Cap. 4 Il signor conte
Mio padre non andò per le lunghe. Quella bestia di scudiere, interrogato nel frattempo, si era difeso come aveva potuto, dicendo che io lo adescavo, lo torturavo col provocarlo fino a farlo uscire di senno, e che infine mi aveva seguito e toccato. "Ma per la prima volta!", aveva proclamato disperato con le mani nei capelli.
Feci una smorfia e negai, ovviamente.
Ma mio padre ci aveva ragionato su.
"Tu non mi convinci, Jeanne, e lui neppure. L'hai attirato a portata di voce perché lo scoprissi. Devo farti visitare, per scoprire se sei ancora una donna onorata?"
"Ordinate le visite che volete, signor padre. Prima di farmi compromettere da uno stalliere gli taglierei la gola!", risposi perdendo la calma. Quella minaccia, che credeva di aver il diritto di fare, mi mandava il sangue agli occhi. Ero davvero una sua proprietà, null'altro che una proprietà, e la cosa mi inferociva.
"E con cosa gliela taglieresti, la gola?", mi chiese ironico, e poi prima che potessi replicare mi colpì violentemente, uno schiaffo in pieno viso da farmi girare a mezzo, sbattendo il capo al muro.
"Tu ora mi dici la verità o quant'è vero che ti ho dato vita, te la tolgo", ruggì, e la sua voce cupa era convinta e minacciosa come non l'avevo sentita mai. Il sapore del sangue in bocca mi fece riflettere che ero nei guai.
"Ho un coltello", risposi allora, "una donna ha il diritto di difendere il suo onore; parecchi dicono che la figlia bastarda del Conte è bella, e non mi portano il rispetto di cui godono Hilde e Christiane, figlie legittime e onorate".
Il vecchio mi fissò penetrante, per capire quanto vi fosse di vero. Forse il bestione aveva detto di più, forse aveva raccontato delle lezioni. Se era così...
Un altro schiaffo mi fece bruciare la pelle e chiudere un occhio.
"Non credere di potermi raccontare favole, Jeanne! Non sono uno sprovveduto. Sei bella, è vero, ma prima di allungare una mano chiunque ci penserebbe molto bene. Quello stupido te lo sei rigirato a dovere, a maggior ragione se sei riuscita a rimanere prudentemente vergine. Per cosa l'hai usato, per svago personale o per qualche altro motivo? Ti conviene non farmi perdere la pazienza o farò altro, che gonfiarti la faccia".
Caro, adorabile genitore!
"Davvero? Dopo avermi allevata come una puledra da monta mi rovinerai? Perdere tutto questo tempo, le lezioni di musica, i vestiti decorosi, anche se non certo da nobile come quelli delle tue pupille... Fallo!", sibilai. "Fallo pure. Spaccamela, la faccia!, e buttami via; vado a guadagnarmi da vivere offrendomi nei bordelli, dove pagheranno per farsi la figlia del Conte. Fallo, che finalmente la lascio, questa prigione! Stroppiami pure, così me ne vado prima d'essere venduta. Tanto quello mi tocca, d'essere mercanzia per ingraziarti qualcuno".
Avevo lasciato andare la lingua, e gli gridai il mio sentirmi prigioniera, insoddisfatta, umiliata. E benché non fosse mia intenzione, mi svelai orgogliosa, aggressiva, spregiudicata.
Mio padre vide nel mio sguardo ben più di quanto volessi. Gli restava da capire meglio, cosa avevo fatto esattamente. Esattamente.
"Da quando, e perché, tu e quel figlio di una cagna vi appartate nelle stalle? Dimmi la verità, ti do una sola possibilità di essere sincera. Diversamente, ti giuro, non ti piaceranno le mie decisioni".
Mi venne da ridere; intanto però mi ero sfogata, e appena in tempo mi resi conto, più freddamente, d'aver già detto troppo. Confessare la verità forse era opportuno? O forse, meglio ancora, una mezza verità addomesticata...
"Da oltre un anno mi nascondevo dietro le tende dei saloni a seguire le lezioni di scherma dei miei fratelli", presi a raccontare, addomesticando i termini di tempo. "Avrei voluto imparare a maneggiare le armi ma, naturalmente, è considerata una cosa incedente, per una donna. Tranne che non sia una nobile destinata a essere castellana, quello che non sono. E poi, io adoro i cavalli. Ma anche riguardo a quelli, una donna non può cavalcare, pare, alla luce del sole.
Bazil un giorno si è accorto che spiavo le lezioni; e che mi infilavo ogni tanto nelle stalle ad accarezzare i cavalli e a portargli mele e carote. Si è offerto di aiutarmi. All'inizio è stato gentile, mi ha insegnato.
Poi però ha cominciato a essere troppo gentile. Nell'insegnare ha cominciato ad avvicinarsi, ad approfittare per... toccarmi. E infine alle mie proteste ha minacciato di farmi scoprire; di far sapere in giro che sono una specie di maschio mancato, che so tirare di arco e di coltello e che cavalco a gambe aperte, come un uomo.
È diventato sempre più morboso, e anche se non arrivava a compromettermi, non sapevo più come sfuggirgli. Ho smesso di andare nelle stalle, di uscire da sola dalle stanze, ho evitato per molto tempo ogni occasione ma mi sono sentita davvero prigioniera... e quando ho provato ad affacciarmi di nuovo e me lo sono ritrovato ancora dietro, ho deciso di attirarlo in una trappola.
Sapevo dove trovarvi e a che ora, caro Padre. Mi è bastato attraversare il cortile, e farmi vedere che mi dirigevo in un luogo deserto come la cappella privata, per ritrovarmelo addosso, come avete visto. Allora ho gridato tanto, in modo che ci sentiste, e speravo così di essermi liberata. Non volevo che lo ammazzaste, ma solo che finalmente mi lasciasse in pace!
All'inizio credevo mi insegnasse perché s'era invaghito di me e ho creduto di poterlo sfruttare, lo ammetto, ma speravo in un amore cavalleresco, poetico. Invece è diventato molto carnale e francamente disgustoso; e mi ricattava. Non mi sentivo di far nulla di male, eppure la verità è che certe passioni, come le armi e i cavalli, per una donna sono uno scandalo".
Scossi la testa amareggiata, e in questo fingevo poco; poi alzai lo sguardo verso mio padre, per vedere che effetto aveva fatto il mio racconto.
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