4. The memory of water

Sono passati due giorni da quando ho incontrato Jace in centro, e ancora non riesco a scrollarmi di dosso i brividi che mi hanno dato i suoi occhi. So che dovrei pensare a cose più importanti – i mille messaggi di Violet, il reminder dell'appuntamento con mio fratello, le risposte ancora non arrivate ai curriculum –, eppure non riesco a concentrarmi. Mi sembra di essere entrata in un loop costante di immagini a cui non vorrei pensare.

Una volta, Jace non mi faceva questo effetto.

Una volta, i suoi sguardi non mi facevano male – tuttavia, otto anni hanno preso forma, hanno una densità così pesante da starmi sopprimendo. Non l'avrei mai detto.

Appoggio la matita sul foglio e sospiro. Credevo che disegnare si sarebbe rivelata un'attività utile, qualcosa che mi permettesse di distogliere i miei pensieri da lui, ma i ricci appena abbozzati su carta mi fanno capire che non sarà così facile – non finché non mi metterò il cuore in pace e capirò di starmi solo facendo film mentali.

A ventiquattro anni non mi sarei mai immaginata seduta sulla sedia nella mia cameretta, o almeno non in quella della casa dei miei genitori. Speravo avrei avuto un posto tutto mio, magari un compagno con il quale trascorrere mattinate così pigre – sebbene lavorative, ma fuori piove e tutto sembra grigio –, invece mi ritrovo sola come un cane e non ho niente da fare. Sono così poco impegnata che desidero passare direttamente allo stadio successivo, al momento in cui avrò un lavoro e metà giornata occupata da clienti e richieste.

Guardo il soffitto e sorrido. Se Violet sentisse i miei pensieri in questo momento, cosa che mi ha dato prova di saper fare, mi insulterebbe. Se fosse per lei, nessuno lavorerebbe mai e tutti saremmo ricchi sfondati.

Il telefono inizia a vibrare e mi costringe a dare un'occhiata allo schermo. La prima cosa che noto, per niente felice, è che sono solo le undici e che l'appuntamento con mio fratello è durante la sua pausa pranzo. Ho ancora due ore e mezza di ozio totale e, se potessi, schioccherei le dita per andare avanti nel tempo. La seconda cosa che cattura il mio sguardo è, però, un altro messaggio di Violet. Afferro il cellulare e scorro nella chat, stando ben attenta a rispondere a tutto ciò che mi ha detto per evitare di scatenare un cataclisma universale.

"Buongiorno, pulcina, lo sai che oggi ci sono le crêpes in offerta? Non possiamo assolutamente perdercele!"

"E no, non me ne frega niente del fatto che tu sia a dieta."

"Guarda che, se anche mi dici di no, io te le porto comunque."

"Però non ho la macchina, quindi devi venire a prendertele da sola."

"Dai, dimmi di sì! Ho voglia di sbafarmi una bella crêpe con te. :("

Scoppio a ridere e scuoto la testa, ben consapevole che lei non possa vedermi ma che riesca a sentire il mio velato rimprovero. Vorrei davvero dirle di sì e sto per farlo, benedicendo la mia forza di volontà durata già due mesi, ma il suo ultimo messaggio mi fa bloccare. Sbatto più volte le palpebre, sperando di aver letto male.

"Comunque, ho parlato con Andrew e mi ha detto che, se Jace prova anche solo a toccarti, gli spacca la faccia."

Schiudo le labbra e resto con il pollice a mezz'aria. Ho così tante domande che non so nemmeno da quale iniziare. Inspiro a fondo. È tutto okay.

"Punto primo: perché Jace dovrebbe toccarmi?"

La risposta di Violet non tarda ad arrivare. "Perché sei una gran figa e lui pure. I belli devono stare con i belli, sai?"

"Sono seria, Vy. Non farebbe mai niente del genere."

"Riesco ad avvertire la tua frustrazione fino a qui."

Sollevo le sopracciglia e arriccio il naso. Vorrei poterla chiamare e dirle di smetterla, facendole ben intendere che non ammetta scherzi, ma sono piuttosto sicura che mi stia scrivendo dal paradiso della sua vasca da bagno e che, per la sorpresa, farebbe cadere il telefono nell'acqua.

Mi alzo dalla sedia e mi metto davanti alla finestra. Scosto di poco le tende: con mio grande disappunto, non ha ancora smesso di piovere. Forse, se riesco a coprirmi per bene, posso mettere il vestito verde oliva che ho comprato con Jace.

"Non capisco perché Andrew abbia detto una cosa del genere. Non è da lui, di solito è più pacifico..." le rispondo. "E poi, perché l'ha detto a te?"

Lei mi invia una di quelle emoji che noi chiamiamo "la faccina perversa", giusto perché sembra la faccia che fa Violet quando prova a flirtare e fallisce miseramente.

"Magari gli piaci ancora!"

Muoio dalla voglia di ribadirle che ormai sono passati anni dal nostro mancato tentativo riuscito di avere una relazione, ma lo sa perfettamente e infatti cambia subito discorso.

"Penso me l'abbia detto perché sono la tua migliore amica e, in qualche modo, dovrei dirti di stare attenta... ma io non vedo l'ora di sapervi a letto insieme."

"Non te lo direi."

"Stronza."

Appoggio le dita contro il vetro della finestra. Dal freddo che mi trasmette, dubito di poter indossare il vestito senza un paio di calze pesanti e degli stivaletti impermeabili.

"Ma vi siete più sentiti o visti? Tu e Jace, intendo."

"No."

"Che palle che siete."

Il tempo sembra non passare più. È tutto così fermo, immobile, che nemmeno le gocce di pioggia che scivolano sul vetro riescono a smuovere quella paralisi. Il mondo è in stasi: niente respira, nemmeno il silenzio.

Mi allontano dalla finestra mentre mando un ultimo messaggio a Violet. La cosa migliore che potrei fare, almeno in questo momento, è una doccia calda volta a scrollarmi di dosso questa sensazione di grigia staticità. Non sarebbe la prima volta in cui riesco a risolvere una situazione, o semplicemente a districare la matassa dei miei pensieri, in modo tanto banale. Mia madre dice sempre che è la soluzione migliore quando non si sa come agire.

Nel mio caso, la situazione non è tanto tragica, anzi: tutto sta andando bene, o per lo meno non sono ancora stata coinvolta in affari da cui vorrei stare fuori, e non posso davvero lamentarmi della mia vita. Sono laureata, sto cercando lavoro, ho una famiglia che mi guarda le spalle e un'amica che non mi lascerebbe mai nel baratro dell'incertezza. Ho molto più di quanto avrei mai potuto desiderare – o di ciò che altre persone sperano di avere.

Durante giornate come questa, però, la mia malinconia cresce fino a prendere la forma dei mostri che nascondo sotto al letto; gli scheletri nel mio armadio danzano con la mia anima avvilita, ne divengono gli amanti non richiesti di cui ho sempre rifiutato la corte. I giorni di pioggia mi bagnano di quella velata tristezza che vidi anni fa negli occhi di mia madre.

Sospiro e recupero il cambio.

A volte vorrei che l'acqua non avesse memoria.

*

Ha smesso di piovere, o almeno così pare. Il cielo resta plumbeo, pesante persino sul tettuccio della mia macchina, ma non ci sono più tuoni e credo che non riprenderà per almeno un'ora.

«Con la mia fortuna...» dico ad alta voce, stringendo le mani sul volante.

Il parcheggio della palestra in cui lavora mio fratello è piuttosto piccolo, non può contenere più di cinque macchine – e quattro di queste appartengono ai dipendenti. Probabilmente i clienti abitano in zona, o si fanno accompagnare e venire a prendere, perché non c'è ombra di alcun posteggio nelle vicinanze. È davvero una posizione del cazzo.

Accendo la radio e faccio partire il CD che mi ha masterizzato mio padre qualche giorno fa. L'ho trovato sul mio comodino, accompagnato da un biglietto che diceva: "In attesa di poterti comprare qualcosa di più costoso, questo è il tuo regalo di laurea". Sono quasi certa che abbia rovistato tra la mia collezione di dischi per creare questa playlist di ben centocinquanta canzoni, ma è uno dei pensieri più belli che abbia mai ricevuto. E mi è utile, soprattutto.

La prima canzone è Pieces dei Red. Nonostante sia piuttosto triste sin dall'inizio, la sua melodia è sempre stata in grado di calmarmi, di darmi pace. Può sembrare sciocco, eppure è stata una delle prime canzoni che ho davvero capito.

Lascio andare la testa contro il sedile e socchiudo gli occhi. La nota di profumo della sciarpa di Jace, che ancora mi ostino a portare e a non ridargli, riesce a rilassarmi sebbene non mi fossi accorta di essere tesa. È un po' l'effetto che ha avuto su di me quando ci siamo visti. Ammetto che mi dia fastidio pensare a lui e vorrei evitarlo, ciononostante sono felice di averlo rincontrato dopo tanto tempo. Il nostro non era un rapporto così solido, però... Magari, otto anni potrebbero cambiare qualcosa.

Mi farebbe piacere averlo di nuovo nella mia vita.

Sono sicura renderebbe felice anche Jordan.

La portiera della macchina si apre all'improvviso e io mi volto di scatto. Trovo mio fratello pronto a infilarsi nell'abitacolo, ma che non sa bene come muoversi perché la Toyota fa automobili troppo piccole per lui. L'ho sempre preso in giro per queste sue uscite.

«Buongiorno, sorella, ti spiace spostare il sedile?» mi chiede, mettendo le mani sui fianchi.

Sorrido e scuoto la testa. «È l'ultima volta, poi tu e Violet vi mettete d'accordo.»

Sistemo il tutto in modo che Jordan riesca almeno a tenere le gambe ben messe e ne approfitto per cambiare canzone. Lui entra in macchina, mi guarda e si sporge verso di me per darmi un bacio sulla guancia.

Condividiamo un legame molto stretto sin da quando eravamo piccoli, e spesso persino i nostri genitori l'hanno trovato surreale. Di solito, il rapporto tra fratelli è fatto di litigi, scherzi, dispetti – tutto ciò che io e Jordan non abbiamo mai fatto. Tra noi c'è sempre stata una regola mai espressa e mai scritta, un unico comandamento a cui abbiamo fatto fede senza pronunciarne la promessa: ci siamo giurati di capirci anche quando l'altro non aveva niente da dire, una comprensione spesso basata su silenzi reciproci che non ci sono mai pesati. Abbiamo indossato la certezza del nostro giuramento come scudo, come il manto di stelle che sognavamo di rubare al cielo da bambini, e niente potrebbe strapparci via la seconda pelle di cui ci siamo rivestiti.

«Avalon, ho fame» mi sussurra nell'orecchio Jordan, poi soffia sul mio collo. «Muoviti a partire.»

Alzo il braccio e gli tiro una gomitata nel fianco, poi riaccendo la macchina e scuoto la testa. Ritiro tutto: a volte è così stupido che mi chiedo come possiamo avere lo stesso DNA.

«Dove vuoi andare?»

Smanetta con la radio, cambia qualche canzone. È soddisfatto solo quando trova Numb.

«Ha aperto un ristorante vicino alla WHS, fanno cose strane e da fighette stra-ricche tipo gourmet, ma Bastian ha detto che si mangia bene» risponde con un tono più acuto del solito e finge di sistemarsi la giacca che non ha. «E, dato che ti sei laureata, ti meriti un pranzetto pagato dal tuo fratellone.»

Arriccio il naso. «Sei imbarazzante. E comunque mi hai già regalato quel set di colori a olio che mi piaceva.»

«Zitta, tu» con la coda dell'occhio vedo che mi fa la linguaccia, poi allunga la mano e alza il volume. «Mi è arrivato lo stipendio del mese scorso qualche giorno fa, quindi lasciami spendere i miei soldi come più mi piace.»

«Le tue mani sono proprio romane.»

Emette un verso strano, un sibilo da "fighetta stra-ricca", e si porta una mano al petto. Quando mi fermo al semaforo gli lancio un'occhiata.

«No. Non hai fatto davvero la battuta sul Foro Romano.»

«Oh, sì. L'ho fatta.»

Scoppia a ridere e appoggia il gomito vicino al finestrino. «Fred e George approverebbero, sorellina.»

Gli dedico un sorriso leggero, il semaforo mi permette di ripartire dopo poco. Mi piace sapere che potrò sempre contare su di lui anche per le battute squallidamente divertenti dei gemelli Weasley.

«Non sapevo fossi ancora in contatto con Bastian» continuo, controllando il navigatore sullo schermo del telefono di Jordan. «Credevo non vi parlaste da anni.»

Lui fa spallucce. «Non vedo perché avremmo dovuto allontanarci.»

«Non è stato Jace a farvi diventare amici?»

Mio fratello si muove sul sedile, con lo sguardo fisso sulla strada non riesco a capire cosa sta facendo. Magari è solo scomodo, dato che ha le gambe troppo lunghe.

«No. È una cosa diversa rispetto a quella che è successa con gli altri» mi spiega, tornando a cambiare canzone. «Abbiamo conosciuto Bastian in prima media. Jace stava partecipando a un concorso di pianoforte e Bastian era un suo avversario.»

Sollevo le sopracciglia. «Questa mi è nuova.»

Jordan mi mette una mano sulla testa e mi accarezza i capelli. È il suo modo di dirmi che mi accetta come sorella anche se a volte sono proprio una sciocca.

«Ci sono tante cose che non sai di Jace, sorellina.»

«Non parlavo di lui» ribatto.

«Io sì, però.»

Aggrotto la fronte e stringo la presa sul volante. Non so perché, ma ho come l'impressione che questa conversazione stia prendendo la stessa piega dei discorsi che mi fa Violet. Se è davvero così, e ne sono piuttosto certa, giuro che mi metterò a programmare il matrimonio tra lei e mio fratello.

«Ho visto come vi siete isolati, domenica sera» insinua, con quel tono fastidioso e indagatore che tanto detesto in Violet e mia madre. «Sembravate proprio intimi.»

«Ma per favore, siete stati tu e Violet ad allontanarvi!» sbotto, trattenendo una risata. «Che poi, se si può sapere, di cosa stavate parlando?»

Sventola la mano all'altezza della mia faccia e risponde: «Niente di che, in realtà. Mi piace ascoltarla quando racconta le cose che fa».

«Anche se parla di ragni e simili?»

Socchiude gli occhi. «Sì, anche se parla di ragni e simili.»

Arriccio le labbra e cerco di non far germogliare il bocciolo del mio sorriso. So che Jordan sta sorridendo, sono riuscita a sbirciare la sua espressione in un brevissimo attimo, ed è difficile non sembrare un'ebete come lui. Vorrei dirgli che hanno tempo, adesso, per potersi frequentare, ma non sono del tutto sicura di voler essere io a spingere mio fratello a fare qualcosa. A Violet non piacerebbe sapere che mi sono messa in mezzo.

"Beh, almeno qualcosa posso dirglielo."

«Se in questo ristorante si mangia bene e la sottoscritta non avrà problemi di stomaco nelle prossime quarantotto ore, portaci Violet.»

«Dici che potrebbe piacerle?» mi chiede, timido.

«Assolutamente sì» confermo.

Jordan si stringe nelle spalle e appoggia la testa al finestrino, ma ci ripensa non appena avverte il freddo che vi si è incollato sopra. Sembra stanco e un po' mi dispiace non poter fare nulla per sgravarlo dal peso del lavoro, però non sono una bodybuilder, né potrei permettermi di fare da coach quando nemmeno io vado in palestra. Forse dovrei iscrivermi, ma sono consapevole dei miei limiti: non ci andrei per più di due settimane. Lo sforzo fisico non fa proprio per me.

Quasi senza accorgermene sfreccio davanti alla WHS, la noto solo quando l'ho superata e ormai è lontana persino nello specchietto retrovisore. Nonostante tutto, riesco ancora a distinguere il pallido bianco dell'edificio, l'enorme cancello di metallo placcato in oro e le querce all'interno del suo cortile.

Chissà che ci faceva una come me in una scuola del genere.

«Parcheggia qui» mio fratello si risveglia improvvisamente dalla sua trance per darmi un preziosissimo consiglio, poi indica oltre il vetro anteriore. «Il ristorante è lì.»

Sollevo un sopracciglio. «Lì dove?»

«Non vedi il tizio vestito da pinguino davanti all'entrata?»

«Vedo il tizio vestito da pinguino...» mormoro, scrutando in cerca della porta del ristorante mentre parcheggio. «Ma non vedo l'entrata.»

«A quando la visita dall'oculista?»

Spengo la macchina e gli lancio un'occhiataccia. A volte vorrei davvero strozzarlo e aggrapparmi alla legge che protegge le donne omicide durante il ciclo – che io non ho –, ma sono sicura che poi mi mancherebbe. E forse me ne pentirei pure.

Forse.

Scendiamo dall'auto e Jordan si stiracchia. Non capisco come faccia a non avere freddo quando indossa solo una giacca leggera, ma sono più che convinta che non comprenderò mai il modo di pensare di un palestrato come lui. Probabilmente hanno tutti il sangue caldo.

"O magari vengono da un'altra galassia."

Beh, se si considera che le persone come mio fratello sono fissate con la palestra, i muscoli, le proteine e soprattutto i pasti liberi... potrebbero davvero provenire da un altro mondo. Un mondo di malati del fitness.

Attraversiamo la strada mentre frugo nella borsa – non molto intelligente da parte mia, ma fortunatamente non sembrano esserci macchine in giro – e solo quando alzo lo sguardo capisco perché prima non vedessi l'entrata.

Perché sì, oltre al tizio vestito da pinguino c'è anche quella.

«Non me lo sarei mai aspettata» confesso, un po' stupita.

Mio fratello alza il pollice e mi fa l'occhiolino. «Bel posto, eh?»

Annuisco e mi fermo a osservare il varco di legno bianco, decorato da rami in fiore e ricolmi di foglie, tinte di un bel verde acceso che si intersecano tra loro fino a formare un'arcata dal profumo di primavera. I glicini chinano le loro corolle verso la stradina ciottolata oltre il marciapiede, petali di magnolia e bacche di biancospino giacciono al suolo.

«Sembra un ristorante da cerimonia... tipo per i matrimoni» mormoro, indugiando quando il pinguino ci fa cenno di seguirlo. «Se ci porti Violet, e so che lo farai, assicurati di avere un anello con te.»

Lui sorride imbarazzato. «Ma smettila.»

«Non sto scherzando. Ci farei il ricevimento dopo essermi sposata.»

«Con quale ragazzo?»

Faccio una smorfia divertita. «Chi ha detto che sarà un ragazzo?»

Jordan mi guarda per qualche istante, il cameriere che ci ha accolti all'entrata ci prende i cappotti rivolgendoci un sorriso cortese. Si inchina persino.

«L'università ti ha cambiata, sorellina» mormora, il solito tono ironico a stuzzicargli le corde vocali. «Una volta non avresti esitato davanti a un ca...»

Lo fermo mettendogli una mano sulla spalla e pestandogli il piede. Il cameriere ora ci guarda perplessi, in attesa di una nostra parola o di un nostro gesto.

Vorrei sprofondare qui e ora.

«Carinissimo ragazzo che ti offre la cena.»

Apprezzo lo sforzo, ma è stato un salvataggio in calcio d'angolo.

E anche piuttosto pessimo.

Il cameriere-pinguino si volta e ci fa strada, io scuoto la testa e tiro un pugno sul petto di mio fratello. Quando fa così è proprio stupido. Anzi, è stupido in ogni contesto, però adesso si è superato. In un ristorante del genere, poi?

«Idiota» gli dico in un sussurro.

L'interno della sala è accogliente ed elegante come mi aspettavo. Era impossibile che una tale cura e delicatezza fossero state utilizzate solo per decorare l'ambiente esterno, e con mia sorpresa dentro è tutto ancor meglio equilibrato. Credevo di trovare esagerazioni o il vuoto totale, eppure i proprietari hanno fatto un lavoro impeccabile.

Il cameriere ci fa sedere a un tavolo accanto alla finestra che dà sul giardino interno del ristorante. Se non facesse così freddo – e se non fosse sul punto di piovere di nuovo – sarebbe bello mangiare lì, dato che ci sono dei gazebo e dei tavolini, ma mi riprometto di tornarci quando farà bel tempo. Godere della calma e tranquillità di un ristorante di alta classe, lontana dalle chiacchiere dei fast food vegetariani o delle pizzerie, potrebbe aiutarmi a ristabilire quel contatto con me stessa ormai perduto da tempo.

"Sempre che io abbia i soldi per permettermelo" penso, tornando con i piedi per terra.

So che è passato davvero pochissimo tempo da quando ho consegnato i curriculum e di certo non posso pretendere una risposta in soli due giorni, però... Spero ancora arrivi il prima possibile. Non mi piace stare con le mani in mano, non combinare niente dalla mattina alla sera, se non le solite tre cose a cui una volta dedicavo solo il mio tempo libero. Mi sembra di star sprecando attimi preziosi che potrei spendere a fare qualcos'altro.

Jordan mi preme la punta del naso con il dito. «Come sei assorta.»

Solo in questo momento mi rendo conto di essermi persa a osservare il giardino oltre la finestra. Aggrotto la fronte e scuoto il capo.

«Scusa, stavo solo pensando al lavoro.»

«Hai già spedito qualche curriculum?» mi chiede, digitando qualcosa sul suo telefono.

Annuisco. «Non solo. Li ho consegnati di persona.»

Torna a guardarmi e arriccia le labbra. «Qualcuno vuole guadagnare punti.»

«Mi hai scoperta.»

«Dove li hai portati?»

«Un po' ovunque, anche se...»

Un sussulto alle mie spalle mi fa saltare. Le braccia mi si ricoprono di brividi nonostante siano al caldo sotto al vestito di cotone, uno di questi mi scende lungo la schiena. È stato un rumore troppo improvviso per un posto del genere.

Vedo Jordan sgranare gli occhi e alzarsi in piedi di scatto. Lascia completamente perdere il telefono sul tavolo, abbandonandolo con ancora lo schermo acceso, e si fionda dietro di me. Nel momento in cui mi giro faccio davvero fatica a trattenere una risata, ma cerco di contenermi solo per l'amore della quiete che regna – o regnava – in questo ristorante fino a qualche attimo fa.

«Non ci credo!» esclama mio fratello, abbracciando con enfasi il ragazzo di fronte a lui. «Ci sentiamo spesso ma non ci vediamo mai!»

L'altro ricambia l'abbraccio e gli lascia qualche pacca sulla spalla. «Non è colpa mia. Tu lavori a orari improponibili.»

Sciolgono l'abbraccio di pura fratellanza e Jordan si sposta appena, indicandomi con la mano da dietro la spalla.

«Alla fine l'ho portata con me.»

Il ragazzo sorride. «Avalon, ti trovo bene.»

Gli faccio un occhiolino e mi alzo. Ci diamo un abbraccio veloce, un po' impacciato come nostro solito, e a sua volta mi fa un occhiolino quando gli lascio un bacio sulla guancia.

«È bello rivederti, Bastian. Tre anni sono tanti» gli dico, lisciandomi il vestito sulle braccia. «Come stai?»

«Bene, grazie. Vi ho interrotti mentre parlavate di cose importanti?» ci chiede, lievemente preoccupato.

Conosco Bastian abbastanza da poter dire che odia intromettersi mentre altre persone stanno facendo o dicendo qualcosa, ma che sa non sempre sia possibile evitarlo. È molto accorto e rispettoso: non si permetterebbe mai di farlo senza un valido motivo.

«No, niente di che» rispondo. «Ed è stato mio fratello a interrompere la nostra conversazione, quindi non sentirti in colpa.»

Oh, il suo senso di colpa è più che palese. Che sciocchezza.

Jordan mi fa la linguaccia, poi mi mette il braccio attorno alle spalle e mi tira a sé. «Le stavo chiedendo dove ha mandato i curriculum. Non ha voluto prendersi nemmeno una settimana di pausa prima di iniziare a cercare lavoro.»

Bastian trattiene una risata. «Non poteva essere altrimenti.»

Non faccio troppo caso al significato di quella frase, forse perché ho bisogno di lasciarmi scivolare addosso la mia stessa psicanalisi. Vorrei riuscire a ossessionarmi meno sulle parole di chi mi circonda, tuttavia so bene che presto o tardi quelle di Bastian torneranno nella mia mente e mi sovrasteranno. È così da sempre.

«Beh? Dove li hai mandati?» insiste, riprendendo involontariamente la domanda di Jordan.

Alzo le spalle e distolgo lo sguardo. «Bershka, Gucci, Douglas... e alla Smith's Publishings.»

Bastian sgrana gli occhi. «La casa editrice?»

Faccio un cenno di assenso. «Mi sono laureata in lingue e letterature nordiche, credo sia la soluzione migliore. Ci sono tanti autori nord-europei che potrebbero diventare molto popolari, qui da noi.»

Mio fratello si scosta e storce il naso. «Pensi sempre agli altri.»

«Non è così» ribatto. «Mi piace lavorare sulla letteratura straniera. In America gli scrittori hanno infinite possibilità, siamo eclettici. E non mi dispiace pensarmi come traduttrice, a dirla tutta.»

C'è un attimo di silenzio, nessuno di noi tre dice qualcosa. Un cameriere, poco distante da noi, aspetta di capire se deve aggiungere un posto in più al tavolo. Il trillo del telefono di Jordan smuove un po' la situazione e lui corre a prenderlo.

«Vuoi mangiare con noi?» chiedo a Bastian con un sorriso sulle labbra.

Lui sembra rifletterci per qualche istante. Dà un'occhiata allo schermo del suo cellulare, poi torna a osservarmi e ricambia quello sprazzo di felicità che ho dipinto sul volto con altrettanta gentilezza.

«Certo. Vi dispiace se si unisce a noi un'altra persona?»

Scuoto la testa, Jordan spiega al cameriere la nostra decisione finale. Spero che non ci cambi di tavolo: mi piace davvero tanto stare accanto alla finestra.

«Hai una ragazza?» si intromette, stuzzicandolo.

Bastian muove la mano. Vuole chiaramente eludere la domanda.

«Non essere indiscreto» lo rimprovero con un'occhiataccia. «Sai quando arriverà?»

Lui guarda di nuovo lo schermo e risponde: «Dovrebbe essere qui a momenti».

«Allora direi che possiamo ordinare da bere. Voi due cosa preferite?»

Jordan ghigna malefico. «Vino.»

«Anch'io.»

Incrocio le braccia al petto subito dopo aver ripreso posto. Ecco perché spero sempre di non dover essere io a guidare.

«Vi detesto» sbuffo.

In realtà, sto solo fingendo di essere contrariata. Credo che il vino si accompagni bene con secondi di carne o pesce, a seconda della sua colorazione, ma dal momento che non mi importa di fare assaggi gourmet non avrebbe nemmeno senso berlo. Jordan vuole tirarsela, Bastian è abituato da anni.

Il cameriere in frac mi si avvicina e si inchina per prendere le ordinazioni delle bevande. Non mi è capitato spesso di mangiare in luoghi del genere, eppure credo che questo sia uno dei migliori per quanto riguarda location e servizio. Se il cibo è buono – e bello – la metà di tutto questo, credo proprio che diventerà il ristorante in cui organizzerò cene di lavoro e compleanni vari.

«Vi piace, qui?» Bastian ci porge la domanda in modo piuttosto repentino e inaspettato, tanto che sia io che mio fratello veniamo colti di sorpresa.

«È molto elegante. Se l'avessi saputo, mi sarei vestita meglio» gli rispondo mentre inizio a guardare il menù, sovrastato dalla scritta Smith's Gourmet House.

Arriccio il naso. C'è qualcosa di familiare in questo nome...

«Smith... di nuovo» mormoro. «Possibile?»

Bastian appoggia il mento sul palmo della mano. «È dello stesso imprenditore della Smith's Publishings, sì.»

Sollevo la testa verso di lui. «Come lo sai?»

Jordan scoppia a ridere e si guadagna varie occhiate truci dagli altri tavoli e dai camerieri. Riesce a calmarsi solo quando gli tiro un calcio sugli stinchi.

«Ma ti sembra il caso?!» lo sgrido di nuovo, seccata.

«Scusa, scusa» si passa una mano dietro al collo e trattiene ulteriori risate. «È che credevo lo sapessi.»

«Che sapessi cosa?»

Bastian sospira, arreso. «Jonathan Smith è mio padre, Avalon.»

"Ah."

«Scherzi.»

«No.»

"Oh, porca puttana."

Mi prendo la testa tra le mani e sgrano gli occhi. Vorrei fingere di non aver detto mezza parola sulla mia candidatura alla Smith's Publishings, ma non posso rimangiarmi nemmeno una vocale. So che Bastian non è il tipo, però...

«Ti prego» inspiro a fondo e trovo la forza di guardarlo. «Ti scongiuro, non chiedere a nessuno di approvare la mia candidatura solo perché mi conosci.»

Fa una smorfia e annuisce. Sembra aver capito.
«Potrei aiutarti, se me lo chiedessi, ma so che non è ciò che vuoi. Hai sempre voluto raggiungere i tuoi obiettivi senza l'aiuto altrui e perché volevi meritarteli» risponde, incredibilmente serio. «È una virtù e ti ammiro molto proprio per questo motivo. Inoltre credo nelle tue capacità, non hai bisogno di nasconderti dietro la mia raccomandazione per arrivare alla tua meta. Se ti prenderanno, cosa di cui sono piuttosto certo, non sarà grazie a me.»

"Ma solo grazie a te stessa."

Queste parole me le ha già dette tanto, tanto tempo fa. Non pensavo che avrebbero continuato a sortire questo magico effetto.

«Grazie per la sincerità» sussurro, tornando a osservare il menù.

Ora sono un po' più tranquilla.

«Ah, ecco che arriva.»

Suppongo stia parlando dell'altra persona che mangerà con noi. Non mi disturbo troppo a voltarmi per capire chi è – del resto siederà accanto a me, e trovo abbastanza imbarazzante fissare qualcuno che probabilmente nemmeno conosco.

«Ben arrivata, Cenerentola» esclama Bastian.

Jordan gongola su sé stesso. «Ma dai... e chi se lo aspettava.»

La sedia al mio fianco viene spostata e un profumo a me familiare mi stuzzica le narici. Prima ancora che possa alzare la testa, però, "Cenerentola" si rivolge agli altri due.

«Chiamatemi così un'altra volta e non vi ritroverete più la lingua.»

Schiudo le labbra, mi volto.

"Jace."

«Ciao, Avalon.»

Mi sorride come se niente fosse e invece di un niente caotico mi sta scoppiando il cuore.

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