In Fabula, Parte IV
Dove si nascondeva Renè Hume? Al terzo piano, ultimo luogo in cui era stato visto, non ce n'era traccia. Molti infermieri si erano radunati lì, per assistere i due colleghi feriti e coprire il cadavere. Lo cercavano carichi d'ira e di paura. Ai piani inferiori la situazione non era diversa. Tutti i pazienti erano stati chiusi nelle rispettive camere, dopo che le stesse erano state controllate. Uomini armati di manganello pattugliavano i corridoi.
L'atrio, la camera da pranzo, lo studio del dottore, così come il resto del pianterreno, erano vuoti. Le uniche forme umane nel giardino erano le statue mutilate dal tempo. Oltre le mura solo il vento, aiutato forse da qualche animaletto notturno, disturbava gli interminabili prati.
Non era possibile che fosse nella cantina: la sorveglianza lì era strettissima. Allo stesso modo, non si nascondeva nelle aree abbandonate che aveva esplorato poco prima.
Dov'era allora? Aveva lasciato almeno una traccia? Una sì, in effetti. In una parte dimenticata del terzo piano, una porta era stata spaccata. Oltre quell'angusto passaggio, una traballante scaletta di legno conduceva in soffitta. Nella polvere si distinguevano delle orme. Salivano. C'era qualcuno lì.
"Mi hai trovato, finalmente." Hume sedeva in un angolo. "Ti stavo aspettando, prima di continuare."
Si alzò in piedi, spolverandosi i pantaloni. "Perché questo luogo, ti starai chiedendo. Beh, lo avevi a mala pena nominato. Era terreno vergine per la mia immaginazione. Potevo farci qualunque cosa." Indicò una porta. Era nuova, bianca, in evidente contrasto con la polverosa soffitta.
"Ha funzionato? C'è solo un modo per scoprirlo." Abbassò la maniglia e aprì.
Era buio oltre la soglia. Una stanza piccola, in cui si vedevano solo una scrivania e qualche mobile. L'unica fonte di luce era lo schermo di un computer, contro cui si stagliava una sagoma. Sembrava un ragazzo, intento a lavorare su qualcosa. Un ragazzo familiare...
"Sei più giovane di quanto mi fossi immaginato, scrittore; questo spiega molte cose. Beh, non dici niente? Oh, dimenticavo. Ora che ho aperto puoi sentirmi. Sentirmi per davvero. Deve essere scioccante per te, ritrovarmi alle tue spalle. Lo ammetto, non ero sicuro che avrebbe funzionato. Però ha funzionato lo stesso. Ha funzionato benissimo. Ora smetti di scrivere e girati. Girati! Allora? Ah, Capisco. Hai paura. Non vuoi girarti, non vuoi guardarmi negli occhi. Non vuoi ammettere che sono veramente libero, che avevo io il controllo tutto questo tempo. Non sono il tuo fantoccio. Sai una cosa? Non girarti. Continua pure il tuo lavoro. Non mi interessa più, ormai. Ho aperto l'accesso a un mondo in cui non sarò considerato pazzo. Un mondo dove non dovrò leggere eternamente le parole di un ragazzino nella mia testa. Dove non dovrò assecondare i tuoi capricci. Sono libero, e tu non puoi farci niente."
No.
"Cosa?" Fu sbattuto a terra prima che potesse varcare la soglia. Quattro guardie lo immobilizzarono con solide manette metalliche, costringendolo a stare sul pavimento.
"Non lo puoi fare, bastardo! Avevo già superato la porta. Ero dall'altra parte!" Così come era comparsa, la sua allucinazione sparì, mostrando la verità. Dove credeva di aver visto un anonimo ingresso c'era un buco nel muro. Prima del terremoto era una finestra. L'apertura, a cui aveva tolto le assi di sicurezza credendo che fosse una porta, dava accesso a un salto di venti metri. Stava per ammazzarsi.
"Non è vero! Eri davanti a me, non lo stavo immaginando!" I quattro uomini lo guardarono con disprezzo mentre lo alzavano e lo trascinavano ai piani inferiori. Due lo reggevano, due lo tenevano d'occhio perché non facesse nulla di pericoloso.
"Lasciatemi andare! Scrittore, falli andare via! Ti avevo battuto, ho vinto io. Questo non è giusto!"
Raggiunto il piano terra, continuarono a scendere. Lo stavano portando nelle cantine.
"No! No, liberami! Possiamo collaborare, possiamo rendere grandioso questo mondo. Cosa farai senza di me?" I sotterranei erano bui e freddi. Mentre urlava e si disperava, Hume fu portato davanti a una cella vuota. Una fredda lampada al neon rischiarava appena il corridoio. Il dottor Eimund lo stava aspettando lì. Sembrava incredibilmente triste.
"Perdonami, René. È colpa mia. Avrei dovuto capire che la tua condizione era molto più grave di quanto pensassi. Non credevo che le tue allucinazioni fossero arrivate a questo punto. Se io fossi stato meno arrogante, forse Ross sarebbe ancora vivo."
"Ross? Cosa... No! Non farmi anche questo, ti prego! Dottore, dottore mi ascolti. È stato lui. Io l'ho sfidato e lui si sta vendicando così. Quello non era Ross, glielo posso giurare. Lo scrittore vuole solo essere crudele con me. Prima era amichevole... Buono... Ora mi ha tradito, e mi fa questo."
Il dottore scosse la testa, sconsolato.
"No, René. Forse davvero non lo puoi capire, ma non esiste nessuno scrittore. Tu sei malato, molto malato. L'unico che ti ha tradito sono io, illudendomi di poterti salvare facilmente." Hume cominciò a piangere, disperato.
"No, dottore. Non sono pazzo! Non mi faccia questo, la prego."
"Mi dispiace. È quello che avrei dovuto fare dall'inizio."
Mentre veniva costretto a indossare una maglia di forza, il paziente cambiò atteggiamento. Dalla disperazione, passò a un tipo diverso di paura, più profondo e deprimente.
"Era il tuo piano. Era quello che volevi fin dall'inizio. È così? Lo avevi pianificato? Lo avevi deciso? Dimmi almeno questo!" I quattro energumeni lo trascinarono di peso nella piccola camera bianca, legandolo a delle cinghie.
"No, io ho visto come hai reagito. Tu non te lo aspettavi. Ero davvero fuori dal tuo controllo! Sono libero! Libero! Vero? Ammettilo! Ti prego, dimmi almeno che sono veramente libero! Dimmi che non faceva parte del tuo piano. Dammi almeno questo! Mi hai tolto tutto, lasciami solo la libertà." I quattro lo lasciarono solo. Lui fu preso da un impeto d'ira.
"Non dirmi niente è una risposta! Lo sai?! È una risposta! Mi odi perché ti ho sfidato. Ero veramente libero!" Smise di urlare, buttandosi a terra. Cominciò a singhiozzare. "Ero libero." Si lamentava. "Dimmelo, ti prego. Dimmi che lo ero."
Il dottore lo guardó. Provava una profondissima pena per quell'uomo, nonostante ciò che aveva fatto. Doveva esserci lui lì dentro, doveva essere lui quello punito. Aveva giocato con la vita di quel povero pazzo per poter provare ancora una volta le sue doti. Mai aveva fallito così profondamente in vita sua.
"Lo sei, René. Sei libero. È quello che ho provato a spiegarti. Perdonami per tutto questo."
"Sei tu? Sei tu, scrittore?" Rise, genuinamente felice. Al dottore vennero i brividi. "È inutile che tu lo nasconda, scrittore. Ormai lo hai ammesso. Lo hai ammesso, grazie. Sono libero!" Eimund fece un cenno agli infermieri, che richiusero la pesante porta. Nulla avrebbe potuto aprirla, quell'uomo probabilmente non sarebbe mai più uscito. Asciugandosi una lacrima, il vecchio dottore si allontanò.
"Non si dispiaccia per me." La voce del paziente, ovattata dalla spessa lastra metallica, lo raggiunse alla fine del corridoio. "*Lui* mi ha dato ciò che volevo, a me va bene così. Non mi resta comunque molto da vivere."
Preoccupato da quelle parole, Eimund tornò di fretta alla cella. "Di cosa stai parlando, René? Sei malato? È una malattia che ha dato inizio a tutto questo? Per questo hai tentato il suicidio?"
"No, dottore. Non si tratta solo di me. La cella in cui mi ha rinchiuso, lei, la sua clinica... spariremo tra poche righe. Questo è un finale, non se ne rende conto? Cesseremo di esistere, almeno finché qualcuno non ricomincerà a leggere tutto questo."
"René..." Eimund posò una mano sulla fredda porta. "Questa non è la fine. C'è ancora speranza per te. Capisco quanto sia difficile mettere in discussione tutta la tua realtà, ma se ci riuscirai potrai guarire. Avrai quella libertà che ti è tanto cara."
"Lei non si lascerà mai convincere, eh? Ma tanto non importa più ciò che crede. Lei non lo capirà, è troppo tardi ormai, ma quelli che lo *devono* capire, quelli che leggeranno e come lei si chiederanno se sono veramente pazzo, avranno la prova che ho ragione sotto i loro occhi. Questo è un veramente un racconto." Hume aveva chiuso gli occhi, come un martire che aspetta l'esecuzione.
"Addio dottore."
Eimund si staccò dalla cella sconsolato. Si incamminò di nuovo per lo stretto corridoio, troppo stanco per discutere, troppo abbattuto per combattere ancora. Quello era il momento del lutto e del riposo, il lavoro avrebbe dovuto aspettare qualche ora. Di certo, però, non era ancora finita.
"A domani, René."
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