3. Chiu-so!

«Salite in macchina» ordinò allora Lorenzo, i polmoni che raschiavano come carta vetrata, in un bagno di sudore per l’affanno.

Faceva caldo, si tenne la milza con la mano e li guardò ansimante, aspettando che si attivassero. «Che avete da guardare? Salite in macchina, dobbiamo andare in stazione, ho detto!»

Edoardo lo guardò, distaccato e freddo, come Lorenzo era sicuro non l’avesse guardato mai. La vista gli fece male, una puntura sul cuore che gli pizzicò forte il petto.

Ignorò il dolore e si decise a prendere le redini della situazione in mano. «Stiamo cercando di evitare un disastro. È quello che volevi, no? Andiamo.»

«Strano che tu lo dica, dato che poco fa stavi cercando di provocare un disastro.»

«Sì, ma ora ho cambiato idea. Senti, sono scuse che vuoi? Le avrai, okay? Ma ora dobbiamo davvero andare.»

Edoardo resse il suo sguardo con un’espressione glaciale, poi concesse: «Muoviti, andiamo.»

Le due ragazze si infilarono nei sedili posteriori, Edoardo in quello del passeggero. Lui gli passò il telefono. «Toh, leggimi dove devo svoltare.»

Dovettero passare il casello del parcheggio a pagamento e, anche considerato che avevano sostato meno di un’ora, dovettero sborsare una cifra non da poco. Fu Chiara a donare soldi alla causa, quella volta.

Quando si immise nel traffico congestionato di entrata in città, picchiò le mani sul volante in un evidente gesto di frustrazione.

«Vuoi che guidi io?» propose Cassandra, affacciata dal sedile posteriore.

«No, non è per il traffico. Cioè, è anche per il traffico, è che… cazzo

«Si sta rendendo conto che ha pisciato fuori dal vaso» commentò Edoardo.

«Devi per forza farmelo pesare?»

«Ma no, perché dovrei fartelo pesare? Stavi solo per fottere tutto quello che conosco e mollarmi come un coglione per una persona che nemmeno vedi da anni, non vedo il problema!»

«Ho sragionato, va bene? Volevo tenerlo qui e ho sragionato. Che altro avrei dovuto fare?»

«Tu lo fai sempre! Ti butti nelle cose e non pensi alle conseguenze, cazzo! Ti importa così poco della tua cazzo di vita? E di me, eh? Anche di me non ti importa un cazzo? Occhio che è la prossima uscita.»

Lorenzo fu costretto a mettere la freccia e inchiodare. Qualcuno da dietro suonò il clacson per protesta, Cassandra fece uscire un gestaccio dal finestrino.

«È questo il problema? Sei geloso adesso?»

«Non sono geloso. Mi aspettavo solo che ci avresti pensato un po’ di più prima di rivelare il segreto, farti esiliare e non vedermi mai più per un colpo di testa del cazzo.»

«Tu… tu hai visto quanto sono stato male. Non volevo più stare così, tutto qui.»

«Tu sei stato male perché non ti sei concesso di stare bene. E lo sai.»

Strinse le mani sul volante sinché le nocche non si fecero bianche. «No» rispose, la voce aveva iniziato a tremare e la gola a pizzicare, ma non voleva piangere davanti alle ragazze, non aveva tutta quella confidenza con loro. «Sono stato male perché… perché prima che essere innamorato come un coglione gli voglio bene, e l’abbiamo lasciato indietro, e non puoi capire quanto sono stato felice quando era con me, e perché cazzo non posso mai avere quello che voglio? C’ho  scritto idiota in faccia per caso? Perché devo sempre restare inculato io, me lo vuoi spiegare? E non fare battutacce, per favore, o ti butto fuori dalla macchina.»

«Colo, ascolta…»

«No, ascolti tu invece! Perché non posso mai essere felice, eh? Ogni maledetta volta che sono convinto di essere arrivato a destinazione c’è sempre qualcosa che va a puttane e resto senza un cazzo di niente! Sono stanco. Stanco di accettare la cosa come se fosse normale. Non lo è, okay?»

Fu Chiara a schiarirsi la voce in imbarazzo. «Forse è davvero meglio che guidi qualcun altro…»

«Sto benissimo» borbottò, fermandosi all’ennesimo rosso. «Avrei potuto pensarci due volte prima di rubare una macchina e andarmene alla base? Sì. Avrei odiato me stesso per aver rivelato il segreto e aver messo te e altre persone che amo nei casini? Anche. Mi sarei mangiato le mani se mi avessero esiliato, perché non ti avrei più visto? Cazzo, certo! Sei il mio migliore amico, ti voglio un bene dell’anima, lo sai, ma... ma avevo un problema, e la soluzione, e non volevo farmi trascinare dagli eventi, o dal destino, o da cazzonesó come ogni cazzo di volta. “È l’unico modo”, “è giusto così”, “il futuro è scritto”, un par di palle, va bene? Se lo sento un altra volta sgabbio sul serio. È la cazzo di volta che mi metto a urlare. Ho chiuso con queste stronzate. Chiu-so!»

Silenzio per un attimo. «Hai finito?»

«Sì» borbottò, sbattendo le palpebre cercando di non lacrimare.

Sentì il suo amico sospirare, così sollevò gli occhi dalla strada e gli lanciò una breve occhiata  di sfuggita. Edoardo era abbandonato sul sedile, la testa appoggiata all’indietro, pareva aver perso tutte le forze di protestare.

L’attimo dopo aveva passato il braccio sopra la leva del cambio e posato la mano sulla sua gamba.

Lorenzo lasciò il volante con la destra e l’afferrò, intrecciando le dita alle sue. Edoardo le strinse senza una parola.

«Siamo quasi arrivati, puoi iniziare a cercare parcheggio» azzardò Cassandra, titubante.

«Sì, una parola…» mormorò, facendo scorrere gli occhi in direzione dei marciapiedi. Sospirò. «È colpa mia, ho peggiorato le cose. Non ho pensato prima di agire, e ora l’hanno preso, e guarda cosa ci tocca fare, e non voglio manco pensare a quello che gli stanno facendo, e il Gran Consiglio si arrabbierà tantissimo, e ci andrete di mezzo pure voi, e cazzo, ho... ho fatto un casino. Scusate.»

Non doveva piangere. Non doveva piangere. Non doveva piangere. Doveva combattere, cazzo, tirare fuori le palle e fare qualcosa di giusto, tanto per cambiare.

Pensò che Edoardo gli avrebbe dato man forte. Che gli avrebbe detto che era vero, che lui non pensava mai, che avevano cercato di mettere una toppa al suo gesto sconsiderato e c’era passato Genny, e ora dovevano anche ingegnarsi per tirarlo fuori, e…

«La risolviamo, non preoccuparti» mormorò invece, a mezza bocca. «La risolviamo insieme.»

Lorenzo mandò giù il nodo che aveva in gola.

«Un parcheggio!» esclamò Chiara, indicando un posto alla loro destra.

«Grande, amore» le disse Cassandra, sentì lo schiocco di un bacio. Anche Edoardo si era voltato per fare le congratulazioni.

Si infilò in quel parcheggio non sapeva neanche lui come. Non era mai stato un grande fan dei parcheggi in parallelo, ed era nervoso e stanco, ma sapeva di dover fare in fretta e così lo fece.

Non trovarono solo le Sibille ad aspettarli, come Lorenzo aveva pensato, benché dovesse ammettere che anche loro si trovavano lì.

Le persone che stavano uscendo in gran carriera dalla Stazione Centrale di Napoli erano Giovanni Carbone, Veronica, Simona, una donna di mezza età che Lorenzo suppose fosse la Sibilla rimasta, e... oh, no. Merda.

Edoardo fu placcato da Giovanni, le ragazze da Veronica, le due Sibille si tennero ben a distanza, e l’istante dopo Mattia si era materializzato davanti a lui con tutta l’aria di volerlo affrontare. «Allora? Che diavolo stai combinando?»

«Matt, ascolta, questo non è proprio il momento.»

«Non è il momento? Non è il momento? Scappi dal coprifuoco, non rispondi al telefono, fai consegnare la Sibilla Cumana e ora “non è il momento”?»

Aggrottò la fronte, oltraggiato. «Non ho fatto... io non ho fatto consegnare nessuno!»

«Sei venuto qui coi tuoi amici e ora l’hanno presa. Come lo spieghi questo?»

«Scusa, ma tu cosa c’entri?»

«I tuoi non si potevano spostare, hanno mandato me a prenderti.»

«Beh, non ho tempo per questo. Hanno preso Genny, dobbiamo fare qualcosa.»

«Il Gran Consiglio se ne sta occupando. A quanto pare dovevano catturare qualche altro coglione, ma nessuno si sarebbe mosso per lui e sarebbe finito male, così si è consegnata lei al suo posto. La faranno uscire, a sentire le altre due.»

Si portò le mani al volto e prese un profondo respiro. «Cazzo. Okay. Cazzo.»

Sarebbe andato tutto bene. L’avrebbero tirato fuori, sarebbe andato tutto bene. Andava tutto secondo i piani, e con un po’ di fortuna quel “colpo di testa del cazzo” sarebbe davvero servito allo scopo, e le Sibille sarebbero rimaste un po’ più a lungo.

«Si può sapere perché cazzo te ne sei scappato in quel modo?»

Scostò le mani dal volto e lo guardò. «È una lunga storia... e noi dobbiamo parlare di nuovo.»

«Sì che dobbiamo! Non puoi comportarti così, eravamo tutti preoccupati, non–»

«Adesso ascoltate bene, prima che facciate altri danni!» abbaiò la voce di Veronica, interrompendo il discorso, e tutti i gruppetti riuniti nella piazza ammutolirono.

I non magici passavano loro accanto senza neanche degnarli di uno sguardo, andando e venendo sul marciapiede affollato come se avessero tutti una gran fretta.

Si chiese se la magia di Giovanni avesse qualcosa a che fare con questo.

«Insieme al Gran Consiglio di Pozzuoli manderemo degli uomini a recuperare la Sibilla. Nel frattempo, voi verrete trattenuti nei loro uffici per vederci chiaro sulle dinamiche di questa storia.»

«Il Consiglio Nazionale è in arrivo, dovrete rispondere a loro» continuò Giovanni, che al contrario di Veronica osservava suo figlio con un cipiglio preoccupato. «Quando avremo la Sibilla, vi riporteremo a casa.»

«Non mi farò chiudere in un ufficio!» protestò Lorenzo, cercando con gli occhi l’appoggio dell’amico. «Veniamo alla base con voi, possiamo esservi utili!»

«Avete già fatto abbastanza danni» sibilò Mattia.

«Ma chi l’ha invitato, questo?» sbuffò Cassandra, che ne aveva già abbastanza.

«Ha ragione» sentenziò Veronica. «Avete già fatto abbastanza danni. Andremo a liberare la Sibilla e poi risolveremo la questione con voi. Ciò che avete fatto non sarà impunito.»

Una mano gli sfiorò il braccio, Lorenzo sobbalzò. Si voltò indietro e annegò in un paio di occhi scuri familiari.

«Andrà bene. Non preoccuparti.»

Non era abituato a parlare con Simona. Somigliava troppo alla persona che aveva perso.

Proprio per questo, però, le sue parole riuscirono ad ammansirlo. «Okay.»

Furono scortati a Pozzuoli da qualche auto mandata dal Gran Consiglio, venne loro rifilato il neutralizzatore per punizione e per non farli sgattaiolare via, e si ritrovarono ad aspettare dentro uno studiolo anonimo, con Mattia che faceva loro la guardia.

Chiara era seduta alla scrivania, e Cassandra sopra la scrivania. Edoardo era in piedi con la schiena poggiata al muro, le braccia conserte e molto turbato dall’incontro con suo padre.

Il fatto che non fosse più tanto arrabbiato con lui lo consolò.

Invece lui si trovava seduto per terra a gambe incrociate, Mattia si era disteso accanto a lui, teneva la testa sulle sue gambe. Lui gli accarezzava i capelli in un gesto meccanico, non sapeva se voleva farlo e non sapeva neanche se avesse il diritto di farlo.

Sentiva sulle labbra ancora il calore di quelle di Gennaro, sentiva il suo sapore in bocca, e non era pentito di quello che aveva fatto. Avrebbe voluto rifarlo, l’avrebbe rifatto subito. L’avrebbe fatto anche davanti a Mattia, anche se sapeva che sarebbe stato male.

Era uno stronzo, sì. O forse aveva ragione Genny, aveva avuto ragione per tutto quel tempo. Forse era soltanto solo, e ferito, e forse non doveva essere così per forza.

E poi anche Genny era uno stronzo, comunque. Lo aveva illuso che sarebbe rimasto e invece l’avrebbe abbandonato un’altra volta come se non fosse niente.

Anche lui gli aveva fatto del male... Genny non gli aveva mai fatto del male, prima. Anche lui allora era in grado di farlo. Sino a quel momento era sempre stato convinto che fosse impossibile.

«Ma chi è questa Jenny di cui tutti parlano?» chiese Mattia, spezzando il silenzio.

A Lorenzo venne voglia di ridere. Alzò lo sguardo su Edoardo, che lo abbassò su di lui. Nessuno di loro disse niente.

«Non è nessuno, è solo la Sibilla Cumana che ha ricucito lo strappo» rispose Cassandra, annoiata. «Eravamo tutti in classe insieme, prima di tornare indietro. Siamo partiti insieme.»

«La Sibilla che ha ricucito lo strappo viene dal nostro tempo?»

«Sì» si inserì Chiara. «Eravamo amici. Con Edo e Lorenzo erano inseparabili, con Lorenzo anche compagni di banco. Quando abbiamo fatto ciò che dovevamo, noi siamo tornati qui. Genny invece... no. Ha perso la vita nel passato, anni dopo il nostro salto. È tutto quello che sappiamo.»

«Wow» mormorò, cercando i suoi occhi che Lorenzo rifuggì dalla vergogna e dal dolore. «Non me l’avevi mai detto.»

Alzò le spalle. «Ora non importa più.»

«Andrà bene» commentò Edoardo, Lorenzo ebbe l’impressione che lo stesse dicendo proprio a lui. «Sarà qui a breve, le Sibille hanno detto che sarebbe andata bene.»

Giusto. Giusto, le Sibille avevano detto che sarebbe andata bene. Ma chissà cosa gli avevano fatto, e chissà se avesse ancora voluto rivolgergli la parola. Del resto, se ora doveva essere salvato dal Gran Consiglio era solo colpa sua.

Se fosse stato un pezzo di merda, avrebbe pensato che se Gennaro non gli avesse più rivolto la parola almeno aveva Mattia che gli sarebbe rimasto, e magari avrebbe pensato anche che era una consolazione abbastanza deprimente per tutti e tre, però lui non era un pezzo di merda quindi si rifiutò di pensare a qualcosa del genere, assolutamente no, nel modo più assoluto, grazie ma no grazie.

Più o meno.

E comunque, anche lui era offeso con Genny. Questi pensieri non avevano senso.

«Mi hai fatto preoccupare molto.»

Perché Mattia aveva così tanto bisogno di parlare? Non poteva lasciarlo solo a preoccuparsi e commiserarsi nei suoi sensi di colpa in pace?

«Scusa.»

«Perché non mi hai chiesto di venire con voi? Avrei potuto farti stare meglio.»

A essere sinceri, non aveva neanche accarezzato l’idea di portarselo dietro. Trascinarsi il tizio con cui stava uscendo per andare a recuperare il ragazzo di cui era innamorato pazzo da quando appiccicava le figurine Panini sul diario di scuola non era sembrata la genialità del secolo, al tempo.

«Non volevo metterti nei casini.»

Bugiardo, paraculo e pure codardo. Se fosse stato pure cesso avrebbe fatto poker.

«Sei dolce, ma io sarei venuto volentieri, lo sai. Abbiamo deciso di provarci sul serio, giusto? Ti devi fidare di me.»

«Ci provo.»

Avrebbe dovuto dirglielo. Magari non là in uno studio del Gran Consiglio di Pozzuoli col suo migliore amico e le sue due fidanzate che volenti o nolenti ascoltavano e giudicavano tutto ciò che usciva dalla sua bocca, ma avrebbe dovuto dirglielo.

“È stato bello sinché è durato, cioè poco... addio.”

Mattia afferrò la mano che non teneva infilata tra i suoi capelli. La strinse. «Avanti, stai tranquillo. Ora vi riporteranno la vostra amica e ce ne torneremo a casa. I tuoi ti faranno il terzo grado, ma alla fine ti perdoneranno. Non è successo niente.»

Lorenzo aggrottò la fronte. Che avesse sentito male? Forse c’era stato un minuscolo malinteso... roba del tutto trascurabile... ma alla fine chissene. Non aveva voglia di giustificarsi, in quel momento.

Il tempo che passò là dentro sembrò un’eternità. Il sole tramontò e fu sul punto di spuntare di nuovo, quando sentirono del trambusto dai piani inferiori.

Mattia dormiva, per terra accanto a lui, e anche Chiara si era assopita sulla sedia alla scrivania. Edoardo e Cassandra, che stavano parlottando vicino alla finestra, tacquero e spostarono lo sguardo all’entrata.

Lui saltò in piedi.

Sentì Mattia mugolare al risveglio, Chiara chiedere con voce impastata: «Cosa c’è?»

Qualche attimo dopo, la porta si spalancò. Un uomo e una donna che Lorenzo non aveva mai visto, che dovevano essere del Consiglio Nazionale, fecero il loro ingresso con un’ombra sul volto e non li degnarono di uno sguardo.

Giovanni e Veronica entrarono appena dietro di loro, poi le Sibille.

Simona e la donna che era stata in stazione stavano aiutando Gennaro a camminare, non portava i vestiti con cui l’avevano visto arrivare, aveva un camice leggero e le gambe gli tremavano.

«Genny» sibilò Edoardo, accorrendo ad aiutarlo. Lui si sentì sprofondare.

Era tutta colpa sua, sua, sua.

Sentì Mattia chiedere: «Quel... tizio si chiama Jennifer?» ma non rispose a quella domanda idiota, era troppo occupato a cercare negli occhi del nuovo arrivato un segno che non lo odiasse a morte.

Fu Cassandra a farlo per lui, col suo solito tono annoiato. «Gennaro, genio.»

I loro sguardi si incontrarono, uno fradicio di preoccupazione, l’altro di un distacco e un risentimento glaciale. Lorenzo sprofondò ancora più a fondo.

«Sbrighiamoci con questa storia e andiamo a dormire, questo corpo è uno straccio.»

«Ma non ti stanchi mai di berciare, tu?» sbuffò Cassandra, che aveva riconosciuto la voce gracchiante della Sibilla originaria.

Bene, bene, bene. Non era stato fulminato con gli occhi da Gennaro, allora. Era solo la stronza che ogni tanto andava a spasso con le sue gambe.

Non che lui non fosse più offeso! Nossignore, lo era eccome.

Sul serio.

«Faremo il più in fretta possibile» liquidò la donna di Pozzuoli. «Dobbiamo accertarci di ciò che è successo.»

Delle due ore di interrogatorio che seguirono, ricordò quasi solo il mal di testa. Le Sibille sostennero che uno stregone sarebbe stato catturato dai servizi segreti ma nessuno si sarebbe sprecato ad aiutarlo, così Gennaro aveva deciso di consegnarsi per lui. Nessuno fece parola dell’identità dello sfortunato, neanche lui.

Desideró farlo, a un certo punto. Desideró prendersi le colpe che gli spettavano.

Non lo fece, perché se le Sibille non l’avevano fatto doveva esserci un motivo, e perché aveva paura delle conseguenze.

Gli rifilarono un altro neutralizzatore per punizione, anche a Edoardo e alle ragazze, poi li spedirono in albergo a riposare, dopo qualche ora sarebbero tornati a Castelcaro in treno.

Fu così che si ritrovò seduto su un letto matrimoniale, dentro una lussuosa camera d’albergo, con un ragazzo che lo osservava con occhi pesantissimi.

«È lui.»

«Mh

«Il ragazzo che parla con la voce da vecchia. È l’ex morto che mi hai vomitato addosso l’altra volta.»

«Non è la sua voce. Quella è la voce della stronza che lo possiede tipo demone dell’Esorcista.»

«Non hai risposto alla domanda.»

«Non sembrava una domanda.»

«In effetti non lo era.»

Lorenzo si portò le mani al volto e sospirò. Non aveva tempo per questo, non aveva voglia di affrontarlo. Voleva chiudere gli occhi e svegliarsi in un mondo in cui avere quello che voleva non era una fottuta impresa da Mission Impossible, per una sola cazzo di volta. Non gli sembrava di chiedere la luna.

Dato che lui non rispondeva, Mattia incalzò: «Perché non me l’hai detto?»

«Detto cosa?»

«Mi stai prendendo per il culo?»

Non doveva arrabbiarsi, no, non avrebbe dovuto. Non–

Troppo tardi.

«Non ti sto prendendo per il culo!» sbottò. «Detto cosa? Cosa volevi sentirti dire? “Sto andando dall’altra parte d’Italia per incontrare una Sibilla Cumana morta nel sedicesimo secolo tornata per salvare il cazzo di mondo che si dà il caso sia anche l’amore della mia vita?” Avrei dovuto dirti questo?»

«Sarebbe bastato un “Non me ne è mai fregato un cazzo di te”, avrei capito il messaggio.»

«Io ci ho provato! Ci ho provato, va bene? Come facevo a sapere che il giorno dopo averti detto che avrei cercato di superarla sarebbe tornato?»

«È questo il problema, non è mai colpa tua! È sempre colpa di qualcun altro!»

«Ma si può sapere che volete tutti da me? Evito il problema e sono codardo, faccio qualcosa e sono impulsivo, che cazzo devo fare per farvi contenti? I sentimenti non si spengono a comando! E neanche si accendono.»

«Hai ragione. Questa discussione non ha senso. Vai dal tizio con il nome e la voce da donna e lasciami dormire in pace, che se sono qui è solo colpa tua.»

«Lui non ha il–»

«Non me ne frega un cazzo di cos’ha, adesso vattene da qui!»

L’istinto di chiedere scusa perché aveva fatto lo stronzo quando Mattia non gli aveva fatto niente di male e quello di rispondere a tono alzando la voce perché era stanco e stressato lo strapparono a metà, così non scelse nessuna delle due cose.

«Buona notte» borbottò, poi si alzò in piedi e uscì a gran passi dalla stanza.

Avrebbe pensato a Mattia più tardi. Si sarebbe dovuto scusare, aveva sfogato su di lui tutto l’acredine accumulato, ma il ragazzo era un innocente.

Comunque, aveva materie più importanti di cui occuparsi, per il momento.

In qualche ora sarebbe tornato a Castelcaro, da quello che gli era parso di capire le Sibille sarebbero rimaste a Pozzuoli. Aveva delle cose da dire, e voleva farlo subito.

Anche Gennaro era stato portato in albergo, ricordava ancora il numero di camera, 37, non era tanto distante dalla sua. Non sapeva cosa aspettarsi da quell’incontro, non sapeva neanche bene cosa sperare da quell’incontro, ma sapeva che non se ne sarebbe andato prima di un confronto.

Bussò forte perché lo sentisse, poi attese. Dopo un minuto che non accadde nulla, bussò ancora.

Quando fu sul punto di bussare una terza volta, la porta si spalancò.

«Volatilizzati, stronza, devo parlargli.»

Il volto che amava aggrottò la fronte, ancora intontito dal sonno. «Stronza

Quella voce. «Genny. Sei tu.»

Note autrice
Quanto sono carini Lorenzo e Edoardo come amichetti? E perché proprio 9373938475929274939 su 100?
Lorenzo è disperato e si comporta alla cazzo come al solito, non può farci nulla, ma spero che col suo discorso a Edo in macchina possa avervi fatto capire che non è un egoista coglione, ma che si sentiva messo all’angolo e disperato, e per questo si è comportato male e ha fatto degli sbagli. A volte, io credo, la vita deve poterci mettere in condizioni di comportarci bene, altrimenti non lo facciamo.
Poi c’è Mattia che... vabbè. Vittima collaterale, lol. Come detto, Lorenzo non si è comportato bene. Però almeno lo ha ammesso!
Alla fine, Gennaro si è consegnato alla base perché, essendo lui una risorsa importante, si sarebbero sprecati per tirarlo fuori. Se fosse stato Lorenzo a essere preso in custodia, nessuno sarebbe andato a salvarlo. Lui, dopotutto, è uno stregone come tanti!
Chissà se quello che succederà nella stanza d’albergo sarà un confronto interessante.
Lo vedrete presto, nell’ultimo aggiornamento di questa storia!

P.S.
Un abbraccio a Mattia che si è fatto mezza Italia convinto che Genny – Gennaro – fosse Jenny – Jennifer – e dunque per niente preoccupato che Lorenzo stesse facendo le cosacce e che ha invece ricevuto la mega inculata.
Comunque boh, questo fraintendimento mi fa troppo ridere anche perché il Gran Consiglio ne parla al femminile perché parla della Sibilla, e perché la Sibilla del suo tempo è femmina quindi se deve immaginare una Sibilla se la immagina femmina... povero Matt.

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