Capodanno
«Dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due, uno, buon anno!» Ci fu un boato, poi urla festose, dopo lo schiocco di baci su guance accaldate e, infine, il tintinnio dei calici di cristallo, colmi di spumante fino all'orlo della bordatura dorata: fu così che la famiglia Lombardi accolse il nuovo anno, giunto, come quelli precedenti, con una parvenza di normalità, ma che avrebbe devastato la coesione tanto amata.
«Andiamo a guardare i fuochi d'artificio!» Francesca arpionò il braccio di Davide e tirò il giovane verso la portafinestra che conduceva sul terrazzo, una vetrata lunga quanto l'intera parete e opacizzata dal calore della cucina. Ripulì l'alone con la manica del maglione bianco che indossava e i fuochi pirotecnici si palesarono ai loro occhi con uno spettacolo di luci e colori che infransero un cielo privo di stelle.
Non sapevano ancora che nella loro vita avrebbero incontrato talune persone simili a quei fuochi: tanto rumore, qualche colore e, poi, solo fumo. Lo avrebbero scoperto di lì a poco, troppo presto per due anime ancora acerbe, o forse troppo tardi per acuire un giudizio condizionato.
«Stai attenta alla festa e non tornare troppo tardi!» Davide sentì montare dentro di sé l'inquietudine di saperla circondata da più di un ragazzo desideroso di averla e avvertì l'impotenza di non poterle esternare quello che provava, refolo di rinuncia che avrebbe corroso ogni spiraglio di felicità. Fu questo a caratterizzare il loro amore: la rinuncia. Davide divenne abile, nel tempo, a sopportare la mancanza di colei che sempre sarebbe apparsa ai propri occhi come l'unica donna capace di farlo respirare. Tuttavia, quella sera l'impotenza si mescolò alla cocente gelosia e divenne fuoco, tempesta di emozioni, amore urlato e, poi, nuovamente taciuto, preludio di speranza e decadenza di quella parvenza di serenità.
Furono gli sguardi scambiati dinanzi a quei colori a dare inizio alla passione che germogliò, poche ore dopo, nella sala accanto, pupille che diedero vita a un atto d'amore prima che i corpi potessero scontrarsi. Smarrirono la lucidità, aggrappandosi al luccichio di passione che videro riflesso l'uno negli occhi dell'altra; fu un momento che non sfuggì all'attenzione di qualcuno presente nella stanza.
«Francesca, vai a cambiarti! Tra meno di un'ora passeranno Umberto e Daniela a prenderci.» Marcello pose fine al contatto visivo tra i due e Davide si passò una mano tra i folti capelli scuri per la frustrazione che animò la mano e la bocca.
«Marcello, fai attenzione a Francesca! Qualsiasi cosa le capiti, riterrò te come unico responsabile. Non starle troppo addosso, però.» Un ringhio si posò tra le labbra del silente innamorato, mentre il torace seguiva una danza armoniosa, seppur furiosa, innalzandosi e abbassandosi a tempo con il cuore.
«Davide, la tua gelosia fraterna sta diventando troppo invadente. Tua sorella ha il diritto di divertirsi, non oso immaginare quando arriverà il turno di Brunella.» Una risata forzata eruppe dalla bocca di Marcello, ma che tradì il fastidio avvertito per l'indiscrezione del cugino.
Figli di due sorelle, Davide e Marcello erano uniti da un vincolo di sangue e affetto, un legame che sembrava indissolubile quando i due erano bambini, stessi giochi e passioni simili, eppure divenuto gelido distacco non appena Francesca era sbocciata in una giovane donna. Uno dinanzi all'altro, si fronteggiarono in una muta ostentazione di supremazia: Davide vibrava per la paura di vedere Francesca tra braccia che non fossero le sue, mentre Marcello non comprendeva l'astio che il cugino preferito gli riversava contro.
Arrivò zia Luisa a sedare gli animi, sorella della defunta nonna materna dei ragazzi; la simpatica e svampita anziana si dispose nel mezzo e pronunciò la domanda ripetuta a cadenza annuale: «Marcello, Davide, quando mi presenterete le vostre fidanzate? Vorrei conoscerle ora che il cervello mi funziona ancora». La donna inforcò gli occhiali dalla montatura a macchia di leopardo e il bastone da passeggio, in legno di faggio e impugnatura Derby rosa antico, con cui trascinava le gambe malferme fu utilizzato, dapprima, per indicare i due cugini e, poi, in movimenti a mo' di minaccia bonaria.
«Zia Luisa, io sono Davide e lui è Marcello», uno scintillio di scherno animò le iridi del maggiore dei suoi nipoti, sebbene rilevasse la disattenzione con ossequioso rispetto «e non abbiamo nessuna fidanzata da presentarti».
«Non ancora, domani potrebbe essere tutto diverso.» Marcello s'impegnò oltremodo per infastidire Davide, benché non avesse chiaro il motivo di tale morbosità verso Francesca e ostilità contro la sua persona.
«Vado a cambiarmi e smettetela di punzecchiarvi voi due!» Francesca intervenne prima che il fratellastro potesse replicare; scappò dal calore della stanza e di quegli occhi cerulei che avevano acceso un desiderio mai provato per nessun altro ragazzo. Si rifugiò nella camera da letto, nella speranza di placare i battiti del cuore che minacciava di scoppiare, poiché le pupille di Davide non erano rimaste in cucina, ma ancora dentro le sue e urlavano quanto lei anelasse di udire.
Guardò il vestito che aveva in precedenza appoggiato sul piumone verde acqua, della stessa tonalità del mobilio della camera, e sognò di ricevere sguardi pregni di voluttuosa ammirazione dal fratellastro. Scese le scale che conducevano nella zona giorno con il cappotto bianco poggiato sul braccio, il miniabito in paillettes dorate lasciava scoperte le gambe velate da sottili calze color carne. L'orlo della gonna plissettata sfiorava a malapena le ginocchia mentre il profondo scollo a v del morbido bustino esaltava le generose curve di cui madre natura le aveva fatto dono.
Lo sguardo di libidinosa venerazione le fu riservato appena varcò la soglia della cucina, la pelle delle braccia raggrinzì e Francesca non capì se fosse per colpa delle maniche a campana corte fino al gomito oppure per le iridi cerulee che trapassarono l'abito della festa. Davide deglutì, cercando di inumidire le fauci secche, mentre il pomo d'Adamo s'innalzava e abbassava con frenesia. La camicia bianca, che esaltava il colorito olivastro, aderì alla pelle avvampata alla celestiale visione. L'ultima immagine che Davide si ritrovò a osservare fu quella di Francesca che indossava il lungo cappotto aiutata da Marcello e questa scena lo tormentò per l'intera notte trascorsa con i colleghi universitari, ai quali si era aggiunta l'asfissiante Roberta. Avevano trascorso il Capodanno girovagando per i locali di Salerno e Davide si districò per ore tra pene d'amore e le insistenti avances di Roberta.
Francesca si gettò esausta sul divano, aveva ballato senza sosta insieme agli amici di scuola, gli stessi che si portava dietro dalle elementari, e quando gli ospiti erano andati via, alle prime luci dell'alba, si era offerta di aiutare Fausto per riordinare.
«Adesso, come ritorni a casa? Sono andati tutti via...» L'intontito Fausto sembrò ragionare solo in quel momento, reclinò il capo sul bordo del divano nero, consentendo ai ciuffi biondi di ricadere sulla fronte imperlata di sudore, e faticò stoicamente affinché le palpebre restassero aperte. Non provò ad avanzare alcuna parola di ricambiata gentilezza, quantomeno come ringraziamento per l'aiuto concreto fornitole dall'amica, manifestando, così, l'assenza di volontà nel riaccompagnare Francesca.
«Tranquillo, Marcello è andato via con Umberto per recuperare le chiavi della sua auto e tornare a prendermi» Francesca chiosò e Fausto sospirò soddisfatto mentre si stringeva a Morfeo in un mondo privo di doveri; la ragazza sorrise e scattò una foto all'inospitale, e russante, padrone di casa.
Davide tornò a casa quando il sole era già alto, aveva sovrastato il Terminio e si era impadronito del cielo rasserenato; c'era il silenzio ad avvolgere la stanza e lui sapeva che i familiari non si sarebbero destati prima di un paio d'ore. Fu pronto a raggiungere la sua camera quando, dopo aver sbirciato in direzione dell'appendiabiti, notò l'assenza del cappotto di Francesca. Sfrecciò nella stanza della ragazza, ne appurò la vacuità e tornò al piano terra, si diresse al mobile bar del salone e agguantò con impeto una bottiglia di whisky. La gelosia e l'impotenza si mescolarono alla preoccupazione mentre scenari improbabili si materializzarono nella sua mente, e la giugulare pulsava violenta ingurgitando il liquido ambrato. Il motorola finì più volte all'orecchio e l'assenza di campo del cellulare di Francesca fece schizzare la frustrazione, riversata sull'intero contenuto della bottiglia. Vivevano in sincrono, il telefono di Francesca e il cuore di Davide; ogni squillo a vuoto tramutava in un battito mancato nel torace del ragazzo. Il rombo di un motore e lo stridio di pneumatici sulla ghiaia fecero sfrecciare Davide verso la porta, spalancandola senza grazia, e una visione distorta offuscò la ragione. Fantasma di se stesso, impigliato in un filo spinato pregno d'insidie, Davide implose ed esplose di rabbia.
Era l'alba di un nuovo giorno, preludio di un anno costellato d'innumerevoli mutamenti e il fuoco divampò illuminando quello che sarebbe dovuto restar celato, quello che mai sarebbe stato accettato: il loro amore.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top