Cap. 3 Il vento
Il vento!
Il respiro si fece affannoso. Il vento rinforzò, fece vibrare le imposte di legno della minuscola finestra e i movimenti di Villhelm si fecero scomposti: avvolto nella coperta, il giovane scalciò, gemendo, come volesse liberarsi da qualcosa che gli s'avvinghiava alle gambe. Il locandiere, stufo di tanta agitazione, si alzò a scuoterlo. Nell'unico stanzone dormivano i tre ospiti di quella notte, insieme a lui e suo figlio, e avevano tutti diritto a riposare.
Villhelm si sedette di scatto, ansimando, stentando a realizzare dove fosse. La locanda, ricordò poi. La luce fioca di una candela di sego svelava a malapena le sagome dei dormienti, e intravide quella massiccia del locandiere, di spalle, che tornava a sdraiarsi. Forse era lui che l'aveva scosso per ridestarlo dall'incubo.
L'aveva sognato ancora! Notte dopo notte, quell'orrore lo attendeva al varco appena chiudeva gli occhi; questa volta l'avevano preso, l'avevano afferrato per la caviglia ed era caduto faccia avanti, a un passo dalla salvezza, quando aveva quasi raggiunto il termine del tunnel.
Sospirò e si asciugò il sudore freddo, mentre il battito affrettato tornava adagio alla regolarità. Avvertì lo stimolo di urinare e si alzò con cautela, mentre il russare degli altri copriva lo scricchiolio delle assi; si diresse al lato della stanza che dava sul vicolo retrostante la locanda, scostò la tenda ed entrò nel minuscolo stanzino. Niente più di un balconcino chiuso in muratura, con un buco nel pavimento, sospeso sulla stradella maleodorante e fangosa; da quel buco piovevano, direttamente nello scolo al centro del vicolo, gli escrementi e i liquidi della casa. Si liberò con le spalle alla stanza, come d'uso, e tornò a stendersi, ormai sveglissimo.
Non lui, avevano afferrato prima che arrivasse a uscire dal tunnel! Lui ce l'aveva fatta e aveva potuto azionare il meccanismo che lo sbarrava, bloccando gli inseguitori. Ma egualmente gli incubi lo perseguitavano da più di trenta notti, ormai. Quella antica via di fuga, preparata insieme alle stanze segrete del castello fin dalla costruzione di questo, non era mai stata usata e mai avrebbe dovuto esserlo.
Invece era accaduto l'inimmaginabile, e dal sangue del loro sangue era venuto l'odio che era costato la vita a suo nonno. Un figlio contro un padre, e contro il figlio di suo fratello! Suo zio, uomo senza poteri, che mai era stato messo a parte dei segreti più intimi della loro antica stirpe, aveva scoperto che padre e nipote erano diversi, condividevano capacità a lui negate, e il rancore l'aveva accecato. Aveva aizzato contro di loro la sua guardia e lui aveva dovuto accettare che erano troppi, che non era possibile combatterli, né resistere in alcun modo. La fuga era stata l'unica alternativa. Ma il vecchio lupo era stato raggiunto. Troppo lento!
"Vai!", era stato il suo ultimo grido. Un imperativo, mentre lui si voltava disperato al sentire che l'avevano preso. "Salvati, non c'è più possibilità per me!"
Aveva visto che alzava la mano a mostrargli l'anello, sapeva cosa conteneva, sapeva cosa significava che stava facendo. Gli aveva dato la schiena, aveva ripreso a correre e la foresta l'aveva accolto.
Inutilmente, trovando di un soffio bloccata l'uscita, i suoi inseguitori erano tornati indietro e avevano organizzato le ricerche: mentre il vecchio gli moriva tra le mani, senza che potessero cavargli una parola, avvelenato in un modo che non avevano saputo spiegarsi, il giovane era scomparso e neppure i cani avevano potuto trovarne le tracce.
Ma suo zio non avrebbe rinunciato a cercarlo, anche per anni, ci avrebbe giurato. Nulla avrebbe cancellato l'oltraggio che riteneva d'aver subito, di non essere stato tra gli eredi. Rifiutando di capire e credere che i poteri erano doni gratuiti e che non era la stata scelta di nessuno, escluderlo. Era scritto così, e lui solo sapeva quanto questo aveva amareggiato suo nonno, ferito perché, fin da quando era imberbe, quel figlio s'era dimostrato iroso, ribelle e livoroso.
L'anziano non aveva mai potuto spiegarsi perché fosse nato così, e aveva confidato a suo nipote, con dolore, come non ci fosse stata arte capace di addomesticarlo e renderlo amorevole. La nascita di un fratello minore lo aveva acceso, già nell'infanzia, di un'invidia insensata e della smania di primeggiare: ma più prepotentemente cercava ogni occasione per rivendicare d'essere il primogenito, più il favore che il fratello minore era capace di riscuotere, con un carattere amabile e giocoso, lo incattivita.
Infine era accaduta la disgrazia: a soli diciassette anni il figlio cadetto, così ben voluto da tutti, aveva lasciato il mondo in un incidente di caccia. L'evento aveva portato il primogenito al comando del castello, subentrando di necessità a suo padre, annichilito dalla perdita.
Ma ancora la serie di circostanze incredibili non era finita: la notizia che una delle serve attendeva un figlio del defunto era stato il miracolo che aveva risvegliato il vecchio Duca, ma scatenato la furia del nuovo.
Era nato lui, Villhelm, inconsapevole dello scandalo e della guerra sotterranea tra suo nonno, determinato a proteggerlo, e suo zio. Era cresciuto sotto le ali del vecchio, e se suo padre era morto giovanissimo senza aver manifestato ancora alcun potere, lasciandoli nel dubbio se fosse stato o meno uno di loro, lui si era scoperto prestissimo capace di cose che il nonno gli aveva caldamente raccomandato di tener segrete. Aveva ricevuto l'educazione che si tramandava da molti secoli ai dotati, ed ecco, ora era l'ultimo.
Aveva perso la sua casa, quasi tutti i suoi averi e anzi pendeva su di lui la furia vendicativa di suo zio, che ai soldati del castello aveva imposto di catturarli al grido: arrestate i seguaci del demonio! Per avere i poteri della sua stirpe, come suo nonno, come gli altri prima di loro, di questo era accusato: d'essere una creatura diabolica.
Si rigirò per l'ennesima volta sul sacco riempito di fieno che era il giaciglio della locanda. Essere riuscito a nascondersi per oltre un mese non era sufficiente, prima o poi lo avrebbero scovato. Doveva lasciare per sempre quelle terre e dirigersi verso il nord, e sulla costa trovare il modo di attraversare il mare. Affrontare il viaggio durante l'inverno sarebbe stato però arduo, dovendo evitare le città e le strade principali. E inutile, anche, perché la navigazione che sperava di poter intraprendere non era immaginabile nelle stagioni delle tempeste.
Resterò nascosto fino alla fine dell'inverno. Poi, all'allentarsi della morsa del gelo, tenterò di raggiungere la costa settentrionale. Dovrò avere con me dell'oro, anche. Almeno un minimo per pagarmi un posto in qualche imbarcazione, non essendo un marinaio. L'ideale sarebbe trovare un lavoro in qualche villaggio e guadagnare, ma usando una copertura che regga. Cosa potrò fare, che non faccia sospettare la mia origine?
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