3. Potere, volere, dovere
Lorenzo restò a fissarlo, sbattendo le palpebre in shock, poi seguì la direzione del colpo. C’era una figura sulla strada da cui erano venuti, non riusciva a riconoscerne i dettagli, si era tenuta troppo lontano.
E quella figura l’aveva appena fatto incazzare.
Era all’aperto, chiunque avrebbe potuto vederlo, eppure fece la precisa scelta di non controllarsi. Genny era a terra, lo sconosciuto l’aveva colpito, e non tentò neanche per sbaglio di arginare il terrore o la rabbia. Fu solo attento a indirizzarla alla persona davanti a lui e a nessun altro.
Non disse nulla. Tutto quello che gli ribolliva dentro vomitò con violenza una fiammata scarlatta che fece lampeggiare di luce la penombra del crepuscolo, proprio nell’istante in cui le lampadine dei lampioni esplodevano in un fracasso di cocci.
Non riuscì ad arrivare sin là dove l’uomo si trovava, ma fu abbastanza da fargli capire che non era aria, perché se la diede a gambe senza neanche provare a rispondere.
«Ehi!» gridò, fece due passi di corsa verso di lui in un gesto istintivo. Codardo. Aveva cercato di colpire lui perché Genny non avrebbe avuto poteri con cui difendersi, ma gli era andata male. Se gli avesse messo le mani addosso–
Qualche altra scintilla scoppiettò fastidiosa tra le dita, poi si bloccò. Guardò indietro, Gennaro era ancora nel punto in cui era crollato, scomposto e privo di sensi.
O peggio.
«Porca puttana» stava tremando, e doveva tenere a bada le accidentali per paura di fargli altro male. «Cazzo, fanculo, io… Genny!» chiamò, e l’attimo dopo si era buttato in ginocchio. «Genny, mi senti?»
Il ragazzo esanime restò immobile sul marciapiede sporco. Respirava, il che aveva alleggerito in parte il peso della paura che gli schiacciava il petto e frantumava le costole.
«Ci sono io» mormorò, mettendolo supino. «Andrà tutto bene, ci sono io con te. Adesso si sistema tutto, capito?»
Non aveva mai fatto riprendere una persona priva di sensi, ma quanto poteva essere difficile? Gli incantesimi di guarigione per lui erano semplici.
Quando aveva studiato la magia gli avevano insegnato che gestire le emozioni era un po’ come aprire e chiudere un rubinetto a piacimento, controllare il flusso.
Cazzate.
Con il suo sentimento non c’era nessun rubinetto, non c’era neanche un “flusso”, c’era solo il mare. E il mare non si apriva ma soprattutto non si chiudeva. Il mare stava lì e potevi solo nuotare o affogare.
«Genny» mormorò ancora, sciogliendosi in un tono morbido, anche se la voce gli tremava. «Genny, è ora di svegliarsi adesso. So che puoi farlo. Fallo per me. Fallo per me, ti prego.»
Prese il telefono dalla tasca e si preparò a chiamare l’ambulanza, se il suo intervento non avesse funzionato. Si sarebbe inventato qualcosa, o magari no, magari avrebbe detto la verità. Lo avrebbero esiliato, avrebbero tolto il suo nome dal Libro, ma Genny sarebbe stato bene.
Non esisteva niente di più importante, niente di comparabile, ne fu certo e fu proprio per questa certezza che lui si svegliò.
«Cazzo» gracchiò, strizzando gli occhi con una smorfia infastidita. «Cazzo, mi fa male tutto.»
«Oddio» buttò fuori, cercò le sue mani e le strinse più forte che poteva per darsi sollievo. «Oddio, grazie. Grazie, grazie, grazie.»
Gennaro rispose alla stretta, poi a fatica un occhio alla volta e lo guardò. «Stai bene?»
«Io? Sì che sto bene, tu… tu come stai?»
«Non sembra proprio.»
«Cosa?»
«Che stai bene.»
«Vaffanculo!» sbottò allora, ma gli strinse le mani ancora più forte. «Vaffanculo, si può sapere che problemi ti affliggono?»
Lui arricciò le labbra. «Sei arrabbiato con me o stai cercando di disinnescare?»
«Che cazzo di domanda è?!» tremava ancora, e quasi non ci vedeva dalla paura e dalla rabbia, e a momenti sarebbe svenuto anche lui dal sollievo.
«Stai cercando di disinnescare» sospirò Gennaro. «Mi aiuti ad alzarmi?»
«Non sto cercando di disinnescare! Non solo, non… che problemi hai? Perché fare una cosa del genere? Rispondi!»
«Ho visto che ti avrebbe colpito, e io…» sbatté le palpebre, incredulo. «L’ho fatto per te. Perché sei arrabbiato?»
Calmati. È ferito e tu gli stai urlando in faccia. Calmati, cazzo. C’è bisogno che te le dica io queste cose?
Chiuse gli occhi e prese un profondo respiro. Quando li riaprì, si accorse di essere più lucido. «Scusa. Solo… io… non puoi continuare così. Devi pensare a te, capito? Non a me. A te, non puoi… non… è pericoloso. Cazzo.»
«Cosa dici? Tu vieni prima di me. Non l’ho reso abbastanza chiaro?»
«Perché fai così? Non sei stupido, perché fai lo stupido, eh?»
«Perché hai spaccato la faccia a Luca in quarta ginnasio?»
Ho spaccato la faccia a Luca in quarta ginnasio perché ti voglio. «Scusa, ma cosa c’entra adesso?»
«Sei proprio un biondo» ghignò lui. Gli lasciò le mani, piantò le sue per terra e si fece leva sulle braccia per alzarsi a sedere. Quel semplice gesto parve averlo stancato. «Pensa alla tua risposta, e avrai la mia. Sono due risposte uguali.»
L’ho fatto perché ti voglio. L’ho fatto perché ti voglio. L’ho fatto perché ti voglio. «Non è vero.»
«Come fai a saperlo?»
«Perché so la mia risposta, e la tua è diversa per forza.»
«Dimmela e vediamo.»
«Non posso.»
«Perché?»
Perché il solo pensiero gli faceva troppa paura, perché se si fosse sbagliato avrebbe rovinato tutto, perché non poteva rinunciare a lui per aver puntato troppo in alto, dove non poteva arrivare. «Perché ti perderei, e morirei piuttosto.»
«Mi sono appena fatto prendere in pieno da un incantesimo offensivo per te, che altro devo fare per farti capire che puoi fidarti?»
«Perché non ti esponi tu, se ci tieni tanto?»
«Perché secondo me non sei pronto, e se non sei pronto… io voglio che funzioni, capisci?»
«Ti prego, Genny, ho bisogno… ho bisogno che sia tu a parlare.»
«Va bene. Inizio io, allora. Inizio con una domanda, e tu dovrai rispondermi. È una domanda facile, puoi rispondere sì o no.»
Questo poteva farlo. Gennaro avrebbe fatto la sua domanda, Lorenzo avrebbe capito il malinteso, e tutto sarebbe tornato normale. «Okay.»
«Posso baciarti?»
Spalancò gli occhi in un sobbalzo senza riuscire a controllarsi. Era una domanda trabocchetto? «Perché?»
«Che domande, perché voglio farlo. Ma non lo farò se tu non lo vuoi.»
«Non mi prendi in giro, vero?»
«Che razza di persona orribile credi che sia?» gli chiese, con una smorfia imbronciata. Scosse la testa in un sospiro. «Allora? Posso baciarti?»
Se adesso dici qualunque parola che non sia “sì” inizierò a urlare nella tua testa sinché non diventi scemo, te lo giuro.
«Sì.»
Allora il ragazzo si sporse in avanti e lo baciò.
Lorenzo irrigidì ogni muscolo. Inspiró dal naso un po’ di aria gelida, chiuse gli occhi ed espirò.
Non aveva mai baciato nessuno prima, perché sino ai tredici anni non aveva avuto occasione, e in seguito l’unica persona che aveva voluto baciare non l’aveva mai fatto. Pensò questo, pensò che non sapeva come farlo, pensò che mannaggia stava sprecando un’occasione fermo come un cretino, che il cuore gli batteva così forte da fargli male al petto, poi Gennaro si allontanò.
Lorenzo aprì gli occhi e cercò di ricordare come si faceva a respirare.
«Sai, se partecipassi un po’ anche tu mi sentirei meno idiota.»
Ecco, era stato tremendo. Come avrebbe potuto sperare di essere all’altezza? Genny aveva baciato un sacco di gente prima di lui, era più che esperto, lui non sapeva manco dove mettere le mani, o che fare con la lingua – oddio, avrebbero usato la lingua? Non sapeva se sperarlo o meno – di sicuro avrebbe cambiato idea e gli avrebbe detto che forse era meglio non riprovarci più, e…
«Beh? Mi devo preoccupare?»
«Scusa» pigolò, senza fiato. «Io…»
«Tu vuoi baciarmi?»
«Ti ho già risposto.»
«No, mi hai dato il permesso di farlo io a te. È una cosa molto diversa.»
«Voglio baciarti.»
«E allora perché non lo fai?!» la domanda suonò esasperata, e Lorenzo si sentì sprofondare.
Era un disastro, un maledetto disastro. Cosa poteva volere di più di Gennaro Russo che gli chiedeva di baciarlo? Invece continuava a stare lì fermo come un coglione, e aveva voglia di piangere, e – Cristo, se avesse fatto un accidentale si sarebbe buttato dal balcone del belvedere, doveva soffocare questo terrore del cazzo e doveva farlo subito perché era ridicolo. «Non so come si fa.»
«I baci non si sanno. I baci si danno.»
Che risposta del cazzo. Arricciò il naso a sentirla. «Facile per te… avrai baciato tipo cento ragazze!»
Lo vide ridere, e anche se ebbe l’impressione che ridesse di lui voleva dire che era riuscito almeno a fare qualcosa di buono.
«Esagerato! Saranno al massimo una dozzina… e tipo un paio di ragazzi.»
«Hai baciato dei ragazzi?» chiese con un filo di voce, perché sino a quel momento non aveva creduto di poter sentire qualcosa che gli dava più fastidio di sapere che a Genny piaceva qualche tipa a caso, ma si era sbagliato.
Questo era mille volte peggio, forse perché con le ragazze sentiva meno la competizione, o perché nelle sue fantasie più assurde aveva dato per scontato di poter essere il suo primo almeno in qualcosa, o perché–
«Se non mi piacesse baciare i ragazzi non ti avrei chiesto di baciarmi, non credi?»
«Perché non me l’hai detto?»
«Neanche tu me l’hai detto.»
«Non ti ho detto di averlo fatto perché non l’ho mai fatto.»
Questo sembrò averlo colpito. «Oh.»
«Già.»
«Okay. Okay, okay, passo indietro. Sai qual è stata la prima volta che ti ho visto? La prima in assoluto?»
Il cambio di argomento lo impensierì. «Fammi indovinare: è stato prima della quarta ginnasio.»
«Ero in prima media. Avevo appena compiuto undici anni. La prima volta che ti ho visto avevo undici anni. E sai cosa ho visto?»
Il cuore gli martellava nel petto, aveva paura di aver rovinato tutto, non capiva dove Gennaro voleva arrivare e sentiva un nodo allo stomaco impossibile da sciogliere. «Immagino tu stia per dirmelo, non è così?»
«Ho visto Luca che mi prendeva in giro, e te che gli destrutturavi la faccia con un pugno e urlavi a tutto il cortile di non provarci mai più. In quel momento di te non sapevo niente, ma solo da quel gesto ho capito quattro cose che non ho mai più dimenticato. Ho capito che sei un’impulsiva testa di cazzo, per esempio.»
Strabuzzò gli occhi e sbatté le palpebre, incredulo. «Wow, grazie mille.»
«Ho capito che sei quel tipo di coraggioso che arriva in fretta alla stupidità.»
«Siamo in vena di complimenti, oggi.»
«Ho capito che sei più leale di quanto sarò mai in grado di meritare.»
Gonfiò il petto, oltraggiato. «Cazzo dici?! Non è vero!»
«E ho capito che… ho capito che ti saresti innamorato di me. L’ho capito subito, la prima volta che ti ho visto. E vuoi sapere un’altra cosa? Ci ho messo solo altre due visioni per capire che anche io mi sarei innamorato di te.»
Non riuscì a trattenere un verso di sconcerto, esalando a mezza bocca un guaito strozzato.
«Non è pazzesco? Non sapevo nemmeno il tuo nome. Avevo sentito che ti chiamavano “Colo”, ma che cazzo significa? Non ne avevo idea. E non sapevo neanche che mi piacessero i ragazzi, prima di te, ma quando ho visto un ragazzo bellissimo incazzato come una biscia che mi difendeva in quel modo ho pensato che solo un idiota se lo sarebbe fatto scappare. Sei stato una delle mie prime cotte in assoluto, anni prima che tu mi guardassi la prima volta. Ed eri pure un maschio! Mi hai aperto gli occhi su chi ero, quel giorno. Se ci pensi, non avevo mai capito niente su me stesso prima. Mia nonna mi ha spiegato la faccenda della Sibilla, i miei hanno pensato al resto, ma non avevo mai capito qualcosa di me tutto da solo. È assurdo, lo so, ma la prima cosa che ho capito di te è stata che saresti stato mio, e la prima cosa che ho capito di me è stata che sarei stato tuo. Tutto perché hai dato a Luca quel pugno in faccia. E non potrò mai ringraziarti abbastanza, per quello. Mai.»
In quel momento, c’erano tante cose che Lorenzo avrebbe potuto fare. Ce n’erano molte meno che avrebbe voluto fare. Ne restavano davvero poche che avrebbe dovuto fare.
C’era solo una cosa che poteva, voleva, e doveva fare, così la fece e lo baciò.
Si sporse in avanti senza avere il tempo nemmeno di pensarci, e si appropriò di quelle labbra con forse troppa irruenza. Lo sentì sobbalzare, e l’attimo dopo aveva la sua lingua in bocca, e le sue mani tra i capelli, così smise di cercare di capire dove mettere le sue e le usò per stringergli i fianchi e tirarlo più a sé.
Tremava di nuovo, si sentiva come se avesse la febbre, aveva freddo e caldo insieme e l’affanno e fu preso da tanta voglia che pensò che avrebbe potuto divorarlo.
Gennaro gli sembrò altrettanto entusiasta, tutto il suo corpo fremeva e lo faceva per lui, e si modellava contro di lui come fosse liquido, e quando Lorenzo strinse la presa per la furia cieca di avere di più lo sentì soffocare un gemito e dentro di lui fu come l’esplosione di uno sparo, spaventoso e assordante, ma anche la cosa più bella del mondo e assurda ed eccitante.
«Wow» commentò lui, ansimante, quando due secoli dopo si separarono. «Non l’ho manco visto arrivare.»
«Scusa, è perché non ho pensato prima di farlo.»
«Meglio, preferisco non sapere da prima le cose belle quando arrivano.»
«Le cose belle» ripeté perché il fatto che non solo Gennaro l’avesse baciato, ma che gli fosse anche piaciuto rasentava la follia.
In effetti, quello sì che era stato un bacio. Era piaciuto molto anche a lui. Gli era piaciuto del tipo che non ne avrebbe più potuto fare a meno per sempre.
E la prima cosa che aveva detto Genny quando avevano smesso di farlo era stata “wow”. L’aveva detto proprio a lui, guardandolo in faccia, le labbra ancora umide e arrossate e gli occhi brillanti. L’aveva guardato negli occhi e aveva detto “wow”.
Wow. Wow, cazzo.
«Come ti senti?» chiese allora, perché in tutto quello tempo aveva continuato a fissarlo ed era ancora pallido.
«Debole. Vorrei tornare a casa, adesso, se non ti dispiace. Tanto possiamo limonare anche in camera, è pure più comodo che seduti sul marciapiede.»
Lorenzo si alzò, aveva le ginocchia indolenzite, ed ebbe paura che sarebbe potuto essere lui a svenire. Gli porse la mano, Gennaro l’afferrò e lui lo issò in piedi. «Ci sei?»
«Non lo so. Dovrai avere un po’ di pazienza, dovrò fermarmi ogni tanto, non sono ancora in forze.»
«Non avresti dovuto farlo, sai?»
«Questo me l’hai già detto.»
«Ma tu non vuoi ascoltarmi.»
«Che c’è, non posso neanche usare la vista per salvare il mio ragazzo, adesso?»
«No che non puoi, non se ti mette in…» Lorenzo aggrottò la fronte e riascoltò la frase che aveva appena sentito. «Eh?!»
Gennaro fece una smorfia colpevole, e a Lorenzo sembrò fosse un poco arrossito. «L’ho dato per scontato, scusa… ho sbagliato. Dimentica quello che ho detto. Andiamo a casa, ora?»
«No.»
«No?»
«Sì, andiamo a casa, ma… non importa.»
Gennaro gli rivolse un sorrisino insicuro, e annuì. Fece due passi stentati verso la direzione da cui erano venuti, incespicando e rischiando di perdere l’equilibrio. Lorenzo scattò in avanti e lo sorresse, mormorando un «Attento.»
«Te l’ho detto che avresti dovuto essere paziente con me.»
«Non importa, non mi pesa. Sul serio.»
«Non lasciarmi cadere.»
Mai. Se gli avessero strappato le braccia l’avrebbe aiutato a star su con i denti. «Ci provo, ma tu stammi vicino.»
Sentiva la lingua annodata. C’era in lui qualcosa di sbagliato, fuori posto. Aveva appena dato il primo bacio più figo del mondo – Edoardo avrebbe rosicato troppo quando gliel’avrebbe raccontato, il suo primo bacio era stato in bagno a scuola durante l’assemblea di carnevale con una specie di cozza che non gli stava manco simpatica – con il ragazzo a sua volta più figo del mondo eppure non era comunque contento. Che spreco.
Il problema era che Gennaro avrebbe potuto scambiare il suo imbarazzo per un rifiuto… che scemenza. Essere il suo ragazzo era una cosa così bella che non avrebbe potuto sperarla neanche nei suoi sogni migliori, e anche baciarlo, e tenergli la mano, e dirgli che l’adorava e oh, perché diavolo non c’era ancora riuscito? Era Genny, solo Genny, e gli aveva detto che voleva baciarlo, e che era bello, e che voleva essere il suo ragazzo, e Lorenzo non era riuscito a spiccicare parola.
Notando che era nervoso, Gennaro cambiò argomento durante la strada. Non appena arrivarono a casa, disse a sua madre che avrebbe saltato la cena e sarebbe andato a letto, perché non si sentiva bene.
Lorenzo lo seguì, deciso a stargli accanto nel caso in cui gli servisse un aiuto con un altro incantesimo di guarigione. Lo aiutò a mettersi il pigiama, lasciando che le dita e lo sguardo indugiassero su quella pelle abbronzata più di quanto pensasse di poterselo permettere.
«Grazie» mormorò, lasciandosi cadere seduto sulla brandina. Era buio in stanza, Lorenzo poteva appena intuire i suoi contorni, ma il sangue a vederlo così debole – così debole per colpa sua – gli ribollì nelle vene e salì al cervello.
«Niente branda, non se ne parla» sbottò, secco. «Tu oggi prendi il letto. Non accetto discussioni.»
«Ma…»
«Ho detto che non accetto discussioni.»
Gennaro sospirò. «Sì, forse hai ragione…» si alzò a fatica e si gettò sul letto addossato al muro. Si infilò sotto le coperte, facendo spuntare solo la testa, e lo guardò con quei suoi grandi occhi scuri da bambino. «Posso chiederti una cosa?»
Porca troia, quel ragazzo l’avrebbe ucciso. «Certo.»
«Mi prometti che se non vuoi mi dici di no?»
Quella domanda era molto strana. «Perché? Che devi chiedermi?»
«Tu promettilo.»
Sospirò. «Prometto che non mi sentirò obbligato a dire sì se quello che mi chiedi non mi piacerà.»
Come se fosse possibile dire “no” a due occhioni simili. Non solo dirlo, ma anche volerlo.
«Verresti a dormire nel letto con me? Ci stringiamo.»
Lo aveva chiesto in un soffio sottile, speranzoso e impaurito, come se temesse che Lorenzo avrebbe potuto rifiutare. Si immaginò cosa avrebbe significato, col cuore in gola.
Lui e Genny insieme, tutta la notte. Averlo vicino, toccarlo persino, e magari avrebbe potuto baciarlo di nuovo. Quello sì che gli sarebbe piaciuto.
Non si degnò neanche di rispondere. Scostò la coperta e si infilò nel letto con lui. Gennaro gli fece un po’ di spazio, ma non si appiattì al muro come Lorenzo si sarebbe aspettato. Invece gli passò un braccio intorno al fianco, e si accoccolò a lui.
Lorenzo avvicinò il volto al suo, ricordando di avere ancora un po’ di spina dorsale. «Ti senti meglio?»
Gli sorrise. «Sì. Grazie di essere qui.»
Avrebbe voluto dirgli di non ringraziarlo mai per quello. Avrebbe voluto dirgli che ogni volta che non erano insieme poteva essere sicuro che Lorenzo voleva stare con lui, e che ogni volta che erano insieme Lorenzo non avrebbe voluto essere da nessun’altra parte.
Avrebbe voluto farlo, ma non lo fece comunque.
«A volte mi sembra che dici un decimo di quello che pensi.» Lo sbuffo del ragazzo, a quelle parole, si infranse sulle sue labbra. «Sento le rotelle girare da qui.»
«È perché quello che penso è inopportuno.»
«Tu sei inopportuno, mi piaci così. Ancora non riesci a fidarti di me?»
«Mi fido di te. È di me che non posso fidarmi. Io rompo tutto quello che tocco, non voglio rompere anche te.»
«Non sono così fragile.» Gennaro si avvicinò ancora, strusciando il corpo al suo, le sue labbra a un respiro di distanza. «Lo so che ti piaccio, anche tu mi piaci. Non devi vergognarti a dirlo.»
Lorenzo non credeva che Genny capisse. Lui non gli piaceva, Lorenzo lo venerava. Quella non era una cotta, era l’alfa e l’omega, il principio e la fine. Come puoi dire a un ragazzo che è il tuo alfa e omega dopo un solo giorno e un solo bacio senza spaventarlo?
«Lo stai facendo ancora.»
«Scusa, io… non ce la faccio.»
«Sì che puoi farcela. Puoi dire quello che vuoi, io non scapperò. Lore, te lo giuro, l’unica cosa che potresti dirmi per mandarmi via è che non mi vuoi.»
«Ti voglio» rispose, a corto di fiato.
Edoardo esultò nella sua testa. Oh! Finalmente, cazzo! Qualcuno porti lo champagne!
Note autrice:
Ti voglio.
Mamma mia, quanto c’è voluto... però alla fine Genny gliel’ha fatto tirare fuori.
Ho dovuto spezzare il capitolo perché mi era venuto di settemila parole, lol. Per questo è troncato a metà. Nella prossima parte qualche gioia, diciamo che Lorenzo avrà modo di scaricare lo stress, eheh. E magari un po’ di frustrazione che si porta dietro da qualche annetto. Diciamo solo che qua una volta che si inizia le tappe si bruciano piuttosto in fretta...
In via eccezionale ci sarà anche Edoardo, stavolta fuori dalla testolina bacata di Lorenzo.
Ma quant’è carino Genny che ha visto come prima cosa di lui Lorenzo che lo difendeva dai bulli?
Per tutto questo tempo Lorenzo ha pensato di essere lui quello che nascondeva a Genny che gli piaceva, invece era esattamente l’opposto, lol.
Noi ci becchiamo al prossimo capitolo!
P.S.
Avete colto la frase di Lorenzo “Quella non era una cotta, era l’alfa e l’omega, il principio e la fine”? Se non sapete da dove viene, sappiate che è una frase dell’apocalisse, dove Gesù parla per conto di Dio alla fine del mondo.
Apocalisse 1: 7-8 «Io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine» dice il Signore che è, che era e che ha da venire, l’Onnipotente.
Sì, Lorenzo ha paragonato quello che prova per Genny a Dio che scatena l’apocalisse sulla terra, perché è giusto quel tantino melodrammatico che ci piace.
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