12 - Stai con me?

- Non ce la faccio più.

Ero confuso. Cercai di chiederle delucidazioni, ma mi bloccò.

- Lasciami finire senza interrompermi, o non troverò più il coraggio di dirti ciò che sto pensando.

Nella mia mente si fece strada un enorme punto interrogativo. Cosa stava succedendo?

- Penso che Alice sia una ragazzina viziata. Non merita neanche la metà dell'attenzione che le stai dedicando. - Fece un lungo respiro e continuò -. E' sempre la stessa storia! Ogni volta che hai una cotta per qualcuno, ti dimentichi di tutto e finisci per piangere sulla mia spalla. Non ce la faccio più! Ti vedo così e provo rabbia. Rabbia nei confronti di me stessa per non trovare mai il coraggio di dirti ciò che provo. Sono stanca di avere paura. Alice non ti merita, non quanto me - Si fermò, mi guardo negli occhi e pronunciò le ultime parole. - Ti amo.

Di tutto il discorso che fece, solo ti e amo rimbombarono nella mia testa e frantumarono il terreno sotto i miei piedi. L'equilibrio precario che cercai di mantenere fu spezzato quando sentii il tocco tiepido delle sue labbra.

Non riuscivo a credere a ciò che stava succedendo, non potevo crederci. Quindici anni di amicizia spazzati via in una tiepida giornata di autunno. Qualunque cosa avremmo detto o fatto dopo quel gesto, non avrebbe più avuto lo stesso significato.

Rimasi pietrificato e lei fece un passo indietro.

- Sara... Io...

- Non dire nulla, se sei là, immobile, non hai bisogno di aggiungere altro.

E, prima che potessi dire o fare qualcosa, scoppiò a piangere. L'abbracciai d'istinto, ma appena i nostri corpi si toccarono, capii l'errore che avevo commesso. Non l'amavo, non come avrebbe voluto lei.

L'allontanai da me.

- Scusa, non posso... Adesso devo andare.

Non feci in tempo a muovermi, che la vidi correre via in direzione opposta, portando con sé il nostro passato. Ero certo che non sarei più riuscito a dimenticare la delusione che leggevo nel suo sguardo. Tra tutti quelli che avrebbero potuto ferirla, non avrei mai pensato che sarei stato io.

Tornai in camera e feci l'unica cosa che sapevo mi avrebbe distratto un po': presi la mia chitarra. Mi ritrovai a cantare Non Guardarmi Così di Davide Mogavero. Era il brano perfetto per descrivere quello che provavo in quel momento: ero frastornato, mi tornarono in mente i nostri abbracci, le serate trascorse in giro a far nulla, i nostri segreti. Non siamo mai rimasti separati per più di due o tre giorni. Ci siamo detti sempre la verità. Quand'è cambiato tutto? E adesso? Come avrei fatto? Non volevo che finisse così. Sentivo già la sua mancanza.

Più tardi fui tentato di richiamare Sara, ma non lo feci. La situazione era complicata e non sapevo cosa dirle. Il mio cellulare squillò un paio di volte: Alice cercava di contattarmi, ma avevo bisogno di rimanere un po' da solo. Gli eventi del giorno prima avevano lasciato un'impronta indelebile sul mio stato d'animo e non ero dell'umore giusto per affrontarla.

Chiamai la segreteria dell'Accademia e informai che non sarei andato a lezione per un paio di giorni. Con Marco simulai un'influenza e restai a letto tutta la mattina. Cercai di dormire, ma la mia mente tornava sempre a Sara. Il vuoto che si era creato dentro di me era incolmabile.

Marco tornò in stanza nel pomeriggio.

- Come ti senti?

Non sapevo cosa rispondergli, non volevo mentirgli.

- Sto bene, non preoccuparti. Ho solo bisogno di rimanere un po' per i fatti miei.

Il mio amico colse al volo il messaggio e non insistette.

- Alice ha chiesto di te. Si è scusata con noi e ci ha spiegato cosa le è successo. Vorrebbe parlarti. Quando te la senti richiamala.

Marco uscì subito dopo avermi informato. Non gli diedi retta più di tanto, spensi il cellulare e con gli auricolari alle orecchie, alzai il volume al massimo crollando tra le braccia di Morfeo. Dormii per circa dieci ore. Quando riaprii gli occhi erano le nove passate. Vidi un sacchetto marrone sulla scrivania con sopra un messaggio post it. "Sono passato dalla mensa e ti ho preso un panino. Dormivi profondamente e non ho voluto svegliarti. Chiamami. Marco".

Riaccesi il cellulare per ringraziarlo, ma prima di riuscire a digitare il suo numero, fui tempestato dai messaggi di Alice. La ignorai e chiamai il mio amico.

- Pronto?

- Ciao! Mi sono appena svegliato e ho trovato la cena sul tavolo. Grazie!

- Non preoccuparti. Stai meglio? Stamattina avevi una brutta cera.

Non ebbi tempo di rispondergli. Sentii una voce femminile dall'altro lato della linea.

- E' Lui? Passami il telefono!

Era Alice. Sentii Marco farfugliare qualcosa e la comunicazione s'interruppe. Non lo richiamai ma trovai il coraggio per mandare un messaggio a Sara.

Come stai?

La risposta arrivò dopo un'ora.

Non so cosa risponderti.

Non ero in grado di capire a pieno il suo stato d'animo e decisi di non forzare la situazione. Sara non poteva darmi le risposte che stavo cercando, non poteva rassicurarmi sul fatto che nulla sarebbe cambiato tra di noi e che domattina avremmo fatto colazione insieme al bar, ridendo e parlando dei nostri amici comuni.

So che non può esserti d'aiuto ma se avrai bisogno, per qualunque cosa, potrai sempre contare su di me.

Sara non rispose. Accettai il suo silenzio, era del tutto comprensibile. Il brontolare del mio stomaco mi convinse a uscire dalla stanza. Aprii la porta e la vidi là, seduta sul pavimento, con le gambe strette al petto. Mi guardò con titubanza.

- Ciao.

La salutai con tono pacato ma lei non rispose direttamente.

- Possiamo parlare? - Mi chiese sussurrando, forse spaventata da un mio ipotetico rifiuto.

- Ma certo. Vieni qui.

Mi abbassai per stringerle le mani e aiutarla ad alzarsi. Erano gelide. Il nostro contatto la scosse. Alice sembrò risvegliarsi da un lungo sonno, accettò il mio aiuto e si sollevò da terra.

- Grazie.

Annuii.

- Sto uscendo per comprare qualcosa da mangiare, vuoi venire? - Non le diedi modo di rispondere e m'incamminai. Se le andava, poteva seguirmi. Feci solo tre passi quando avvertii una stretta forte in vita e il peso di un viso sulla schiena. Il suo abbraccio era deciso e mi bloccò.

- Scusa...

Sussurrò poco distante dal mio orecchio. Allentai la presa e mi girai.

- Sono stanco, - sospirai - ho avuto un paio di giorni difficili. Non scusarti. Mi arrendo. Hai vinto tu. Rimaniamo buoni amici e non ne parliamo più.

Le porsi la mano in segno di pace.

- No!!

Per la prima volta udii la sua voce cristallina e continuò.

- Non ti arrendere mai con me. Ho solo paura ed è la cosa che odio più al mondo. Odio avere paura.

Il suo messaggio mi arrivò disperato. Alice si alzò in punta di piedi, mi prese il viso tra le mani e mi baciò a fior di labbra. Non risposi al bacio. Avevo preso la mia decisione e non avrei cambiato idea, se qualcosa d' inaspettato non fosse successo.

- Ieri mi ha chiamato mio padre. Voleva vedermi. Quando siamo insieme spegniamo i cellulari. E' la regola. Non ti ho avvertito perché pensavo che mi sarei sbrigata in tempo ma mi sbagliavo, e quando ho riacceso il telefono e ho provato a chiamarti non mi hai risposto. Scusami. Quando non rispondo al cellulare o scompaio senza avvertire, sono sempre con lui.

- Perché non me lo hai mai detto prima? Perché tutto questo mistero? Voglio solo chiarezza e qualche risposta. Se non puoi o non vuoi darmele lo capisco, l'accetterò, so benissimo cosa mi hai detto in passato e non ti sto incolpando di nulla.

- Non amo parlare molto della mia vita fuori dall'Accademia. Posso solo prometterti che ci proverò. E da oggi in poi ti avvertirò sempre prima di andar via o saltare un appuntamento.

Non potevo negare il fatto che le sue parole mi colpivano e che rimanere sulla mia posizione sarebbe stato stupido.

Le sorrisi, ma le feci una domanda precisa.

- Da questo preciso momento, stai con me o no?

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