Cap. 8 L'incarico

"Jeanne, tua madre ti ha passato la sua bellezza, ma per fortuna null'altro. Era una donna debole e confusa, che non sapeva né cosa voleva né come ottenerlo. Tu invece hai idee chiare e ti sei preparata a prenderti quel che desideri. La tua sola sfortuna è che io ti conosco, ragazza. E che sapendo quel che desideri, posso mettermi tra te e quello che brami".

La voce del conte è suonata volutamente noncurante, come discorresse amabilmente del tempo. E io amabilmente avrei voluto spaccargli il cuore col pugnale, che mi aveva con prudenza tolto.

Di mia madre non tolleravo che parlasse, non lui. Avevo chiuso il pensiero di mia madre dove restasse muto, mi creava problemi ulteriori, e la mia vita ne aveva già di sufficienti. La rabbia verso mia madre, verso chi mi aveva lasciata senza alcuna protezione a crescere da sola, non era buona consigliera. La rabbia, in generale, non aiuta affatto a essere lucidi.

Quindi se parli di mia madre, brutto bastardo che l'hai costretta a soddisfarti e a generarti figli, devi aspettarti che i miei desideri si rivolgano alle tue interiora, immaginandole sparse in giro o strette intorno al tuo collo.

"Tua madre ti ha trasmesso una notevole bellezza, ma il resto sembra venire tutto da me. Di sei figli, pare tu sia quella che ha ereditato davvero tutto, dall'amore per i cavalli a quello per le armi, dall'orgoglio alla determinazione. E infine all'insofferenza di dover ubbidire a qualcuno, che chiaramente non varrebbe la metà di te e che il destino si è divertito a metterti sul collo, come un fantino idiota sulla groppa di un fuoriclasse".

Continuava a parlare camminando, con le mani dietro la schiena, in una strana postura meditativa, col mento alto e gli occhi alla finestra, come studiasse attraverso quella le forme evanescenti delle nuvole.

Parlava in modo strano, in effetti, e io con i sensi tesi al massimo ascoltavo, ma mi guardavo in giro. Troppo assurde le parole che pronunciava, come se volesse sbalordirmi e così attirare tutta la mia attenzione, distogliendomi dal mondo intorno.

"Ho deciso di offrirti quel che desideri tanto, ma in cambio voglio che tu faccia per me quello che nessun altro può. Un servizio di gran valore, quindi. Per questo, ho pensato a una ricompensa sontuosa".

Decisamente qualcosa non tornava.

"E cosa desidererei così tanto?", avevo chiesto.

Ero sarcastica, pensavo che fosse ridicola la sua presunzione di sapere cosa desideravo. Un sorriso amaro gli aveva piegato gli angoli della bocca.

"Tu vuoi la libertà, Jeanne", aveva detto. "Di cavalcare, di vedere il mondo. Di essere salutata con un sorriso, senza né timori né invidie. Desideri non avere padroni e persino non avere schiavi. Sogneresti di costruirti una casa senza fossati, senza mura e senza sentinelle, con una stalla e un bosco fitto vicino. Desideri poter partire e poter tornare, poter leggere e poter ascoltare voci che vengono da lontano. Sei curiosa e avida di ogni nuovo sapere".

Anch'io avevo guardato fuori dalla finestra. Le nuvole avevano strane forme e l'erba dei campi che circondavano il nostro castelluccio si fletteva in lente onde, sotto il soffio costante ma blando del vento. Avevo osservato con attenzione ogni cosa, mentre tentavo di comprendere dove volesse andare a parare.

"Cosa vuoi?", avevo chiesto infine, perché smettesse di girare intorno alla cosa.

"Non osare alzare la cresta, Jeanne. Mi somigli, ma essere come me è pericoloso, visto che il destino si è divertito a infilarti in un corpo da donna", aveva risposto, e aveva negli occhi un'espressione curiosa. "Da uomo, avrebbe potuto essere una gran cosa nascere dal mio seme; con un po' di iniziativa, liberandosi di qualche concorrente da poco... molto potere ti sarebbe piovuto meritatamente in mano. Ma sei donna, e rischi davvero tanto. Quindi hai una sola possibilità: guadagnarti il mio favore. Lusinga il mio amor proprio, fammi pensare che il mio sangue scorre nelle tue vene e forse avrai la soddisfazione d'avere la meglio sul destino".

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