Prologo
Lorenzo ricordava la prima volta che aveva visto Gennaro. Era stato il primo giorno di quarta ginnasio, e lui si trovava seduto all’ultimo banco insieme a Edoardo. Diffidente e turbolento di natura, gravitava attorno all’amico con la certezza che quell’avventura si sarebbe rivelata un disastro.
Del resto, lui non era mai stato un tipo studioso e si era ritrovato al classico solo per due motivi: la prima, che la comunità di stregoni tendeva a incoraggiare i propri allievi a frequentarlo; la seconda e più importante, che Edoardo si trovava lì.
Erano appollaiati sulle loro sedie a giudicare i ragazzi e le ragazze che si sarebbero trovati in classe. Avevano appena decretato come mediocre una ragazza dagli occhi azzurri nascosti dietro spessi occhiali, e ne avevano appena avvistata un’altra, dai capelli neri mossi, la pelle pallida e qualche neo sul volto.
«Quella?» chiese Lorenzo, con tanto di leggera gomitata per attirare la sua attenzione.
«Oh, hai gusto, quella mi piace!» commentò l’amico, gli occhi che brillavano. «Chissà come si chiama.»
«Mi è sembrato di sentirle dire che si chiama Laura, entrando.»
«Laura, eh? Però, non male.»
«Quando ci proverà con me perché sono carino, te la presenterò» esclamò, con il suo sorriso da spaccone brevettato per mascherare l’ansia.
«Anche io sono carino!»
«Non quanto me!»
«E allora perché alle elementari ti piacevo, eh?»
Lorenzo si imbronciò. Aveva confessato quel suo piccolo segreto a Edoardo quando aveva fatto coming out, e lui non aveva smesso di torturarlo da allora. Si strinse nelle spalle, nel tentativo di fare l’indifferente. «Errori di gioventù.»
«Balle, la verità è che io sono fantastico, lo sanno tutti.»
Aprì la bocca per rispondere, poi lo vide. «Lui.»
Il sibilo di Lorenzo spinse anche il suo amico a guardare verso la porta. Gli occhi dei due ragazzi si soffermarono su un ragazzo bassottino, che sembrava non avere ancora fatto il salto di crescita.
Osservava la classe con curiosità, sembrava in cerca di qualcosa o di qualcuno, e quando i suoi occhi scuri trovarono Lorenzo là si piantarono, inchiodandolo al centro del petto.
Diede segno come di averlo riconosciuto, sollevò le sopracciglia, accennò un sorriso dolcissimo e per un attimo Lorenzo ebbe l’impressione che volesse salutarlo, anche se era certo di non averlo mai visto.
Durò un attimo. Il ragazzino sconosciuto si spostò verso uno dei primi banchi, ancora deserto, e là si abbandonò.
«Quello? Ma sarà alto un metro e basta!»
«Ha le lentiggini» insistette Lorenzo. «E gli occhi belli.»
«Tu sei tutto matto.»
«Cazzo» sospirò lui, senza degnare Edoardo di alcuna risposta. «Cazzo. Mi ha steso. C’è un defibrillatore a scuola?»
Sentì la risata di Edoardo, e subito dopo venne quasi rovesciato dalla sedia da una sua spinta. «Coglione.»
«Ma che ne vuoi capire tu?» sbottò, gli occhi ancora su quella figura di spalle che si era messa a frugare nello zaino. «Lascia parlare l’esperto!»
Una ragazza dai capelli rossi fece il suo ingresso, Edoardo la indicò e fu costretto a voltarsi. A parere di Lorenzo non era niente di che, per il suo amico, invece, il colore di capelli le aggiungeva quel non so che di carino.
Qualche minuto dopo, tutti furono arrivati, e la lezione di presentazione iniziò. Il primo giorno di scuola avevano avuto da frequentare solo tre ore, e alla loro fine Edoardo andò a importunare quella Laura, non prima di avergli dato una pacca sul braccio e averlo esortato a presentarsi anche lui al ragazzo che aveva trovato più carino.
«Ciao» si ritrovò a borbottare, controllando il tono per mantenere la sua solita aria strafottente, anche se sentì le guance traditrici scaldarsi quando il ragazzo si accorse della sua presenza. Gli porse la mano. «Tanto piacere, sono–»
«Lorenzo Coletti» completò lui, e sorrise ancora di un entusiasmo che sembrava spontaneo, per poi aggiungere: «ho sentito il tuo nome durante l’appello. Piacere mio.»
Dio. Dio, quei sorrisi gli avrebbero tolto ogni facoltà di pensiero. Come avrebbe fatto a studiare?
«Tu invece saresti?» domandò, a mezza bocca, perché anche lui aveva sentito il suo nome ma non voleva ammettere di ricordarlo.
«Gennaro Russo. Tanto lo so che te lo ricordi» rispose con noncuranza e, prima che Lorenzo potesse negare, aggiunse: «in questa zona è un nome parecchio strano.»
A conferma delle sue parole, una ragazza di cui non ricordava il nome ridacchiò al sentirlo parlare con quell’accento marcato meridionale. Lorenzo le avrebbe dato volentieri una spinta.
«Ho sentito nomi peggiori» liquidò, con una stretta di spalle.
Gennaro gli restituì la mano e il suo sorriso si allargò. «Grazie.»
Poi era arrivato il primo tema dell’anno. Lorenzo aveva sempre odiato i temi di italiano, e per fare il suo si era impegnato il minimo indispensabile, assicurandosi un bel sette meno che era forse più di quel che meritava.
La professoressa, però, aveva chiamato Gennaro alla cattedra e gli aveva chiesto di leggere il suo a tutta la classe, perché era stato il migliore e per dare l’esempio. Capitava spesso. La maggior parte dei suoi compagni lo trovava un so-tutto-io insopportabile, lo prendeva in giro per il nome e per l’accento, e in quel momento lo osservava con aria annoiata e insofferente.
Lorenzo no, lui appoggiò i gomiti sul tavolo e si sistemò sulla sedia per ascoltare, mentre Edoardo giocava col cellulare sotto il banco.
«“Costarica, il paese senza esercito e perché il disarmo sarebbe la strada giusta anche per noi”» aveva proclamato Gennaro, leggendo il titolo. Al sentire la sua voce, Corrado gli aveva fatto il verso.
Lorenzo era già arrivato al limite della sopportazione, con quelle prese in giro del cazzo. Se fosse andata avanti così, avrebbe distribuito qualche pugno sui denti molto presto.
Non capiva perché accanirsi contro quel ragazzo che non aveva proprio niente che non andava, anzi, proprio il contrario. E l’accento! C’era qualcosa capace di farglielo rizzare più dell’idea di qualche porcata detta con accento campano? Forse no. Sicuramente no.
Quel tema sul Costarica era stato un’epifania, per lui: gli aveva fatto capire che dietro quel sorriso caldo e quegli occhi neri c’era di più di un secchione con le lentiggini e il visino carino.
Poi c’era stato il giorno in cui il pugno l’aveva mandato a segno davvero. Luca aveva zittito Gennaro in malo modo, gli aveva detto che sentirlo parlare gli dava fastidio, e che se fosse tornato “a casa sua” sarebbe stato meglio per tutti.
Lorenzo non l’aveva degnato di uno sguardo, aveva guardato Gennaro perché lo guardava sempre, e gli aveva visto in faccia che l’aveva ferito.
Così si era alzato con calma dalla panchina del cortile, si era avvicinato a passi misurati in silenzio, gli aveva picchiettato sulla spalla per attirare l’attenzione, e quando si era voltato aveva fatto collidere le sue nocche coi denti del coglione con forse più forza del necessario. Non contento, aveva urlato a tutto il cortile che se qualcuno avesse riprovato a dargli fastidio lo avrebbe fatto di nuovo.
Gli era costato una settimana di sospensione con obbligo di frequenza e meno due punti a fine anno in condotta, oltre che la ripassata della sua vita da parte di sua nonna. Da quel momento, però, Gennaro aveva iniziato a ronzare intorno a lui ed Edoardo, quindi ne era valsa la pena.
Poi era arrivato il suo quindicesimo compleanno, ed era stato ammesso al Gran Consiglio, in rappresentanza del suo nucleo familiare. Nucleo familiare che, manco a dirlo, comprendeva lui e lui soltanto. L’aveva visto, allora: lui era là. Era là, inginocchiato accanto alla cattedra del grande capo.
La Sibilla Cumana, cazzo. Quello sì che era stato un colpo di scena coi controcoglioni.
I loro sguardi si erano incontrati sopra i banchi del consiglio, e Gennaro gli aveva fatto l’occhiolino. In quel momento si era sentito svenire.
«Non sai quanto sono contento!» gli aveva detto Edoardo, quando lui gliel’aveva svelato, con un ghigno. «Non sentirò mai più le tue lamentele. “Oh, non potremo mai stare insieme!” “Oh, non sa neanche che sono uno stregone!” “Oh, perché non posso mai avere quello che voglio?”»
«Ma che cazzo dici?» ringhiò, la fronte accartocciata in una smorfia di disappunto. «Io non parlo così.»
«Non mentire! Sono curioso di sapere che scusa inventerai adesso per restare a commiserarti anziché farti avanti, una buona volta.»
«Non ho bisogno di una scusa! Lui… lui non mi vuole. Che sappia o no chi sono non cambia nulla.»
«Oh, Colo, certo che non avrai mai quello che vuoi se continui così…»
Poi, come se il destino avesse voluto confermare le sue parole, Gennaro aveva iniziato a cedere alle lusinghe delle ragazze. Ce n’erano state diverse di passaggio, poi Rebecca che era durata un po’ più a lungo – Lorenzo non credeva di aver mai detestato qualcuno di più in vita sua – e l’ultima era stata Marta, il giorno della sua festa di compleanno.
Per stare a limonare con lei, Gennaro li aveva trascurati sino a farli scoprire da quella cretina di Marchesi, mettendo a rischio la loro copertura per farsi bello con una delle sue galline del cazzo. E a Lorenzo era andato il sangue al cervello.
Quella sera, la nonna, che non avrebbe accettato il ritorno di Lorenzo dopo mezzanotte, gli aveva concesso di dormire da uno dei suoi amici. Benché la casa di Edoardo fosse più grande, benché là avrebbe potuto avere una stanza tutta sua, la scelta era ricaduta su Gennaro. In un modo o nell’altro, la sua scelta ricadeva sempre su Gennaro.
Almeno, lui non sembrava aver notato nulla di sospetto, e andava bene così.
Devi dirglielo, gli aveva scritto Edoardo, quella sera. Digli perché ti sei arrabbiato così tanto quando hai saputo che era con Marta. Glielo devi. Hai sbroccato oggi, ha diritto di sapere perché.
Ma che scopo avrebbe mai potuto avere? Era chiaro che a Gennaro interessassero le ragazze, non l’aveva mai nascosto, ed era più che chiaro che non gli interessasse lui.
Lorenzo lo guardò di sottecchi infilarsi il pigiama. Era di questo che viveva, di sguardi furtivi e occhiatine, di stomaco che bruciava e bile che gli risaliva su per l’esofago.
Si sedette sul letto, Gennaro avrebbe dormito sulla brandina. Lui era fatto così, non importava che fosse la sua stanza, Lorenzo era l’ospite e quindi doveva prendere il letto, per stare più comodo.
«Posso sedermi là con te? Devo dirti una cosa» gli chiese proprio lui, una volta che fu nel suo pigiama invernale. Lorenzo lo guardò allora, non aveva le forze di dire nulla, così annuì.
Gennaro lo fece, le loro spalle si sfiorarono, poi lo sentì schiarirsi la gola. «Non ti chiederò di perdonarmi, perché non me lo merito. Quello che ho fatto è grave, lo so, e so che tu sei arrabbiato.» Chiuse gli occhi e deglutì, prese un filo d’aria e continuò. «Volevo solo dirti che non avrei mai lasciato che togliessero il tuo nome dal Libro. Ho fatto una cosa stupida, è vero, ma non così stupida. Non sarebbe mai successo, te lo giuro. Io… io lo so che ti ho deluso, è giusto, ma tu sei importante per me e non voglio che pensi che avrei buttato all’aria… che avrei permesso…» smise ancora di parlare, e si pizzicò la base del naso con un lungo sospiro frustrato. «Scusa, sono patetico. Il punto è… le cose che ti ho detto erano cattive, e non le penso. Non penso che non hai una vita o che sei geloso di me. Ho detto qualcosa di superficiale, di falso e di stupido. E non te lo meritavi, anche perché ho sbagliato. Avevi ragione. Scusa. Ti prometto che non succederà mai più.»
Lorenzo aveva ascoltato quelle parole in totale silenzio.
Lui era stato davvero geloso, anche se l’altro non aveva modo di saperlo, e sarebbe dovuto continuare così. Fu per questo che scelse di non dire nulla.
Vedendo che lui non accennava a rispondere, Gennaro si alzò per andare a mettersi sulla branda.
«Grazie per non avermi interrotto» disse. «E per avermi ascoltato. Non devi ricominciare a parlarmi subito, non fa niente. Volevo solo dire queste cose, tutto qui.»
Si voltò verso di lui e finalmente incrociò il suo sguardo. Era… ferito. E aveva paura.
Gennaro non aveva mai paura, non ne aveva bisogno, perché lui sapeva già che tutto sarebbe andato bene, sapeva già come fare per risolvere tutto.
Quella volta però era diverso, giusto? Quella volta ci si era messa Marchesi di mezzo e lui non ci vedeva più un cazzo. La sua era una vista, e ora era cieco, solo e spaventato… e gli aveva appena chiesto scusa. E detto che teneva a lui, peraltro.
Non riuscì più a trattenersi. Saltò in piedi e, senza aggiungere altro, lo abbracciò.
Gennaro si aggrappò a lui con la fretta di chi già sapeva che sarebbe successo e non aveva aspettato altro per tutto quel tempo. Lo strinse forte e nascose il volto contro la curva della sua spalla, Lorenzo sobbalzò ma non lasciò la presa, anzi, gli artigliò il pigiama e strizzò gli occhi per imprimersi il momento nella testa.
«È tutto a posto» si forzò a mormorare, al suo orecchio. «Non fa niente, non ti scusare. È tutto a posto.»
«Grazie.» Lo sentì premergli le labbra sul collo e pensò che sarebbe anche potuto morire così.
«No, grazie a te. Grazie di avermi spinto via quando Marchesi ha fatto saltare tutto, anche se ti avevo appena urlato contro e ti avevo dato dell’egoista e dello stronzo.»
«Avevi ragione, tanto. Sono egoista e stronzo per davvero.»
Quella frase lo oltraggiò tanto che soppresse a fatica un ringhio di disappunto. «Non dire stronzate.»
«Sei incorreggibile» lo sgridò, il suo fiato sul collo lo intossicava.
Lorenzo lo lasciò andare, in ultimo, non perché volesse ma perché se avesse continuato a stringerlo a sé in quel modo ancora un secondo di più, si sarebbe fatto scappare cose di cui si sarebbe pentito.
«Dormiamo» riuscì a dire, a mezza voce.
«Sì. Hai una partita vincere, domani.»
Spalancò gli occhi, colpito. «Davvero?»
«Giuro. Farai un assist della Madonna, ti farò il video» annunciò, sorrideva.
Lorenzo trattenne il fiato. Gennaro non rivelava mai il risultato della partita in anticipo, ed era vicino. Troppo vicino, così vicino che era sia bellissimo che terrificante. «Genny, io…» Ti voglio da tanto tempo che non ricordo più come si fa a non farlo. «Ti voglio bene.»
«Anch’io. Tantissimo. Sempre.»
«Non sono più arrabbiato.»
«Neanch’io.»
«Buona notte.»
«Buona notte, a domani.»
Lorenzo restò a guardarlo ancora qualche attimo. Fu davvero sul punto di fermarlo di nuovo e dirgli che non voleva litigare con lui mai più, che era andato fuori di testa del tutto, da strapparsi il cuore via dal petto, che avrebbe massacrato chiunque avesse osato anche solo guardarlo storto, figurarsi fargli del male, che avrebbe solo voluto baciarlo sino a consumarsi le labbra, ripetere il suo nome come una preghiera sino a svenire.
Non lo fece.
Fu il primo a distogliere lo sguardo, seppur con riluttanza. «A domani» borbottò, poi si incupì e la stanza piombò nel buio.
E in quel momento, a ridosso delle vacanze di Natale, si trovava in un Frecciarossa Bologna-Napoli diretto verso l’ignoto, Gennaro nel sedile davanti a lui intento a combattere con il suo cellulare con aria seccata. Lorenzo sapeva che i membri del Gran Consiglio non lo lasciavano in pace, che lavorava tantissimo e che lo pagavano bene ma gli risucchiavano anche tutte le energie.
Lui lo osservava, la luce dello schermo gli illuminava di blu le lentiggini e l’espressione imbronciata, che trovava davvero adorabile.
Edoardo l’aveva avvisato, gli aveva detto che se non si fosse fatto avanti da solo durante le vacanze gliel’avrebbe spifferato lui perché si era stancato, ma Lorenzo non ci aveva creduto. Il suo migliore amico non gli avrebbe mai potuto fare qualcosa del genere, anche se gli ripeteva sempre che dopo tutti quegli anni la situazione si era fatta davvero ridicola.
Ed era ridicola davvero, lui lo sapeva, eppure non si sarebbe mai fatto avanti. Era destinato a restare seduto davanti a lui a guardarlo, come sul sedile di quel treno. Niente sarebbe cambiato, mai.
Come avrebbe potuto anche solo sperarlo?
Note autrice
Allora! Abbiamo iniziato il nostro viaggio a Pozzuoli! Per caso qualcuno ha detto “pining”? Perché in questa prima parte ce n’è giusto un tantino, lol.
Avete riconosciuto l’ultimo flashback, quello in cui i due fanno pace? È la notte dopo il capitolo della festa, quello in cui Gennaro ha limonato con Marta facendo piangere Rebecca e facendo incazzare Lorenzo come una biscia. Certo che è proprio uno scapolo d’oro...
Si sono detti cose cattive in quel capitolo, ma la mattina dopo, alla partita, Chiara ha notato subito che avevano fatto pace. Ora sapete cosa è successo!
Lorenzo, da parte sua, ha avuto un vero e proprio colpo di fulmine, e gli va dietro dal primo giorno di scuola. Gennaro non sembra essersene accorto, si dà alla pazza gioia con le ragazze, ma noi sappiamo che qualcosa cambierà.
Questo prologo era solo un piccolo “nelle puntate precedenti” per ripassare un po’ gli eventi dello scorso libro e per dare qualche dettaglio in più su Lorenzo, dato che la storia è la sua.
Spero che questo spinoff vi piaccia e noi ci aggiorniamo sabato prossimo col primo vero capitolo!
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