Quel Natale
«Tombola!» Francesca aveva innalzato le braccia al cielo, quel giro aveva ripulito il piatto accaparrandosi ogni vincita. Aveva afferrato le banconote in un batter di ciglia, contandole nuovamente e pensando a come sarebbe stato, il successivo Natale, giocare a tombola con la nuova moneta che, di lì a poco, avrebbe sostituito la cara vecchia lira.
«Hai troppa fortuna!» Brunella, dodicenne piena d'invidia e ammirazione per la sorella maggiore con cui condivideva metà del patrimonio genetico, aveva dato vita a una nenia senza fine.
Erano seduti intorno a un tavolo di legno usurato dal tempo e dalle tradizioni, radici di cui Francesca avrebbe portato i segni sulla pelle e nell'anima. Adoravano sedersi intorno a quello che sarebbe sempre stato il tavolo dei bambini, sebbene i commensali fossero di diversa distinzione anagrafica. Era stretta tra i propri fratelli, o quasi, poiché l'unica con cui condivideva un legame di sangue era la piccola di casa: Brunella. Francesca smosse appena una delle trecce nere della sorella, affinché tacesse e lei rispose, come di consueto, imbronciando le labbra e calando sulle iridi cerulee un velo di finta commozione, cosicché i suoi capricci fossero sempre assecondati. Era un'adolescente irrequieta, nata dall'unione del padre di Francesca con la donna che aveva supplito a una mancanza asfissiante, logorante ed estenuante.
La nascita di Francesca urlava devastazione e morte: quella di colei che l'aveva generata tra squarci e tribolazione. Era cresciuta senza averne respirato l'essenza, priva della compiacenza di poterla scrutare; tuttavia, laddove non erano arrivate le pupille, il cuore aveva sopperito. I ricordi di chi aveva amato la madre erano divenuti i suoi, tra ricerche affannose e racconti soffiati a labbra tremanti.
Il padre non era annoverato tra chi le riempiva lo spirito di minuziosi dettagli e aneddoti, poiché troppo occupato a evitarla, colpevole di aver generato afflizione. Eppure, erano bastati pochi anni a don Michele prima di trascinare nella loro casa una nuova moglie dall'animo docile e dalla mente arguta. Era stato un matrimonio che in paese era etichettato come riparatore: la donna era diventata la nuova signora Lombardi perché portava in grembo il frutto di una passione germogliata nel vigneto in cui lavorava, laddove si era concessa al suo datore.
Veronica varcava le soglie di quella casa portando con sé una valigia logora e un bambino di neppure dieci anni, privo di cognome paterno. Era stata quella la prima volta che Francesca aveva sorriso, beandosi di quella che, di lì a poco, sarebbe divenuta una famiglia unita. Davide si era stretto nel cappotto strappato sui bordi, ereditato da un cugino a cui non andava più e aveva scrutato, oltre le ciglia tremolanti, la fastidiosa bimba tutta sorrisi e trecce penzolanti. Il bambino ostentava superbia, benché celasse solitudine, per quei quattro anni che aveva vissuto più di lei e la mente elaborava piani per poterla infastidire, con dispetti e beffe da infierire. Profetiche erano state, però, le previsioni di Francesca giacché divenuti famiglia e il loro affetto era sbocciato in sostegno e devozione, fino alla fine. Complice dell'idillio era stata la nascita di Brunella: il loro sangue si era mescolato, unione che sarebbe perdurata nel tempo, allora inconsapevoli che non sarebbe stata l'unica volta.
Quella vigilia di Natale, erano riuniti nell'immensa sala da pranzo e ospitavano zii e cugini di entrambe le famiglie, come ogni giorno festivo. Dopo l'abbondante cenone, i giovani avevano iniziato a giocare, dividendosi tra carte e tombola, in attesa che giungesse l'ora della Santa Messa di mezzanotte a cui avrebbe partecipato l'intero paese. La famiglia Lombardi avrebbe passato la serata a non spazientirsi innanzi ai cenni di riverenza elargiti dai compaesani e fingendo di non vedere le occhiate torve di chi attendeva che loro voltassero le spalle per mostrare la propria insofferenza.
«Avete terminato? È quasi ora di avviarsi.» Donna Veronica era alle spalle della figliastra, un palmo posato sulla scapola di quest'ultima e l'altro su quella del figlio, quasi a presagire quello che, di lì a poco, sarebbe avvenuto. Uno scialle di lana d'angora nera copriva il busto esile, in attesa di esser sostituito dal lungo cappotto bordato di pelliccia; elargiva sorrisi a ogni giovane commensale, inchiodando le iridi cerulee in quelle della sua adorata bambina, auspicando che non cadesse, come d'abitudine, tra le calde braccia di Morfeo durante la celebrazione religiosa. A onor del vero, sarebbe stato poco ossequioso nei riguardi di Padre Luigi, costretto a osservar dal pulpito l'adolescente stravaccata nel banco in prima fila, dovendo già tenere a bada i continui sbadigli del ministrante.
Francesca si alzò lesta, rovesciando la sedia su cui era seduta. Doveva raggiungere il bagno prima della sorella oppure avrebbe detto addio all'agognato cambio d'abito; dopo la Messa, avrebbe incontrato gli amici di scuola presso l'abitazione di uno di loro, Fausto, per intrattenersi fino all'alba tra giochi di carte e chiacchiere. Davide seguiva i movimenti dell'adorata sorellastra, osservava la gaiezza dei lineamenti e inebriava lo spirito con le sue bramate fattezze.
Scalpitante, febbricitante, anelante, Davide aborriva gli impulsi smaniosi di lei, gli stessi che da due anni gli tormentavano i pensieri.
La bambina pelle e ossa fu annichilita da una giovane donna dalla figura sinuosa: curve che lambiva nei sogni più peccaminosi, sebbene altre immagini riempissero la sua mente quella sera. Voleva strappare, dalla cavità oculari, le pupille del cugino Marcello, ferme sulla profonda scollatura di Francesca. Fulmineo, scattò in piedi e si avvicinò alla sorellastra per ammonirla: «Vuoi uscire vestita così?»
Le parole arrivarono, alle orecchie della ragazza, come una predica, era troppo per lei sperare in una scenata di gelosia. «Non indosso nulla di particolare, un maglione e un leggings,» Francesca aprì le braccia per rimarcare l'evidenza del proprio abbigliamento, mentre il fratellastro ammirava le sue forme con le iridi velate da mera bramosia, «ma t'informo che sto per andare a cambiarmi per indossare un vestito cortissimo!» Insolente, si burlò di lui.
Davide si destò dall'intorpidimento e ovviò alle proteste di Francesca alzando la chiusura lampo del maglione in cashmere rosso che, nel suo immaginario, aderiva fin troppo al corpo della giovane. Già si vedeva morto di crepacuore per la folle gelosia. «Abbassa la chiusura lampo, ancora una volta, e renderò la tua vita un vero inferno.» Fu un tocco lieve, appena accennato, che fece sussultare entrambi e a Davide sembrò di essere davvero finito tra le fiamme eterne.
«Come pensi di farlo?» La giovane si sforzò di sorridere per provocarlo. Tutto pur di scacciare quel fremito che aveva fatto aggrinzire la propria carne.
«Potrei ricattarti. Che cosa penserebbero i tuoi amici se sapessero che, benché ora delizi le tue orecchie con i Negramaro, hai un passato da fan sfegatata dei neomelodici? Ti hanno mai ascoltato quando intoni Ann...» Il palmo della mano di Francesca si posò con impeto sulle labbra di Davide per zittirlo, nonostante sapesse che il ragazzo non avrebbe mai osato umiliarla.
Tramortiti.
Fu una collisione che lasciò una spaccatura profonda in chiunque avrebbe interferito con i loro sentimenti: una voragine oscura da cui mai sarebbero riemersi.
Era a quel Natale di sette anni prima che Francesca volgeva la propria memoria. Scrutò il golfo di Napoli, un panorama che allietava le sue pupille ogni dì dalle finestre dell'attico divenuto casa, sulla collina di Posillipo. Le sue iridi si riempivano di uno spettacolo mozzafiato. Aveva imparato, dopo tanti patimenti, a vivere nell'opulenza del quartiere della città che l'aveva accolta quando ogni cosa le era stata strappata. Eppure, non era il capoluogo campano che bramava di conquistare perché un altro luogo, che un tempo chiamava casa, divenne la sua ossessione. Divisa tra il coraggio di sopportare e la tenacia di lasciar andare, aveva trovato rinvigorimento nella bramosia di riscatto: un cerchio di sofferenza che sarebbe terminato secondo il proprio volere.
«Manca poco,» Paolo le aveva poggiato uno scialle sulle braccia lasciate scoperte dall'elegante abito nero, portò la bocca nell'incavo del suo collo e annusò la sua inebriante essenza, «torniamo in sala, gli ospiti ci attendono. I nostri amici sono qui per festeggiare la vigilia con noi, non puoi nasconderti in camera da letto. Ancora pochi giorni e avrai quello che desideri, mantengo sempre le mie promesse, amore.»
Francesca lasciò che l'uomo cullasse il proprio corpo, nonostante la pelle raggrinzisse a ogni tocco, e si ammantò nelle sue promesse, ignara che le stesse l'avrebbero avvolta in una nefasta chiazza cremisi.
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