1. Il grande ritorno
La sala del Consiglio era gremita, in quella notte calda di inizio luglio. Come sempre, era presente membro per nucleo familiare della comunità. Lui si trovava seduto accanto a suo padre, ammesso come nucleo a sé stante da quando aveva deciso di andarsene di casa. Per il trio di Edoardo, Chiara e Cassandra era Marchesi quella accomodata sullo scranno proprio alla sua sinistra, per commentare insieme le ultime novità.
Giovanni Carbone, insieme a Veronica, sedeva alla scrivania al centro della sala, verso la quale tutti guardavano frementi di apprensione, animando la notte di un leggero brusio preoccupato.
Poi c’era lei. Simona, la Sibilla Cumana, era in ginocchio davanti a loro, come l’etichetta imponeva, ad attendere la richiesta dei servizi che aveva da offrire.
A Lorenzo piaceva Simona, non riusciva a evitarlo. Provava per lei una simpatia viscerale e un affetto spontaneo, benché avessero avuto soltanto una vera, impegnativa, conversazione da quando lui l’aveva incontrata, nel giardino della nonna di Marchesi, qualche anno prima.
Gli faceva troppo male starle accanto, dunque se ne teneva ben lontano, osservandola a debita distanza.
Lei non l’aveva mai forzato ad avere alcun tipo di rapporto, benché lo osservasse a lungo quando si trovavano insieme per motivi consiliari.
«La Sibilla ha parlato» esclamò Veronica, la sua voce attraversò alta la sala e il brusìo si chetò. «Questa mattina una decisione è stata presa, molto lontano da qui. In Nevada, negli Stati Uniti, una strega è stata trovata e presa in custodia. Entro la notte inoltrata la porteranno a rivelare ogni cosa, e anche al di fuori della nostra comunità si saprà chi e cosa siamo. Tutto il nostro mondo verrà scosso da tremendi turbamenti, se non faremo qualcosa per evitarlo. Le conseguenze per noi potrebbero essere disastrose. La nostra comunità è potente, ma poco numerosa, e le visioni del futuro minacciano un avvenire sfortunato per tutti quanti noi.»
Lorenzo annaspò per un attimo. Una strega, in mano ai servizi segreti statunitensi? Il loro mondo rivelato? Sembrava tutto troppo terribile, troppo assurdo per essere vero.
Eppure, Simona aveva parlato. Questo poteva voler dire solo una cosa: stava succedendo davvero.
Fu Giovanni a continuare il discorso. «Le basi NATO qua in Italia si metteranno subito all’opera per intercettarci, e ce la faranno, a meno che non cambiamo ciò che è scritto. Saranno necessari interventi drastici, ognuno di noi dovrà fare la sua parte, molte cose cambieranno... ma non possiamo farcela da soli.»
«Stanno arrivando» la voce di Simona, bassa eppure chiara, pronunciò quelle parole come una sentenza nel sussurro più assordante. «Stanno arrivando per noi» ripeté, con lo sguardo basso verso il pavimento. «Le più grandi verranno qui. La prima tra tutte, quella da cui tutto è stato generato; quella che per la prima volta è riuscita a nascondere la magia al mondo; quella che ha ricucito lo strappo, che era al mio posto tra voi. Le Sibille sono in arrivo.»
Lorenzo strabuzzò gli occhi, puntati sulla figura di Simona in ginocchio sul pavimento. Giovanni aggiunse qualcosa, lui non riusciva a sentirlo. Le orecchie gli ronzavano, il cuore gli schizzava in gola, e se avesse provato ad alzarsi era certo non ci sarebbe riuscito.
Non poteva aver capito bene. Non poteva aver capito quello che sarebbe successo. Non poteva illudersi, si sarebbe spezzato il cuore un’altra volta, frantumato, non avrebbe lasciato che accadesse.
Voltò la testa, Chiara lo stava guardando. Gli posò la mano sulla gamba e la strinse. L’aveva accettata ormai, era parte della famiglia di Edoardo e dunque della sua. Non era arrabbiato con lei per quello che era successo a Gennaro, sapeva che non era colpa sua. La colpa era solo di Lorenzo, che rovinava tutto quello che amava, sempre e comunque, una costante.
Gliel’aveva detto, aveva provato ad avvertirlo, a Pozzuoli. Io rompo tutto quello che tocco. Non voglio rompere anche te.
Non era servito a niente.
Lei aprì la bocca e disse qualcosa che lui non capì. La guardava come dal fondo di uno stagno, i suoni erano attutiti e la vista sfocata, appannata.
Aveva bisogno d’aria, di ossigeno. Stava annegando e aveva bisogno di respirare. Credette di soffocare seduto sulla sedia, e l’uomo seduto all’altro lato si accorse di quello che stava succedendo.
«Lorenzo» l’aveva chiamato, all’orecchio. «Amore, tutto bene?»
La preoccupazione di Carlo, suo padre, lo riportò alla realtà.
Esalò un lungo respiro tremante e annuì. «Sì, io… sto bene. È stato solo un momento. Scusa.»
«… riusciranno ad arrivare a qualcuno di noi, e allora sarà troppo tardi. Le Sibille emergeranno dalla grotta che si trova a Pozzuoli domattina alle sette e trentacinque, allo scoccare del minuto. Il Consiglio della città è stato già avvertito e si recherà puntuale a prelevarle. Aspettiamo che la sede centrale di Narni indichi direttive rispetto al da farsi. Sino a quel momento verrà applicato un coprifuoco dalle diciannove alle sette, ed è fatto divieto di uscire di casa per motivi che non sono necessari alla vita e alla salute propria o della comunità. È divieto anche quello di avvicinarsi, comunicare, avere contatti con qualsiasi individuo al di fuori della comunità e chiunque sia sprovvisto di poteri a meno di motivi lavorativi d’emergenza. I bambini e i ragazzi saranno dispensati dalla scuola. Non si potrà uscire dal territorio del Consiglio di appartenenza. È tutto. Se avete domande…»
Giovanni Simoncini, uno stregone dell’età di Lorenzo che aveva frequentato la sua stessa scuola, si alzò per prendere parola. Veronica gli fece cenno di parlare.
«Per quanto continuerà tutto questo? Non possiamo fermare la nostra vita per paura che il segreto esca fuori.»
«Quando saremo fuori pericolo, le Sibille lo sapranno» tagliò corto Veronica. «Preservare il segreto è troppo importante, al momento.»
Lorenzo ignorò le proteste di Giovanni, le altre domande che si susseguirono. Troppi pensieri gli vorticavano nella testa.
Lui non aveva un lavoro fuori dal Consiglio, era il loro guaritore, non avrebbe avuto problemi a rispettare le regole e il coprifuoco, ma l’avrebbe fatto davvero?
Conosceva già la risposta. Le Sibille si sarebbero trovate a Pozzuoli il giorno seguente, lui sarebbe dovuto andare laggiù. L’avrebbe raggiunto, sì, era così che doveva andare.
Gennaro l’aveva avvisato del fatto che c’era una speranza di rivedersi, gli aveva promesso che sarebbero stati felici. Poi c’erano state le parole della Sibilla nella grotta, la notte di Capodanno.
Consolati, però: non è l’ultima volta che ci incontriamo, noi due. E chissà, se sarò buona abbastanza potrei riportarti ciò che hai perso!
Aveva smesso di sperarci da anni, cercava di non sperarci neanche in quel momento, ma era tardi. L’idea che l’indomani l’avrebbe rivisto gli formicolava sottopelle, e la speranza era riuscita a infiltrarsi in lui dalle crepe in cui era frammentato.
Non avrebbe rispettato il coprifuoco, non sarebbe rimasto in città. Sarebbe andato a prenderlo, invece. L’avrebbe detto a Edoardo, forse lui l’avrebbe seguito, forse no. Forse si sarebbe portato dietro le sue donne, forse no. Qualunque cosa il suo amico avrebbe detto o fatto, Lorenzo sarebbe partito comunque.
Il Gran Consiglio si sciolse, e il ragazzo fu il primo ad alzarsi e andare via. Salutò suo padre di fretta e uscì su piazza Bologna, l’aria afosa contribuiva al senso di soffocamento che gli stringeva la gola. Si allargò il colletto della maglia, per respirare con meno difficoltà. Avrebbe dovuto chiamare Edoardo, fare i biglietti del treno, e sarebbe partito come prima cosa il mattino successivo.
Aveva incrociato il fratello di Mattia nell’uscire dal Gran Consiglio, ed era stato ben attento a ignorarlo. Non avrebbe avuto il tempo di liquidarlo prima di mettersi in viaggio per Pozzuoli, avrebbe potuto ghostarlo forse, o rispondere a monosillabi, o dargli un po’ di corda per farlo stare fesso e contento... in qualche modo avrebbe fatto. Quel ragazzo era di secondaria importanza, al momento. Tutto il resto lo era.
Sentì una mano che gli toccava la spalla, trasalì. Si voltò e la vide. Chiara Marchesi, accaldata e ansimante, gli sorrideva con fare cospiratorio. «Allora, hai già visto che treno dobbiamo prendere?»
Il cuore di Lorenzo si allargò. Aveva capito bene, allora. Stava succedendo davvero. Stava succedendo davvero!
«No, stavo… stavo per farlo.»
«Prenota, io chiamo Edo e Cass. Un treno dopo le sette, così usciamo a coprifuoco finito e nessuno sospetterà che stiamo facendo qualcosa di illecito.»
«Sì. È una buona idea» mormorò, attento in parte a ciò che diceva e in parte alla sua ricerca col cellulare. «C’è un treno alle otto e due minuti e uno alle otto e sette minuti, ma quello alle otto e sette arriva dieci minuti prima» disse, alla ragazza che aveva già il telefono all’orecchio.
Lei annuì, poi il suo sguardo si illuminò. «Amore? Sì, è appena finito. Non crederai mai dove andiamo domani!»
Parlando concitata con quello che Lorenzo era indeciso fosse Edoardo o Cassandra, Chiara tornò verso casa dai suoi fidanzatini. Lui, invece, stava già inserendo i dati della carta di credito per quattro biglietti di Trenitalia che andavano da Bologna a Napoli. Erano finiti i tempi in cui era costretto a chiedere a Edoardo ed elemosinare, e anche se costavano ottantadue euro l’uno furono suoi senza la minima esitazione.
Quella notte fece fatica ad addormentarsi. Da solo, nel suo bilocale, passò le ore a rigirarsi nel letto e a rimuginare, sognare a occhi aperti e figurarsi il fatidico momento in cui l’avrebbe rivisto davvero. Che avrebbe fatto, allora? Gennaro aveva una moglie, una figlia, non stava tornando per lui. Se fosse stato un errore, andare a Pozzuoli così, per vederlo? Se lui non avesse voluto?
Ma no, perché non avrebbe dovuto? Forse Gennaro non l’aveva mai amato o aveva smesso di farlo, ma di sicuro gli aveva voluto bene, sì, questo non l’avrebbe mai messo in dubbio. Quel tipo di sentimento non si poteva estinguere neanche in cinquecento anni, che fosse amore o amicizia o chissà cos’altro.
Era troppo ingenuo a pensarlo? C’era solo un modo per scoprire la verità.
Avrebbe dovuto credere in lui, nel suo affetto sincero, altrimenti che senso avrebbe avuto fare tutta quella strada violando il coprifuoco e mandando la sua relazione appena nata alle ortiche?
Restava sempre il problema di cosa avrebbe fatto nel vederlo la prima volta. L’avrebbe salutato con la mano? Gli avrebbe dato un bacio sulla guancia? Sarebbe stato strano? Non voleva fosse strano. Voleva fosse naturale, come respirare, com’era sempre stato.
La mattina dopo, andarono a Bologna in macchina, Edoardo alla guida, lui sul sedile del passeggero, e le due assonnate streghe sui sedili posteriori. Edoardo era in fibrillazione, lo guardava e sorrideva, mentre lui continuava a sentirsi insicuro.
Perché stava attraversando ottocento chilometri, in fondo? Per un ragazzo che non conosceva più, che non vedeva da anni, che si era rifatto una vita?
Per l’unica persona avesse mai amato.
Aveva prenotato un posto da quattro, coi sedili di fronte a coppie. Cassandra aveva portato con sé un borsone di snack, Edoardo e Chiara delle valigie come se prevedessero di restare a Pozzuoli per settimane. Lui aveva solo sé stesso e il suo portafoglio con sé, non aveva pensato a portare un bagaglio, non aveva nemmeno lo spazzolino, un cambio, il caricatore del cellulare, e si sentì sciocco a vederli.
«Mio padre mi farà la pelle quando saprà che ho violato il coprifuoco» scherzò Edoardo, infilandosi in bocca una manciata di fonzies appena usciti dalla borsa di Cassandra. «Penso che diramerà un mandato d’arresto, o qualcosa del genere.»
Chiara gli diede una pacca comprensiva sulla spalla. «Ma no, amore. Al massimo ci rifileranno il neutralizzatore per qualche giorno e ci faranno una multa.»
«Il vostro amico vi dirà cosa ci faranno per punirci, comunque» commentò Cassandra, alzando le spalle. «A breve scopriremo quel che c'è da sapere. Lui dovrebbe sapere tutto, no?»
Lorenzo guardava fuori dal finestrino e osservava l’Italia che scorreva strabordante come un fiume in piena. Era vero, Gennaro avrebbe potuto dire loro come li avrebbero puniti, e anche cosa fare per ottenere una riduzione di pena. Gennaro sapeva davvero sempre tutto.
Cassandra aveva portato anche un mazzo di carte, e si misero a giocare dopo che Edoardo ebbe prenotato una notte in albergo per tutti e quattro.
Lo stronzo vinse tutte le mani, continuava a sostenere di non aver barato, ma Cassandra insisteva di sì.
«Non so come faccio a non essermi ancora stancata di questi due!» commentò Chiara, all’ennesimo battibecco.
«È perché siamo fantastici» rispose Edoardo, con un sorrisino.
«Molto vero» gli diede man forte Cassandra.
«Chissà quando si accorgeranno che manchiamo» rifletté Chiara, mescolando ancora le carte per l’ennesima mano.
«Immagino che il vostro amico ci dirà anche questo.»
Lorenzo arricciò il naso. Non gli piaceva come Cassandra continuava a chiamarlo, vostro amico, come se a lei non importasse. Certo, quando Gennaro era rimasto indietro lei li aveva appena conosciuti, non poteva essersi affezionata a lui, ma non gli sembrava corretto continuare a rimarcare che con lei Genny non aveva niente di cui spartire.
Siamo in arrivo a Napoli Centrale. We’re arriving in Napoli Centrale.
Lo speaker del treno gli attorcigliò lo stomaco e annodò la lingua.
«Okay, qualcuno sa dove si trova il Gran Consiglio di Pozzuoli?» chiese Cassandra, che aveva iniziato a riordinare il macello sul tavolino che stava tra loro.
«Non ne ho idea» rifletté Edoardo, con una smorfia pensierosa. «Avrei chiesto a papà, ma avrebbe capito e mi avrebbe come minimo ammazzato.»
«Potremmo provare a localizzarlo, ma se è cambiato molto non riuscireste a trovarlo, non lo visualizzereste più come prima» ipotizzò Cassandra, a mezza bocca.
Lorenzo non aveva voglia di partecipare alla discussione. Aveva somatizzato l’ansia, il suo stomaco era chiuso e la nausea l’aveva fatto sudare freddo e rabbrividire. Era sicuro di essere impallidito.
Chiara batté la mano sul tavolo per attirare l’attenzione, lui sobbalzò. «In genere il Gran Consiglio si trova nel palazzo comunale, no? Iniziamo a cercare da lì, se sono arrivate davvero qualche ora fa ci sarà ancora fermento.»
Cassandra sospirò. «Già, non è sempre così, però.»
Fu Edoardo a insistere. «È vero, ma è l’idea migliore che abbiamo. Faremo così. Ti va, Colo?»
Proprio quando Lorenzo stava per mugolare il suo assenso, il treno entrò in stazione. Non c’era più tornato dal quel famoso Natale, dalla vacanza in cui aveva ottenuto quello che voleva di più al mondo, almeno per un po’.
Lasciò che i suoi amici raccattassero i loro bagagli, e fu il primo a saltare giù dal treno.
La stazione di Garibaldi era affollata e caotica, come ogni mattina di giornata lavorativa. Non era ancora mezzogiorno ma faceva un caldo insopportabile, che quando si scontrò coi sudori freddi di Lorenzo gli aumentarono la nausea alle stelle.
Forse tutto quello sforzo non era altro che una pessima, pessima, idea. Forse sarebbe dovuto tornare indietro.
«Bene!» esclamò Chiara, in difficoltà con tutti quei bagagli. Lui si ritrovò a un passo dal dire che se ne sarebbe tornato a Castelcaro con la coda tra le gambe. «Per il comune di Pozzuoli dobbiamo prendere il treno sino a Montesanto, poi la linea nove per…»
«Ehi!» gridò una voce, e una figura saltò al collo di Edoardo alle loro spalle.
Si voltarono, Lorenzo si congelò. Edoardo esplose in un ruggito di gioia, strinse il ragazzo che gli era appena piombato addosso e lo abbracciò tanto forte da sollevarlo da terra.
Fu allora che Lorenzo si diede dell’idiota, perché questo era. Un idiota che si era dimenticato com’era averlo accanto.
Con Gennaro non c’era mai bisogno di cercare niente, di andare a tentativi. Gennaro era uno che ti dava sempre quello di cui avevi bisogno proprio quando ne avevi bisogno, e quella mattina aveva portato sé stesso in stazione perché li aveva visti arrivare.
Che stupido era stato, a interrogarsi su dove avrebbe dovuto cercarlo. Se Gennaro voleva farsi trovare lui si presentava, altrimenti non c’era verso di trovarlo.
Vivere con una Sibilla Cumana era così, sin troppo facile o del tutto impossibile, non esisteva via di mezzo. Come aveva potuto dimenticarlo?
Il ragazzo si separò dall’abbraccio, diede a Chiara due calorosi baci sulla guancia, e salutò Cassandra con un gesto della mano.
L’attimo dopo lo stava guardando, e Lorenzo si era dimenticato come si faceva a respirare.
«Ciao» gli disse, avvicinandosi di un passo.
«Ciao» rispose lui, un rantolo senza fiato.
«Com’è che io invecchio e tu diventi sempre più bello, eh? Me lo spieghi?»
Lorenzo non riuscì a raccogliere abbastanza forze per rispondere, e neanche per sentirsi in imbarazzo, anche se aveva sentito Cassandra ridacchiare a quelle parole. Restò immobile per qualche istante, poi Gennaro si avvicinò ancora, sinché non fu proprio davanti a lui. Sollevò il volto e Lorenzo abbassò appena la testa, posando la fronte sulla sua.
Il suo cuore impazzito calmò i battiti e lui chiuse gli occhi, assorbendo da quel minimo contatto, da quella minuscola frazione di pelle premuta contro quella dell’altro. L’angoscia che aveva provato sino a quel momento, la sua ansia, defluì dal suo corpo come una scoria e lui sentì la sua carne purificata, libera, leggera.
Restò qualche secondo immobile con gli occhi chiusi, solo la fronte di Gennaro premuta contro la sua, il respiro del ragazzo caldo sul suo volto, poi allungò le mani alla cieca e lo strinse, lui spostò la testa e la nascose nella curva del suo collo.
Lorenzo lo abbracciò, forte, prese una boccata d’aria tremante e strizzò gli occhi più forte. Quello era ossigeno. Quello era respirare. L’aria che gli era mancata dalla notte prima, al consiglio, e da prima ancora, l’aria che gli mancava da anni, gli riempì i polmoni snebbiandogli il cervello.
Gennaro gli stampò un bacio sul collo, quelle labbra lo sfiorarono appena e lui lo strinse più forte, il cuore sanguinante sul punto di scoppiare in brandelli pulsanti, di frantumargli la cassa toracica.
Sentì la forza di quel momento crescere e crescere sinché non ne fu sopraffatto, così fu costretto a cedere sotto il suo peso.
Si separarono, e Lorenzo riaprì gli occhi. Gennaro sorrise davanti a lui, e tutta la stazione, la città e il mondo si illuminarono di una luce accecante.
«Allora?» domandò, non aveva perso l’accento caratteristico, portava un taglio improbabile, abiti moderni, il sorriso ancora sulle labbra, e Lorenzo pensava solo che avrebbe voluto baciarlo sino a scordarsi il suo nome. «Che si fa? Vi avviso, ho questi tre bisogni primari. Uno: tagliarmi i capelli, li ho accorciati io con le forbici ma mi sento un idiota; due, farmi una doccia, sono anni che non ho l’acqua corrente e credo che potrei morire; tre: cibo, cazzo, ho bisogno di cibo! Sì, credo che il cibo al momento sia la mia priorità. E mi sento anche in dovere di informarvi che non ho un euro, quindi dovrete pensarci voi. È tutto.»
Edoardo allungò la mano e gli spazzolò i capelli in un gesto affettuoso. «Non preoccuparti dei soldi. Che vuoi mangiare?»
Gennaro sospirò, sognante. «Oddio, morirei per una pizza. E del sushi. E del gelato. E delle patatine fritte, oddio, le patatine fritte… svengo solo al pensiero. Sapevate che le patate nel sedicesimo secolo ancora non c’erano, in Europa? Neanche l’ombra. E non parliamo del cioccolato, o giuro che mi sento male sul serio...»
«Preferenze?» cinguettò Chiara, che sembrava su di giri.
Lorenzo immaginò quanto si fosse sentita in colpa per quel che era successo e provò pena per lei. Lui non era l’unica persona che aveva sofferto.
«Prendiamo la metro, scendiamo a Dante e ce ne andiamo in piazzetta Nilo. Là c’è una pizzeria, vicino c’è una cioccolateria e accanto un posto che fa patatine fritte… chissà se c’è ancora.» Le sue spalle si rilassarono e rovesciò gli occhi all’indietro, interrogando la vista a lungo termine incurante delle persone che gli passavano accanto, forse certo che nessuna avrebbe fatto caso a lui. Scosse la testa e tornò come nuovo. «Ci sono ancora!» esclamò, con un sorriso. Si voltò verso di lui e Lorenzo annegò a quella vista. «Ti ho già portato in quella pizzeria, quando siamo venuti qui. Ti era piaciuta!»
Iniziarono a camminare verso l’entrata della metro. Lorenzo continuava a guardarlo, col rischio di sbattere da qualche parte. Era cresciuto, un po’ in altezza ma soprattutto nei lineamenti, maturato. Le lentiggini erano un poco sbiadite, gli occhi scuri, invece, erano rimasti gli stessi.
Desiderò avvicinarsi a lui, sfiorarlo, toccarlo per sentirlo davvero lì, davvero vicino. Non lo fece.
Non era sicuro che Gennaro avrebbe gradito, e poi cosa significava davvero quell’abbraccio di poco prima? Certo, in quel momento era sembrato importante, enorme, era sembrato tutto. Forse, però, lui caricava in quello scambio un qualcosa che non c’era mai stato.
Dio, la presenza di Gennaro l’aveva fatto regredire allo status di adolescente insicuro. E dire che dopo di lui era sempre stato bravo a flirtare.
Era più facile farlo quando non gli importava.
Le scale mobili che scendevano sottoterra e portavano alla metropolitana lo fecero sentire come se stesse precipitando in un altro mondo. Mancava poco all’ora in cui tutti sarebbero usciti dal lavoro, e le persone cominciavano ad accalcarsi nei vagoni della metro.
«Dove sono le altre Sibille?» chiese Chiara, seduta sulle gambe di Cassandra nell’unica seggiola libera che erano riusciti ad accaparrarsi.
Gennaro alzò le spalle. «Bianca è ancora al Gran Consiglio. Abbiamo convenuto del fatto che non saremmo potuti scappare tutti insieme, così lei è rimasta là a farsi mettere sotto torchio. Sono scappato soltanto io, per venire da voi.»
Cassandra strinse le braccia attorno ai fianchi della compagna, all’arrestarsi repentino della metro. «Se tu sei l’unico a essere scappato, e laggiù è rimasta solo un’altra, che fine ha fatto la terza?»
«Oh, lei è… qui, in effetti. Me la porto dietro. Ne è rimasta solo la voce, è molto vecchia…» sul volto di Gennaro si aprì un sorriso che somigliava più a una ferita, e si rispose da solo l’attimo seguente. «Vecchia? Io? O sarà che tu sei solo un ragazzino?» disse, con una voce stridula che Lorenzo riconobbe con un torcersi delle viscere.
«Oddio, ancora tu!»
«Che succede?» chiese Edoardo, allarmato. «Perché parla così?»
«L’avevo detto che ti avrei riportato cos’hai perso. Te l’eri forse dimenticato?»
«Colo, che sta dicendo?» incalzò Edoardo.
Lorenzo lo ignorò. «Tu. Tu sei la causa di tutto quello che va storto nella mia vita!» abbaiò, puntando il dito e barcollando all’indietro all’ennesima frenata della metro.
Gennaro alzò gli occhi al cielo. «È molto comune per voi stregoni incolpare noi Sibille di quello che vi succede... idioti. Noi non causiamo disastri, siamo qui solo per avvertirvi. Mai letto l’Iliade? Mai visto il film Encanto?»
«E tu che ne sai di Encanto?»
«Dalla mia grotta vedo tutto quello che succede fuori. Come credi che abbia imparato la vostra lingua?»
«Perché Genny parla così? Che succede?»
Lorenzo sospirò rassegnato. «È la prima Sibilla, quella più antica. L’ha tipo posseduto quando siamo stati a Pozzuoli a Natale. Potresti lasciarlo andare, adesso?»
Sentire Genny ridacchiare con quella vocina stridula lo turbò. «Non credo proprio. Stiamo andando a mangiare la pizza, non l’ho mai provata ma ho sempre desiderato farlo. Erano millenni che non uscivo dalla mia grotta.»
«Ascoltami, cosa» sbottò Cassandra, seccata «noi abbiamo attraversato mezza Italia per stare col nostro amico, non per stare con te. Gradiremmo riaverlo subito.»
Il nostro amico era meglio di il vostro amico, pensò Lorenzo.
La fronte di Gennaro si increspò in una smorfia infastidita. «Non mi piace questa tipa.»
«Il sentimento è del tutto reciproco, credimi. Ora muoviti e fallo tornare, non abbiamo tutto il giorno.»
«Ho capito, non sono gradita. Me ne vado, ma tornerò…»
Le gambe del ragazzo cedettero e Lorenzo l’afferrò un attimo prima che rovinasse a terra. Lo vide strizzare gli occhi e riprendere coscienza di sé.
«Genny…?» chiese Edoardo, preoccupato.
«Dio» lamentò lui, «mi fa sempre venire il mal di testa.»
Lorenzo non sapeva se era il caso di lasciarlo andare, ora che si era svegliato. Gennaro continuava a scaricare il peso su di lui, forse gli mancavano ancora le forze per stare in piedi.
Così restò là, quel corpo appoggiato al suo, le mani sui suoi fianchi e il bisogno che quel viaggio in metro durasse per sempre, perché potesse continuare a stringerlo in quel modo facendo finta di avere una buona scusa per farlo.
Note autrice
Ebbene, Gennaro è tornato!
L’avevo detto che avreste potuto risparmiare i forconi...
Lorenzo è regredito allo status di sedicenne insicuro, la magia sta per essere rivelata al mondo, le Sibille sono qui per aiutare. Cosa accadrà?
Tra l’altro Lorenzo non è neanche single, lol. Anche se non sembra fregargliene molto, al momento. La cosa potrebbe cambiare, oppure no. Diciamo che non è più il gelato alla panna che conosciamo, gliene sono capitate di ogni ed è diventato un po’ stronzetto. Ha iniziato a pensare a sé stesso, quindi è diventato un po’ egoista, penso sia piuttosto normale. Questo si ripercuoterà sulle sue scelte e sulla storia già a partire dal prossimo capitolo, dove un suo colpo di testa lo farà finire in qualcosa di più grande di lui... chissà in cosa finirà invischiato 👀
Le tre Sibille che sono tornate sono quelle che hanno compiuto le più importanti imprese del mondo magico. La prima in assoluto, che risale a un’epoca antichissima pre romana, durante i primi insediamenti umani nella penisola; quella che ha nascosto la magia al mondo, quando la religione politeista e magica ha lasciato spazio al cristianesimo durante l’impero di Costantino; e infine la nostra preferita: quella che ha ricucito lo strappo nel 1520.
P.S. il posto di cui parlo con una pizzeria accanto a un posto che fa patatine fritte vicino a una cioccolateria in centro a Napoli esiste davvero, lol, il mio personale triangolo delle Bermuda
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