempre più difficile, tra le risposte di Dante e la pressione del suo subconscio che non vedeva l'ora di cedere al panico. In qualche modo, però, si controllò.
"Il punto, te lo ripeto, è che non lo sappiamo. Non sappiamo cosa sia successo all'avvio del laser. Te lo concedo, per il nostro bene ci conviene stare all'erta, ma il nostro timore è prematuro. Per ora dobbiamo evitare qualunque gesto affrettato e soffermarci ad analizzare le informazioni che abbiamo."
Dante mantenne lo sguardo fisso nel vuoto, come se avesse finalmente chiara la situazione. "Dobbiamo distruggerlo."
"Che?! Ma mi stai almeno ascoltando?"
"Sì." Spostò l'attenzione su di lui. "Sì, ti sto ascoltando, e mi sembra che tu non abbia colto un dettaglio fondamentale."
"Sarebbe?"
"Diciamo che hai ragione. Diciamo che riusciamo a studiarlo in qualche maniera, anche se al momento non abbiamo idea di come fare. Diciamo che effettivamente risulti innocuo, anche se ho buone ragioni per dubitarne. Ora, se tutto ciò si verificasse, ti sei chiesto cosa dovremmo fare? Forse hai dimenticato che questo è un esperimento clandestino. Un esperimento da cui volevamo ricavare dati. Dati, non un orrore infernale. La gente accetta i dati. I dati sono innocenti, semplici numeri, sono astratti. Quello che nessuno accetta sono esperimenti segreti alla Frankenstein che non li fanno dormire la notte, o l'idea che esista un'altra dimensione vicina alla nostra piena di cose come quella. Riesci a immaginare cosa succederebbe se tutto questo venisse fuori? Le nostre carriere finirebbero all'istante, non c'è dubbio, ma c'è di peggio. Viviamo in un periodo in cui la sfiducia nella comunità scientifica è senza precedenti, almeno nell'ultimo secolo. Come pensi che reagirebbe l'opinione pubblica al fatto che i loschi scienziati compiono esperimenti pericolosi in segreto, senza controllo?"
"È davvero questo che ti spaventa? Distruggeresti qualcosa di potenzialmente rivoluzionario solo perché hai paura per la tua carriera e per un paio di teorie complottiste?"
"No, oh no. Suggerisco solo che questo è ciò di cui dovresti avere paura tu, visto che la cosa ti pare tanto inoffensiva." Le narici si tesero ancora di più. Aveva i pugni chiusi, le nocche sbiancate. "Io continuo a credere che un essere che sembra uscito da un incubo, comparso in circostanze misteriose, sia una fottutissima minaccia!" Aveva praticamente urlato le ultime parole, e non sembrava intenzionato ad abbassare i toni. "Questo mi spaventa! E mi spaventa che tu non te ne renda conto. Che farai qualcosa di tremendamente stupido, mentre cerchi di mostrare a tutti quanto sei dannatamente intelligente!" Per qualche secondo, lasciò che fosse il suo fiatone a parlare per lui. Aveva la fronte coperta di sudore, i capelli appiccicati alle tempie. "Questo mi spaventa." Concluse. Lo disse con voce calma, come se lo confermasse a se stesso.
Julien non sapeva come rispondere. Una sola cosa era certa: non poteva permettere a Dante di fare ciò che voleva. Distruggere la cosa sarebbe stato un crimine, un gesto imperdonabile. Ne era ancora spaventato a morte, inutile mentirsi a riguardo, ma quella poteva essere la porta per un nuovo mondo, una nuova scienza. Senza contare il fatto che non avevano idea di come avrebbe reagito quella massa informe a un attacco. Purtroppo, riteneva, tutte quelle argomentazioni non avrebbero avuto effetto su Dante. Maledetto testardo.
Ci voleva l'aiuto di qualcuno. Un esperto purtroppo non esisteva, ma un altro fisico o un biologo avrebbero potuto chiarire la situazione dando un'opinione esterna. Dante non lo avrebbe permesso, non c'era dubbio, ma Julien, forse, aveva una soluzione. Occhio per occhio, vecchio mio.
"Va bene, Dante. Forse hai ragione tu, forse ho ragione io, non lo so. Una cosa è certa, però. Tu sei scosso, che voglia ammetterlo o meno, così come lo sono io. Ora: noi non abbiamo fretta nel prendere una decisione. Possiamo distruggerlo o studiarlo, ma non dobbiamo farlo adesso: la cosa è immobile. Se davvero è una minaccia, ancora non ne ha dato prova. Approfittiamone. Prendiamoci un po' di tempo per riordinare le idee e poi proviamo a discuterne di nuovo. Che ne dici?"
Dante era dubbioso. Voleva dire no, ma il ragionamento aveva senso. Tentennò, ma alla fine annuì.
"Era un sì? Bene." Julien era visibilmente sollevato. "Io vado a prendere un caffè nel cucinino, sperando che mi aiuti a riavviare la mente. Tu vuoi qualcosa?"
L'unica cosa che avrebbe bevuto Dante era ad alto contenuto alcolico, ma Mara aveva proibito di portare liquori nel cucinino. "No. Datti una mossa."
Allontanandosi, Julien lo osservò con la coda dell'occhio. Lo vide rientrare nella stanza della sicurezza. Avrebbe cercato di fermarlo, se il suo scopo fosse stato davvero quello che aveva dichiarato: di certo la vista di quell'essere non era il modo migliore per riordinare le idee. Invece, dati i suoi veri piani, la cosa gli fece molto comodo. Decise di approfittarne per fare una piccola deviazione e chiudere a chiave la sala di controllo; per fortuna aveva ancora con sé il mazzo datogli da di Dante. Era solo una precauzione, ma voleva evitare brutte sorprese durante la sua assenza. Poi proseguì verso la tromba delle scale.
Non si fermò al cucinino, ovviamente, e salì fino al pian terreno. Fuori dalla porta principale i cellulari ricevevano segnale: avrebbe potuto chiamare un paio di conoscenze all'università e magari convincerli a venire. Una volta che altri fossero entrati nella struttura Dante non avrebbe potuto fare nulla per cacciarli; una piccola folla di scienziati aveva meno probabilità di farsi prendere dal panico e poteva ragionare più lucidamente. Era un buon piano, in effetti, e in circostanze diverse avrebbe potuto funzionare. Purtroppo, però, la presenza di quella massa informe qualche decina di metri sotto di lui influiva sul suo destino più attivamente di quanto non potesse aspettarsi. Le cose non andarono come si aspettava.
Se fu proprio l'inevitabilità del destino che lo spinse a lanciarsi di lato, o solo quel misterioso sesto senso che è l'intuito, non so dirlo. Fatto sta che quel gesto improvviso gli salvò la vita. Aveva quasi raggiunto la porta quando successe: un rumore animalesco ruppe il silenzio, l'intuito, o il destino, gli suggerì di gettarsi di lato e lui obbedì. Mentre cadeva sul pavimento vide una macchia rossa schizzargli pochi centimetri al lato dell'orecchio: l'oggetto si schiantò contro il pannello della porta, che andò in frantumi. Ci mise parecchi secondi per decifrare gli eventi. Capì di aver sentito un urlo, Fermo!, non un verso animale. Capì che la macchia rossa era un estintore; ora giaceva a terra ammaccato, spargendo schiuma bianca da tutte le parti. Capì che a lanciarlo era stato Dante.
"Mi... mi hai quasi ammazzato. Mi hai quasi ammazzato, santo cielo. Brutto idiota. Sei impazzito?"
"Dove pensavi di andare?" Se prima Dante sembrava un misto di rabbia e paura, ora era una miscela di furia e follia.
"Ti rendi conto che mi hai quasi ammazzato? Se non mi fossi spostato quella sarebbe la mia testa." Indicò il pannello della porta.
"Dove andavi?!"
"Dante, ti devi dare una calmata... Diamine, ora siamo bloccati qui dentro."
"Dove?! Dimmelo!"
"Io..." Dirgli la verità non era una buona idea, Julien lo sapeva bene, ma non gli venne in mente nulla che non rischiasse di peggiorare la situazione. "Io stavo cercando aiuto, Dante. Lo so che non sei d'accordo, ma ne abbiamo bisogno. Te ne rendi conto? Dobbiamo capire cosa abbiamo di fronte."
"No, niente aiuti. Nessuno oltre a noi deve sapere di quel mostro. Noi lo abbiamo portato qui, noi lo distruggeremo." Sembrava impazzito, sconvolto. Era messo molto peggio di quanto non fosse pochi minuti prima. Forse, pensò Julien, avrebbe davvero dovuto impedirgli di guardare ancora la cosa.
"Un mostro? Ora è diventato un mostro per te? Ma lo senti quello che dici? Ascoltami, devi tornare in te. Ricordati il tuo ruolo: noi ci basiamo sui fatti, non sulle supposizioni. Quante probabilità ci sono che quel coso sia vivo? Te lo sei chiesto?"
Dante sorrise in un modo che a Julien non piacque per niente. Era un sorriso trionfante e sconfitto allo stesso tempo.
"Me lo sono chiesto, sì, e ci sono molte più probabilità di quanto credi. Prima di scoprire che stavi per fuggire, ero venuto ad avvertirti di un fatto che potrebbe cambiare il tuo ingenuo modo di vedere le cose."
Avrebbe voluto fargli notare che non stava fuggendo, ma la curiosità ebbe il sopravvento sull'orgoglio. "Sarebbe?"
"Quando te ne sei andato sono tornato a guardare le telecamere. Ero quasi convinto dalle tue cretinate, quindi ho pensato che fosse solo un'allucinazione dettata dalla paura, ma più lo guardavo meno avevo dubbi.
"Cosa? Cosa hai visto?"
"Ti avevo avvertito che sarebbe successo." La spavalderia scomparve, rimase solo terrore. Come se stesse rivivendo ciò che provava a raccontare, cominciò a tremare. "Il mostro... Il mostro si è mosso."
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