Epilogo

Lui era là, doveva averlo appena buttato giù dal letto. Non portava più il camice, qualcuno gli aveva prestato dei vestiti, e aveva una maglia larga che gli copriva i boxer appena sotto.

«Perché mi hai chiamato “stronza”?»

«Scusa, credevo fossi quell’altra. Sai, quella... quella che ogni tanto parla al posto tuo. Mi ha già rotto il cazzo...» farfugliò, lottando con la tentazione di distogliere lo sguardo dall’imbarazzo.

«Ah, Amaltea!»

«Si chiama così?»

«Pensavi che il suo nome fosse davvero “la stronza”?» domandò, divertito. Era stanco, e assonnato, ma sorrideva e Lorenzo dovette accettare di essere proprio fottuto.

Per quanto fosse ancora offeso con lui. Sissignore.

«Di sicuro è un nome che le si addice di più.»

«Vieni, entra.»

Si infilò in stanza, dietro di lui. Era più piccola dell’altra, il Gran Consiglio di Pozzuoli forse aveva voluto spendere meno di Edoardo. Gennaro si sedette sul letto e batté la mano accanto a sé, invitandolo ad accomodarsi. Lui obbedì.

Gennaro non diceva nulla, così fu lui che si decise a parlare. «So che sei arrabbiato con me, ma–»

«Non sono arrabbiato con te.»

«–anche io sono arrabbiato con te.»

«Lorenzo, non sono affatto arrabbiato con te.»

Quella risposta lo impensierì, decise che fissare le proprie mani a disagio fosse la mossa più sicura. «Non sei arrabbiato con me?»

«Perché dovrei esserlo?»

«Ti sei consegnato per colpa mia.»

«L’ho fatto perché volevo farlo, non mi hai obbligato tu. Anzi, se avessi potuto mi avresti fermato.»

«L’hai fatto per evitare i disastri che combino come al solito» borbottò. «Ti hanno fatto del male, vero?»

«Non più di quel che mi aspettassi.»

«Cioè cosa?»

«Non vuoi saperlo davvero. Me lo chiedi solo per decidere quanto devi odiarti, non ti aiuterò a farlo. Posso essere onesto con te?»

Stupide mezze risposte del cazzo. Era anche per questo che era arrabbiato, lui faceva sempre così. Decise di lasciar correre. «Beh, direi che essere onesti è d’obbligo a questo punto.»

«Non è ammettendo di fare disastri, che ripari le cose. Sì, sei stato avventato, hai esagerato, ma l’hai fatto perché sei... beh, te l’ho detto anni fa, no? Un’impulsiva testa di cazzo, e roba del genere. Il punto è che non ti devi scusare per come sei, non puoi cambiarlo e neanche dovresti. Diventa una scusa vuota. Puoi scusarti... puoi scusarti perché hai trascurato Edoardo, per esempio. O magari perché stai facendo tutte queste stronzate mentre hai un fidanzato, o–»

«L’ho mollato!» lo interruppe, perché gli premeva. «O mi ha mollato? Non so. Ci siamo mollati, comunque.»

Lorenzo azzardò di guardarlo di sottecchi, vide che osservava la porta con grande attenzione, poi che prendeva un profondo respiro. Per un millisecondo sulle sue labbra era apparso un sorrisino soddisfatto, che era sparito con la velocità con cui arrivato. «E qui passiamo alle mie colpe, non è così? Hai detto di essere arrabbiato.»

Beh, in effetti lo era. Davvero, era arrabbiato. Forse era più dispiaciuto che arrabbiato, ma arrabbiato lo era di certo.

«Sì. Sì, sono arrabbiato.»

«Mi dispiace averti illuso. Io non volevo, quando ti ho detto che un giorno sarei tornato non sapevo che sarebbe stato per tanto poco. Certo, quando stamattina sono andato a prendervi in stazione avrei potuto dire subito che me ne sarei andato ancora, e non l’ho fatto. Non l’ho fatto perché... perché mi piaceva l’idea di fare finta di nulla, credo. Lo rendeva meno reale.»

Era questo di Gennaro che gli faceva salire il sangue al cervello. «Sei un manipolatore bastardo. Tu... tu dici le cose solo quando ti conviene, altrimenti non dici un cazzo. Lo fai sempre. Quando parli è sempre perché hai pesato la parola perfetta per avere dagli altri quello che pensi sia meglio. Non c’è nulla di quello che dici che non ha un secondo fine, nulla. Mai.»

«Tutti dicono quello che pensano gli convenga. Ti dà fastidio con me solo perché quando lo faccio io funziona davvero.»

«Lo stai facendo ancora. Stai rigirando la frittata.»

Genny era sempre stato così. Era sempre stato un manipolatore bastardo. Eppure prima non lo faceva in modo cattivo, o così aveva sempre creduto. Aveva sempre creduto che Genny macchinasse per un bene superiore... a quanto pareva, spesso era proprio lui il bene superiore di sé stesso.

«Mi dispiace averti illuso. Mi dispiace averti fatto male. Farti soffrire è l’ultima cosa che voglio.»

«Dimmi che starò meglio. Ti prego, dimmi che non mi sentirò sempre così.»

«Starai meglio» rispose, come se fosse sicuro. Lorenzo prese un respiro più leggero. «Ma non... non credo che starai meglio con me.»

La frase gli tanto male tanto in fretta che strabuzzò gli occhi come se l’avessero appena frustato senza preavviso. «Cioè?»

«Questo tuo colpo di genio è servito. Resterò per qualche mese qui, forse anche un anno... ma poi me ne andrò, e tu non reggerai la botta, questa volta. Ho fatto in tempo a vedere tutto, prima del neutralizzatore. Vedi, mi hanno indotto varie visioni, sai, per studiarmi. È durato tanto, tipo un’ora, ho visto un sacco di versioni di un sacco di cose, e ho visto anche te. Posso ancora rimediare al male che ti ho fatto.»

«Tipo? Che hai visto?»

«Ho visto tipo che io ti bacio, che tu mi sbatti sul letto, che torno a Castelcaro con te, che ci trasferiamo a vivere insieme, che è tutto bellissimo e tu sei fantastico, e che poi Edoardo dovrà raccogliere col cucchiaino quello che resterà di te quando me ne sarò andato un’altra volta. E ho visto anche tipo che ti arrendi, torni da lui, ti riprende con sé e fai una vita decente come dovresti, senza di me.»

«Non è vero. Non sarebbe una vita decente senza di te.»

«Certo che è vero. È successo davanti ai miei occhi, l’ho visto benissimo.»

Lorenzo si alzò in piedi e gli si parò davanti. Lo vide voltarsi per evitarlo, lui non l’avrebbe permesso.

«Basta ora, guardami» ordinò. «Genny, cazzo, guardami

Obbedì, con riluttanza. Aveva delle occhiaie profonde, ed era pallido, e che cazzo voleva dire che gli avevano indotto una visione di un’ora? Era già esausto dopo quelle di qualche minuto. Animali. Se li avesse avuti davanti–

Ma no, non era il momento.

«Non farei una vita decente con lui, ti dico. Non sarei felice.»

«Non sempre,  ma ogni tanto sì. Come tutti, del resto... benvenuto nella vita vera.»

«Ogni tanto?» Non doveva scaldarsi, non doveva alzare la voce. Non doveva fare l’impulsiva testa di cazzo. Quant’era difficile. «Fanculo “ogni tanto”! Anche gli schiavi nei campi di cotone erano felici ogni tanto! Cantavano, e scopavano, e talvolta rubavano pure qualche sorso di whisky, ma restavano sempre schiavi nei campi di cotone! Che cazzo vuol dire “ogni tanto”?»

«Oh, Lore, andiamo...»

«No! Non andiamo, invece! Non voglio essere ogni tanto felice con lui, voglio essere ogni tanto di malumore con te! La capisci la differenza?»

«Tu non capisci, non posso farti questo. Non sopravvivi a questo giro.»

Non se la sarebbe cavata così, stronzo bastardo, non se la sarebbe cavata così, dicendogli di tornare con Mattia e festa finita.

Cadde in ginocchio davanti a lui, per mettersi alla sua altezza. «Uccidimi, allora. Uccidimi, cazzo. Preferisco morire di te che sopravvivere di qualcun altro.»

«Non voglio farti altro male.»

«Se non vuoi farlo, non mandarmi via. Avevi detto... avevi detto che ti saresti preso cura di me. Me l’avevi promesso.»

«Sei scorretto, così» sussurrò. «E mi manchi tanto... ma persino tu hai ammesso che ho fatto male a tornare per così poco. A che servirebbe?»

«Ormai sei qui. Non voglio sprecarlo.»

«Sei ancora arrabbiato con me?»

«Sì. Anzi, ora lo sono di più... perché sei uno stronzo egoista e continui a mandarmi via per sentirti meglio con te stesso. Ma sai una cosa? Non mi interessa. Mi ero sbagliato su di te, tu sei incasinato come tutti gli altri, e credevo... credevo di amarti perché eri perfetto, ma non era per quello. Se fosse stato per quello avrei smesso, e invece eccomi qui a chiederti di baciarmi, e farti sbattere sul letto, e salire a Castelcaro con me, e vivere insieme, e poi se Edoardo dovrà raccogliermi col cucchiaino ne sarà valsa la pena.»

«Pft. Io sono la persona meno perfetta che conosco.»

«Lo so. Se tu fossi perfetto avresti già smesso di rompere i coglioni con queste seghe mentali e adesso staremmo battezzando questo letto del cazzo.»

Aprì la bocca, ma Lorenzo lo interruppe di nuovo.

«Se stai per dire qualunque altra stronzata che non sia “baciami” non sei tu che mi mandi via, sono io che me ne vado. Me ne vado davvero, non torno più indietro. Mi sono stancato delle tue cazzate, giuro che–»

Lorenzo non sapeva neanche lui se sarebbe stato in grado di mantenere la sua parola e andarsene, anzi pensava di no. Non ci fu bisogno di scoprirlo, quindi andava bene così.

Per un attimo nei suoi occhi lesse un calcolo troppo grande da immaginare, un peso dei pro e dei contro che gli lampeggiò in volto. Gli sarebbe piaciuto venire scelto e basta, venire scelto in un attimo , di pancia, perché Gennaro lo voleva e non voleva stare senza di lui. Se Gennaro fosse stato uno che sceglieva e basta non sarebbe stato Gennaro, quindi ingoiò il boccone amaro.

Fu sul punto di scoprire davvero se sarebbe stato in grado di alzarsi e andare via, quando sentì: «Baciami, idiota.»

Neanche una frazione di secondo dopo si era sporto in avanti e l’aveva fatto sul serio, e Gennaro lo aveva accolto nella sua bocca senza tante cerimonie, infilandogli le mani sotto la maglia e graffiandogli la schiena forte, come se sino a quel momento avesse faticato a trattenersi dal mettergli le mani addosso e avesse finalmente deciso di liberarsi.

Ogni terminazione nervosa del corpo di Lorenzo si incendiò. Voleva sentirlo, assicurarsi che fosse reale, voleva stringergli i capelli e leccargli la pelle e sentire le sue imprecazioni nelle orecchie perché era tutto vero, cazzo, l’avevano finita con le menate, eper una volta nella sua vita si trovava proprio dove voleva essere.

«Piano.»

Quella parola, mormorata a mezza bocca, si fece strada attraverso la coltre di nebbia. «Mh?»

«Piano, mi sei saltato addosso, sono ancora messo male.»

Lorenzo non tenne a specificare che anche lui gli era saltato addosso a sua volta, e parecchio di buon grado anche.

«Devo fermarmi?»

«No. Lo voglio. Solo, piano

Gli sorrise, da quanto tempo non sorrideva? Gli sembrava passata un’era. Quanto era bello farlo? Era incredibile che i suoi muscoli ricordassero ancora come fare. «Mi hai chiesto una cosa molto difficile.»

Gennaro sorrise di rimando. «Confido che ce la farai.»

Si avvicinò ancora, gli sfiorò le labbra con le sue e lui trasalì. Amava come si ammorbidiva al suo tocco, l’aveva sempre amato, come lo addolcisse e lo ammansisse con le sue mani e le sue labbra.

Eccola là, la Sibilla Cumana del cazzo. Sapeva tutto, faceva di tutto, ogni persona che conosceva seguiva i suoi ordini senza batter ciglio. Gli bastava sfiorarla per farla tremare come una foglia, per mozzarle il respiro in gola.

Tutta nelle sue mani.

Si fermò un istante, avvelenato da troppo amore.

«Ehi» mormorò lui, allora. «Va tutto bene?»

«Sì. Sto solo... realizzando, credo.»

«Come ti senti?»

Si separò appena per guardarlo meglio in volto. Iniziava a essere assonnato anche lui stesso, l’adrenalina era scemata e voleva solo collassare insieme sul letto.

«Come mi sento?» domandò, senza fiato. «Mi sento che... che è un peccato che mi abbiano rifilato il neutralizzatore, perché se non l’avessi... se non l’avessi avrei curato tutti i mali del mondo, cazzo. Tutti i bambini che muoiono di fame in Burkina Faso, tutti i malati terminali di cancro negli ospedali, tutti i sopravvissuti all’olocausto e gli invalidi di guerra... tutti a quest’ora sarebbero sani come dei cazzo di pesci, te lo giuro.»

Gennaro non rispose a quelle parole, però rispose a quello che significavano. «Anch’io.»

Passarono le ore a stringersi sotto le coperte, a recuperare il tempo perso e a leccarsi le ferite a vicenda, assopiti uno sull’altro senza più niente a separarli.

Quando fu ora di partire, gli rifilarono l’ennesimo neutralizzatore sino a data da destinarsi, e lo estromisero – insieme a Edoardo e le ragazze – dalle riunioni del Consiglio e dalla vita di comunità per un tempo indefinito.

A Lorenzo non importava molto. Lavorava col Gran Consiglio, sarebbe rimasto senza soldi, ma Gennaro portava a casa abbastanza soldi per tutti e due, e da quell’avventura ci aveva guadagnato qualcosa di così grande che avrebbe accettato qualsiasi conseguenza.

Genny non poteva vedere il loro futuro per via del neutralizzare che gli avevano rifilato, questo lo rendeva nervoso; Edoardo, Chiara e Cassandra però non se l’erano presa con loro per la punizione, avevano continuato ad andare all’università come sempre, e la loro vita era proseguita senza intoppi.

Certo, a parte l’ombra dei mesi che passavano che gli strappava il cuore a brandelli ogni volta che ci pensava, ovvio.

Vivere insieme fu più bello di quello che si era aspettato, anche se le scaramucce non mancavano mai. Il fatto che essere insieme fosse la nuova normalità li faceva stare bene, ma l’idea di avere i giorni contati li tormentava.

Venne Natale, poi capodanno. Sei mesi furono passati, e ogni giorno che passava si sentiva sprofondare, si sentiva cadere da un’altezza lunghissima sapendo che lo schianto era prossimo e inevitabile.

«Non voglio tornare nella grotta» gli aveva confessato un giorno, quando era stanco e provato e non era più riuscito a nascondere l’angoscia e il terrore. «Non voglio sparire di nuovo. Non voglio sparire per sempre. Morire fa schifo, non voglio tornare là.»

«Se potessi andare al posto tuo lo farei. Davvero, pagherei per prenderti il posto. Se ci fosse un modo...»

«Non voglio lasciarti. Non voglio smettere di esistere. Non voglio smettere di esistere. Non voglio, non voglio, non voglio.»

Gennaro si mostrava sempre forte, sempre positivo, sempre sicuro di sé, lui non si rompeva mai. Sentirlo piagnucolare terrorizzato in quel modo era tanto sconvolgente da essere insopportabile.

L’avrebbe protetto. Avrebbe dovuto. Non poteva stare a guardare.

«Scappiamo» disse, in un impeto di coraggio. «Andiamo via. Adesso. Con la vista non ci troveranno mai. Proveranno a localizzarci, ma tu lo saprai e ce ne andremo di nuovo. Non facciamo neanche le valigie, usciamo da quella porta e non torniamo mai più. Ora, però. Alzati, basta, andiamo via. Andiamo via per sempre, non guardiamoci più indietro.»

La smorfia impaurita di Gennaro si trasformò in un sorrisino. «Eccola, è sempre qua. La mia impulsiva testa di cazzo.»

E lui era sempre là con le sue mezze risposte che lo facevano impazzire dal fastidio. «Perché no? Perché non ora? Andiamo, ti dico!»

«Non siamo soli. Amaltea mi riporterebbe qui al mio primo abbassare la guardia.»

«Quella stronza deve capire che questo è il tuo corpo, non il suo.»

«Shhhh. Non parlare così. Sai che ci ascolta sempre.»

«Che ci ascolti, allora» sibilò. Gli sollevò il mento con due dita e puntò gli occhi nei suoi. «Senti, stronza, sei un’ospite qui. Non puoi fare il bello e il cattivo tempo come ti pare, capito?»

«Smettila! Lasciala stare!»

«Perché ora la difendi?»

«È dentro il mio corpo, mi piaccia o meno. Dobbiamo lasciarla stare, le cose stanno così.»

Quello mise fine alla discussione, ma a sentirsi così impotente, Lorenzo pensò che avrebbe cominciato ad ammattire.

Per qualche settimana restò convinto che non sarebbe mai potuto stare peggio di quando la persona che amava aveva pianto tra le sue braccia perché non voleva morire e lui non era riuscito a fare niente per aiutarla... poi era arrivato quel giorno.

Quel giorno era tornato a casa da una rimpatriata coi vecchi compagni della squadra di calcio, aveva aperto la porta piano per non svegliare Gennaro, aveva raggiunto di soppiatto la camera da letto e l’aveva trovato senza vestiti nel letto con una sconosciuta che gli stava esplorando la bocca con la lingua.

Lorenzo prima di quel giorno era stato male tantissime volte, davvero troppe per contarle tutte, ma niente – niente – l’aveva preparato a quello che sentì in quel momento.

Non aveva mai considerato l’idea del tradimento, non se l’era mai nemmeno immaginata, non una volta da quando erano stati insieme. E la delusione, il dolore, l’incredulità, lo sconcerto gli diedero una botta così forte che restò immobile per un attimo, pietrificato, incapace di muoversi e di respirare.

Se non avesse avuto il neutralizzatore non aveva idea di cosa sarebbe successo, perché il dolore pulsava e pulsava e non c’era modo di fermarlo e lui era là immobile come un idiota e per un attimo pensò di stare per morire perché faceva troppo male.

«Ah!» la ragazza, piuttosto giovane, lo aveva visto all’improvviso e doveva esserle venuto un colpo. «C’è qualcuno nella stanza!»

Avrebbe voluto dirle che lui non era “qualcuno” e che quella era la sua stanza, ma riuscì solo a inspirare un filo d’aria che gli stracciò i polmoni con minuscoli aghi affilati.

Avrebbe anche cominciato a piangere, se ci fosse riuscito, ma non poteva fare niente. Era pietrificato, tanto che pensò sul serio che il suo cuore si sarebbe fermato con lui.

«Lascia stare, non è nessuno. Ignoralo e basta, okay?»

Fu quella voce a fargli recuperare un briciolo di lucidità, perché gli fece ricostruire in maniera più razionale cosa potesse essere successo.

Si voltò verso la ragazza con le forze rimaste e le disse: «Vattene. Lasciaci soli.»

Il volto che amava fece una smorfia delusa. «Oh, ma avevamo appena cominciato!»

«Mi avevi detto di essere single» rimproverò la sconosciuta.

«Lo sono, infatti. Comunque questo idiota ha ragione, ormai devi andartene.»

Lorenzo attese che lei si rivestisse e si defilasse, immobile come una statua.

«Dovevi per forza tornare così presto? Contavo di divertirmi, stanotte.»

La voce dell’antica Sibilla, il suo tono canzonatorio, rese molto difficile controllarsi. «Lui lo sapeva? Ti ha dato il permesso di farlo?»

«Macchè. Si è addormentato e ho preso il controllo per qualche ora» rispose, poi stiracchiò il corpo nudo nel letto. «Vedi? Questo corpo è anche mio, e ci faccio quello che voglio. Avevate bisogno tutti e due di un piccolo... come dite voi giovani d’oggi? Reminder.»

«Non puoi farlo.»

«Sì che posso. L’ho fatto ora, e posso rifarlo quando mi va. Se mi gira bene gli faccio avere pure qualche marmocchio, e tu non puoi farci proprio niente. Se non ti sta bene dimmelo che mi levo di torno e porto questo bel faccino con me, e posso giurarti che non lo rivedrai mai più. Hai capito?»

Era vero, non avrebbe potuto farci niente. Amaltea aveva il coltello dalla parte del manico. Non poteva neanche lasciarsi andare alla rabbia, aveva il neutralizzatore e comunque farle del male avrebbe fatto del male alla persona che amava e sarebbe morto piuttosto.

Respirare era doloroso. Deglutire era doloroso. Sbattere le palpebre era doloroso. «Vattene. Riportalo qui. Ora.»

La Sibilla ghignò. «Divertiti. Io l’ho già fatto a sufficienza» gli disse, con un ghigno, poi si afflosciò sul letto sfatto.

«Amore...?»

Gennaro strizzò gli occhi. «Cazzo» mormorò, la bocca impastata. L’attimo dopo aveva realizzato dove si trovava e si era alzato a sedere sul materasso. «Non lo sapevo!» esclamò, suonava mortificato, la voce gli tremava. «Non lo sapevo, te lo giuro, io non volevo, non l’avrei mai fatto...»

Il suo dolore, che ancora gli aleggiava dentro, passò in secondo piano a una velocità impressionante. «Lo so» si affrettò a mettere in chiaro, avvicinandosi al letto e lasciando che si aggrappasse a lui. «Lo so, ti credo. Ti credo, non preoccuparti.»

«Mi dispiace.»

«Non è colpa tua. Non devi sentirti in colpa.»

«Non dovevo abbassare la guardia. Sapevo di non doverlo fare, ma l’ho fatto lo stesso.»

«Non puoi vivere sull’attenti. Hai bisogno di riposare anche tu» lo rassicurò, piano piano recuperando presenza di spirito, se non altro perché il compagno ne aveva bisogno. «Come stai?»

«Me la sento addosso. Dappertutto. La sento appiccicata addosso.»

«Perché non ti fai una doccia, eh? Starai meglio.»

«Sarà mezzanotte passata.»

«Sono le due meno cinque, ma non importa. Giusto una sciacquata, cinque minuti. Vedrai che aiuta.»

«Resta con me, però.»

«Certo. Sempre

Amaltea non portò più ragazze nel suo letto, ma l’ombra della possibilità che accadesse li tormentò per tutto il resto dell’anno.

Poi arrivò il giorno che ebbe una convocazione al Gran Consiglio. Richiamarono lui, Edoardo, Chiara e Cassandra e si presentarono, insicuri e titubanti.

Gennaro era accanto alla scrivania, in ginocchio, come sempre. Guardava in basso, non incrociò il suo sguardo, ma Lorenzo sapeva che aveva avvertito la sua presenza lì.

«Le acque si sono calmate» aveva parlato Veronica, seduta accanto a Giovanni e dall’espressione  fiduciosa. «Le Sibille hanno parlato, il mondo non riuscirà a rovesciare il nostro potere. Chi è stato punito per la sua sconsideratezza tornerà alla comunità, da domani il neutralizzare verrà sospeso. Le Sibille delle epoche passate potranno tornare da dove sono venute.»

Lorenzo osservò i due capi del Gran Consiglio con la testa che girava. Ebbe come la sensazione che Edoardo gli stesse dicendo qualcosa, ma non aveva nessuna intenzione di ascoltarlo.

Il momento era arrivato. Quello che amava gli sarebbe stato portato via di nuovo. 

Per sempre, questa volta.

E come avrebbe fatto a lasciarlo andare, dopo che per un anno aveva toccato il cielo con un dito? E come avrebbe fatto a lasciarlo andare ora che era abituato ad addormentarsi cullato dal suo respiro, a svegliarsi al suo tocco, al suono delle risate, ai battibecchi, ai baci? Come avrebbe fatto allora?

Non era andato avanti quando aveva avuto solo qualche settimana, come poteva farlo dopo un anno intero?

Quando il Gran Consiglio finì e si ritrovò fuori, corse a cercarlo tra la folla. Lo trovò, non disse niente. Sorrideva, il che era strano, ma non ci fece tanto caso. Lo abbracciò, forte, ma lui non ricambiò.

«Ehi, ragazzino, mi stritoli così.»

Lorenzo sobbalzò e lo lasciò andare come se fosse stato radioattivo. «Ancora tu? Ma non hai niente di meglio da fare? Vattene, devo parlare con lui. Non ho molto tempo, capito? Farai meglio a sloggiare.»

«È stato lui a permettermi di uscire. Devo dirti una cosa, anche se tu me ne stai facendo pentire…»

«Non mi interessa cos’hai da dire. Devo parlargli, devo dirgli… tutto, cazzo. Genny, esci per favore. Esci, io…» era normale che il cuore gli facesse così male? Che bruciasse come se un ferro arroventato l’avesse trapassato da parte a parte? Che il dolore fosse così forte da non riuscire neanche a parlare? «Ti prego, ho bisogno di te.»

«Non ce ne andiamo» disse la vocina fastidiosa che aveva imparato a sopportare. «Mi piace stare nel mondo. Sono stata un’eternità in quella grotta, posso passare qualche decennio qua fuori. Quando la Sibilla tirerà le cuoia, la nostra anima tornerà là dentro.»

Lorenzo aggrottò la fronte, confuso. «Eh?»

«Mi piace stare qui. È stato un cambio… divertente. Certo, potrei entrare nella Sibilla che hanno già, quella di questo tempo, ma mi sono affezionata a questo corpo, è carino, no?» domandò, poi scrollò le spalle. «Ma che te lo chiedo a fare? Tu sei di parte…»

«Non vai più via?»

Il volto che amava si inclinò appena da un lato e sorrise di un sorriso tagliente. «Solo se farai il bravo. Se mi stancherò di averti intorno me ne tornerò nella mia grotta il prima possibile. Capito?»

Si ritrovò a non sapere che fare. Era debole, aveva la testa leggera, e sentiva gli occhi pizzicare. Avrebbe dovuto ringraziarla forse, inginocchiarsi, prometterle che tutto sarebbe andato bene, che avrebbe potuto vivere con loro per tutto il tempo che voleva e anche oltre, che lui non l’avrebbe mai mandata via.

Non riuscì a fare nessuna di quelle cose, perché c’era solo una cosa che voleva.

«Posso vederlo?»

Amaltea non rispose. Il corpo davanti a lui perse conoscenza per un attimo, Lorenzo lo sorresse. «Ehi, ehi, piano. Fai piano.»

«Mh, perché è sempre così fastidioso?» mugugnò, nell’istante in cui lo sentì scaricare un po’ di peso su di sé.

«Ci sei? Stai bene?» 

Con tutte le volte che la sua voce borbottava commenti sarcastici e ringhiava qualche imprecazione, si sorprendeva sempre di come potesse suonare dolce quando parlava a qualcuno che amava.

«Sto bene.»

«Hai… hai sentito che ha detto?»

Il sorriso che seguì fu vero, giusto per il volto in cui era. Lorenzo avrebbe baciato quelle labbra piegate all’insù per sempre senza stancarsi. «Sì. Ho sentito.»

Gli prese il volto tra le mani e premette le labbra sulla fronte, con gli occhi chiusi e facendo respiri lunghi e profondi per calmarsi.

«Non me ne vado» gli ripeteva, e Lorenzo sentiva il cuore battere sempre più forte, tanto da sentirlo nel petto. «Resto con te. È ufficiale, capito? Resto con te, e non devo fare neanche quei turni del cazzo, tu riprenderai a lavorare, ma potremo solo stare insieme, tu e io.»

Quell’estate tutto fu più bello di nuovo. Erano insieme, non gli importava delle giornate no, non gli importava di essere oberato di lavoro, non gli importava di nient’altro. Erano andati a pranzo dai suoi genitori, sua madre aveva detto “oh, non avevi mai portato un ragazzo, prima” e Lorenzo avrebbe voluto rispondere che era perché sarebbe stato come comparare una pietruzza di Swarovski a una supernova, ma non voleva fare il drammatico e quindi non lo disse.

E così, su quella barca affittata a Positano, il giorno del suo compleanno, era sdraiato accanto a Edoardo sul ponte a bere una birra fredda e giocare a carte. Cassandra prendeva il sole cosparsa di crema a pochi passi, una mascherina sugli occhi per non accecarsi, e Gennaro e Chiara erano giù dalla barca a scambiarsi confidenze a mollo nell’acqua limpida.

Lorenzo diede loro un’occhiata di sfuggita, per assicurarsi che fosse tutto a posto. Era un po’ pericoloso per Gennaro nuotare, così come non avrebbe mai potuto guidare, perché a causa delle visioni poteva perdere conoscenza in qualsiasi momento.

Il ragazzo lo sgridava sempre perché era apprensivo, ma lui non poteva farci nulla, aveva sempre quel sottofondo di ansia che gli sussurrava che avrebbe perso quello che amava da un momento all’altro, ancora una volta.

«Così ce la siamo davvero fatta, quella vacanza al mare» commentò Edoardo, dopo aver dato un sorso alla radler ghiacciata che era stata in borsa frigo sino a quel momento.

«Già, e noi stiamo pure per comprarci un cane» mormorò, un sorrisino sulle labbra.

Tornati dalla vacanza avevano un appuntamento per prendersi un piccolo labrador, poi progettavano di adottare un bastardo più avanti con gli anni in canile.

«Io non ho visto ancora nessun matrimonio, però» sogghignò, guardandolo cospiratorio.

Lorenzo sentì le guance scaldarsi. Che ingenuo che era stato, a diciassette anni, eppure il messaggio che l’aveva portato a pronunciare quelle parole l’aveva ancora a cuore: c’era una sola persona con cui voleva passare la vita, nessun’altra.

«Sono troppo giovane per impegnarmi» liquidò. «Togliere una tale bellezza dal mercato così presto sarebbe crudele.»

«Già, perché ora c’hai l’harem invece…»

«Magari sì e tu non lo sai.»

Edoardo scoppiò a ridere. «Sì, certo… non prendi in giro manco te stesso. Se cerchi la parola “monogamia” sul dizionario c’è la tua faccia di cazzo in bianco e nero stampata sopra.»

«Ahia! Merda.» Il grido li fece sobbalzare entrambi, persino Cassandra rischiò di finire in acqua per lo spavento.

Chiara aveva nuotato sino al bordo della barca, e stava appoggiata coi gomiti al parapetto. «Una medusa mi ha pizzicato» si lamentò, con una smorfia contrita. 

«Scusami, stavo per dirtelo ma ho calcolato male i tempi» intervenne Gennaro, che l’aveva  seguita.

«Ce la fai a risalire?» chiese Cassandra, d’un tratto apprensiva, proprio nell’istante in cui Edoardo la afferrava a due mani e la tirava su.

La ragazza gridò dalla sorpresa. «Ehi! Mi brucia solo un pochino la caviglia, non mi hanno mica amputato una gamba!»

«Ti sorprenderesti nello scoprire quante cose riescono a fare quelli con una gamba sola…» commentò Gennaro.

Non appena la ragazza gocciolante fu sulla barca, Lorenzo decise che era il suo momento. «Avvicinati, avanti, che ti faccio passare tutto.» 

Lei obbedì. Non ci fu, come sempre, neanche bisogno di concentrarsi. Gli lanciò una breve occhiata, giusto per fare prima, e notò che gli sorrideva. 

Gongolava sempre quando lo vedeva al lavoro, forse perché sapeva quello che significava.

Lasciò che quello che provava lo seppellisse per un attimo, e il rossore sulla caviglia bianca svanì.

«Grazie. È stato… piuttosto doloroso.»

«Già, scommetto che resterai traumatizzata per sempre!» scherzò Edoardo.

Cassandra venne in difesa della ragazza. «Tu avresti già stilato il testamento, al suo posto!»

Era questo che si provava ad avere una famiglia? Forse era così. Non aveva molta esperienza a riguardo, gli anni della formazione li aveva passati quasi sempre da solo.

Gennaro scalciò in acqua per darsi la spinta e si imbarcò a sua volta. Si appoggiò a lui, era fradicio, e l’acqua fresca gli diede un po’ di sollievo sulla pelle bruciata dal sole.

Lorenzo si voltò e lo baciò tra i capelli, sapevano di sale, di estate e di una felicità tanto grande da annichilirlo.

Gennaro si stiracchiò contro di lui scaricandovi il peso. Era una presenza ingombrante, solida, reale, e lo sarebbe stata ancora per tantissimo tempo.

Non era più un ricordo passato, ma un ingombrante presente... con un po’ di fortuna persino un futuro.

Note autrice
Ho il covid, sto malissimo, se notate typo stupidi è colpa di questo perché ho revisionato il capitolo con un piede nella fossa.
Comunque, alla fine Gennaro è rimasto a vivere nel nostro secolo. Certo, è ancora ostaggio di Amaltea, che è abbastanza lunatica e potrebbe decidere in qualsiasi momento che si è rotta il cazzo e che vuole tornare nella grotta, o che vuole partire in Biafra per una missione volontaria, o chissà che, portandosi Gennaro insieme a lei. Nulla è certo.
Alla fine, però, le cose sono andate meglio del previsto. E Gennaro, ovviamente, non poteva vederlo perché avevano punito Lorenzo col neutralizzatore e dunque non poteva vedere il loro futuro. Anche lui ha avuto una sorpresa!
Lorenzo ha smesso di venerarlo come un dio sceso in terra, che in una relazione è sempre più sanno, ma resta sempre il solito innamorato come un coglione, per usare le sue parole dello scorso capitolo.
E così... abbiamo finito i giochi con l’universo dell’Ultima Strega.
Ho iniziato a scrivere queste due storie diversi anni fa, le ho abbandonate per parecchio, poi le ho riprese, poi le ho abbandonate di nuovo... come una fidanzata tossica (e come Genn– *gunshot*) comunque sapevo che prima o poi le avrei portate a termine perché Chiara, Edoardo, Lorenzo, Gennaro, Cassandra mi piacciono tanto. Mi piace la magia emozionale, mi piace questo universo narrativo.
Sono dispiaciuta di non lavorare più a questi personaggi, il che mi accade di rado quando termino una storia, ma scrivere è anche questo, affezionarsi e lasciare andare per affezionarsi di nuovo ad altro. Sempre avanti, no?
Presto (il 23 dicembre) su questi schermi arriverà la mia storia di Natale, Codice Rudolph, che in realtà non ho ancora finito di scrivere ma credete in me perché sono fiduciosa che accadrà (e perché se non la finisco e non posto nulla per Natale mi butto dal b– *gunshot*).
Dopo di lei, il sequel di Harvey “Vita e Memorie di Alexander Ulysses Woods”.
Ci sentiamo presto e grazie di essere qui.

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